Il principio di buona fede tra diritto e quotidianità
Con il presente articolo, si vuole richiamare l’attenzione su di una nozione che, in linea di massima, appare abbastanza nota ed acquisita dalla collettività; tuttavia, il principio di buona fede correttamente applicato ha tutta una serie di effetti giuridici e pratici che sicuramente il cittadino ignora. Tutti credono di sapere cos’è la buona fede; quante volte si utilizza tale espressione nel linguaggio comune? In quante occasioni capita di invocare il rispetto di tale principio? Ma chi realmente sa da dove nasce tale nozione e qual è la sua vera portata? Bene, con questo contributo, verrà illustrato al lettore tutto ciò che c’è da conoscere su uno dei più importanti principi che governano il mondo dei rapporti giuridicamente rilevanti.
Buona fede: l’origine del principio. La quasi totalità del diritto che noi oggi conosciamo e mettiamo in pratica nelle aule dei Tribunali, così come nelle relazioni di ogni giorno, è un’eredità preziosissima lasciataci dai Romani. Il diritto nasce grazie all’attività di elaborazione dei giuristi romani, i quali hanno ricavato, dagli usi comuni e dalle tradizioni degli avi, regole e principi applicabili praticamente ad ogni settore della vita umana. Anche per il principio di cui si sta parlando, la buona fede, è stato esattamente così. I giuristi romani, difatti, furono i creatori di tale nozione; osservando il comportamento sociale dei cittadini nei loro rapporti personali ed economici, hanno cercato di coglierne la dimensione etica, cioè la dimensione moralmente corretta. Tale dimensione è stata definita buona fede ed è stata trasformata in un principio di carattere generale. Un esempio pratico è ciò che può aiutare il lettore a comprendere il tutto: Tizio e Caio sono due cittadini romani che avviano tra loro una trattativa finalizzata alla compravendita di stoffe pregiate. Tizio è il venditore, Caio è il compratore. Tizio ha quale suo principale obiettivo quello di vendere bene le sue stoffe e non esita a vantarne i pregi: provenienza orientale, tessuti lavorati a mano, decori in oro. Caio, rinomato sarto, intende acquistare un prodotto di alta qualità e sarebbe ben disposto a pagare le stoffe a qualsiasi prezzo, purché le stesse presentino realmente tutti i pregi vantati da Tizio. Il comportamento di Caio è onesto e trasparente; legittimamente si attende dal suo interlocutore una condotta altrettanto basata sulla serietà e sull’onestà. Caio si attende che le stoffe siano veramente orientali, lavorate a mano e decorate in oro. Questa legittima aspettativa che Caio nutre verso Tizio, fa sì che Tizio sia tenuto ad osservare quel comportamento sociale eticamente orientato di cui si parlava sopra. Se Tizio sarà in grado di dimostrare che le sue stoffe realmente presentano i pregi da lui vantati, Caio rimarrà soddisfatto e concluderà il contratto di compravendita. Tale contratto sarà perciò perfettamente basato sul principio di buona fede. Come si diceva, osservando la prassi dei cittadini nei loro rapporti, analizzando le esigenze reciprocamente manifestate e le aspettative reciprocamente nutrite, i giuristi romani hanno potuto trarre le loro conclusioni: compresero che esisteva una regola non scritta alla base di ogni trattativa privata; l’interlocutore doveva agire correttamente, onestamente, seriamente, tanto da non deludere l’aspettativa nutrita dall’altra parte, ovvero il legittimo affidamento nell’operato del soggetto con cui ci si relaziona. Ecco che nasce il principio di buona fede e fa il suo ingresso nel mondo del diritto.
