Il principio di precauzione nell’attività della P.A. per la gestione dei rischi
Sommario: Premessa – 1. Il principio di precauzione nel diritto internazionale e comunitario – 2. Il principio di precauzione nell’ordinamento giuridico italiano – 3. Il necessario bilanciamento tra il principio di precauzione e le libertà fondamentali – 4. Conclusioni
Premessa
L’evoluzione scientifica nel corso degli anni ha prodotto nuove conoscenze che hanno contribuito ad un miglioramento delle condizioni di vita dell’umanità, sotto il profilo della qualità e della sicurezza. Spesso, però, i risultati del progresso scientifico non sono del tutto noti e certi. Pertanto, la società attuale deve costantemente salvaguardare se stessa dai rischi derivanti dalla crescita scientifica.
Al fine di gestire suddetti rischi si è affermato il principio di precauzione il quale deve ispirare l’attività amministrativa in presenza di un rischio per la salute, la sicurezza e l’ambiente.
In tempi recenti il principio di precauzione ha assunto particolare rilevanza con riguardo all’emergenza sanitaria legata al Covid-19, ispirando l’azione governativa per la gestione dei rischi legati alla diffusione del virus e legittimando le numerose ordinanze emesse dalle Autorità nazionali e locali.
1. Il principio di precauzione nel diritto internazionale e comunitario
Il principio di precauzione si è affermato inizialmente a livello internazionale, prima in materia ambientale e poi in altri settori come la tutela della salute.
Invero, la prima consacrazione espressa del principio si è avuta con la Dichiarazione di Rio sull’Ambiente del 14 giugno 1992 adottata dalla Conferenza delle Nazioni Unite sull’ambiente e lo sviluppo in cui l’applicazione di misure precauzionali viene subordinata al ricorrere di un rischio di danni gravi o irreversibili[1].
Successivamente, con il Trattato di Maastricht (ex art. 174 TCE, oggi art. 191 TUE), il principio viene inserito tra i principi fondamentali della politica europea ambientale, insieme ai principi di prevenzione, correzione e a quello di “chi inquina paga”.
Con la Comunicazione della Commissione europea del 2000[2], il principio di precauzione viene inserito nell’alveo dei principi generali dell’ordinamento europeo. Da ciò deriva l’obbligo in capo alle Amministrazioni di adottare provvedimenti appropriati al fine di prevenire i rischi potenziali per la salute, la sicurezza e l’ambiente.
Pertanto, in caso di ritardo o inadempimento la PA può incorrere in responsabilità per violazione del predetto principio.
Nella predetta comunicazione, la Commissione europea precisa che il principio di precauzione può essere invocato quando un fenomeno, un prodotto o un processo può avere effetti potenzialmente pericolosi, individuati tramite una valutazione scientifica e obiettiva, se questa valutazione non consente di determinare il rischio con sufficiente certezza.
Il ricorso al principio deve sottendere una valutazione scientifica del grado d’incertezza nonché del rischio e delle conseguenze in caso di assenza di azioni. In funzione del livello di rischio, le Autorità possono decidere di agire o non agire.
La Commissione evidenzia che, qualora le Autorità decidano di intervenire , le misure adottate dovranno rispettare altri cinque principi affermati al livello comunitario : 1) la proporzionalità tra le misure prese e il livello di protezione ricercato; 2) la non discriminazione nell’applicazione delle misure; 3) la coerenza delle misure con quelle già prese in situazioni analoghe; 4) l’esame necessario dei vantaggi e degli oneri risultanti dall’azione o dall’assenza di azione; 5) il riesame delle misure alla luce dell’evoluzione scientifica.
Alla luce delle indicazioni della Commissione europea, è possibile distinguere il principio di precauzione dal principio di prevenzione. Infatti, il primo presuppone l’esistenza di un’incertezza scientifica che non consente di determinare con sufficiente certezza il rischio (per cui si parla di rischio potenziale); il secondo, invece, postula l’esistenza di un rischio la cui esistenza è oggettivamente provata.
2. Il principio di precauzione nell’ordinamento giuridico italiano
Nell’ordinamento interno il principio di precauzione esplica la sua funzione in virtù del richiamo ai principi generali dell’ordinamento comunitario, operato dall’art. 1 comma 1 della legge 241/1990.
