Il prelievo coattivo del materiale biologico e il principio del contraddittorio
La legge del 30 giugno 2009 n. 85, introducendo l’art. 224-bis c.p.p., ha attribuito all’organo giurisdizionale il potere di disporre il prelievo coattivo necessario per sottoporre al perito il materiale biologico da cui estrarre il profilo genetico.
Il legislatore ha predisposto lo strumento della perizia per consentire al giudice di acquisire, nel contraddittorio tra le parti, la diretta conoscenza di un fatto biologico, rilevabile unicamente attraverso sofisticate indagini, che presuppongono cognizioni ed esperienze scientifiche, da eseguire all’interno dei laboratori specializzati.
Il perito, in sede dibattimentale, depone oralmente la propria relazione per spiegare quali indagini sono state svolte e quali dati sono stati acquisiti. Il giudice, dopo aver sentito il perito, ascolta, in ossequio al principio del contraddittorio nella formazione della prova, l’audizione dei consulenti tecnici delle parti e dell’organo di accusa e quella dei difensori presenti affinché possano contribuire a determinare l’oggetto della perizia e a circoscrivere l’ambito di ricerca dell’esperto a particolari profili problematici della vicenda.
Questa garanzia consente alla difesa di poter contraddire efficacemente, sindacando le modalità d’utilizzo della prova scientifica e la valutazione dei risultati. Dall’altro lato, consente agli organi dell’accusa di dimostrare la fondatezza dell’ipotesi formulata sulla base del test genetico, poiché, in base al principio di presunzione di innocenza dell’imputato, deve essere ragionevolmente accettabile.
Una volta esperita l’audizione, il giudice formula i propri quesiti e il perito fornisce le proprie risposte sulla base di una serie di competenze non in possesso dell’organo giudicante. Egli potrà esercitare un controllo solo sommario, non essendo dotato delle conoscenze necessarie per valutare l’attendibilità degli elementi di fatto sulla cui base l’esperto formula e presenta in giudizio le proprie conclusioni. Tutt’altro che rara poi risulta essere la situazione in cui le risposte fornite dal perito e dagli esperti interpellati esprimano contenuti diversi e radicalmente contrastanti fra loro.
In questo quadro, l’assunzione della prova genetica rispetta il principio del contraddittorio e le garanzie del giusto processo ai sensi dell’art. 111 Cost., ma ciò non è minimamente sufficiente ad assicurare l’effettiva credibilità del test genetico, poiché il margine di verità risulta essere condizionato da quanto è avvenuto in sede di prelievo e in sede di estrazione del profilo genetico senza le adeguate garanzie difensive. In quest’ottica, il giudizio si riduce ad una critica su un prodotto finito; sarebbe opportuno, invece, assicurare le garanzie previste per il dibattimento in ogni fase di produzione che accompagna la catena dell’ordinanza del giudice fino al dato probatorio. Inoltre, le conoscenze scientifiche non costituiscono un sapere unitario poiché le procedure che portano il perito a determinate conclusioni possono essere esposte alle critiche degli altri consulenti tecnici che possono approdare ad una conclusione diversa e contrastante. Oltre a ciò, rileva il fatto che il perito tende a sopravvalutare la validità del metodo scientifico nel quale è esperto. Ne consegue che l’organo giudicante non dovrà limitarsi a valutare la prova o il metodo scientifico solo sulla base dell’esame e del controesame dei soggetti partecipanti ma, attraverso un procedimento logico, dovrà considerarla in relazione alle altre prove assunte.
Entro un altro ambito visuale, assume particolare interesse l’orientamento manifestato dalla giurisprudenza della Suprema Corte che ravvisa una violazione del principio del contraddittorio nella formazione della prova genetica, ottenuta con altre metodologie1. Nella vicenda in questione, gli organi di polizia giudiziaria avevano sequestrato due mozziconi di sigaretta lasciati dall’indagato nel posacenere del loro ufficio. Il profilo genetico ricavato dai reperti sequestrati era stato confrontato con quello estrapolato dai frammenti organici rinvenuti sul locus commissi delicti, accertando una corrispondenza pari al 99,85%. Purtroppo però l’estrazione del profilo del DNA dai mozziconi era stata effettuata omettendo gli avvisi richiesti per gli accertamenti irripetibili ex art. 360 c.p.p.
