Il patto occulto di maggiorazione del canone di locazione immobiliare
La locazione degli immobili urbani ad uso abitativo è disciplinata dalla l. n. 431/1998. Essa prevede come requisito di validità del contratto di locazione, oltre alla forma scritta ad substantiam (art. 1 co. 4 come interpretato dalle SS.UU. della Corte di Cassazione a partire dalla S. n. 18214/2015) anche la sua registrazione; tale obbligo infatti, si impone alle parti a pena di nullità e deve essere adempiuto entro 30 giorni dalla stipula del contratto stesso; è questa la disciplina che risulta dal combinato disposto dell’art 17 del D.P.R. 131/1986 – che assoggetta il contratto di locazione immobiliare alla registrazione – e dell’art. 1. co. 346 della legge 311/2004 che commina la nullità dei contratti di locazione non registrati. Tale nullità può, peraltro, essere “sanata” attraverso una registrazione postuma del contratto (con efficacia ex tunc).
Sebbene sia “atipico” far discendere la nullità di un contratto dalla mancanza di un requisito “esterno” e successivo alla sua stipula, laddove la disciplina codicistica prevede invece tale sanzione per i vizi strutturali e genetici del contratto stesso, è evidente che l’intento del Legislatore sia stato quello di implementare i controlli fiscali sulle locazioni immobiliari e di disincentivare pratiche elusive delle norme tributarie (sub specie di “risparmio di imposta”), attesa anche la copertura costituzionale riservata alla materia tributaria (ex art. 53 Cost. sul dovere di concorrere alle spese pubbliche in un’ottica di solidarietà sociale ed equità). In merito, si osserva infatti che, di recente, la giurisprudenza ha abbracciato l’orientamento che riconosce l’interferenza tra le norme tributarie e quelle civilistiche (sub specie di nullità virtuale di contratti stipulati in spregio alle norme tributarie) abbandonando l’opposta tesi dell’assoluta autonomia degli ambiti giuridici. Ciò perchè, il fine del “mero” risparmio di imposta perseguito dal contribuente, in assenza di apprezzabili finalità economiche ulteriori, si sostanzia in un abuso del diritto come tale non meritevole di tutela.
Nell’ambito delle locazioni immobiliari, un simile problema si pone proprio perchè il locatore – all’atto della registrazione del contratto – è tenuto al versamento della cd. imposta di registro che è proporzionata all’importo della locazione e, cioè, al canone pattuito con il conduttore; inoltre, anche le imposte dirette dovute dal locatore annualmente sono calcolate sul canone percepito.
Ciò premesso, la questione di cui qui ci si occupa, riguarda la stipulazione di un patto, a latere del contratto registrato, con il quale le parti prevedono la corresponsione di un canone di locazione maggiore di quello risultante dal contratto scritto e registrato. Il motivo per il quale le parti stipulano un patto simile, è che, in tal modo, possono eludere l’applicazione delle norme tributarie relativamente a tale “maggiorazione”, sottraendo una parte di ricchezza all’imposizione fiscale. In merito, l’art. 13 co. I l. 431/1998 prevede che, per le locazioni ad uso abitativo, “è nulla ogni pattuizione volta a determinare un importo del canone di locazione superiore a quello del contratto scritto e registrato”(trattasi, naturalmente, di una nullità testuale del patto de quo).
Alla luce del dettato normativo, le questioni prospettatesi alla giurisprudenza sono relative alla “decodificazione” del vizio che affetta il patto occulto di maggiorazione del canone, alle conseguenze della violazione di tale patto aggiuntivo sul contratto di locazione ed, infine, alla possibilità di estendere tale sanzione anche alle locazioni di immobili ad uso non abitativo, in assenza di una analoga e specifica disciplina (questione affrontata dalle Sezioni Unite nella recente sentenza 23601/2017).
