Il principio di prevedibilità e il giudicato europeo. La posizione dei fratelli minori di Contrada a margine dell’informazione provvisoria delle Sezioni Unite

Il principio di prevedibilità e il giudicato europeo. La posizione dei fratelli minori di Contrada a margine dell’informazione provvisoria delle Sezioni Unite

Il principio di prevedibilità assurge a fondamentale garanzia delle libere scelte di azione dei cittadini. Ciò si ricava con immediatezza – sul piano dell’ordinamento interno – dal disposto di cui all’art. 25, 2° cost., in forza del quale nessuno può essere punito se non in ragione di una legge entrata in vigore prima del fatto commesso. Il predetto dettato reca con sé quale fondamentale presupposto per l’irrogazione della pena, la necessità di garantire al cittadino al momento della commissione del fatto la conoscibilità in forma chiara e precisa del precetto minacciato e delle conseguenze sanzionatorie derivanti dalla sua violazione.

Così inteso, il principio di prevedibilità si salda – a mo’ di norma di chiusura del sistema – con altri principi posti a garanzia del cittadino. In primo luogo si lega alla prevenzione generale della pena, atteso che un reato formulato in maniera imprecisa, impedendo ai consociati di avvertire il disvalore della condotta punita, è inidoneo a distoglierli dal compimento della stessa. In secondo luogo si congiunge al principio di colpevolezza, posto che non è rimproverabile un fatto inintellegibile nei suoi contenuti, in quanto insuscettibile di orientare i comportamenti degli agenti.

Pertanto, per i motivi testé indicati, è giocoforza affermare l’imprescindibile dovere  da un canto per il legislatore di formulare i precetti in maniera chiara e precisa, dall’altro per il giudice di prosciogliere l’imputato con la formula “ perché il fatto non costituisce reato”, qualora a causa dell’imprecisione derivi l’inevitabile ignoranza della legge penale.

Così disegnato secondo il sistema ordinamentale interno, il principio di prevedibilità va integrato in senso rafforzativo con quanto stabilito dalla giurisprudenza della Corte Edu.

In quella sede – come è noto-, il faro d’interpretazione per la Corte di Strasburgo è rappresentato dalla Convenzione Edu, la quale  – in virtù della sua natura di trattato internazionale a cui lo Stato aderisce -, vincola ad un tempo legislatore e giudici a norma dell’art. 117 Cost.

Ciò posto, con riguardo alla questione in esame, assume pregnanza l’art. 7 Cedu, il quale sancisce il divieto di condanna per un fatto che non costituisce reato, al momento della commissione, secondo il diritto. Il riferimento alla parola “diritto” permette di apprezzare la differenza che corre tra l’ordinamento interno e quello convenzionale: nel primo caso solo la sola legge è abilitata alla disciplina del penalmente rilevante; nel secondo, invece, il termine diritto include quale fonte creatrice della fattispecie penale anche la giurisprudenza. Ciò si lega alla natura di fonte multilivello della Cedu, ricognitiva sotto il proprio alveo sia degli ordinamenti di civil law sia di quelli di common law.

Pertanto è derivata la necessità di accordare – attraverso il dialogo tra le Corti (Edu e Cassazione) – le conseguenze scaturenti dal predetto dettato all’interno del nostro ordinamento.

Sul punto occorre subito intendersi.

In ossequio al principio di legalità formale, il disposto di cui all’art. 7, non abilita sic et simpliciter la giurisprudenza alla creazione del penalmente rilevante. Tutt’al più può ammettersi che l’opera di necessaria concretizzazione del precetto sia suscettibile di orientare le condotte dell’agente nei limiti in cui la norma giurisprudenziale: derivi da una disposizione legislativa; non concreti un’ipotesi analogica; sia sufficientemente chiara e conoscibile dall’agente al momento dalla commissione del fatto in quanto espressione di giurisprudenza consolidata. Detta interpretazione (c.d. della prevedibilità oggettiva in astratto) – emergente come si vedrà innanzi dalla sentenza della Corte EDU nell’ambito del caso Contrada nel 2015 -, appare quella di massima garanzia per il cittadino nonché l’unica in grado di conciliarsi con il principio di legalità senza la necessaria chiamata in causa dei “controlimiti”.

