Il preludio ad un neoformalismo di protezione: la locazione ad uso abitativo
Il contratto di locazione ad uso abitativo è attualmente disciplinato dalla Legge 431/1998, così come novellata dalla Legge di stabilità 2016. Originariamente tale fattispecie contrattuale trovava ubicazione esclusivamente a livello codicistico mediante la disciplina che tuttora risulta presente nel medesimo.
Il primo intervento normativo si ebbe mediante la Legge 392/1978, dando così avvio ad una legislazione di tipo settoriale e speciale sul punto. L’intervento del legislatore in tale ambito è stato ampiamente qualificato dai commentatori più autorevoli, quanto dalla stessa giurisprudenza di legittimità, come “dirigistico”. La ratio di tale testo legislativo sembrerebbe potersi ascrivere, infatti, alla volontà di garantire previamente il diritto all’abitazione ormai annoverato tra i diritti fondamentali, anche dalla stessa giurisprudenza europea.
La legge 392/1978, seppure foriera di un primo approdo normativo in materia, comportò notevoli criticità. Fu, infatti, notevolmente favorito il mercato sommerso delle locazioni; ciò in quanto nel testo normativo si stabiliva come il contratto dovesse essere caratterizzato da un “equo canone” individuato dalla legge medesima.
Ciò scoraggiò notevolmente l’ingresso, nel mercato delle locazioni, di immobili per i quali l’equo canone previsto per legge fosse, dai locatori medesimi, ritenuto ampiamente irrisorio. Per tali ragioni il legislatore decise di intervenire nuovamente sul punto, seppure con un approccio piuttosto cauto, mediante il d.l. 33/1992, con cui si decise di abbandonare transitoriamente la disciplina del canone prestabilito dalla legge.
Si dovrà attendere il 1998 per approdare ad una più dettagliata conformazione della fattispecie contrattuale di cui si sta trattando. Mediante la medesima furono introdotte notevoli modificazioni della disciplina previgente.
In particolare si sancì la definitiva eliminazione dell’equo canone ma soprattutto fu, per la prima volta, individuato uno specifico obbligo formale. L’art. 1 co. 4, infatti, stabilisce come “a decorrere dall’entrata in vigore della presente legge, per la stipula di validi contratti di locazione è richiesta la forma scritta”.
Tale previsione ingenerò, in seno alla dottrina quanto alla giurisprudenza di legittimità un contrasto di ampio rilievo che ha trovato soluzione mediante l’intervento del Supremo Consesso con la sentenza 18214/2015. In particolare la problematica concerneva il rapporto sussistente tra la norma che individuava uno specifico obbligo formale (quanto al contratto) e l’art. 13 co.5 (articolo poi sostituito dalla legge di stabilità 2016) del medesimo testo legislativo.
Quest’ultimo individuava la possibilità per il conduttore di far valere la nullità del rapporto contrattuale stipulato in forma verbale e dunque non pienamente rispettoso del dettame normativo, qualora fosse stata una coazione morale ad ingenerare la realizzazione del rapporto contrattuale di fatto.
Tale disposizione, intendeva, pertanto, tutelare la posizione debole del rapporto contrattuale, ossia il conduttore. Ciò induceva, parte della dottrina a ritenere che anche la previsione di cui all’art.1 co.4 fosse dettata al fine di perseguire il medesimo obiettivo.
Le Sezioni Unite, nel dictum precedentemente enunciato, decisero di aderire ad un orientamento per così dire mediano. L’iter logico-argomentativo seguito dalla Suprema Corte prese le mosse dalla acclarata esistenza nel nostro ordinamento del c.d. principio della libertà delle forme, secondo il quale la volontà contrattuale può trovare esplicazione mediante qualsiasi esternazione sia che si tratti di una dichiarazione sia di un comportamento concludente, ciò in base all’assunto dell’art. 1325 co.1 n.4 c.c.. Ritenendo, pertanto, di dover definire la forma scritta del contratto di locazione ad substantiam, ossia per la validità del negozio contrattuale.
In realtà ben può affermarsi come la premessa utilizzata dai giudici della Suprema Corte non sia passata inosservata tra i commentatori più attenti. Nella specie autorevole dottrina sostiene come, nel nostro ordinamento non possa rinvenirsi un principio generale della libertà delle forme, in quanto l’art. 1325 c.c. è disposizione normativa che necessita di completamento mediante altra norma.