In merito al primo punto, si osserva che, secondo la giurisprudenza, la stipulazione di un patto occulto di maggiorazione del canone (nelle locazioni immobiliari ad uso abitativo) può rientrare nelle ipotesi di simulazione relativa oggettiva (ai sensi degli artt. 1414 e ss. c.c.) dal momento che le parti, con un patto aggiunto e contrario rispetto al contratto “apparente”/registrato, mirano a modificare gli effetti da quest’ultimo discendenti; in tal caso, in particolare, prevedono la corresponsione di un canone maggiore di quello registrato, con finalità elusive delle norme tributarie. In questo modo, quindi, la simulazione contrattuale – che di per sé è pienamente lecita laddove venga posta in essere per finalità meritevoli di tutela – viene piegata a scopi fraudolenti e genera, pertanto, una nullità del programma contrattuale per frode alla legge ex art. 1344 c.c.; suole parlarsi, in proposito, di “simulazione fraudolenta”.
In realtà, la frode alla legge, secondo le migliori assunzioni di dottrina e giurisprudenza, è il risultato di una particolare combinazione di più contratti realizzata dalla parti; in tal senso, le parti vogliono ed attuano tale combinazione servendosi degli schemi contrattuali tipici così da violare, indirettamente, la legge.
La simulazione, invece, consiste proprio nella creazione di una situazione giuridica non voluta e solo apparente (se assoluta) o diversa da quella realmente voluta (se relativa). Di norma, quindi, tra le parti ha effetto solo il contratto dissimulato/nascosto e non quello apparente/simulato che invece è efficace nei confronti dei terzi. Applicando tali principi alla questione che ci occupa, dovrebbe allora ritenersi che tra le parti abbia effetto la previsione del canone diverso e maggiorato rispetto a quello registrato. Ma in realtà, è proprio tale patto (nascosto) ad essere colpito da nullità e quindi, più che di simulazione fraudolenta, dovrà parlarsi di violazione diretta della legge da parte del patto e, cioè, di una sua contrarietà alla norma imperativa. Da ciò discendono i dubbi circa la configurabilità di una simulazione fraudolenta stricto sensu intesa: la simulazione e la frode alla legge operano infatti in modo diverso e determinano diverse conseguenze.
Ad ogni modo, e venendo alla seconda questione problematica, si osserva che le SS. UU. che si sono pronunciate in materia(S. n. 18214/2015 cit.) hanno affermato che la sanzione della nullità colpisce il solo patto aggiunto di maggiorazione del canone, mentre il contratto resta valido ed efficace, ed il canone da corrispondersi sarà quello “apparente” e registrato (evidente è l’applicazione del principio di conservazione del contratto utile per inutile non vitiatur). Tale nullità, tuttavia, non discende dalla mancata registrazione, tanto è vero che il patto occulto di maggiorazione del canone non può sanarsi con una registrazione ex post (mentre si ammette la registrazione tardiva del contratto di locazione), ma dal fatto che un canone diverso sia stato pattuito al fine di eludere le norme tributarie; la registrazione del contratto, dunque, non rileva in sè ma rileva perchè attraverso essa si determina la fedele e corretta applicazione delle norme fiscali.
In sostanza, attraverso la complessiva operazione negoziale – che invera la causa in concreto del contratto stipulato – le parti mirano solo e soltanto ad eludere una norma imperativa, quale è quella tributaria, e per questo pongono in essere un contratto illecito.
L’accoglimento di questa impostazione, ha permesso poi alle Sezioni Unite di dare risposta anche all’ultima questione. Infatti, dalle previsioni normative individuate, per come intrepretate dalla giurisprudenza, si evince che il fine ultimo e generale perseguito dal Legislatore è proprio quello di contrastare l’elusione e l’evasione fiscali; tale obbiettivo viene raggiunto attraverso un raccordo tra le previsioni legislative tributarie e quelle civilistiche affidato alla sanzione della nullità del patto occulto di maggiorazione del canone; a tal fine, con riferimento alle locazioni immobiliari ad uso abitativo, è stata prevista una nullità testuale e parziale, ma lo stesso principio antielusivo che l’ha ispirata, ben può applicarsi anche alle locazioni ad uso non abitativo, attraverso il richiamo alla portata immediatamente precettiva dell’art. 53 Cost.
In tale ultima ipotesi, dunque, lungi dall’essersi in presenza di zone franche sottratte alla sanzione, si è in presenza di una nullità virtuale del patto occulto per violazione, diretta, del precetto costituzionale, ai sensi dell’art. 1418 co I c.c. ( così SS. UU. S. n. 23601/2017).
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Giulia Basile
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