Il perito delle parti nel processo di nullità matrimoniale

Il perito delle parti nel processo di nullità matrimoniale

Sommario: 1. La perizia di parte: ruolo e funzioni – 2. L’esecuzione della perizia – 3. La recognitio peritiae (can. 1578§ 3; DC 211) (il problema della discordanza dei periti) – 4. La perizia di parte secondo la giurisprudenza della Rota Romana – 5. Conclusioni

 

1. La perizia di parte: ruolo e funzioni

Dalla disciplina processualistica positiva, emerge in modo evidente che, circa i rapporti che intercorrono fra il perito e gli altri protagonisti del processo, in particolar modo il giudice, il consulente di parte, nel suo essere distinto dal teste cosiddetto «qualificato»[1] e dal consulente tecnico[2], assume un rilievo marginale nella prassi canonica, che tuttavia non ne ignora i compiti.

Egli presta in permanenza ausilio tecnico all’ufficio del giudice, o anche della difesa, rispetto ad un materiale probatorio che, però, è già precostituito, non avendo concorso a formarlo. Forse tale figura tende ad avvicinarsi maggiormente a quella dell’assessore, che alcune norme del codice vigente distinguono espressamente dall’uditore (v., ad esempio, il can. 1425 §4).

Al contrario, l’opera del perito, limitata alla fase istruttoria, integra un mezzo di prova, sotto certi aspetti “straordinario”, nel senso che è incaricato di compiere un’indagine e quindi di raccogliere elementi di giudizio, oltre che esprimere un parere su prove già addotte. Peraltro, il contenuto tradizionale dell’attività del perito va distinto dalla prestazione che nel giudizio è chiamato a rendere il teste qualificato, anche se non mancano tratti di disciplina comune. Infatti, per quanto riguarda i motivi di esclusione o ricusazione, la norma dettata per i testi (can. 1555) è richiamata espressamente da quella relativa ai periti (can. 1576); inoltre, per entrambe le categorie di soggetti è previsto il rimborso delle spese sostenute ed il pagamento di una somma di denaro, sotto forma di indennità per i testi (can. 1571) e di onorario per i periti (can. 1580).

Tuttavia, riguardo al contenuto dell’attività svolta, vi è una differenza sostanziale tra le due figure[3], che pure sono inquadrate entrambe nel sistema dell’attività istruttoria: mentre il teste, anche qualificato, riferisce su fatti che si sono svolti a contatto diretto del proprio campo di esperienza sensibile (de visu, de auditu), oltre che tecnico-scientifica, il perito si serve dell’esperienza tecnico-scientifica per concorrere a ricostruire fatti svoltisi al di fuori della propria percezione diretta.

Il diverso contenuto di attività porta anche ad una variante formale tra le due figure: mentre le prestazioni del teste, anche qualificato, sono difficilmente surrogabili, quelle del perito, in larga misura, lo sono.

Basti pensare che il can. 1803 C.I.C. del 1917 prevedeva che, qualora le conclusioni dei periti fossero state discordi, o magari i periti non si fossero mostrati all’altezza del compito, il giudice potesse procedere alla nomina ex novo di altri periti. Anche se una norma simile non è stata riscritta, non vi è ragione per ritenere che essa non possa ricavarsi dal sistema del nuovo codice (ex can. 1575).

L’aver sottolineato i tratti distintivi essenziali fra perito e teste qualificato, non può indurre però ad assimilare la figura del perito a quella di una sorta di coniudex[4], il giudice, infatti non è tenuto a seguire le conclusioni dei periti, anche se concordi, ma a decidere sulla base del complesso di tutte le risultanze processuali (can. 1579, § 1).

Come si è avuto modo di osservare, è possibile individuare nell’ambito del processo matrimoniale canonico, tre tipologie di perizie. Trattasi di perizia d’ufficio, perizia di parte e di perizia extragiudiziale. Ne consegue che vi sono tre figure di periti differenti: il perito d’ufficio, il perito di parte, il perito extragiudiziale.

Ogni perito ha la sua funzione specifica, pur nella ricerca della verità. Se il perito ex officio è un collaboratore del giudice, per colmare la non conoscenza professionale del giudice su certe problematiche di natura tecnica, medica, psichica e psicologica, il perito di parte è il consulente delle parti. Sia della parte attrice, sia della parte convenuta. Il perito di parte ha il ruolo di consulente tecnico della parte sia per valutare criticamente l’opera del perito d’ufficio, sia per dimostrare il fumus per l’ampliamento dei dubbi di causa, sia per l’appoggio ad un appello, se non alla proposizione di una nova causae propositio. Si tratta quindi di consulenti tecnici che servono ad integrare l’attività difensiva delle parti. La sua principale funzione consiste nell’evitare che lo spessore tecnico di una parte dell’indagine possa compromettere il contraddittorio mediante tale supporto.

Difatti, la parte può intervenire con maggiore efficacia e forza incisiva su quegli aspetti della perizia ufficiale che non reputi conformi alla propria visione della vicenda.

Il perito di parte ha, pertanto, una funzione di assistenza specializzata. Quanto detto non esclude che possa essere individuata una ulteriore configurazione del perito di parte, ovvero di colui che lavora indipendentemente dal perito di ufficio, magari proprio per contestarne sotto un profilo strettamente tecnico le conclusioni e per tentate di convincere il giudice di disattendere le stesse o di rinnovare una perizia di ufficio già acquisita agli atti[5].

 Affine al perito di parte è il perito extragiudiziale. Egli incontra la parte, non nel corso del processo, ma al di fuori dello stesso. E’ questa la principale differenza tra le due figure di periti. Sebbene entrambi godano della fiducia della parte, il perito di parte viene ammesso dal giudice nel corso del processo, dopo la nomina del perito d’ufficio, mentre il perito extragiudiziale confeziona  la  relazione al di fuori del processo. Quindi, seppure di fiducia il perito extragiudiziale non prende visione degli atti di causa e neppure della perizia d’ufficio.

Tutti i periti hanno dei tratti in comune. Serrano evidenzia come compito principale del perito sia quello di produrre fatti e conclusioni scientifiche, avvertendo che, pur risultando conveniente che il perito conosca i principi del matrimonio canonico, tali principi non sono oggetto immediato della perizia, bensì della sua valutazione, attività, quest’ultima, che ovviamente compete al giudice [6].

Questi dovrà interpretare scientificamente i fatti presenti nelle altre prove; ma può accadere che, durante l’examen, egli venga a conoscenza di fatti fino a quel momento sconosciuti. Non solo sarebbe illogico, ma anche contrario al fine del processo (l’accertamento della verità) accogliere tali notizie, oppure respingerle, sic et simpliciter. Questo può accadere per il perito ex officio, ma può accadere anche per il perito di parte, il quale può ricevere dalla parte notizie o circostanze non riferite al giudice o di cui il giudice non è venuto a conoscenza per svariate ragioni.

Può accadere, e ci riferiamo, alle cause per incapacità consensuale o per impotenza, che la parte vedendo nel perito “il medico” si lasci andare a confidenze che si è vergognato di riferire al giudice. Si pensi alle problematiche pregresse vissute in famiglia o a notizie riguardanti propri familiari utili a comprendere la sofferenza psichica o psicologica del soggetto. La parte potrebbe avere un sentimento di ritrosia e di vergogna ad esporre talune tematiche di fronte al giudice, presenti anche il patrono, il difensore del vincolo ed il notaio. Mentre nello studio del medico, dello psichiatra, dello psicologo, egli si lascia andare a delle confidenze come se fosse in confessione, a maggior ragione se, il professionista è stato scelto dalla parte, vi è confidenza a motivo del rapporto professionale che dura da diversi anni.

