Il Private Antitrust Enforcement: limiti e prospettive a tre anni dal d.Lgs. n. 3/2017
Sommario. 1. La Direttiva Danni e il d.lgs 3/2017 – 2. Criticità irrisolte e sopravvenute: art.7 e class action dopo la l. 31/2019 – 3. Prospettive
1. La Direttiva Danni e il d.lgs 3/2017
Il sistema di private enforcement, sin dalla positivizzazione a livello comunitario della normativa antitrust, ha sempre vissuto all’ombra del sistema pubblico affidato dapprima al quasi monopolio della Commissione Europea e poi alle singole autorità antitrust nazionali. Come spesso accade l’impulso legislativo ha preso spunto da un caso concreto che ha portato all’ormai nota sentenza Courage – Chrehan del 2001, attraverso la quale per la prima volta la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha enuncleato il principio secondo cui chiunque ha diritto di richiedere il risarcimento del danno causato da illeciti anticoncorrenziali.1 Principio che è stato poi ribadito in un altro leading case, il Caso Manfredi, nel quale la CGUE si è espressa sulla risarcibilità non solo del danno emergente ma anche del lucro cessante. 2
Questi principi, insieme al Regolamento 1/2003 che ha distinto le azioni follow on, le azioni suffragate da un provvedimento della Commissione UE, e quelle stand alone, avviate in assenza di provvedimento pubblico che accerti la violazione antitrust, il Libro Verde3 del 2005 e il Libro Bianco4 del 2008, hanno dato il via all’elaborazione della Direttiva UE 2014/104, la cd. Direttiva Danni.5 La direttiva si è posta il fine di armonizzare le discipline statali in materia di private enforcement e quello di spingere ad una maggiore ed efficace interazione con il sistema di public enforcement. In Italia il recepimento della Direttiva Danni avviene con D.Lgs 3/2017, il quale ricalca a grandi linee la direttiva sia nella struttura sia nel contenuto. Se si vogliono individuare alcuni punti cardine della nuova normativa, possono essere distinti tre profili rilevanti: esibizione delle prove, vincolatività degli accertamenti dell’authority e passing on defence.
L’art.4 del decreto legislativo individua un primo punto di raccordo fra i due sistemi è l’ordine di esibizione delle prove contenute nei fascicoli dell’AGCM. La disposizione distingue gli elementi contenuti in tali fascicoli in tre diverse categorie: quelli per i quali vige il limite assoluto all’esibizione, cd. black list, ossia gli elementi riguardanti le prove concernenti i programmi di clemenza6 e le proposte di transazione; la grey list, ossia queli elementi per i quali l’ebizione è consentita soltanto dopo la chiusura del procedimento ancora pendente dinanzi all’autorità; la white list, categoria residuale di elementi suscettibili di esibizione senza limiti.
Altro punto saliente è dato dall’Art.11, è riferito al fenomeno per il quale un soggetto che subisce un danno da un illecito posto in essere nel piano in cui opera ovvero in un piano superiore nella catena commerciale lo trasferisce a valle sui soggetti sul piano susseguente, potendo arrivare infine ad essere trasferito direttamente sul consumatore finale, il cd. passing on. La disposizione prevede che il convenuto può eccepire all’attore il fatto che abbia trasferito il sovrapprezzo subito dall’illecito a valle, comportando l’assenza o la riduzione del danno economico patito.
Il terzo pilastro della legge sul risarcimernto del danno antritrust è indubbiamente l’Art.7 del D.lgs 3/2017. Tale disposizione sancisce la vincolatività delle decisioni dell’AGCM, o quelle definitive del giudice del ricorso chiamato a sindacare l’atto dell’autorità,7 nell’azione di risarcimento del danno dinanzi al giudice ordinario. Sostanzialmente la norma prevede che il giudice sarà vincolato dalla statuizione dell’autorità antitrust in merito alla natura ed alla portata della violazione della concorrenza, le quali saranno “definitivamente accertate nei confronti dell’autore”, mentre dovrà valutare sul nesso di causalità e sulla sussistenza del danno che l’attore sostiene di aver subito. Ciò non fa altro che estendere alle autorità nazionali ciò che il Reg.1/2003 aveva già statuito per gli accertamenti degli illeciti compiuti dalla Commissione UE. Risulta evidente come tale statuizione mette in una posizione di vantaggio le azioni follow on rispetto a quelle stand alone , nelle quali i ricorrenti dovranno essere in grado di esibire in giudizio elementi di prova estremamente tecnici e difficilmente reperibili; ciò dimostra come, nonostante la propulsione che si è data al private enforcement con questa riforma, l’esperimento della via di pubblicistica comporta maggiori agevolazioni.
