Il problema della giurisdizione nel campo dei diritti indegradabili

Il problema della giurisdizione nel campo dei diritti indegradabili

Sommario: 1. Premessa – 2. Evoluzione storica del sistema della giustizia amministrativa – 3. La Legge n. 5992 del 1889 – 4. Le sentenze della Corte Costituzionale nn. 204/2004 e 191/2006 – 5. Il riparto di giurisdizione nel codice del processo amministrativo – 6. I criteri del riparto di giurisdizione – 7. Differenze tra limiti interni ed esterni – 8. Forme di giurisdizione – 9. I diritti indegradabili: nozione e storia – 10. Diritti indegradabili e diritto alla salute: orientamenti a confronto – 11. Rilievi critici – 12. Conclusioni

 

1. Premessa

La giurisdizione è l’attività del potere giudiziario diretta all’attuazione della norma giuridica nel caso concreto.

Come si dirà in seguito, la legge n. 5992 del 1889 ha dato vita a un sistema dualistico di giustizia amministrativa: da un lato, il giudice ordinario, per la tutela di diritti soggettivi; dall’altro, il giudice amministrativo, preposto alla tutela di interessi legittimi.

Tra le situazioni giuridiche soggettive, la giurisprudenza ha individuato i cosiddetti “diritti indegradabili”, riconosciuti dalla Costituzione e insuscettibili di compressione da parte del potere pubblico.

Si trattava di tutta una serie di diritti soggettivi assoluti che, essendo diritti di natura personalissima o per il loro rango costituzionale., non erano degradabili a interessi legittimi.

Si riteneva che, per garantire tutela a tali diritti fondamentali, nel caso di lesione da parte del potere amministrativo, non avrebbe dovuto applicarsi il suddetto criterio di distinzione tra diritti soggettivi e interessi legittimi. Tali diritti dovevano essere tutelati davanti al giudice ordinario come diritti soggettivi, anche nei confronti della P.A.

L’evoluzione della giustizia amministrativa e i poteri riconosciuti al giudice amministrativo hanno tolto ogni pregio alla teoria dei diritti inaffievolibili, mettendo in evidenza una serie di criticità.

2. Evoluzione storica del sistema della giustizia amministrativa

In Italia, il sistema della giustizia amministrativa si è evoluto gradualmente, a partire dal XIX secolo fini all’adozione del codice del processo amministrativo, attraverso l’attività del legislatore e della giurisprudenza.

Negli Stati preunitari, il contenzioso amministrativo era affidato a un complesso di organi, commissioni e tribunali speciali, separati dai tribunali ordinari; questi organismi, definiti “amministrazione contenziosa”, erano istituiti nei vari Stati per risolvere le controversie in cui fosse coinvolto il potere esecutivo, in relazione a determinate materie. Essi erano organismi dipendenti dal potere sovrano e non erano considerati giudici in senso proprio.

Con l’unificazione nazionale, si pose il problema di riordinare la materia della giustizia amministrativa. Fino a quel momento il contenzioso amministrativo era stato attribuito alla stessa Pubblica Amministrazione, impedendo, in tal modo, il rispetto dei canoni di imparzialità, indipendenza e neutralità.

I Tribunali del contenzioso amministrativo vennero soppressi e le controversie furono devolute al giudice ordinario.

Ai sensi dell’art. 2 della Legge n. 2248 del 1865, All. E (LAC), venivano attribuiti alla giurisdizione del giudice ordinario tutte le controversie in materia di diritti civili e politici. Quanto ai poteri del giudice ordinario, ai sensi degli artt. 4 e 5 LAC, egli, nell’ipotesi di un diritto leso da un atto dell’autorità amministrativa, non poteva né revocare l’atto, né modificarlo o annullarlo.

Al giudice ordinario era attribuito unicamente il potere di emanare sentenze dichiarative o di mero accertamento per disapplicare il provvedimento lesivo del diritto soggettivo, in contrasto con la legge.

La legge del 1865 segnava una svolta nel sistema giurisdizionale; tuttavia rimaneva un deficit di tutela per il cittadino in tutte le controversie nelle quali si faceva questione di interessi e non di diritti.

3. La Legge n. 5992 del 1889

Al fine di superare tale impasse, con la Legge n. 5992 del 1889 venne istituita la IV sezione del Consiglio di Stato con il fine di decidere sui ricorsi per incompetenza, eccesso di potere o per violazione di legge contro atti e provvedimenti dell’autorità amministrativa aventi ad oggetto interessi (art. 3).