In tal caso il perito di parte attraverso l’intervista clinica potrebbe integrare i requisiti della prova storica, basata sulla percezione diretta della realtà; certamente l’affermazione del perito su fatti nuovi impone una valutazione, anteriore alla decisione della causa, valutazione che ben può dare corso ad ulteriori atti processuali, quali la recognitio peritiae o ulteriore convocazione delle parti o dei testi. Riteniamo che il perito di parte dovrà in questa fase registrare e riferire nella relazione peritale le circostanze nel modo più fedele possibile[7].

Inoltre, poiché egli, ha diritto all’accesso agli atti di causa, riteniamo che nella relazione peritale dovrebbe anche spiegare il perché della omissione da parte del periziando in sede di deposizione di certi particolari della sua esistenza personale o familiare. Ciò avrebbe grande significato probatorio non solo se la perizia di parte viene stesa nel corso dell’istruttoria in primo grado, ma anche quando il perito di parte viene chiamato a prestare la propria consulenza in vista della nova causae propositio o per giustificare l’appello ordinario al tribunale superiore[8].

Sotto questo profilo, si ritiene di poter sostenere che, come ci deve essere un dialogo quanto più diretto e comprensibile tra il giudice ed il perito d’ufficio, così ci deve essere un buon dialogo tra il perito di parte ed il patrono, sempre alla ricerca della verità[9].

 Come avviene solitamente per il perito d’ufficio anche il perito di parte può essere chiamato dal giudice istruttore a chiarire alcuni aspetti della sua perizia. Ulteriore applicazione del principio di collaborazione fra giudice e perito, a nostro avviso, è la possibilità, prevista dal can. 1578, § 3, nonché dall’art. 211 D.C., che il perito venga chiamato per confermare le sue conclusioni e fornire quelle ulteriori spiegazioni che appaiano necessarie al giudice per la definizione della causa.

Il perito di parte dovrà tenere conto dell’ambito della indagine peritale ordinata dal giudice, ma nell’ambito delle sue conoscenze tecniche, si ritiene che il perito nelle sue osservazioni alla perizia d’ufficio possa e debba anche far rilevare eventuali deficienze o contraddittorietà sul piano scientifico dell’indagine peritale avviata dal giudice.

Normalmente, è il giudice che formula i quesiti. Nel caso della perizia di parte stragiudiziale o previa al giudizio, dovrà essere il patrono a formulare i quesiti. Riteniamo che sarebbe opportuno che il formulario redatto dal patrono ricalcasse quello proposto dall’art. 209 della Istruzione Dignitas Connubii per i quesiti che il giudice dovrà rivolgere al perito ex officio se la causa ha come capi di nullità le fattispecie di cui al can. 1095 e nel caso di impotenza di cui al can. 1084 e all’art. 208 D. Questo per una serie di ragioni logiche, di opportunità e giuridiche[10].

Intanto, la redazione della relazione da parte del perito di parte dovrà essere tale da trovare accoglimento da parte del giudice. Al perito di parte quindi si dovranno dare gli strumenti per poter adempiere al meglio al proprio compito.

Non si trova infatti nel codice la definizione di perito extragiudiziale[11]. Il can. 1575 prevede che spetti al giudice accettare relazioni già fatte, non solo in aggiunta alla perizia ufficiale, ma anche in via sostitutiva[12].

Solo nel primo caso si potrà continuare a parlare di perizia extragiudiziale, mentre, nel secondo caso, quella che inizialmente era una perizia extragiudiziale diviene giudiziale a tutti gli effetti[13].

Attualmente, la possibilità di assumere queste perizie in via sostitutiva non incontra alcun limite, non essendo più vigenti le disposizioni del CIC 1917, can. 1982, e della Provida Mater, art. 143, che stabilivano il divieto di affidare la perizia ufficiale ai professionisti che avessero seguito le parti fuori del processo.

Le perizie extragiudiziali sembrerebbero riconducibili alla prova documentale, oppure il perito extragiudiziale potrebbe essere considerato una sorta di teste qualificato[14]. Sono accostamenti non pienamente soddisfacenti.

Vanno tenuti distinti i casi in cui la parte esibisce documentazione medica o cita come teste lo specialista che lo ha avuto in cura, dai casi in cui affida a quest’ultimo l’incarico di redigere una perizia in vista del processo[15].

Il teste qualificato, di cui al can. 1573, è colui che riferisce su fatti conosciuti nell’esercizio del proprio ufficio, intendendosi l’ufficio in senso giuridico e non solo di una professione.

Le notizie ricavate dalla deposizione degli psicologi e psichiatri sono estremamente qualificate e potrebbero assurgere al rango di prova piena, senza ricorrere ad altri periti[16].

La ragione risiederebbe non tanto nella circostanza che psicologi e psichiatri sono ricompresi nella prima eccezione alla regola del “testis unus testis nullus”, e che riguarda il teste qualificato in senso stretto, quanto piuttosto nella seconda eccezione, poichè la loro qualifica personale è uno tra gli “adiuncta personarum” , idonei a confermare la dichiarazione di un solo teste.

Allora il discrimen per attribuire ad una relazione peritale la qualifica di perizia extragiudiziale risiede non tanto nella circostanza di essere stata redatta su incarico delle parti fuori del processo, bensì l’essere stata ammessa dal giudice solo in via cumulativa, e non sostitutiva, della perizia ufficiale.

I criteri per ammettere tale perizia in via sostitutiva sono riconducibili a due ordini di ragioni.

Da una parte, questa perizia, di norma, è preceduta da un contatto tra parte e perito, contatto che può essere durato anche diversi anni.

La relazione di questo perito e la sua deposizione testimoniale possono essere più credibili della perizia ufficiale, stante la possibilità di un atteggiamento non propriamente collaborativo della parte durante l’espletamento dell’accertamento peritale disposto dal Giudice.

D’altro canto, non si può non considerare l’eventuale atteggiamento di benevola predisposizione, che i periti non giudiziali possono assumere nei confronti del proprio assistito.

Allora, anche per una tale perizia, i criteri di valutazione saranno gli stessi previsti per ogni tipo di perizia, tenendo nella debita considerazione quanto formulato in sede di prima diagnosi[17].

E’, quella del perito di parte, una figura nuova, prevista dal can. 1581 e dall’art. 213 della Istruzione Dignitas Connubii[18]. Tale perito viene designato dalla parte e deve essere approvato dal giudice; può esaminare, nella  misura in cui è necessario, gli atti di causa e prendere parte all’esecuzione della perizia e può sempre presentare una propria relazione.

Una prima distinzione con il perito che ha redatto una perizia extragiudiziale consiste nel fatto che il perito privato viene nominato dalla parte nel corso del giudizio, presumibilmente all’atto di nomina del perito ufficiale da parte del giudice, mentre quello che ha redatto una perizia extragiudiziale, come abbiamo visto, ha ricevuto l’incarico dalla parte fuori dal giudizio (o magari anche in previsione di un giudizio), o da un’altra autorità giudiziale[19].

Nella prassi possono distinguersi due tipi diversi di periti privati. Il primo tipo è quello di un perito privato nominato in coincidenza con la disposizione di una perizia di ufficio, con l’incarico di partecipare alle operazioni peritali di ufficio e di elaborare eventualmente anche una propria relazione[20].

Si tratta di una sorta di consulente di parte, di un prolungamento dell’assistenza difensiva, specificamente riferita alla fase dell’elaborazione della perizia di ufficio; un’assistenza qualificata dalla particolare competenza tecnica del perito privato, la stessa appunto del perito d’ufficio.