Per contro, secondo altro avviso, occorrerebbe distinguere a seconda che il mutamento giurisprudenziale sfavorevole sia prevedibile o meno dall’agente al momento della commissione del fatto. In tal senso il mutamento in malam sarebbe da considerarsi prevedibile ed applicabile retroattivamente anche quando, all’epoca della condotta, l’orientamento giurisprudenziale circa l’applicazione del reato sia semplicemente controverso purché  comunque in concreto intellegibile dall’agente tenuto conto delle sue conoscenze personali in concreto (c.d. tesi della prevedibilità soggettiva in concreto). Residuerebbe a beneficio dell’agente la sola garanzia dell’inapplicabilità retroattiva del mutamento  sfavorevole imprevedibile, cioè di quel mutamento intervenuto a risolvere il caso concreto in maniera innovativa, assolutamente difforme rispetto alla giurisprudenza costante espressa al momento della commissione del fatto.

Ciò posto, dalla violazione del principio di prevedibilità da parte dello Stato contraente discendono rilevanti conseguenze. Prima di soffermarci  su di esse, occorre dare conto dei rimedi generali previsti dall’ordinamento per la risoluzione del contrasto tra giudicato nazionale e convenzionale europeo.

A tal proposito, come è noto, funzione precipua della Corte è quella di verificare la conformità tra decisum interno e la Convenzione Edu a garanzia delle posizioni individuali dei soggetti pregiudicati dalle violazioni commesse dai singoli Stati aderenti. Ai sensi dell’art. 46 Cedu, ne conseguono due effetti : da un lato, l’obbligo per gli Stati di adeguare il giudicato interno al dettato della Convenzione così come interpretato dalla Corte di Strasburgo, eliminando gli effetti pregiudizievoli per il ricorrente attraverso il ripristino dello status quo ante (ossia della posizione in cui quest’ultimo si sarebbe trovato se non si fosse verificata la violazione); dall’altro, qualora il pregiudizio non possa essere riparato in modo completo, si prevede in via equitativa, la possibilità per la Corte di condannare lo Stato inadempiente a liquidare una somma alla parte lesa.

Con riguardo ai modi attraverso i quali è possibile adeguare il giudicato nazionale, sono stati essenzialmente individuati due rimedi: la revisione europea ex art 630 c.p.p., così come integrato dalla sentenza additiva della Consulta nel 2011; l’incidente di esecuzione ai sensi degli artt. 666 e 670 c.p.p.[1]

Tanto premesso, è possibile adire il primo strumento quando la correzione della lesione importa ontologicamente la riapertura del processo, in quanto strutturalmente, a tal fine, si rende necessaria una nuova valutazione da parte del giudice della cognizione. Caso paradigmatico è rappresentato dalla violazione del diritto ad un giusto processo (art. 6 Cedu) la quale può essere sanata solo attraverso l’ intervento di un nuovo giudice del dibattimento chiamato a pronunciarsi in conformità alle garanzie processuali precedentemente violate. Per contro, quando il giudicato può essere corretto senza il ricorso ad una nuova attività cognitiva (c.d. sentenza a rime obbligate), è sufficiente l’intervento del giudice dell’esecuzione, il quale, in quanto garante della legalità della sentenza in executivis in ogni tempo, può annullarla e dichiararla improduttiva di effetti penali penali, disponendo l’immediata liberazione del condannato.

Le considerazioni sin qui svolte, vanno accordate sul piano applicativo con gli importanti principi espressi nel 2015 dalla Corte Edu nell’ambito del caso Contrada[2].