Il nuovo rimedio era un ricorso volto a contestare la legittimità di un provvedimento lesivo di un interesse del ricorrente e finalizzato a dichiararne l’annullamento con efficacia retroattiva, per ripristinare la situazione di fatto e diritto esistente prima dell’emanazione del provvedimento illegittimo.

La legge del 1889 integrò la legge abolitrice del contenzioso del 1865, dando vita a un sistema dualistico di giustizia amministrativa: da un lato, il giudice ordinario, per la tutela di diritti soggettivi; dall’altro, il giudice amministrativo, preposto alla tutela di interessi legittimi.

Il suddetto sistema dualistico trova conferma nell’impianto costituzionale ai sensi degli artt. 24 e 113 Cost, nei quali trovano paritaria collocazione diritti e interessi legittimi.

Ai sensi dell’art. 103 Cost., “il Consiglio di Stato e gli altri organi di giustizia amministrativa hanno giurisdizione per la tutela nei confronti della pubblica amministrazione degli interessi legittimi e, in particolari materie indicate dalla legge, anche dei diritti soggettivi.” Pertanto, il giudice amministrativo è il giudice naturale degli interessi legittimi.

Sennonché, in talune particolari materie indicate dalla legge, il giudice amministrativo può conoscere altresì situazione giuridiche di diritto soggettivo. Si tratta di quelle ipotesi in cui vi è difficoltà nella distinzione tra situazione di diritto soggettivo e di interesse legittimo e si vuole assicurare effettività della tutela davanti a un unico giudice.

4. Le sentenze della Corte Costituzionale nn. 204/2004 e 191/2006

La Corte Costituzionale[1] ha precisato il significato dell’espressione “particolari materie” di cui all’art. 103 Cost. La giurisdizione esclusiva deve riguardare materie nelle quali l’amministrazione agisce come autorità e nelle quali la tutela dei diritti soggettivi è ancillare rispetto a quella degli interessi legittimi. La Corte ha escluso che al fine di radicare la giurisdizione del giudice amministrativo sia sufficiente che la controversia coinvolga una pubblica amministrazione oppure interi blocchi di materie. Il riparto di giurisdizione, secondo la Corte, deve tenere conto della situazione giuridica soggettiva lesa. Inoltre, con la suddetta pronuncia, la Corte Costituzionale ha affermato che rientra nella giurisdizione del giudice amministrativo anche la tutela risarcitoria dell’interesse legittimo.

I giudici della Corte Costituzionale[2] sono intervenuti nuovamente al fine di affermare che il potere del giudice amministrativo di disporre il risarcimento del danno non costituisce una nuova materia attribuita alla giurisdizione amministrativa, bensì è uno strumento di tutela ulteriore a quello demolitorio riconosciuto in via tradizionale a fronte della lesione di una situazione giuridica soggettiva.

La pronuncia della Corte ha inoltre precisato che è costituzionalmente legittima la devoluzione al giudice amministrativo delle controversie relative a comportamenti, purché siano comportamenti illegittimi realizzati dai pubblici poteri. Non è possibile, invece, attribuire alla giurisdizione del giudice amministrativo controversie relative a comportamenti posti in essere in via di mero fatto.

5. Il riparto di giurisdizione nel codice del processo amministrativo

L’impianto del riparto di giurisdizione contenuto negli artt. 103 e 113 Cost. si riflette nel codice del processo amministrativo.

L’art. 7 c.p.a. è una norma ricognitiva delle regole di riparto della giurisdizione individuate nella Costituzione e interpretate dalla Corte Costituzionale. L’art. 7 c.p.a., in effetti, precisa che sono devolute alla giurisdizione del giudice amministrativo le controversie in cui si fa questione di interessi legittimi e, nelle particolari materie indicate dalla legge, di diritti soggettivi, così riproducendo il contenuto dell’art. 103 Cost.

Inoltre, la norma individua l’oggetto della giurisdizione amministrativa nell’esercizio del potere amministrativo. Tra le modalità di manifestazione di quest’ultimo, l’art. 7 c.p.a. considera anche il mancato esercizio del potere amministrativo, ossia il silenzio e l’inerzia della P.A.; nonché atti, accordi e comportamenti riconducibili all’esercizio del potere dell’amministrazione.

Il combinato disposto degli artt. 7 c.p.a. e 103 Cost. evidenzia che il riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e amministrativo è affidato alla distinzione tra diritti soggettivi e interessi legittimi. Tuttavia, non sempre risulta semplice distinguere tra questi ultimi.

6. I criteri del riparto di giurisdizione

La giurisprudenza ha elaborato alcuni criteri utili a evidenziare, in base agli elementi della controversia, quando si è di fronte a un diritto soggettivo ovvero a un interesse legittimo. Il criterio più accreditato per effettuare la predetta distinzione è quello della causa petendi. Tale criterio considera la natura della situazione soggettiva dedotta in giudizio, individuabile in base alla protezione sostanziale garantita dall’ordinamento.