Il secondo tipo di perito privato è quello invece che lavora indipendentemente dal perito di ufficio, magari proprio per contestarne tecnicamente le conclusioni e per convincere il giudice dell’opportunità di rinnovare la perizia d’ufficio già acquisita agli atti.

Il perito privato o di parte in senso proprio (ed in qualsiasi dei due tipi indicati) deve essere approvato dal giudice, cosa che comporta che la parte dichiari al giudice di volersi avvalere di un perito privato e ne comunichi come minimo l’identità.

Trattandosi, infatti, pur sempre dell’ammissione di un mezzo di prova, anche la nomina del perito di parte non può essere del tutto sottratta al controllo del giudice, ai sensi della regola generale del sistema probatorio canonico dettata dal canone 1527 § 1.

Le facoltà di azione del perito privato devono essere in qualche modo determinate dal giudice. Il can. 1581 § 2, infatti, prevede che sia l’eventuale partecipazione alle operazioni peritali di ufficio, sia l’accesso agli atti di causa possano aver luogo a seguito dell’autorizzazione del giudice[21].

E’ pur vero che questa nuova figura va intesa nell’ambito della dialettica processuale, dal momento che la sua principale attività sarebbe quella di assistere la parte durante l’esecuzione della perizia, intervenendo sugli aspetti non conformi alla posizione processuale della stessa.

Ma una simile impostazione interpretativa sarebbe, appunto, riduttiva, in quanto si tenderebbe ad identificare la sua posizione con quella del difensore; ma, così facendo, la relazione del perito di parte sarebbe analoga al restrictus di difesa dell’avvocato, ovvero un allegato meramente interpretativo delle prove, senza alcun valore probatorio proprio.

Invece la relazione peritale, che il perito di parte può sempre presentare, qualora fondata sui dettami della scienza psichica, può costituire un mezzo di prova vero e proprio, che il giudice deve valutare con gli stessi parametri oggettivi con cui giudica i risultati della perizia ufficiale[22].

E’ ovvio che, a tali criteri, andrà ad aggiungersi il criterio soggettivo derivante dal rapporto fiduciario intercorrente fra la parte ed il perito da essa designato.

In senso contrario si esprime S. Martin, laddove sostiene che gli apporti dei periti di parte “hanno sostanziale natura di allegazioni” [23].

Mentre, come si è avuto modo di osservare nel precedente capitolo, la legge indica alcuni criteri, sia di carattere oggettivo che soggettivo, in base ai quali il giudice deve valutare l’idoneità del perito ufficiale, nulla dice a proposito dei requisiti che dovrà possedere il perito di parte.

Tali requisiti vanno ricavati attraverso uno sforzo interpretativo della normativa vigente, cogliendo da quanto previsto per il perito ufficiale ciò che è applicabile alla figura del perito di parte.

La constatazione che il Codice e l’Istruzione Dignitas Connubii parlino di “perito di parte”, sta ad indicare come anche tale perito debba essere munito di quelle medesime “scienza ed esperienza” richieste al perito d’ufficio[24].

Se primo compito sarà quello di prendere parte all’esecuzione della perizia, è di tutta evidenza che dovrà essere munito della medesima specializzazione del perito ufficiale, al fine di poter validamente interloquire con lui[25].

Si ritiene, invece, che nel perito di parte non siano richiesti i requisiti della rettitudine morale e fede, che invece sono richiesti per quello ufficiale.

La ragione risiede nella circostanza che quest’ultimo è chiamato, come perito, a prestare aiuto ai Pastori, come espressamente indicato dal can. 228, § 2, mentre il perito di parte svolge la sua attività principalmente in ausilio della parte, dalla quale è stato designato. Tutto questo, però, non è pienamente compatibile con la necessaria approvazione del perito privato da parte del giudice.

Se, per questa figura, non sono richiesti la rettitudine morale e fede, non si comprende in base a quali criteri il giudice dovrebbe approvare la designazione del perito privato[26]. Se si fosse trattato di una mera presa d’atto, infatti; ovviamente il Codice non avrebbe parlato di approvazione.

Il concetto di approvazione lo si incontra nel can. 1483, tra i requisiti necessari per svolgere la funzione di avvocato, unitamente all’essere cattolico[27]. Come per la figura dell’avvocato, l’approvazione da parte del giudice è una misura di prudenza ma anche di convenienza, per l’adeguata tutela delle ragioni della parte rappresentata in sede di accertamento peritale.

Ovviamente, anche per la perizia di parte il controllo del giudice riguarderà il fondamento fattico, quello metodologico e, soprattutto, quello antropologico.

Quindi, nel caso in cui il perito di parte non si limitasse ad assistere la parte nell’esecuzione della perizia ufficiale, ma presentasse una propria relazione, non dovrà limitarsi ad una semplice descrizione, ma dovrà tener conto di quelli che sono i principi dell’antropologia cristiana, aperta, cioè, ai valori che trascendono il dato immanente, in una visione che tenga conto della vocazione dell’uomo alla libertà ed alla donazione di sé, capace di superare, con l’aiuto della Grazia, circostanze difficili della propria esistenza. Dovrebbe essere in realtà interesse della parte di individuare un professionista che possa al meglio svolgere la funzione nell’ambito del foro canonico e dunque conosce a fondo non solo i meccanismi tecnici ma anche i principi entro i quali una relazione peritale viene considerata valida o meno.

Proprio la possibilità che la perizia di parte diventi un mezzo di prova vero e proprio, dovrebbe consigliare la designazione come perito di parte di un perito iscritto nell’albo dei periti ammessi dal Tribunale.

In ogni caso, riteniamo che non sia accettabile una certa prassi di subordinare l’approvazione del perito di parte all’accettazione della stessa di sottoporsi all’esame peritale di ufficio[28].

Come osservato precedentemente, il perito di parte può esaminare gli atti e prendere parte alle operazioni peritali.

Il verbo utilizzato, “possono”, farebbe intendere come il perito di parte non abbia un diritto, ma ciò non sarebbe comprensibile; se gli atti devono essere dati al perito di ufficio perché possa adempiere compiutamente all’incarico conferitogli, non si capisce perché non possano essere messi a disposizione anche del perito di parte, che pure è stato approvato – e quindi è stato riconosciuto possedere i requisiti di legge[29].

L’approvazione significa che si ha la ragionevole certezza che il perito di parte rispetterà il can. 1598 e quindi non darà alla parte che l’ha nominato gli atti di causa[30].

Si ritiene, quindi, che per quest’ultimo si applichi quanto la normativa canonica prevede per il perito di ufficio, allorquando dispone che il giudice debba mettere a disposizione gli atti di causa e aliaque documenta et subsidia dei quali possa aver bisogno per un esaustivo compimento del proprio incarico.

Quanto agli atti di causa, essi debbono tendenzialmente essere messi tutti a disposizione dei periti, proprio per agevolare l’espletamento della perizia, al fine del raggiungimento degli scopi che la perizia si prefigge.

Ciò non toglie che sia possibile effettuare qualche estrapolazione dagli atti, ad esempio eliminando dal fascicolo per il perito documentazione di natura civilistica che sia evidentemente irrilevante per l’assolvimento dell’incarico (si pensi al ricorso per separazione o per cessazione degli effetti civili del matrimonio dinanzi al tribunale civile)[31].

Meno facile è determinare cosa possano essere gli alia documenta et subsidia; potrebbe trattarsi di norme canoniche e del loro commento, di sentenze rotali, di testi magisteriali. Tutto quanto, cioè, possa mettere il perito in condizione di comprendere le esigenze della causa canonica, sia in genere che nel caso specifico[32].

Si è visto che la nomina del perito di parte è successiva a quella del perito d’ufficio, e che questi deve essere approvato dal giudice. Ebbene, nel momento dell’approvazione da parte del giudice, il perito di parte avrà il diritto a ricevere gli atti della causa[33].