Sul punto, quest’ultima, ha ritenuto non andassero addebitate al Contrada le conseguenze penali discendenti dal reato di concorso esterno in associazione mafiosa in quanto non sufficientemente prevedibile dall’agente al momento della commissione dei fatti contestati (1977-1988). Ciò sul presupposto che il reato de quo, frutto di una lunga e tormentata evoluzione giurisprudenziale, sia stato definitivamente confermato e sufficientemente tipizzato soltanto a partire dalla sentenza a Sezioni Unite “Demitry”[3] nel 1994, con la conseguenza che il Contrada non poteva conoscere né la fattispecie né la pena in cui sarebbe incorso per gli atti compiuti.

Pertanto, aderendo alla concezione massimamente garantista di cui si è detto sopra, La Corte ha avvalorato la tesi oggettivistica dell’impossibilità per l’agente di rappresentarsi le conseguenze penali derivanti dalla propria condotta quando la stessa sia posta in essere in presenza di un’interpretazione giurisprudenziale controversa: ne consegue il superamento della tesi soggettivistica, concernente l’applicazione retroattiva del mutamento giurisprudenziale prevedibile, nei termini sopra evocati. In altri termini, secondo questo avviso, l’interpretazione giurisprudenziale appare idonea ad orientare le condotte dei consociati solo ove espressa in forma consolidata.

Così intesa, tale sentenza ha aperto la vexata questio circa la sua estensibilità automatica ed erga omnes ai c.d. fratelli minori di Contrada, ossia nei confronti di tutti quei soggetti che trovandosi nella medesima condizione sostanziale di quest’ultimo (id est abbiano posto in essere le condotte contestate anteriormente alla sentenza “Demitry) siano stati condannati in via definitiva per il reato di concorso esterno in associazione mafiosa. Cruciale per la risoluzione di detto contrasto è comprendere l’effettiva portata della sentenza in esame, da considerarsi estensibile, in ossequio all’insegnamento delle Sezioni Unite Ercolano[4], soltanto ove possa inferirsene la natura di sentenza pilota o espressiva di un orientamento consolidato della Corte Edu.

Sul punto si sono formati due orientamenti della Cassazione.

Il primo incline a ritenere la natura pilota della sentenza Contrada, in quanto intervenuta a risolvere e correggere un contrasto strutturale di una norma dell’ordinamento interno con la Cedu: ossia quello relativo all’applicazione retroattiva del concorso esterno a tutti i fatti antecedenti alle Sezioni Unite “Demitry”, con l’art. 7 della Convenzione. All’opposto, il secondo, muovendo da un’analisi formalistica, si è espresso in senso negativo, sul presupposto che la predetta sentenza non abbia fornito prescrizioni di carattere generale, limitandosi alla risoluzione del caso concreto ed alla condanna dello Stato convenuto.

Tuttavia anche questo secondo indirizzo è stato segnato da conflittualità di vedute.

A tal proposito, una parte, ha finito comunque per riconoscerne natura di sentenza espressiva di un orientamento consolidato, sull’assunto che la stessa si ponga in continuità con altre pronunce della Corte Edu (cfr. Sunday  Times c. Regno Unito, Kokkinakis c. Grecia), le quali fornendo un’interpretazione della prevedibilità in senso oggettivo hanno del pari ancorato quest’ultima alla sussistenza di un consolidato orientamento giurisprudenziale al momento della commissione del fatto.

Per converso, altra parte, ne ha respinto anche la natura di sentenza “sostanzialmente pilota”[5]. Ciò sul presupposto, maggiormente persuasivo, che essa non possa considerarsi  espressione di una giurisprudenza consolidata, in quanto in molti altri casi (a titolo meramente esemplificativo cfr. Soros c. Francia, Pessinoa c. Francia, Groppera Radio AG c.  Svizzera), la Corte ha giustificato la conformità della condanne anche quando al tempo della commissione del fatto mancasse una chiara giurisprudenza a supporto e il mutamento giurisprudenziale sfavorevole poteva essere previsto dall’agente in forza delle proprie conoscenze e condizioni personali.