7. Differenze tra limiti interni ed esterni

Il riparto di giurisdizione basato sulla distinzione tra diritti soggettivi e interessi legittimi segna il limite della giurisdizione del giudice amministrativo. Il giudice amministrativo ha il potere di decidere nelle controversie che riguardano interessi legittimi, salvo le ipotesi di giurisdizione esclusiva. Inoltre, l’ordinamento individua altri limiti alla giurisdizione del giudice amministrativo.

Il principio di separazione dei poteri impedisce la sostituzione del potere giurisdizionale al potere legislativo, al potere amministrativo o ancora al potere appartenente al giudice di un altro ordinamento. Di regola, il giudice amministrativo può sindacare solo la legittimità, ma non l’opportunità di un provvedimento. Il merito delle scelte discrezionali compiute dalla pubblica amministrazione non è oggetto di controllo da parte del giudice, salvo le ipotesi in cui, in via eccezionale, al giudice amministrativo è riconosciuta una giurisdizione estesa al merito.

Un altro caso di violazione dei limiti si verifica quando il giudice amministrativo effettua un sindacato su un atto politico.

Nell’ipotesi in cui il giudice amministrativo superi i limiti imposti alla sua giurisdizione è proponibile ricorso in Cassazione per difetto di giurisdizione ai sensi degli artt. 111 ult. co., Cost., 362 c.p.c. e 110 c.p.a. La Corte di Cassazione ritiene impugnabile con ricorso in Cassazione la sentenza del giudice amministrativo quando neghi il proprio potere di decidere, e anche quando rifiuti di attribuire una tutela che l’ordinamento riconosce alla situazione giuridica soggettiva azionata in giudizio.

La giurisprudenza è giunta a tale conclusione evidenziando una nozione evolutiva del concetto di giurisdizione, il quale ricomprende l’esercizio di tutte le forme di tutela che l’ordinamento riconosce a un giudice per assicurarne l’effettività.

8. Forme di giurisdizione

L’art. 7, co. 3, c.p.a. individua tre tipologie di giurisdizione del giudice amministrativo.

La giurisdizione generale di legittimità che individua il potere del giudice amministrativo di decidere le controversie relative a interessi legittimi.

La giurisdizione esclusiva attribuita al giudice amministrativo per la cura di determinate materie, nell’ambito della quale egli può conoscere anche diritti soggettivi.

Infine, la giurisdizione estesa al merito che riguarda anch’essa materie specifiche ed ha carattere eccezionale. In tal caso, il giudice può non solo annullare il provvedimento amministrativo, ma anche modificarlo, sostituendosi alla P.A.

9. I diritti indegradabili: nozione e storia

La distinzione tra diritti soggettivi e interessi legittimi è, come già detto, alla base del riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo.

Tra le situazioni giuridiche soggettive, occorre porre l’attenzione sui “diritti indegradabili” (o “non affievolibili”).

Tale categoria è stata creata dalla giurisprudenza per garantire una tutela piena a quelle particolari situazioni soggettive che, essendo riconosciute dalla Costituzione, dovrebbero essere immuni da qualsiasi forma di compressione da parte del potere pubblico.

La teoria dei diritti inaffievolibili è stata elaborata in un periodo in cui la tutela che il giudice amministrativo era in grado di attribuire agli interessi legittimi era inferiore a quella che il giudice ordinario garantiva nel caso di diritti soggettivi.

Secondo i giudici di legittimità, almeno per la tutela dei diritti fondamentali lesi da parte del potere amministrativo, non avrebbe dovuto applicarsi il criterio di distinzione tra diritti soggettivi e interessi legittimi basato sul binomio “carenza di potere – cattivo uso di potere”. Altrimenti opinando, l’applicazione di tale criterio avrebbe determinato la devoluzione al giudice amministrativo, sotto forma di interessi legittimi, di diritti fondamentali lesi dal cattivo uso di potere, con dei limiti evidenti in punto di tutela.

Così, la Cassazione ha individuato tutta una serie di diritti soggettivi assoluti che, avendo rilevanza costituzionale come diritti fondamentali, non possono essere degradati a interessi legittimi. Si tratta di quei diritti di natura personalissima o per il loro rango costituzionale.

I suddetti diritti non possono essere compressi o affievoliti dall’esercizio del potere amministrativo e sono tutelati anche contro l’attività della P.A. Fondamento di tale teoria è che alcuni diritti godono di una tutela rafforzata che ne impedisce la modificabilità da parte del potere amministrativo. Tali diritti devono essere tutelati davanti al giudice ordinario come diritti soggettivi, anche nei confronti della P.A.