Inoltre, esso ha trovato espressione in diverse disposizioni normative (come il Codice del Consumo[3], il Codice dell’Ambiente[4] ecc).
Con riguardo alla copertura costituzionale, poiché il principio si è sviluppato nell’ambito della tutela dell’ambiente e del diritto alla salute, si ritiene che esso trovi la propria legittimazione negli artt. 9 e 32 della Costituzione.
Sul punto la stessa Corte Costituzionale ha evidenziato la stretta connessione tra l’art. 9 e l’art. 32 della Costituzione atteso che tra l’ambiente e la salute sussiste un rapporto di complementarietà nel senso che la salubrità ambientale può garantire l’integrità fisica e la vita degli individui[5].
Il principio di precauzione è collegato anche ai diritti delle generazioni future e alla cosiddetta responsabilità intergenerazionale , intesa come una forma di tutela giuridica azionabile dalla generazione vivente in favore delle generazioni future al fine di attivare politiche precauzionali per la tutela dell’ambiente e della salute a fronte dei rischi legati ai cambiamenti climatici.
Pertanto, si ritiene che il principio di precauzione trovi ulteriore legittimazione costituzionale nell’art. 2 della Costituzione che, oltre a riconoscere i diritti inviolabili dell’uomo, impone l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale tra cui rientra quello di adottare misure di lungo periodo idonee a garantire i diritti delle generazioni future.
3. Il necessario bilanciamento tra il principio di precauzione e le libertà fondamentali
Una delle questioni più dibattute riguarda il bilanciamento tra il principio di precauzione e gli interessi su cui esso può incidere.
Tale problematica è particolarmente avvertita nel tempo attuale atteso che a fronte dell’emergenza sanitaria legata al Covid 19, in applicazione del principio di precauzione il Governo nazionale e le Regioni hanno adottato una serie di misure per la tutela della salute che hanno inciso profondamente su alcune liberà fondamentali come la libertà di circolazione (art. 16 Cost.) e la libertà di riunione (art. 17 Cost.).
Sul punto occorre rilevare che la Corte di Giustizia ha più volte ribadito che il principio di precauzione deve essere necessariamente contemperato con il principio di proporzionalità; pertanto, secondo la giurisprudenza comunitaria, le misure adottate in applicazione di suddetto principio non devono mai oltrepassare i limiti di ciò che è appropriato e necessario per il perseguimento degli obiettivi di tutela perseguiti[6].
Significativa è anche la posizione assunta dalla Corte europea dei Diritti dell’Uomo che ha sottolineato l’esigenza che le Pubbliche Amministrazioni forniscano adeguate informazioni ai soggetti esposti ai rischi. La Corte ha evidenziato che in mancanza di tale informazione, si configura una responsabilità patrimoniale dello Stato per violazione del diritto al rispetto della vita privata di cui all’art. 8 della CEDU[7].
Con riguardo alla posizione della Corte Costituzionale occorre evidenziare che l’interpretazione del Giudice delle Leggi è sempre stata orientata a garantire che il principio di precauzione , nel necessario bilanciamento, non sia mai prevalente al fine di garantire che i diritti e le libertà compresse dalle misure adottate non vengano troppo menomate , specie quando nella valutazione del rischio persista l’incertezza scientifica[8].
Occorre evidenziare che anche la giurisprudenza amministrativa ha affermato che in sede di applicazione , il principio di precauzione deve essere contemperato con il principio di proporzionalità che impone misure congrue rispetto al livello prescelto di protezione e un’analisi dei vantaggi e degli oneri derivanti dalle stesse atteso che esse possono trovare applicazione solo se strettamente necessarie [9].
In tempi recenti il dibattito nella giurisprudenza amministrativa ha riguardato l’obbligo delle vaccinazioni e la sua compatibilità con la libertà di scelta di non curarsi.