La buona fede nel diritto moderno. Nel diritto moderno la buona fede ha mantenuto intatta la sua originaria sostanza; anche oggi viene definita dal diritto come il legittimo affidamento nell’altrui operato, l’aspettativa che la condotta tenuta dal soggetto con cui ci si relaziona sia eticamente corretta. Se si conclude un accordo con un soggetto debitore di una somma di denaro, nutriamo la legittima aspettativa che il nostro debitore sia onesto e sia realmente intenzionato a rispettare l’accordo. In noi esiste buona fede, perché consentiamo ad una persona che ci deve danaro di farlo mediante rate dilazionate nel tempo e senza interessi; pertanto, pretendiamo che l’altra parte agisca secondo buona fede, ovvero rispetti le scadenze ed onori il debito con spirito grato nei nostri confronti.
In sè, quello di buona fede, è un principio abbastanza semplice: si potrebbe dire che nasce con i rapporti tra i consociati e la sua essenza è perfettamente comprensibile da tutti. Non sbaglia quindi, il quivis de populo se ritiene di sapere cos’è questo concetto. Ma di sicuro non ne conosce tutte le sue sfaccettature e soprattutto le conseguenze concrete che possono derivare dalla sua inosservanza.
Il diritto moderno, a differenza del diritto romano, ha elaborato la buona fede in modo un po’ più sofisticato. Nel nostro ordinamento ne esistono difatti due tipologie: la buona fede soggettiva e la buona fede oggettiva.
La buona fede soggettiva è l’ignoranza, intesa come non consapevolezza, di ledere un altrui diritto. In pratica, è possibile che un soggetto tenga determinate condotte credendo di essere nel giusto e di non provocare danno a nessuno. Esemplificando: da moltissimo tempo Tizio è solito coltivare un pezzo di terra vicino casa sua; sa di non essere il proprietario di quel terreno, ma allo stesso tempo sa che mai nessuno ha reclamato diritti su quel bene.
Tizio è quindi convinto di non stare commettendo alcunché di illecito o di dannoso per il prossimo. Ciò che con molta probabilità non sa, è che la legge dà concreto valore a questo suo comportamento, facendone derivare tutta una serie di ulteriori principi importantissimi nel diritto, che a breve verranno esaminati.
La buona fede oggettiva è invece quella nozione di cui si è parlato fin dall’inizio di questo articolo; altro non è che il principio elaborato dai giuristi romani. Il diritto moderno colloca tale principio nell’ambito della disciplina dei contratti, facendone discendere tutta una serie di importantissime conseguenze. Anche in questo caso, il quivis de populo conosce bene il principio ma sicuramente non ne ha ben presente la portata giuridica.
Ecco perché appare importante, a questo punto, soffermarsi sulla dimensione giuridica e concreta del principio di buona fede.
Buona fede soggettiva: quali effetti concreti? Si diceva che la buona fede soggettiva è l’ignoranza di ledere un altrui diritto. La legge ricollega a tale nozione alcuni principi essenziali: la presunzione della buona fede soggettiva; l’impossibilità che tale presunzione venga meno in caso di successiva mala fede; l’assenza di buona fede in caso di colpa grave del soggetto. Trattasi di concetti molto giuridici e tecnici, che richiedono esempi pratici per far ben comprendere al lettore la loro rilevanza nella sua quotidianità.
a) Presunzione della buona fede soggettiva: anzitutto cos’è la presunzione? La presunzione è il frutto di un ragionamento formulato dal legislatore o dal giudice, i quali, partendo da una circostanza conosciuta, arrivano a dimostrare l’esistenza di un’altra circostanza non conosciuta. Tornando all’esempio fatto nel precedente paragrafo: Tizio coltiva da tempo immemore un terreno che sa non essere suo; la circostanza conosciuta è il possesso di Tizio sul terreno e da questa circostanza nota, la legge ed il giudice ricavano un’altra circostanza non nota, ovvero che il possesso di Tizio sul terreno è indiscutibilmente esercitato secondo buona fede soggettiva. Da ciò derivano conseguenze pratiche importantissime:
– Tizio non dovrà mai dimostrare in alcun modo la sua buona fede; si dà infatti per certo che egli abbia sempre agito ignorando di poter danneggiare qualcuno. Ciò significa che se il legittimo proprietario del terreno dovesse chiamarlo in causa per chiedergli i danni per l’abusiva occupazione della sua proprietà, Tizio non sarà tenuto ad addurre prove a sua discolpa; sarà il proprietario a dover portare in giudizio prove tali da far emergere l’altrui volontà di nuocere o di agire abusivamente
– dal possesso in buona fede può derivare in capo a Tizio l’acquisto della piena proprietà del terreno; difatti ai fini dell’usucapione (che è uno dei modi di acquisto del diritto di proprietà) si richiede il possesso in buona fede del bene. Pertanto, se nessun legittimo proprietario rivendica il suo diritto sul terreno, Tizio ne potrà tranquillamente acquistare il diritto di proprietà per usucapione (ovviamente in presenza anche di altri requisiti, primo fra tutti il possesso ventennale), in quanto la sua buona fede viene data per assodata.