Rimane indubbio che tali statuizioni erano necessarie per spronare all’utilizzo di questo sistema parallelo a quello pubblico fino a quel momento scarsamente utilzzato, aiutando i soggetti lesi da illeciti anticoncorrenziali ad ottenere un ristoro del danno seppur soltanto dopo un accertamento compiuto dall’antitrust.
2. Criticità irrisolte e sopravvenute: art.7 e class action dopo la l. 31/2019
Pur essendo unanime il positivo accoglimento della direttiva, e del decreto di recepimento di riflesso, vi sono punti oggetto di critiche ancora oggi, alcuni aventi ad oggetto le novità introdotte a livello comunitario, altre invece riguardanti il recepimento nel nostro ordinamento.
Oltre la già citata posizione di vantaggio delle azioni follow on in merito alla vincolatività delle statuizioni sull’illecito ex Art.7 D.lgs 3/2017, il piano di preminenza dell’assetto di tutela pubblicistico sembra ancora prevalere su altri aspetti; infatti, l’impossibilità per il giudice di richiedere all’autorità elementi riguardanti i programmi di clemenza mira evidentemente a tutelare questo importante strumento di collaborazione, il quale sarebbe pregiudicato e abbandonato dalle imprese qualora determinati elementi fossero suscettibili di esibizione in giudizio.
2.1 L’elemento probabilmente più controverso è inevitabilmente il punto cardine della normativa, ossia l’Art.7 del decreto, che recepisce l’Art.9 della Direttiva Danni. Viene contestata da alcuni la legittimità della norma che prevede il sottostare del giudice alle decisioni di un organo amministrativo, in violazione del diritto alla difesa, del giusto processo e della soggezione del giudice soltanto alle legge.8 Ciò ha alimentato le critiche già da tempo mosse nei confronti dei crescenti poteri dell’AGCM, la quale è stata definita come organo paragiurisdizionale per il potere di comminare sanzioni elevate9, dal momento che tale previsione fa ritenere i suoi accertamenti solo formalmente amministrativi ma sostanzialmente giudiziari.10
La stessa disposizione, inoltre, come ha fatto notare il Parlamento Europeo nella fase di redazione, non prevede la possibilità per il giudice ordinario di “liberarsi” dal vincolo dell’accertamento qualora ritenga il provvedimento illegittimo.11 A tali critiche si potrebbe rispondere asserendo che tale limite è superato dalla sindacabilità piena degli atti dell’autorità da parte del giudice amministrativo, il quale con l’ausilio di consulenti tecnici e dopo la concessione di un full judicial review dalla sentenza Menarini, è in grado di annullare ovvero modificare le statuizioni dell’AGCM.
Secondo appunto che viene mosso a tale disposizione consiste nel fatto che, proprio perché la direttiva mirava ad una maggiore collaborazione fra i due sistemi di enforcement, non è stata inserita una apposita previsione che permette, od obbliga, al giudice di sospendere il procedimento in attesa di una pronuncia dell’AGCM se vi è un procedimento in corso volto ad accertare il medesimo illecito contestato dal ricorrente. L’assenza di questa previsione può in astratto creare decisioni confliggenti sui medesimi casi. Questa falla potrebbe però essere risolta attraverso una interpretazione estensiva dell’Art.140-bis del codice del consumo, la quale offre al giudice la possibilità di sospendere il giudizio in attesa della decisione di una autorità indipendente.12
Come se non bastasse, vi è un ulteriore profilo dibattuto sulla medesima disposizione, ma con riferimento alla statuizione del legislatore comunitario nell’Art.9, con riferimento alla valutazione in giudizio degli accertamenti di illecito compiuti dalle autorità nazionali antitrust degli altri stati membri. La direttiva infatti impone che tale previsione definitiva possa essere presentata dinanzi ai propri giudici nazionali, almeno a titolo di prova prima facie. In merito a ciò si possono sollevare due dubbi: il primo riguarda la nozione di prima facie che nel recepimento italiano si è tradotta in “prova valutabile insieme ad altre prove”, non essendo certo che sia questa la spiegazione che avrebbe dato la Commissione UE13; in secondo luogo tale statuizione comporta inevitabilmente il fatto che ogni stato ed ogni singolo giudice possa valutare diversamente il medesimo accertamento di illecito, contraddicendo il fine principale della direttiva di armonizzare l’enforcement degli stati membri.