Per quanto riguarda l’esame del periziando, cuore della perizia, il perito di parte potrà prendere parte a questa attività, proprio perché suo compito precipuo è quello di garantire la parte che lo ha nominato circa la correttezza dello svolgimento della perizia di ufficio. Infatti, oggetto principale della relazione sarà l’attività del perito di ufficio.

La facoltà di presenziare all’esame peritale trova la sua ratio nella tutela del principio del contraddittorio e della trasparenza nell’amministrazione della giustizia.

Si tenga presente che al perito sono attribuiti compiti certificativi (accertamento della identità delle persone) ed in qualche misura inquisitori (espletamento dei tests); ma, a differenza degli interrogatori, ove è prevista ad validitatem la presenza del notaio, non è prevista nessuna figura che certifichi l’autenticità di ciò che è avvenuto alla presenza del perito. Tuttavia, il perito d’ufficio nel redigere la relazione dovrà dare atto della presenza del collega[34].

La presenza del perito di parte va considerata con la massima attenzione e, una volta che sia stato approvato, per limitarne le facoltà, ci deve essere una ragione grave, esplicitata in un decreto, contro il quale si possa fare ricorso[35] .

In conclusione, si ritiene condivisibile la definizione che Gullo dà della perizia di parte:

«…è un atto giuridico processuale (atto di causa) consistente nella valutazione tecnica di un fatto, espletata per iscritto – previo esame – in base alle conoscenze scientifiche di una persona, nominata dalla parte ed approvata dal giudice, che sia professionalmente esperta in materia, in base al riconoscimento di un organismo competente; al perito privato approvato dal giudice dovranno essere messi a disposizione gli stessi strumenti forniti al perito d’ufficio, in particolare gli atti di causa, e dovrà essere consentito di assistere all’adempimento delle incombenze peritali (esame della parte) nonché di criticare la perizia d’ufficio»[36].

Il perito di parte nell’espletamento del suo munus assisterà alle operazioni peritali svolte dal perito d’ufficio e al termine del lavoro svolto dal perito d’ufficio egli presenterà le proprie considerazioni nella relazione[37].

Il modo di agire del perito lo si ricava dal can. 1581. Inoltre, si prevede la possibilità del perito di presentare una propria relazione. L’Istruzione Dignitas Connubii riprende alla lettera all’art. 213 il can. 1581. Compito del perito sarà quello di valutare tecnicamente un fatto con supporto scientifico (examen), facendo confluire i risultati di tale examen in una relazione scritta (votum).

Il can. 1577 § 3 e l’art. 207 § 3 della Istruzione Dignitas Connubii, prevedono che al perito di parte possano essere consegnati gli atti della causa che possono risultare utili. Ciò stante il tenore della norma, dipenderà dalla discrezione del giudice. Si deve tenere conto che i periti sono tenuti al segreto professionale e pertanto l’esclusione di alcuni atti può essere giustificata esclusivamente qualora i documenti risultino inutili ai fini della prova, tuttavia, soprattutto quando si tratta di perizia a carattere psichico non è agevole valutare a priori la utilità o la inutilità dei documenti di causa.

In ogni caso, al perito di parte dovrebbe essere consegnata tutta la documentazione che è stata messa a disposizione del perito d’ufficio, allo scopo di salvaguardare il diritto di difesa della parte che ha nominato il perito. Inoltre, criteri di logica e di economia processuale suggeriscono che la trasmissione del materiale avvenga in un momento previo all’inizio delle operazioni peritali sicché il perito di parte possa partecipare alle operazione del perito d’ufficio con cognizione di causa. Lo studio degli atti è parte integrante dell’attività del perito di parte[38].

Tale novità può essere diretta, dal momento che il perito non si limiterà solo ad esprimere il proprio votum, ma lo farà precedere, ove possibile, dall’examen , sia degli atti che, soprattutto, del periziando.

La relazione peritale, in quanto fondata sulle regole della pratica e della scienza (can. 1574), consente l’acquisizione di una conoscenza scientifica, fondata sull’obiettività propria della specializzazione del perito, fornendo al giudice un elemento di novità.

Tra i fatti da accertare mediante l’opera di un perito, come già detto, il can. 1680 fa espresso riferimento al difetto di consenso derivante da un “morbus mentis”.

L’esistenza di tale morbus e la sua natura non possono essere stabilite dal giudice, bensì da un esperto in scienze psichiche.

Senza entrare nel merito della definizione di consenso matrimoniale e del significato del termine morbus mentis, vanno evidenziate tre realtà, che hanno rilievo nella perizia psichica[39].

In primo luogo, la definizione che il can. 1057 dà del consenso matrimoniale pone in evidenza il coinvolgimento di tutta la persona, con tutte le proprie potenzialità e facoltà, tralasciando altre componenti, quali l’affettività, la capacità di relazione, quella di donarsi agli altri.[40]

In secondo luogo, non esistono malattie mentali, bensì ammalati. La nozione canonica di “morbus mentis” è ampia ed include ogni tipo di debolezza psichica; d’altro canto, nell’ambito delle stesse scienze psichiche il concetto di malattia mentale è controverso[41].

Per tali ragioni, oltre alle psicosi, nella categoria del morbus mentis vengono abitualmente incluse le nevrosi, i disturbi caratteriali, l’immaturità psicoaffettiva e psicosessuale, ed in genere tutte le “anomalie psichiche”, termine ampio che, nella prassi forense, equivale a quello di malattia mentale[42].

Non si dimentichi come le “anomalie psichiche” siano concetti astratti, che possono coesistere nella stessa persona in una molteplicità di varianti; tutto ciò ridimensiona la possibilità di una definizione precisa, confermando la necessità di un esame psicodinamico sulla organizzazione o disorganizzazione delle strutture psichiche del paziente.

Da ultimo, va ricordato come le fattispecie previste dal can. 1095 siano una positivizzazione del diritto naturale, formulata in modo generico e, quindi, abbisognevole di una costante determinazione, secondo l’insegnamento di Giovanni Paolo II[43].

Se le disposizioni contenute nel can. 1095 sono il frutto della giurisprudenza più attenta ai risultati delle ricerche circa le facoltà psicofisiche dell’uomo, allora nell’applicazione di tale legge il giudice non potrà fare a meno degli studi e dei progressi della psicologia e della psichiatria[44].

In tali cause, il giudice ha un vincolo solo relativo con la lettera della legge, essendo per lui indispensabile essere attento alle nuove categorie emergenti nelle scienze psichiatriche e psicologiche[45].

Ma una mera informazione sulle condizioni psichiche del periziando, che non abbia una relazione con quella che è la struttura del matrimonio, inteso come consortium totius vitae, sarebbe una informazione inutile e fine solo a se stessa.

La necessità di una simile relazione si riflette anche nella configurazione della perizia come mezzo di prova, facendo emergere un secondo ordine di difficoltà, che riguarda più da vicino i periti[46].

2. L’esecuzione della perizia

Per il perito, vedere inquadrare la propria attività nell’ambito dell’attività probatoria, può significare un cambiamento del modus procedendi. Ovviamente adopererà quelli che sono gli strumenti della scienza della quale è esperto (praeceptis artis vel scientiae innixum), ma vi può essere il pericolo che il suo lavoro possa dipendere da tre variabili da lui non dipendenti: l’affidabilità del periziando, la prospettiva dell’emissione della diagnosi e la finalità non terapeutica del proprio intervento[47].