Essa avrebbe un contenuto eminentemente descrittivo quanto al fenomeno contrattuale. Potrebbero rinvenirsi, secondo tale dottrina, due strutture differenti a livello contrattuale: le strutture deboli e quelle forti. Relativamente alle prime vi è da notare come per esse non si ponga alcun problema giuridico di forma, in quanto la struttura del fenomeno descritto a livello normativo risulta completa mediante la presenza di tre elementi: l’accordo, la causa e l’oggetto. Per quanto concerne, viceversa, le strutture forti deve rilevarsi come le stesse siano caratterizzate dalla presenza di un ulteriore elemento: la forma ed è solo in questo caso che si pone uno specifico problema in senso giuridico quanto alla forma.
Ciò significa, dunque, che la disposizione enunciata dall’art. 1352 c.c. non possa essere qualificata come eccezionale in quanto, semplicemente si è di fronte ad una struttura forte che necessita per essere completa di una data forma, che, a detta dell’autorevole giurista risulta prescritta a pena di invalidità del contratto e non ad probationem.
Proseguendo oltre nella trattazione, non può non evidenziarsi come i giudici di legittimità si siano successivamente occupati altresì del rapporto tra l’art. 1 co.4 l. 431/1998 e l’art. 13 co.5 della medesima legge. Al riguardo le Sezioni Unite hanno ritenuto di dover valorizzare la ratio legis che il legislatore ha inteso conferire alla disciplina delle locazioni ad uso abitativo, enucleandone, nella specie, la finalità di contrasto all’evasione fiscale; sancendo conseguentemente come l’art. 1 co.4 statuisse una nullità non di tipo protettivo, il cui obiettivo era unicamente quello di far fronte ad un interesse generale.
Ciò in netta antitesi con quanto accadeva per l’art. 13 co.5, ove il legislatore aveva certamente privilegiato la situazione del contraente debole (il conduttore) per il quale si fosse realizzata una forma di coazione morale volta all’instaurazione di un mero rapporto di fatto (contratto verbale).
La Cassazione, pertanto, declinava l’opinione dottrinale volta a valorizzare una nuova forma di nullità di protezione nella disciplina delle locazioni ad uso abitativo, con tutto ciò che ne conseguiva in termini probatori. Gravava, infatti, sul conduttore l’onere probatorio relativo alla coazione morale posta in essere dal locatore quanto all’individuazione di uno schema contrattuale avente unicamente forma verbale.
A seguito della Legge si Stabilità del 2016 l’art. 13 ha sortito un’importante modificazione, che ha portato ad eliminare la possibilità del potere di riconduzione del vincolo contrattuale di fatto a vero e proprio vinculum iuris.
Il potere di riconduzione è ora previsto solo per i casi di maggiorazione del canone mediante una controdichiarazione, in questo caso il conduttore, mediante apposita azione giudiziale potrà chiedere che il contratto venga ricondotto al canone previsto dal contratto di locazione precedentemente registrato. Si realizza, così, un’ipotesi di simulazione mediante la previsione di maggiorazione del canone locatizio, con la conseguente applicabilità quanto al regime probatorio dell’art. 1417 c.c., il quale non pone alcuna limitazione quanto all’utilizzo di determinati strumenti probatori, che, tuttavia, sembrerebbe dover necessariamente subire l’apporto correttivo di cui all’art. 2723 c.c. Tale disposizione, infatti, consente l’utilizzo della prova testimoniale solo qualora, «avuto riguardo alla qualità delle parti, alla natura del contratto e a ogni altra circostanza, appare verosimile che siano state fatte aggiunte o modificazioni verbali».
Tale trattazione, seppure breve, parrebbe condurre ad una riflessione sul nuovo valore normativo assunto dalla forma in ambito contrattuale, dovendone necessariamente evidenziare la tendenza verso un neoformalismo teso ad una protezione del contraente debole, sì da riequilibrare il rapporto negoziale evitando, così, lo sconfinamento nel terreno dei contratti asimmetrici.
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Marzia Savini
Laureata in Giurisprudenza presso l'Università degli Studi di Teramo con la votazione di 110/110. Successivamente specializzata presso Scuola di specializzazione per le professioni legali dell'Università degli Studi di Teramo.