2.2 Problema che si riflette concretamente sui procedimenti di risarcimento del danno è l’assenza di specifiche previsioni in materia di class action.
Tele problema è recentemente passato in una dimensione concreta nel nostro paese con la L.31/2019 entrata in vigore il 19 Aprile 2020. Questa legge introduce una nuova disciplina dell’azione di classe risarcitoria, che verrà integralmente trasposta nel codice di procedura civile al nuovo Titolo VIII-bis, rubricato “dei procedimenti collettivi”, abrogando conseguentemente l’art. 140 bis del codice del consumo. Il punto focale della riforma sulle class action è l’estensione della legittimità attiva di questa azione non solo ai consumatori ma ad ogni soggetto che avanza pretese risarcitorie in relazione a lesioni di diritti individuali omogenei. Inoltre, ai sensi dell’ art. 840 bis c.p.c., l’azione deve essere promossa nei confronti di imprese “relativamente ad atti e comportamenti posti in essere nello svolgimento delle loro rispettive attività”.
In attesa che essa inizi a concretizzare i suoi effetti c’è chi ha fatto notare come potrebbe comportare il rischio di una maggiore esposizione di talune imprese alle azioni risarcitorie e di una crescita esponenziale dell’ammontare degli eventuali risarcimenti da corrispondere, i quali, se sommati alle sanzioni irrogate dalle Autorità antitrust in caso di azioni follow on, potrebbero pregiudicare la sopravvivenza stessa delle imprese. 14
3. Prospettive
Il panorama dell’antitrust enforcement venutosi a delineare dall’entrata in vigore del D.lgs 3/2017, nonostante i diversi appunti sottolineati, ha iniziato a dare i suoi frutti anche dal punto di vista applicativo, fondamentale per capire i pregi e i limiti di ogni novità normativa.
Il Tribunale di Milano, una delle tre sezioni specializzate in materia di risarcimento di danno antitrust15, ha delinato la figura delle cd. azioni quasi follow on. Con la sentenza 2110/2018 il tribunale meneghino ha accolto una azione intrapresa da soggetti che non avaveno partecipato direttamente al procedimento tenutosi dinanzi all’AGCM ma facevano valere l’accertamento dell’illecito compiuto in questa sede, consentendo pertanto una più ampia legittimazione attiva.
Le criticità sopra esposte, soprattutto quelle che risalgono al contenuto della Direttiva 2014/104, potrebbero essere risolte a breve, poichè ai sensi dell’art.20 della direttiva, La Commissione riesamina la presente direttiva e presenta una relazione al Parlamento europeo e al Consiglio entro il 27 dicembre 2020, valutando altresì la possibilità di effettuare una nuova proposta legislativa che vada a riformare in modo più incisivo l’intero assetto di enforcement.
Sarebbe opportuno pensare ad una modifica dell’impianto pubblicistico in sede europea che avrebbe degli immediati riflessi anche sull’assetto privatistico alla luce del legame instauratosi; l’attuale impianto potrebbe avere il limite di non contemplare una autorità antitrust indipendente e lasciare tutto in mano alla stessa Commissione, per gli stessi principi per cui tutti gli stati membri hanno le proprie autorità indipendenti dagli organi legislativi a tutela del mercato. Data la crisi economica e politica che l’Unione sta vivendo a causa della pandemia sarebbe opportuno ripensare in termini più generali alla tutela della concorrenza e al ruolo che hanno in merito le istituzioni europee.