Infatti, contrariamente a quanto avviene abitualmente, il perito non deve esaminare una persona che gli si è rivolta spontaneamente per capire le ragioni del proprio disagio psichico e cercare di risolverle, bensì gli potrà capitare di imbattersi in un soggetto portatore di un interesse processuale ben preciso: convincerlo circa il proprio malessere psichico o, invece, nasconderlo[48].

Nel caso della perizia per morbus mentis, lo psichiatra o lo psicologo non devono formulare una diagnosi approssimativa, per prescrivere una terapia, ma devono fornire al giudice una relazione finale, fondata sull’indagine dei processi psichici più remoti, che dia una spiegazione dell’anomalia psichica, ove questa ovviamente sia accertata[49].

In ultimo dovrà fornire elementi certi, che possano essere poi valutati alla luce della nozione canonica di “capacità matrimoniale”.

Quello che interessa, nella perizia disposta nei casi indicati dal can. 1680, non è lo stato attuale del periziando e la possibilità di intraprendere un percorso di recupero; interessa, invece, il passato, cioè l’origine, la gravità, l’evoluzione dell’eventuale morbus mentis[50].

3. La recognitio peritiae (can. 1578§ 3; DC 211) (il problema della discordanza dei periti)

Ulteriore applicazione del principio di collaborazione fra giudice e perito, a mio avviso, è la possibilità, prevista dal can. 1578, § 3, nonché dall’art. 211 di DC, che il perito venga chiamato per confermare le sue conclusioni e fornire quelle ulteriori spiegazioni che appaiano necessarie[51].

La perizia è una prova “libera” e non “legale” e la sua valutazione non può dirsi arbitraria, in quanto, pur essendo rimesso al giudice il valore da attribuire alle prove libere, non gli è rimesso il procedimento da seguire nella valutazione[52].

Al giudice è imposto l’obbligo di riferire nella motivazione della sentenza le ragioni per cui accoglie o respinge le conclusioni peritali (can. 1579 § 2).

Per tale ragione è opportuno che il giudice superi le comprensibili difficoltà, dovute alla scientificità del linguaggio e della materia, ed appunto la recognitio può essere un valido strumento per richiedere chiarimenti.

Essa realizza quello spirito di collaborazione nella ricerca della verità che deve animare tutti i protagonisti del processo[53].

Ad una migliore conoscenza della verità si arriva, infatti, solo con un esercizio dialettico della razionalità, che comporta un cammino progressivo ed un vero dialogo fra tutti coloro che partecipano al processo.

Anche se prevista in forma non più obbligatoria, l’ulteriore convocazione del perito può risultare decisiva per un proficuo uso della perizia, oltre che facilitare il contraddittorio fra le parti[54], pubbliche e private, che in tal modo potrebbero ottenere ogni tipo di chiarimento, potendo arrivare anche alla ripetizione della perizia.

La recognitio peritiae è la sede più idonea per affrontare alcuni aspetti che riguardano i fondamenti fattici e metodologici della perizia.

Per quanto riguarda il fondamento, il giudice possiede una conoscenza completa dei fatti. La diagnosi ed i giudizi emessi dal perito devono avere come premessa fatti storici certi; se il parere dell’esperto, pur scientificamente ineccepibile, parte da presupposti non sufficientemente provati, verrà a crearsi una situazione particolare, onde sarà necessaria una verifica[55].

La recognitio è, allora, il momento in cui tali incomprensioni possono essere affrontate e risolte senza pregiudizi.

Per la valutazione del fondamento tecnico della perizia, la recognitio può apparire non solo utile, ma necessaria, se si vogliono evitare due estremi: l’accondiscendenza, quasi fideistica, dei giudici di fronte alla scienza dei periti, e lo scetticismo di fronte a risultati, cui il perito è pervenuto mediante percorsi non familiari per il giudice.

Nella valutazione del fondamento tecnico, il giudice deve partire da un’analisi estrinseca, utilizzando la logica comune, per giungere poi all’analisi intrinseca, la sola che consente la comprensione delle conclusioni peritali dal di dentro[56].

E’ sempre auspicabile che il giudice possieda un minimo bagaglio di nozioni psichiche e di medicina legale; questo gli consentirebbe di interloquire col perito circa numero ed affidabilità delle tecniche usate[57].

Se la perizia è necessaria per accertare tecnicamente un fatto, l’eventuale insoddisfazione per le tecniche usate non può essere sollevata in sede di decisione finale, perché quella necessità rimarrebbe immutata.

Ecco allora che la recognitio peritiae è la sede più adatta per richiedere al perito metodi di indagine più oggettivi o più esami, salvo che quest’ultimo abbia evidenziato l’impossibilità o l’inutilità di nuovi accertamenti per pervenire ad una maggior certezza.

L’analisi intrinseca riguarda direttamente la fondatezza della diagnosi, cercando di comprendere l’iter logico seguito dal perito nell’applicazione, nel caso concreto, della sua teoria scientifica.

L’analisi intrinseca, stante sempre il presupposto dell’incompetenza tecnica del giudice, non significa una pronuncia sulla validità della diagnosi (non dimentichiamo che perito credendum est), bensì una valutazione che miri a determinare se l’ipotesi diagnostica formulata risponda ad un’analisi psicodinamica dei fenomeni psichici riscontrati o se, piuttosto, sia il frutto di una semplice descrizione della condotta e delle lacune della personalità.

Il dialogo durante la recognitio consentirà la risoluzione dei dubbi circa il grado di certezza raggiunto dal perito o potrà comportare la ripetizione della perizia.

La recognitio peritiae è lo strumento più idoneo per evitare di compiere un’analisi indebita sui risultati della perizia, che si può prospettare in due modi: il primo consiste nell’utilizzare criteri giuridici per valutare l’affidabilità dei metodi tecnici. Può accadere che tests psicologici non siano tenuti nella debita considerazione, perché valutati coi parametri propri di altre prove; il secondo modo è il ricorso a quello che Arroba definisce “psicologismo da parte del giudice, tentato di addentrarsi in considerazioni che spesso conosce solo superficialmente”[58].

Tale atteggiamento può alterare il significato canonico della incapacità, provocando un accoglimento acritico della perizia.

Tutto quanto esposto circa la recognitio peritiae, ci porta ad avanzare una considerazione de iure condendo.

Sarebbe auspicabile un intervento del Legislatore che, nelle cause ove è necessario avvalersi dell’opera del perito, preveda l’obbligatorietà della recognitio peritiae.

Sulla falsariga di quanto previsto in altri ordinamenti, il giudice fisserebbe una udienza successiva alla data prevista per il deposito delle conclusioni, in cui il perito illustri le conclusioni cui è pervenuto, rispondendo ad eventuali richieste di chiarimenti  poste dalle parti.

Non mancano Autori che negano il diritto del perito di parte di essere ammesso dal giudice alla recognitio della perizia di ufficio, contestandone anche l’opportunità[59].

Non sarebbe un diritto, perché il contraddittorio sarebbe sufficientemente assicurato dalla possibilità del perito di parte di rispondere agli argomenti della perizia di ufficio.

Non sarebbe, inoltre, opportuno, stando a nota dottrina, perché si correrebbe il rischio di trasformare l’udienza giudiziale in una rissa, ove si sentirebbero solo le persone più prepotenti[60].

Purtroppo oggi la recognitio è spesso trascurata, oppure male intesa, cioè finalizzata solo a far riconoscere al perito il suo elaborato (a quale fine poi non si comprende, perché egli stesso l’ha trasmesso al tribunale), senza alcuna spiegazione, richiesta, approfondimenti aggiuntivi[61].

In tal modo, si riduce a mera formalità quando invece la norma la prevede come occasione per un approfondimento sul piano sostanziale.