b) impossibilità che la presunzione di buona fede soggettiva venga meno in caso di successiva mala fede: la mala fede è ovviamente l’esatto contrario della buona fede soggettiva. Se Tizio è perfettamente consapevole che, possedendo il terreno vicino casa, sta arrecando un danno ad un altrui diritto, allora è in mala fede. Chiarito ciò, che è abbastanza ovvio, il diritto prevede che se la mala fede sopraggiunge in un momento successivo, la presunzione della buona fede soggettiva (di cui si è parlato sopra) non viene meno. Quindi: Tizio inizialmente e per un pò di tempo coltiva il terreno vicino casa ignorando di poter ledere il diritto di qualcuno. Poi, in un momento successivo, inizia ad avere qualche dubbio e si pone il problema che forse, con la sua condotta, potrebbe danneggiare il prossimo, ma continua comunque come se nulla fosse. Ecco che subentra la mala fede; ma ciò nonostante, per Tizio non vi è nessuna conseguenza negativa. Tornando agli esempi di prima: potrà egualmente esimersi dal fornire prove in un eventuale giudizio per danni avviato dal proprietario e potrà acquistare la proprietà per usucapione. Notevole, vero?
c) l’assenza di buona fede in caso di colpa grave del soggetto: anzitutto cos’è la colpa grave? In generale, si parla di colpa grave quando un soggetto agisce ignorando in modo grossolano e madornale le più comuni regole di prudenza, diligenza e perizia. Se si guida un autoveicolo a velocità elevatissima in pieno centro abitato, sotto l’effetto di alcool, con la patente sospesa e si provoca un serio incidente stradale, non vi è dubbio che la condotta descritta sia quella di un soggetto che ha agito con colpa grave. La colpa grave è elemento in grado di escludere totalmente ogni presunzione di buona fede soggettiva in capo ad un individuo. Ciò significa che, tutte le straordinarie conseguenze pratiche che derivano dalla presunzione della buona fede analizzate in precedenza, in presenza di colpa grave non si producono.
Sin qui il rilievo concreto che la buona fede soggettiva può produrre nella vita quotidiana e nelle possibili vicende giuridiche e/o giudiziarie di cui chiunque può essere protagonista. Un principio generale, apparentemente astratto, è perfettamente in grado di produrre effetti sostanziali a dir poco notevoli e tangibili.
Buona fede oggettiva: quali effetti pratici? Ora si procederà ad esaminare i risvolti pratici della buona fede oggettiva.
Si diceva che la buona fede oggettiva altro non è che quel principio di ampio respiro elaborato fin dai tempi dell’antica Roma e che si traduce nel legittimo affidamento nell’altrui operato, che ci si attende essere eticamente corretto. Tale principio va ad incidere in modo molto significativo sulla disciplina dei contratti. Difatti, la buona fede oggettiva delle parti, deve caratterizzare l’attività contrattuale in ogni suo momento: deve essere presente durante la trattativa; deve essere presente se il contratto è sottoposto a condizione; deve essere presente durante l’esecuzione del contratto; e deve esserci ai fini dell’interpretazione del contratto.