1Corte di Giustizia UE, sentenza del 20 settembre 2001 nell’ambito del procedimento C-453/99. Precedentemente si riteneva che avessero diritto al risarcimento solo i consumatori e i terzi, non anche i soggetti che avevano inizialmente partecipato all’accordo costituente illecito. F,CASOLARI, Diritto a un pieno risarcimento, in Il risarcimento del danno nel diritto della concorrenza, Giappichelli 2017
2Corte di Giustizia UE, Manfredi c. Lloyd Adriatico Assicurazioni, 13 luglio 2006, cause riunite C-295/2004, C-296/04, C-297/04, C.298/04, riguardante la richiesta di risarcimento intrapresa da soggetti terzi rispetto all’intesa restrittiva della concorrenza
3Libro verde, Azioni di risarcimento del danno per violazione delle norme antitrust comunitarie, Bruxelles 19/12/2005 COM (2005)674, www.europarl.europa.eu. Individuava i punti che il diritto comunitario avrebbe dovuto portare a termine, indicando fra le questioni principali il procedimento giurisdizionale per ottenere il risarcimento del danno, focalizzandosi su accesso alle prove e tutela dei consumatori
4Libro Bianco in materia di azioni di risarcimento del danno per violazione delle norme antitrust comunitarie, 2/04/2008
5Gazzetta ufficiale dell’Unione Europea 05/12/2014, in ww.eur-lex.europa.eu
6Art.15 comma 2-bis l.287/1990, “strumento ‘premiale’ per le imprese che denunciano i cartelli ai quali partecipano. Grazie a questa norma l’Antitrust può decidere di valorizzare il contributo delle imprese che denunciano l’intesa non imponendo loro la sanzione o riducendola, in base alla tempestività e alla qualità delle informazioni fornite.” https://www.agcm.it/competenze/tutela-della-concorrenza/intese-e-abusi/programma-di-clemenza
7Competenza funzionale inderogabile del TAR Lazio
8 R.RODORF , Il ruolo del giudice e quello dell’Autorità nazionale della Concorrenza e del Mercato nel risarcimento del danno antitrust, in Società (Le), 2014, n. 7, p. 784
9 Corte EDU, sez. II, sent. 27.9.2011, Menarini Diagnostics s.r.l. c. Italia. Definisce sostanzialmente penali le sanzioni antitrust basandosi sui criteri dati dalla sentenza della stessa Corte di Strasburgo Engel c. Paesi Bassi del 1976 secondo la quale il carattere penale di una sanzione deriva dal soddisfacimento di uno soltanto dei tre criteri conosciuti, appunto, come “criteri di Engel”, più precisamente: 1) la qualificazione del diritto interno; 2)la natura
dell’infrazione; 3) la severità della pena
10D.PORENA, Rilievi ed osservazioni, in prospettiva costituzionale, sul D. Lgs. n. 3/2017 (attuazione della Direttiva 2014/104/UE in materia di “antitrust private enforcement”). Il ruolo della giurisdizione nazionale: dalla soggezione del giudice soltanto alla legge alla soggezione del giudice alla legge…ed alla Autorità antitrust?, in Federalismi.it 28/03/2018
11M.C.MALAGUTI – L.OGLIO – S.VANONI, Politiche antitrus, Ieri oggi e domani, Atti convegno 26/06/206, Giappichelli Editore
12G.DI FEDERICO, Effetti delle decisioni definitive degli organi nazionali e degli organi degli altri Stati membri, in Il risarcimento del danno nel diritto della concorrenza, Giappichelli 2017;
13G.A.BENACCHIO, Assetti istituzionali e prospettive applicative del private antitrust enforcement dell’UE, Atti del VI Convegno biennale Antitrust Facoltà di Giurisprudenza Trento, 6-8 aprile 2017
14E.A.RAFFAELLI, Il private antitrust enforcement dopo la Direttiva Danni: troppi problemi ancora irrisolti? , in Federalismi.it 17 luglio 2019
15Art.18 d.lgs 3/2017 conferisce la competenza sul danno antitrust alle sezioni specializzate in materia di impresa dei tribunali di Milano, Roma e Napoli
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Praticante avvocato.
Mi occupo, attraverso associazioni culturali senza scopo di lucro, di diffondere il diritto negli istituti secondari.
Principali materie di studio: Diritto Amministrativo, Costituzionale, Antitrust.