In ultimo, benché il Codice sembri attribuire solo al giudice l’iniziativa di ascoltare il perito in vista di chiarimenti e spiegazioni, una corretta interpretazione della norma porta a ritenere che non abbia carattere esclusivo.

La chiamata del perito potrà quindi avvenire su richiesta anche di una delle parti, pubblica o privata.

4. La perizia di parte secondo la giurisprudenza della Rota Romana

A titolo esemplificativo delle problematiche inerenti alla valutazione probatoria delle perizie private ed in particolare delle perizie extragiudiziali presentiamo due fattispecie che hanno visto l’intervento del Tribunale della Rota Romana. Abbiamo scelto queste due fattispecie perché nel raggiungimento della certezza morale hanno avuto in entrambe un ruolo preponderante la perizia di parte.

Interessante è la sentenza coram Huber dell’11 maggio 2005 che costruisce l’appello della sentenza coram Pica del 12 dicembre 2000 del Tribunale Ecclesiastico Regionale Pugliese[62]. La sentenza di primo grado fu mandata, prima al giudizio ordinario con decreto del 25 giugno 2003 e poi confermata dal tribunale apostolico.

Le sentenze hanno avuto ad oggetto un matrimonio accusato di nullità per incapacità ad assumere gli oneri essenziali del matrimonio dell’uomo attore.

La decisione di primo grado si basava su una relazione medico legale che era stata depositata agli atti dall’attore. Si trattava quindi di una perizia extragiudiziale. Questa era valutata dai giudici di prime cure come perizia in senso tecnico, prova peritale a tutti gli effetti tanto che il Giudice Ponente scriveva nelle motivazioni della sentenza che la preparazione scientifica e la collaudata esperienza del medico in questione fossero ben note al Tribunale cosicché non era disposta perizia ex – officio[63]. Quindi, la presenza di una perizia di parte fu considerata come argomento per motivare non necessità della perizia d’ufficio.

In grado d’Appello, della questione veniva investito direttamente il Tribunale della Rota Romana, la quale rinviava al giudizio ordinario in base il can. 1680[64]. La motivazione principale del rinvio all’esame ordinario risiedeva proprio sul diverso modo di concepire la relazione medico legale depositata dall’attore agli atti del processo di primo grado.

In particolare, se potesse essere considerata questa quale perizia in senso tecnico, oppure quale semplice testimonianza di parte, sia pur scientificamente qualificata.

La seconda delle due opzioni è stata quella fatta propria dal Tribunale della Rota. Infatti, il Ponente dopo aver tratteggiato il can. 1680 la quale prescrive la prova peritale per le cause sul difetto di consenso, già nel decreto di rinvio si soffermava sul principio del “nisi ex adiunctis evidenter appareat” per affermare che essi si verifica soltanto quando la prova dell’incapacità la si raggiunge o attraverso «aliquod documentum vel testimonium ita qualificatum» oppure «quando ex facti et circumstantiis probatis sine dubio vel carentia apparet sufficientis usus rationis vel gravis defectus discretionis iudicii vel incapacitatis assumendi onera matrimonii essentialia»[65].

Ma nella successiva parte in fatto mons. Huber affrontava in via più diretta la questione. Infatti, in via preliminare, dirimeva proprio la questione relativa al se la relazione medico legale dell’esperto, sulla quale si era fondata la rinuncia alla perizia da parte del Tribunale Ecclesiastico Regionale Pugliese, potesse considerarsi o meno perizia in senso tecnico. La risposta a questo interrogativo, che appare fondamentale nell’economia del procedimento, è che non trattatasi di una perizia in senso tecnico, poiché la perizia in senso tecnico è quella che si forma nel processo e su mandato del Giudice con ciò operando un’interpretazione restrittiva del can. 1575[66]. La decisione del Tribunale di primo grado, affermava per l’ipotesi di incapacità il consenso matrimoniale, veniva poi confermata dalla sentenza definitiva del maggio del 2005, soltanto dopo che nel giudizio di secondo grado era stata preliminarmente acquisita agli atti di causa una perizia in senso tecnico ovvero una perizia d’ufficio[67].

Altrettanto interessante è la vicenda giudiziaria che si è celebrata presso il Tribunale della Rota Romana per diversi anni e conclusasi con la sentenza coram Caberletti del 26 febbraio 1999[68]. Infatti, il processo ha visto intervenire ben cinque sentenze di cui una di primo grado e ben quattro sentenze a livello di Rota Romana e due decreti per la nova causae propositio come ben ricostruito nella fattispecie della sentenza coram Caberletti.

Il caso è interessante perché la certezza morale si è andata via via acquisendo attraverso due perizie di parte elaborate e della perizia farmacologica che chiariva la circostanza principale. In tutto ciò si è andata elaborando la recognitio davanti al giudice ponente. Dall’analisi delle sentenze si evince che i giudici hanno dato credito alle perizie di parte confrontandole con le circostanze di causa non ritenendo necessario un’ulteriore perizia ex officio in campo farmacologico .

Nella valutazione dell’elaborato del perito nella sentenza coram Caberletti si seguono i principi enunciati nel capitolo precedente. In modo particolare si nota la premura che ha messo il ponente nel raffrontare le dichiarazioni dei testimoni con le affermazioni dei periti.

La sentenza si segnala, quindi, per l’ampia parte in fatto, mentre la parte in diritto tace totalmente della questione del rapporto tra perizia di parte e perizia d’ufficio o sul ruolo del perito di parte, soffermandosi maggiormente, sulle caratteristiche del capo di nullità del difetto di uso di ragione.

Tuttavia, nell’utilizzo delle prove il giudice mostra di non ritenere necessario acquisire una perizia d’ufficio nonostante che la sentenza appellata avesse messo in rilievo che la questione da approfondirsi era quella del rapporto tra assunzione di alcolici e medicinali.

Infatti, il ponente dispose la recognitio della perizia di parte concernente l’influsso dell’assunzione dei farmaci con l’assunzione di alcolici.

Sotto questo aspetto la sentenza coram Caberletti che conferma la sentenza coram Faltin si discosta dalla sentenza coram Huber il quale dispose perizia ex officio e qualificò solo questa peritia sensu tecnicho, pur essendo stata acquisita in primo grado una perizia di parte ritenuta esaustiva dai giudici di prime cure[69].

La figura del perito di parte quindi con fatica sta assumendo una propria autonomia concettuale sia in dottrina che in giurisprudenza ed anche sul piano della collaborazione con il giudice per la ricerca della verità.

5. Conclusioni

La figura del perito di parte è stata tratteggiata nell’ambito della dottrina disponibile e della giurisprudenza rotale più significativa. Il perito di parte nell’ambito del diritto canonico ha bisogno certamente di ulteriori riflessioni e sperimentazioni sul campo. Si ritiene che solo la prassi potrà risolvere qualche incertezza di carattere procedurale. Nell’ambito del diritto di difesa l’utilizzo del perito di parte non potrà che apportare un beneficio al dibattito dialettico tra le parti e fornire una visione dialettica tra le parti e fornire una visione quanto più veritiera al Giudice. Già Papa Pio XII nella sua allocuzione del 1944 indicava che nelle cause matrimoniali, tutti i protagonisti hanno un unico fine e cioè quello della verità. La diffidenza nei confronti del consulente di parte può essere superata sia con l’applicazione dei principi giuridici in vigore previsti per il perito nominato dal Giudice, sia con una previsione normativa a livello dei vari tribunali ecclesiastici per la prassi concreta.

