Il principio di legalità e le fonti dell’emergenza
Il principio di legalità afferma che qualsiasi potere deve avere fondamento in una legge che espressamente lo attribuisca a un organo della Pubblica Amministrazione. Tale principio riguarda sia l’organizzazione che l’attività degli enti pubblici. Con riferimento all’organizzazione l’art. 97. Co. 2 Cost. stabilisce che l’organizzazione dei pubblici uffici deve avvenire secondo disposizioni di legge. Quanto all’attività amministrativa, l’art. 1 L.241/90 prevede che questa debba essere esercitata nel rispetto dei fini che la legge individua.
Corollari del principio di legalità sono la necessaria tipicità e nominatività degli atti amministrativi. I provvedimenti sono nominati quando la legge espressamente li prevede; sono tipici quando ne disciplina anche il contenuto.
Il principio di legalità va distinto tanto dalla riserva di legge quanto dalla “preferenza” della legge. La riserva di legge è prevista direttamente dalla Costituzione nei casi in cui si vuole escludere un intervento governativo tramite regolamento in certe materie in cui solo il Parlamento può introdurre limitazioni. La preferenza della legge esprime invece il favore che deve essere accordato ad essa e alle fonti primarie in caso di antinomia con disposizioni di fonti secondarie.
Il principio di legalità è alla base del sistema delle fonti secondarie. Queste ultime costituiscono un “sistema aperto” perché non trovano nella Costituzione un’espressa disciplina. Si tratta di atti formalmente amministrativi, ma sostanzialmente normativi dotati di innovatività, generalità ed astrattezza e sono subordinati sul piano gerarchico alle fonti primarie (legge, decreti-legge e decreti legislativi). Proprio per questo la legge può attribuire ad alcune autorità il potere di emettere regolamenti nelle materie non coperte da “riserva assoluta” di legge. Per quelli “governativi”, si è ritenuto sufficiente il ricorso a una legge generale di legittimazione della potestà regolamentare. La L. 400/1988 prevede che essi siano deliberati dal Consiglio dei Ministri su proposta del Ministro competente previo parere del Consiglio di Stato. Vengono poi emanati dal Capo dello Stato (con D.P.R.), sono sottoposti a registrazione da parte della Corte dei Conti e infine pubblicati in Gazzetta Ufficiale con la dizione di “regolamento”. Per i regolamenti ministeriali e per quelli di competenza di altre autorità occorre invece una legge espressa. Lo stesso principio vale anche per le fonti “extra ordinem” con cui si è soliti fronteggiare situazioni di emergenza impreviste e sopravvenute: una volta dichiarato con legge o con atto ad essa equiparato lo stato d’emergenza si può istituire un potere in grado di emettere provvedimenti in deroga alla legge.
Un meccanismo simile viene previsto dall’art. 54 d.lgs. 267/2000 per quanto attiene alle ordinanze del sindaco in qualità di ufficiale del Governo a tutela della pubblica incolumità. Si tratta di atti atipici in grado di circoscrivere l’applicazione della legge nel tempo necessario a risolvere la situazione d’urgenza. Secondo la prevalente dottrina non si tratterebbe tuttavia di vere e proprie fonti nemmeno quando queste si rivolgono alla generalità dei residenti nella comunità, in quanto in nessun caso con tali provvedimenti si può innovare stabilmente l’ordinamento giuridico. La Corte Costituzionale con sent. n. 115/2011 è poi intervenuta per chiarire che l’emissione di questi atti si giustifica solo in situazioni di necessità e di urgenza, ragion per cui il legislatore non può riconoscere al sindaco un potere d’ordinanza illimitato.
La recente crisi pandemica ha incrementato notevolmente l’utilizzo dei decreti del presidente del consiglio (d.p.c.m.) come strumenti utili ad un rapido adeguamento della legislazione all’evolversi del contagio. In realtà questi d.p.c.m. sono stati concepiti come decreti attuativi del D.L. 6/2020 (Cura Italia) che ha espressamente dichiarato lo stato d’emergenza da coronavirus attribuendo al Governo il potere di adottare misure straordinarie. Sebbene dunque i d.p.c.m. siano solitamente equiparabili sul piano procedurale ai regolamenti ministeriali, nella situazione in esame hanno assunto valenza di fonti atipiche poste a tutela della salus rei publicae. Il fondamento giustificativo va ricercato nell’art. 32 Cost. che riconosce il diritto alla salute come diritto fondamentale e come primario interesse della collettività, ed anche negli artt. 13 e ss. della Costituzione in cui si consentono limitazioni generali di altri diritti fondamentali per la tutela della salute e della sicurezza. Il limite è insito nella durata temporanea dello stato di emergenza, dunque, non in grado di trasformare perennemente il normale assetto dei valori in campo.
Come autorevolmente notato (De Virgottini), lo stato d’emergenza deve presentare caratteristiche diverse dalla mera necessità ed urgenza, presupposto per l’emissione dei decreti legge previsti dall’art. 77 Cost.. Ai fini del decreto-legge è infatti sufficiente che la situazione d’urgenza giustifichi un intervento più immediato di quello che si otterrebbe nei tempi necessari all’approvazione di una legge ordinaria. Lo stato d’emergenza deve invece essere “qualificato” dalla necessità di derogare a quanto previsto da una legge già in vigore, ma solo per un tempo limitato.
Anche le “leggi-provvedimento” vengono utilizzate per porre rimedio a situazioni eccezionali. In questi casi il Parlamento risolve situazioni emergenziali pregresse, ma rimaste irrisolte. Vengono spesso approvate in occasione di terremoti o gravi calamità che lasciano le popolazioni sprovviste di servizi per numerosi giorni. La prassi ha più volte giustificato il ricorso a tali strumenti eccezionalmente sprovvisti dei requisiti di generalità ed astrattezza se rispettosi dei principi di uguaglianza e di ragionevolezza ex art. 3 Cost. e di intangibilità del giudicato. La tutela degli interessati, anche se in forma indiretta, è assicurata dalla possibilità che venga sollevata questione di legittimità costituzionale previa apposita istanza in un giudizio pendente e sempre che sussistano i presupposti della rilevanza e della non manifesta infondatezza della relativa questione.
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Alessandro Baker
Laureato presso l'Università di Napoli Federico II con 110/110 e lode, praticante avvocato ed ex-tirocinante di giustizia ex. art. 73 D.L. 69/2013 nonché collaboratore presso la cattedra di Diritto Pubblico dell'Economia dell' Università Federico II.
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