Sul punto il Consiglio di Stato, con parere del 26 settembre 2017 n. 2065 ha affermato che la salute non è solo oggetto di un diritto, ma è anche un interesse della collettività; sicché, come puntualizzato anche Corte costituzionale nella sentenza n. 218 del 2 giugno 1994, la tutela della salute implica anche il dovere dell’individuo di non ledere né porre a rischio con il proprio comportamento la salute altrui. Il Consiglio di Stato quindi ha ritenuto – sulla base delle acquisizioni della migliore scienza medica e delle raccomandazioni delle organizzazioni internazionali – che soltanto la più ampia vaccinazione dei bambini costituisca misura idonea e proporzionata a garantire la salute di altri bambini e che solo la vaccinazione permetta di proteggere, proprio grazie al raggiungimento dell’obiettivo della c.d. “immunità di gregge”, la salute delle fasce più deboli, ossia di coloro che, per particolari ragioni di ordine sanitario, non possano vaccinarsi.
Pertanto, secondo il Consiglio di Stato la scelta del legislatore statale di stabilire l’obbligo di vaccinazione non può essere censurata sul piano della ragionevolezza per aver indebitamente e sproporzionatamente sacrificato la libera autodeterminazione individuale in vista della tutela degli altri beni costituzionali come la salute collettiva.
Con riguardo più specificatamente all’attuale emergenza sanitaria legata al Covid 2019, particolarmente significativa è la pronuncia del Tar Campania, sez V del 22 aprile 2020 n. 826.
Il Tar , rigettando l’istanza sospensiva di un provvedimento con il quale veniva disposta la chiusura temporanea di una casa di cura, ribadisce che a fronte delle incertezza scientifiche legate al coronavirus debba trovare applicazione il principio di precauzione ; l’ordine di chiusura temporanea non può essere considerato sproporzionato in quanto finalizzato alla tutela del bene primario della salute collettiva.
4. Conclusione
In virtù del principio di precauzione, quando sussistono incertezze riguardo all’esistenza o alla portata di rischi per la salute della persona , l’azione dei pubblici poteri può tradursi in una prevenzione anticipata rispetto al consolidamento delle conoscenze scientifiche e nell’adozione di misure incidenti sulle libertà dei singoli purchè rispettose del principio di proporzionalità. Invero, il mancato contemperamento dei due principi potrebbe dar luogo a responsabilità della PA e azioni risarcitorie qualora misure precauzionali eccessive dovessero ledere la sfera dei diritti dei privati.
Tuttavia, a fronte di questa possibilità per i privati pregiudicati da misure sproporzionate di attivare azioni risarcitorie, va comunque evidenziato il forte limite che incontra il sindacato giurisdizionale sui provvedimenti della PA applicativi del principio di precauzione.
Invero, trattasi di provvedimenti che hanno natura discrezionale e pertanto, solo in caso di manifesta inidoneità del provvedimento precauzionale se ne potrà dichiarare l’illegittimità. Inoltre, trovando applicazione il regime della responsabilità extracontrattuale il danneggiato avrà l’onere di provare il danno e il nesso di causalità tra condotta illecita della PA (dolo o colpa), provvedimento illegittimo e danno.
De Leonardis Francesco, Il principio di precauzione nell’amministrazione di rischio, Universita’ di Macerata, 2005;
Grassi, A. Gragnani, Il principio di precauzione nella giurisprudenza costituzionale, in Biotecnologie e tutela dell’ambiente, dell’uomo, delle generazioni future in Riv. Dir. Civ. 2003;
MORANA, La salute come diritto costituzionale. Lezioni. Giappichelli Editore, 2018;
G. Scoca, Diritto amministrativo, Giappichelli, 2019;
Titomanlio, Il principio di precauzione fra ordinamento europeo e ordinamento italiano, Giappichelli Editore, 2018.
[1] In particolare si veda il principio n. 15 della Dichiarazione.
[2] COM/2000/0001def.
[3] Art. 107 del d.l. 6 settembre 2005 n. 206.
[4] Art. 301 del d.l. 3 aprile 2006, n. 152.
[5] Corte Cost., sentenza n. 127 del 1990.
[6] Corte di Giustizia UE, Sex I, 9 GIUGNO 2016, N. c-78/16 e C- 79/16
[7] Corte Edu 5 settembre 2017, ricorso n. 61496/08).
[8] Corte cost, 9 maggio 2013, n. 85.
[9] Consiglio di Stato sentenza n. 6250/13.
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