Ciò posto, come è intuitivo, si giunge a conclusioni diametralmente opposte a seconda che si attribuisca o meno, natura pilota o sostanzialmente pilota alla pronuncia Contrada. Ove si concordi con l’eventualità negativa nessun effetto automatico si produrrebbe in capo ai fratelli minori, i quali verrebbero a trovarsi sforniti di tutela, salvo la possibilità di adire la Corte entro il termine previsto dall’art. 35 Cedu (sei mesi dal passaggio in giudicato della sentenza domestica), per chiedere una conferma in senso analogico alla pronuncia Contrada.

Qualora si opti per l’opinione positiva, attesa l’automatica estensibilità erga alios della stessa, residuerebbe l’ulteriore problema dell’adeguamento del giudicato interno a quello convenzionale europeo.

Anche su questo punto sono state proposte due soluzioni dalla giurisprudenza di legittimità.

Secondo la prima lettura, posto che la prevedibilità si legherebbe alla colpevolezza[6], il rimedio necessario sarebbe quello della revisione europea ex art. 630 c.p.p, in quanto occorrerebbe con una nuova istruttoria verificare se l’agente al momento della commissione del fatto potesse in concreto intendere il significato penalmente rilevante della propria condotta.

Il secondo orientamento[7] invece, simmetricamente alla risoluzione sul piano interno della vicenda Contrada, ha proposto anche con riguardo ai fratelli minori l’automatico adeguamento del giudicato domestico per il tramite dell’incidente di esecuzione ex artt. 666 e 670, conformemente alle modalità sopra descritte.

La querelle, spinosissima, è stata da ultimo rimessa alle Sezioni Unite.

Quest’ultime, pronunciatesi in data 24 ottobre 2019 con informazione provvisoria, si sono determinate nel senso di negare ab origine alla sentenza Contrada natura sia di sentenza pilota sia sostanzialmente pilota in quanto non espressione di una giurisprudenza europea consolidata.

In attesa delle motivazioni, è possibile ipotizzare quali siano state le ragioni che hanno indotto il Supremo Consesso ad escludere entrambe le qualifiche.

In primo luogo – in  senso conforme all’orientamento formalistico sopra descritto – per come costruita, la sentenza Contrada non individuerebbe un problema di carattere strutturale all’interno del nostro ordinamento, in quanto si limiterebbe alla risoluzione del caso concreto. In secondo luogo,  la stessa non sarebbe espressione di un orientamento consolidato, in quanto – come osservato – nell’ambito della giurisprudenza della Corte Edu il principio di prevedibilità è stato declinato talvolta in senso oggettivo, talvolta in  senso soggettivo.

Pertanto, in definitiva, consegue che decorso infruttuosamente il termine per adire la Corte Edu, nessun altro rimedio appare possibile per i fratelli di Contrada, ad oggi da considerarsi a tutti gli effetti “figli di un Dio minore”.

 

 


[1] Cfr. Cass. pen., n. 43112/2017.
[2] Cfr. Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, Strasburgo, 14 aprile 2015, Causa Contrada c. Italia, Ricorso n. 66655/13.
[3] Cfr. Cass. pen., S. U., n. 15/1994.
[4] Cfr. Cass. pen., S. U., n. 18821/2017.
[5] Cfr. Cass. pen., n. 8661/2018.
[6] Cfr. Cass. pen., 44193/2016.
[7] Cfr. Cass. pen., 40889/2016.

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Avv. Gabriele Monforte

Nel 2016 ha conseguito la laurea magistrale in Giurisprudenza presso l'università di Bologna con votazione 110/110 e lode discutendo una tesi in diritto penale dal titolo "La discrezionalità dell'organo giudicante nelle cause di estinzione del reato" . Nel 2018: si è specializzato in professioni legali presso il medesimo ateneo discutendo una tesi in diritto penale dal titolo "Il concorso esterno in associazione mafiosa: dall'ermeneutica giurisprudenziale interna al vaglio di legalità della Corte Edu. Il caso Contrada e le possibili ricadute sui fratelli minori"; ha conseguito l'abilitazione all'esercizio della professione forense presso la Corte d'appello di Bologna. Nel 2022 ha iniziato ad esercitare la professione di avvocato presso il Foro di Catania.

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