Si ritiene di dover sottolineare la utilità della recognitio come mezzo probatorio per poter giungere alla migliore chiarificazione della vicenda. Il dialogo giudice – perito dovrebbe essere maggiormente sviluppato nel caso del perito di parte il quale dovrebbe avere la medesima dignità processuale e professionale del patrono. Infatti, allo stesso patrono è affidata la difesa giuridica, mentre al perito di parte è affidata la difesa tecnica – scientifica. Le possibilità di un maggior utilizzo di questa figura potrebbero favorire la partecipazione al processo della parte convenuta la quale potrebbe sentirsi più tutelata.

Il perito di parte dovrà comunque essere ligio alla sana antropologia per poter efficacemente dialogare con il giudice. Sarebbe quindi opportuno che gli elenchi dei periti fossero pubblici ovvero a disposizione in cancelleria dei patroni, di modo che le parti possano scegliere al meglio tra i professionisti non solo preparati scientificamente ma anche in grado di esperire al meglio la loro funzione nei tribunali della Chiesa al servizio della salus animarum.

* Cancelliere del Tribunale Ecclesiastico Regionale Pugliese.


[1] M. Lega, V. Bartocetti, Commentarius in iudicia ecclesiastica III, Romae 1950, p. 744.
[2] Cf. C. Lefebvre, De peritorum iudicumque habitudine in causis matrimonialibus ex capite amentiae, in Periodica de re morali canonica liturgica, 65 (1976), p. 113.
[3] Cf. A. Stankiewicz, La configurazione processuale del perito e delle perizie nelle cause matrimoniali per incapacità psichica, in Quaderni Studio Rotale, 5 (1991), pp. 57-66.
[4] Cf. S. Berlingò, Dalla perizia alla consulenza nel processo canonico, in Gherro S. (a cura di), Studi sul processo matrimoniale canonico, Cedam, Padova 1991, p. 11.
[5] Cf. P. Bianchi, Le perizie mediche e, in particolare, quelle riguardanti il can. 1095, in AA.VV. (a cura di), H. Franceschi, J. Llobell, M.A. Ortiz, La nullità del matrimonio: temi processuali e sostantivi in occasione della «Dignitas Connibii», Pontificia Università della Santa Croce, Roma 2005, p. 172.
[6] Cf. J.M. Serrano Ruiz, La perizia nelle cause canoniche di nullità matrimoniale, in AA.VV., Perizie e periti nel processo matrimoniale canonico, Giappichelli, Torino 1993, p. 85.
[7] Cf. C. Gullo, Periti e perizia, in AA.VV., Il giudizio di nullità matrimoniale dopo l’Istruzione “Dignitas connubii.Parte terza: La parte dinamica del processo, a cura di Bonnet P.A., Gullo C., Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2008, pp. 438-439.
[8] Cf. M.J. Arroba Conde, La prova peritale e le problematiche processualistiche, in AA.VV., L’incapacità di intendere e di volere nel diritto matrimoniale canonico (can. 1095 nn. 1-2), Libreria Editrice vaticana, Città del Vaticano 2000, pp. 405-407.
[9] L’attività del patrono nella fase della consulenza assume una grande importanza. Per tale ragione dovrebbe essere condotta con la stessa attenzione, dedizione e professionalità che utilizza il giudice nella istruttoria della causa.
[10] Cf. P. Bianchi, Le perizie mediche, cit., pp. 158-161.
[11] Cf. J. Slowinski’, Perizia psichica nel processo matrimoniale con particolare riferimento ai disturbi dell’orientamento sessuale, Libreria Editrive Vaticana, Città del Vaticano 2009, pp. 276-277.
[12] Cf. G. Gefaell, Elaborazione e valutazione della perizia psichiatrica, in AA.VV., Verità del consenso e capacità di donazione. Temi di diritto matrimoniale e processuale canonico, a cura di H. Franceschi, J. Llobell, M.A. Ortiz, Pontificia Università della Santa Croce, Roma 2009, p. 252.
[13] Cf. M.J. Arroba Conde, Diritto processuale canonico, Ediurcla, Roma 2006, p. 469.
[14] Cf. I. Zuanazzi, Il rapporto fra giudice e perito secondo la giurisprudenza della Rota Romana, in Il Diritto Ecclesiastico, I (1993), pp. 156-157.
[15] Cf. C. Gullo, Periti e perizia, cit., p. 433.
[16] Cf. P. Bianchi, Le perizie mediche, cit., p. 171.
[17] Cf. I. Zuanazzi, cit., p. 158; J.T. Martin, Giudice e perito a colloquio, in AA.VV. L’incapacità di assumere gli oneri essenziali del matrimonio, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1998, p. 187.
[18] Il can. 1581 recita: “§ 1. Partes possunt peritos provatos, a iudice probandos, designare. § 2. Hi si iudex admittat, possunt acta causae, quatenus opus sit, inspicere, peritiae executioni interesse; semper autem possunt suam relationem exhibere”. L’art. 213 riprende alla lettera il testo del canone.
[19] Cf. C. Gullo, Periti e perizia, cit., pp. 436-437.
[20] Lo si ricava dal testo del canone 1581.
[21] Cf. G. Zuanazzi, Psicologia e psichiatria nelle cause di nullità matrimoniali canoniche, Città del Vaticano 2006, p. 309.
[22] Cf. B. Gianesin, Perizia e capacità consesuale nel matrimonio canonico, Padova 1989, pp. 112-115.
[23] Cf. S. Martin, La perizia nelle cause matrimoniali secondo la dottrina recente, in AA.VV., Perizie e periti nel processo matrimoniale canonico, a cura di Gherro S., Zuanazzi G., Giappichelli, Torino 1993, p. 137.
[24] Sia il Codice che l’Istruzione Dignitas Connubii non accennano ai requisiti che deve possedere il perito di parte non si deve andare quindi per analogia.
[25] Nell’ambito delle cause per incapacità ci potrebbe trovare di fronte alla scelta tra psichiatra e psicologo. Cfr. C. Izzi, Valutazione del fondamento antropologico della perizia, LUP, Roma 2004, pp. 29-32.
[26] La necessità dell’approvazione viene giustificata da C. Gullo con il dovere che incomberebbe sul Tribunale di garantirsi non tanto sull’idoneità tecnica della persona scelta, quanto sull’integrità ed affidabilità di queste persone. Cfr. C. Gullo, Prassi processuale nelle cause di nullità matrimoniale, Città del Vaticano 2001, p. 204.
[27] Il can. 1483 statuisce: “Procurator set advocatus esse debent aetate maiores et bonae famae; advocatus debet praeterea esse catholicus, nisi Episcopus diocesanus aliter permittat, et doctor in iure canonico, vel alioquin vere perituds et ad eodem episcopo approbatus”.
[28] Ad esempio, in un decreto collegiale del T.E.R. Abruzzese coram Vizzari, Aquilana, Nullitatis matrimonii, decr. 26 giugno 2001, prot. 57/01, dopo aver ordinato alla parte di restituire il Sommario degli atti e la successiva documentazione illegittimamente ricevuta dal Patrono, si stabilisce che: “La perizia di parte, solamente sulla persona (a meno che la convenuta non voglia avvalersi del can. 1581), non sarà acquisita agli atti, se la convenuta non si sottoporrà a visita del Perito d’ufficio, nominato dal Tribunale”. Fattispecie citata da C. Gullo, Periti e perizie, cit.,  p. 432.
[29] Non concedere al perito di parte la stessa possibilità di esaminare gli atti potrebbe inficiare il diritto di difesa.
[30] Cf. C. Gullo, Prassi processuale, cit., p. 211.