Ma procediamo con ordine.
a) La buona fede oggettiva e la trattativa contrattuale: poniamo il caso che Mevio decida di acquistare casa. Trova un venditore e si avvia la trattativa contrattuale: il venditore mostra a Mevio l’immobile, si concorda il prezzo, si stabilisce un acconto ed un successivo saldo, si è ad un passo dalla stipula della compravendita e quindi Mevio inizia a contattare operai per i lavori di ristrutturazione e si rivolge alla banca per accendere un mutuo. Poi, all’improvviso, il venditore decide di tirarsi indietro. Senza addurre alcuna motivazione valida, comunica che non vende più e si rende irreperibile. L’atteggiamento tenuto dal venditore è chiaramente contrario a buona fede oggettiva, poiché arreca un danno alle legittime aspettative dell’altro contraente. Mevio confidava nella correttezza dell’altrui comportamento; convinto che il venditore arrivasse fino in fondo e quindi concludesse il contratto, si era anche spinto a prendere impegni con altri soggetti (banca ed operai). Il tradimento del principio di buona fede oggettiva da parte del venditore, comporta l’immediata interruzione della trattativa e fa nascere il diritto di Mevio a chiedere alla sua controparte un giusto risarcimento per i danni subiti.
b) La buona fede oggettiva nel contratto sottoposto a condizione: cos’è la condizione nel contratto? La condizione è un evento futuro ed incerto cui può essere sottoposta la produzione di effetti di un contratto. Esemplificando: Caio ha un debito nei confronti di un suo fornitore di merci e decide di concludere con costui un accordo volto a consentirgli di differire nel tempo il saldo del suo debito. Tuttavia, gli effetti dell’accordo non si producono immediatamente: per concorde decisione delle parti, si produrranno in un momento successivo, esattamente se e quando un dato evento si verificherà. Pertanto, Caio pagherà la somma dovuta al suo fornitore soltanto se e quando un carico di prodotti viaggianti via mare tornerà dalla Cina. Se la nave proveniente dalla Cina attraccherà al porto, il contratto produrrà effetto, diversamente no. A questo punto, occorre capire che ruolo ha la buona fede oggettiva. Se Caio, al momento dell’accordo con il suo fornitore, è già perfettamente consapevole che la nave dalla Cina non arriverà mai, perché ha avviato una trattativa sottobanco con il capitano affinché provochi un’avaria ed impedisca il ritorno del bastimento, ha chiaramente tenuto una condotta poco seria, poco onesta e per nulla trasparente in danno dell’altro contraente. Ciò comporta che, se il fornitore dovesse accorgersi della condotta disonorevole di Caio, potrà ovviamente annullare il contratto, esigere l’immediato pagamento del debito e chiedergli anche i danni.
c) La buona fede oggettiva durante l’esecuzione del contratto: l’esecuzione del contratto rappresenta il momento in cui le prestazioni o le attività che le parti hanno liberamente concordato, vengono poste in essere in concreto. Sempronio ha stipulato un contratto di affitto di un locale commerciale, impegnandosi a pagare un fitto mensile in favore di un suo amico che è il proprietario dell’immobile. Sempronio si è impegnato a pagare 300,00 Euro al mese, il suo amico si è impegnato a consegnargli il locale. Passano i mesi, Sempronio è convinto che tutto vada per il verso giusto, ma poi scopre che il locale che ha ricevuto in locazione era stato sottoposto a pignoramento già prima che lui firmasse il contratto e verrà presto sottratto dalla sua disponibilità. Il suo amico ha chiaramente agito in modo disonesto, omettendo di dirgli che il locale non poteva mai e poi mai formare oggetto di contratto. Il locatore ha ingannato Sempronio, ha intascato il fitto per alcuni mesi, ed ora dovrà rispondere per questa evidente mala fede oggettiva. A questo punto, Sempronio potrà ovviamente svincolarsi e chiedere il risarcimento dei danni.
d) La buona fede oggettiva nell’interpretazione del contratto: interpretare un contratto, significa ricostruire la volontà che le parti hanno espresso in ogni singola pattuizione. Esistono differenti regole da seguire ai fini di una corretta interpretazione: dare la giusta rilevanza al significato letterale delle parole presenti nel documento; cogliere in modo fedele la volontà estrinsecata dalle parti in ogni punto del documento; intendere secondo equità, usi comuni e regole generali i vari aspetti che disciplinano il rapporto contrattuale che non hanno un chiaro riferimento normativo; ed ovviamente analizzare il contratto secondo la buona fede oggettiva.