Inoltre, l’accertamento del profilo genetico aveva avuto come effetto la distruzione del materiale analizzato, rendendo impossibile una ripetizione dell’atto per indisponibilità dello stesso. Il pubblico ministero aveva confidato nella possibilità astratta di ripetere l’atto, invitando l’imputato a sottoporsi al prelievo ematico. Al suo rifiuto, il giudice acconsentiva all’acquisizione della prova genetica mediante lettura, ai sensi dell’art. 512 c.p.p., constatando l’impossibilità di ripetere l’atto, compiuto nella fase delle indagini preliminari, a causa di “fatti o circostanze imprevedibili” al momento dell’assunzione della prova. La conseguenza è stata una sentenza di condanna confermata nel giudizio di appello.
Avverso la predetta sentenza, il difensore del minorenne Jolibert presentava ricorso presso la Suprema Corte, la quale annullava la condanna perché fondata su un accertamento inutilizzabile.
La Corte di Cassazione ravvisava un’errata diagnosi dell’organo giudicante sul requisito di “imprevedibilità”, essendo obiettivamente prevedibile che, a seguito del dictum della Consulta, – la quale, in considerazione del fatto che il prelievo coattivo comportava necessariamente una qualche restrizione della libertà personale, aveva dichiarato illegittimo il prelievo coattivo – l’imputato rifiuti di sottoporsi al prelievo ematico2.
Le motivazioni possono essere varie, non sempre correlate ad interessi processuali, come il desiderio di evitare che vengano resi noti malattie o legami familiari ovvero di non contravvenire ad un precetto religioso sottoponendosi ad un prelievo di sangue.
Inoltre, il richiamo all’impossibilità di natura oggettiva non può che riferirsi a fatti indipendenti dalla volontà dell’interessato, nel caso di specie, non si ravvisava alcuna impossibilità poiché il rifiuto espresso dall’imputato risultava essere mera estrinsecazione della sua autodeterminazione.
L’assenza di questi parametri obiettivi, in base ai quali l’atto può essere considerato irripetibile e il giudice può ricorrere allo strumento disciplinato dall’art. 512 c.p.p., comporta una violazione del principio del contraddittorio nella formazione della prova. Nel caso in esame, estraneo alle fattispecie derogatorie tassativamente ammesse dalla legge, il giudice, assumendo la prova mediante lettura, non aveva consentito all’imputato di difendersi in relazione ai risultati del test genetico, e all’accusa di spiegare le ragioni che rendevano quella prova penale rilevante ai fini della decisione. In questo modo, il giudice non aveva assicurato un’adeguata tutela a tutti i diritti fondamentali in vario modo coinvolti nella dinamica processuale. Pertanto, trattandosi di accertamento tecnico acquisito in violazione del comma 4 dell’art. 111 Cost., non poteva essere utilizzato ai fini della decisione.
Secondo una parte della dottrina, il problema permane anche dopo l’introduzione dell’art. 224-bis c.p.p. poiché, al momento di effettuare il prelievo coattivo conseguente ad un rifiuto dell’imputato, quest’ultimo potrebbe rendersi irreperibile, impedendo la ripetizione dell’accertamento e, dunque, l’acquisizione della prova.
1 Cass. Pen., Sez. I, 14 febbraio 2002, Jolibert
2Corte Cost., 27 giugno 1996, n. 238.
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Giuliana Favara
Abilitata all'esercizio della professione forense, ha conseguito la laurea magistrale a ciclo unico in Giurisprudenza e il diploma di Specializzazione nelle Professioni Legali presso l'Università Mediterranea di Reggio Calabria. Ha svolto lo stage di formazione teorico-pratica presso gli uffici giudiziari, nella sezione GIP/GUP e nella Prima Sezione Civile del Tribunale di Reggio Calabria, ai sensi dell'art. 73 del d.l. 69/2013, e ha collaborato con uno studio legale operante nel settore penale.