[31] Talvolta ci si imbatte nell’esaminare gli atti di causa da parte del giudice ponente in decreti ordinatori del seguente tenore: “Le seguenti foto, lettere, articoli di giornale ecc. ecc. vengono depositate in cancelleria a disposizione degli interessati. Questa prassi viene utilizzata talvolta per non aumentare di volume gli atti con documentazione minore. Ebbene, si ritiene che al perito debba essere data la possibilità di accedere a tale documentazione.
[32] E’ questa la tesi di P. Bianchi, Le prove : a) dichiarazioni delle parti; b) presunzioni; c) perizie, in AA. VV., I giudizi della Chiesa. Il processo contenzioso ed il processo matrimoniale, Giuffrè, Milano 1998, pp. 163-164.
[33] P. Bianchi, Le perizie mediche, cit., pp. 162-163.
[34] Cf. P. Bianchi, Le perizie mediche, cit., p. 171.
[35] Cf. C. Gullo, Prassi processuale, cit., p. 212.
[36] C. Gullo, ibid., pp. 213-214.
[37] PCf. . Bianchi, Le perizie mediche, cit., p. 173.
[38] Cf. M.J. Arroba Conde, Diritto processuale, cit.,  p. 475.
[39] Cf. B. Gianesin, Perizia e capacità, cit., pp. 109-112.
[40] Cf. C. Iizzi, Valutazione della perizia, cit., p. 35.
[41] Cf. B. Gianesin, cit., pp. 107-109.
[42] Sul punto, cf. S. Martin, La perizia…, pp. 130-131.
[43] Cf. Ioannes Paolus Pp. II, Allocutio Sono molto lieto, ad Prelatos Auditores S. Romanae Rotae coram admissos, 26 ianuarii 1984, in AAS 76 (1984), p. 648.
[44] Cf. G. Fattori, Scienze della psiche e matrimonio canonico. Le norme delle allocuzioni pontificie (1939 – 2009) alla Rota Romana Siena, 2009, pp. 99- 135.
[45] Cf. P. Colpi, Precedenti dottrinali e giurisprudenziali del can. 1095, 2-3, in Monitor Ecclesiasticus, 109 (1984), pp. 517-539.
[46] Cf. P. Bianchi, Le perizie mediche, cit., p. 148
[47] Cf. M.A. Arroba Conde, Profili  problematici, cit., p. 261.
[48] Cf. P. Bianchi, Le perizie mediche, cit., pp. 475-476.
[49] Cf. M.J. Arroba Conde, Profili problematici della prova peritale nelle cause canoniche di incapacità matrimoniale, in R. Coppola, Giornate canonistiche baresi, Atti II, Bari 2001, pp. 41-43.
[50] Cf. Z. Grocholewski, Il giudice ecclesiastico di fronte alle perizie neuropsichiatriche e psicologiche, in Apollinaris, 60 (1987), pp. 183-203.
[51] Cf. B. Gianesin, Perizia e capacità, cit., p. 218-219.
[52] Cf. C. Izzi, Valutazione del fondamento antropologico, cit., pp. 40-47.
[53] Cf. B. De Lanversin, L’importance du can. 1578 § 3 dans le procès matrimoniaux (“judex peritus peritorum”), in Quaderni Studio Rotale, 4 (1989), pp. 49-58; P. Bianchi, L’incapacità di assumere gli obblighi essenziali del matrimonio, in Ius Ecclesiae, 14 (2002), p. 666.
[54] Cf. P.A. Bonnet, Giudizio ecclesialee pluralismo dell’uomo. Studi sul processo canonico, Giappichelli, Torino 1998, p. 353 .
[55] Cf. J. Martin De Agar, Giudice e perito, cit., p. 195.
[56] Cf. B. Gianesin, Perizia e capacità, cit., pp. 82-95.
[57] Cf. G. Fattori, Scienze della psiche, cit., pp. 254-261.
[58] Cf. M.J. Arroba Conde, Profili problematici cit., p. 45.
[59] Cf. C. Gullo, Prassi processuale, cit., p. 213; J. Corso, Le prove, in AA.VV., Il processo matrimoniale canonico, a cura di Bonnet P.A., Gullo C., Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano, p. 621; P. V. Pinto, I processi nel codice di diritto Canonico. Commento sistematico al libro VII, Libreria editrice vaticana, Città del Vaticano 1993, p. 343.
[60] Cf. C. Gullo riconosce, però, che la legge consente il confronto fra testimoni (can. 1560 § 2; art. 165 § 2 Dignitas Connubii) e che quindi nulla si oppone a che questo confronto avvenga anche fra periti. Cfr. C. Gullo, ibid., p. 213.
[61] Cf. B. Gianesin, Perizia e capacità consensuale, cit., p. 121.
[62] Apostolicum Rotae Romanae Tribunal, coram Huber, decisio diei 11 maii 2005, in Diritto e Religioni 2 (2007), pp. 603-610; Tribunale Ecclesiastico Regionale Pugliese, coram Pica, sentenza del 12 dicembre 2000, prot. n. 176/00, in Diritto e Religioni…, pp. 591-598. Nella parte in diritto di quest’ultima sentenza il ponente si limita a riferire che per quanto riguarda le prove “vanno attentamente esaminati i seguenti elementi: le dichiarazioni delle Parti e dei testi con particolare riferimento a ciò che da essi viene detto circa la personalità e il comportamento dei coniugi, le circostanze familiari, gli episodi rivelatori della maturità o della immaturità degli stessi, il giudizio del perito, particolarmente versato in psicologia della personalità e della psichiatrica, avendo presente anche quanto suggerisce la sana antropologia cristiana” (p. 594).
[63] “Da tutto l’insieme degli elementi acquisiti in atti si evince l’anomalia dell’Attore per quanto concerne direttamente la sua incapacità ad assumere gli obblighi coniugali essenziali. La fattispecie, infatti, descritta in giudizio già lumeggiata nel libello introduttivo, trova riscontro non solo nella deposizione della Convenuta e dei testi, ma anche nelle conclusioni del Prof. Dott. Luigi Stefanachi, psichiatra, la cui preparazione scientifica e collaudata esperienza è ben nota a questo Tribunale, sì da non richiedere altra perizia d’ufficio” (Tribunale Ecclesiastico Regionale Pugliese, coram Pica, sentenza del 12 dicembre 2000, in Diritto e Religioni…, p. 595).
[64] Cfr. Apostolicum Rotae Romanae Tribunal, coram Huber, decr. diei 25 iunii 2003, in Diritto e Religioni…, p. 600; dove il ponente dice che il parere “non est peritia sensu technico. Peritia enim non requiritur ante processum, sed in processu, quidam de mandato iudicis”.
[65] coram Huber, cit., p. 601.
[66] Fatto salvo il diritto della parte di acquisire pareri di specialisti sia tramite documenti che tramite testimonianza, il cui peso probatorio dovrà essere valutato insieme a tutte le altre prove (cfr. coram Huber, decr. diei 25 iunii 2003, in Diritto e Religioni, cit., p. 602.
[67] La motivazione della sentenza coram Huber dell’11 Maggio 2005 si articola secondo l’abituale stilus Curiae: prima cioè si riportano le descrizioni da parte dei testimoni dell’attore al momento delle nozze, poi il giudice ponente esamina i documenti clinici ed i documenti risalenti alla causa per separazione legale, per concludere con l’esame della relazione peritale disposta dal ponente (cfr. coram Huber, decisio diei 11 maii 2005, in Diritto e Religioni, cit., pp. 608-609.
[68] Apostolicum Rotae Romanae Tribunal, coram Caberletti, decisio diei 26 februarii 1999, in RRDec., vol. LXCI (1999), pp. 117-131.
[69] Anche dall’esame della sentenza coram Faltin si evince che il ponente non ritenne esaustiva la perizia di parte, e sufficiente per accogliere la nova causae propositio, ma poi dispose un suppletivo di istruttoria con la acquisizione di una perizia d’ufficio.

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