Interpretare un contratto in ossequio alla buona fede oggettiva, significa dare per scontato che le parti, nello scrivere il contratto, abbiano vicendevolmente agito nella maniera più corretta e trasparente possibile. Occorre quindi dare per certo che i contraenti si siano adoperati ad utilizzare forme ed espressioni chiare, non ingannevoli, non equivoche e tali da salvaguardare la posizione e gli interessi di tutti. Laddove non è sufficientemente chiaro il contenuto di una clausola, o vi siano carenze di disciplina, il contratto deve interpretarsi partendo dall’idea che ogni accordo sia tale da garantire i diritti di entrambe le parti. Esemplificando: in un contratto di affitto, nulla si dice in merito allo stato in cui debba essere riconsegnato l’immobile al momento della cessazione del rapporto contrattuale, mentre invece compare la clausola che riconosce all’inquilino il diritto all’indennizzo per i miglioramenti apportati all’immobile. Esiste chiaramente uno squilibrio nel contratto, che tace su di un aspetto volto a tutelare il proprietario e contempla invece una forma di tutale dell’inquilino. L’interpretazione secondo buona fede, fa sì che si dia per scontato che l’immobile debba essere riconsegnato in ottimo stato, o almeno nello stato in cui il proprietario lo ha concesso in fitto. Ciò significa che, nel silenzio o nel dubbio, deve prevalere quell’interpretazione che tende a salvaguardare i diritti e le posizioni di entrambi i contraenti.
Conclusioni. Da quanto sin qui ampiamente esposto, il lettore può agevolmente cogliere l’assoluta importanza del principio di buona fede, che da regola non scritta di carattere morale, diviene una regola molto concreta in grado di produrre conseguenze giuridiche e pratiche di rilevanza primaria. Sì deve quindi tenere sempre ben presente tale principio ogni volta che si intraprendono relazioni contrattuali con gli altri consociati e, più in generale, ogni volta che si tengono condotte tali da avere significativi risvolti giuridici. Da ultimo, si vuole segnalare anche il possibile rapporto tra buona fede ed ordine pubblico. Se buona fede significa essenzialmente agire in modo eticamente ineccepibile, pare non vi possa essere dubbio alcuno circa il fatto che l’ordinamento imponga un generale dovere di correttezza e che il rispetto di tale dovere debba o possa ricadere nella nozione di ordine pubblico. Sicuramente, l’osservanza del principio di buona fede trova cittadinanza nella nostra Costituzione, più precisamente nel dovere di solidarietà tra i cittadini.
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Avv. Ivana Consolo
Sono l'Avv. Ivana Consolo ed esercito la Professione Forense presso il Foro di Catanzaro dall'anno 2010.
Mi sono laureata nell'anno 2007 presso l'Università degli Studi "Magna Graecia" di Catanzaro, conseguendo il voto di 110/110 e Lode Accademica, con una tesi in Diritto di Famiglia dal titolo: "La capacità di discernimento del minore e la riforma dell'adozione".
Il mio ambito di attività è costituito prettamente dal Diritto Civile in ogni suo settore.
Lavoro in autonomia presso il mio Studio Professionale, sito in Catanzaro, Viale De Filippis n. 38; sono altresì Mediatore per la Società di Mediaconciliazione Borlaw.
Da sempre ho una naturale abilità nella scrittura, e per questo sono qui, ad offrire a chi avrà la bontà di leggere, ciò che periodicamente redigo.
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