Nell’ordinamento giuridico si distinguono due tipi di situazioni giuridiche. Da un lato, le situazioni soggettive “a nucleo variabile”, in relazione alle quali si configura un potere dell’amministrazione capace di degradare i diritti a interessi legittimi, o di espandere questi ultimi sino ad elevarli a diritti. Dall’altro, posizioni soggettive “a nucleo rigido” che non possono essere sacrificate.

10. Diritti indegradabili e diritto alla salute: orientamenti a confronto

Tra le posizioni soggettive “a nucleo rigido” va valorizzato il diritto alla salute, rispetto al quale sulla teoria dei diritti indegradabili si fronteggiano opinioni diverse.

Secondo un primo orientamento, il diritto alla salute sarebbe sempre una posizione non affievolibile, con la conseguenza che la cognizione spetta sempre al giudice ordinario, anche quando è coinvolto l’interesse pretensivo alla salute.

Un altro orientamento ritiene che occorre distinguere tra i casi in cui il diritto alla salute si presenta con un contenuto prevalentemente oppositivo (nel senso di impedire lesioni dell’integrità fisica) ed i casi in cui ha contenuto prevalentemente pretensivo (ossia, come diritto a migliorare le proprie condizioni). Nel primo caso, la posizione sarebbe quella di diritto assoluto non affievolibile (e quindi di un diritto soggettivo devoluto alla giurisdizione del giudice ordinario); nel secondo caso, invece, ci si troverebbe di fronte a un diritto condizionato, e la giurisdizione sarebbe del giudice amministrativo.

Alla stregua di un terzo orientamento non si nega che il diritto alla salute, nella sua componente pretensiva, potrebbe essere considerato un diritto assoluto. Ma ciò soltanto nei casi caratterizzati da estrema gravità, ossia per quelle ipotesi in cui si deve fronteggiare un rischio mortale o una situazione di acuta sofferenza.

11. Rilievi critici

Il quadro interpretativo suesposto si espone a una serie di critiche.

La dottrina ha affermato che la teoria dei diritti indegradabili è in contrasto con la Costituzione perché il titolare di un diritto fondamentale può paralizzare l’attività della P.A., in conflitto con i principi di solidarietà sociale e buon andamento dell’attività amministrativa. Inoltre, anche nel campo dei diritti costituzionalmente rilevanti, il legislatore ha attribuito poteri alla P.A. per verificare quali siano le migliori modalità per contemperare la tutela di interessi pubblici con gli interessi individuali.

La base della teoria dei diritti indegradabili è la dottrina dell’affievolimento che postula l’esistenza di diritti che sono degradabili. Ma tale teoria è imprecisa poiché a fronte di un atto amministrativo con il quale la P.A. provvede con riguardo a un oggetto affidato all’esercizio dei suoi poteri autoritativi, il diritto del privato viene estinto ovvero modificato nel suo contenuto. E in tale ultimo caso, rimane un diritto e non viene trasformato in interesse.

L’interesse legittimo è una posizione soggettiva autonoma rispetto al diritto soggettivo. Essa trae fondamento e contenuto dal rapporto che si crea tra l’interesse del privato e quello pubblico alla cui cura è preposto l’esercizio del potere dell’amministrazione.

Infine, i diritti fondamentali sono, come ogni altro diritto, soggetti al bilanciamento e alla possibilità che la loro tutela avvenga secondo modalità differenti che dipendono dalla presenza e rilevanza di altri interessi o diritti.

12. Conclusioni

Alla luce di quanto detto, si può sostenere che se il privato è portatore di un diritto fondamentale, ciò non muta la situazione giuridica soggettiva nel rapporto con l’amministrazione, che potrà essere sia diritto soggettivo, sia interesse legittimo.

La teoria dei diritti inaffievolibili esprimeva l’esigenza di attribuire una tutela effettiva che il giudice amministrativo non era in grado di garantire nei confronti dell’interesse legittimo.

Allo stato attuale, la predetta teoria è priva di giustificazione, poiché l’evoluzione del diritto amministrativo ha attribuito al giudice tutte le tecniche di tutela necessarie a garantire una tutela adeguata nei confronti dei diritti fondamentali, piena e conforme ai precetti costituzionali di riferimento.

In materia di diritti fondamentali, al fine di garantire la loro tutela, si apre la strada della giurisdizione generale di legittimità (ove tali diritti assumano la veste di interessi legittimi), salvo le particolari ipotesi di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.

 

 


[1] Corte Cost., sent. n. 204 del 2004
[2] Corte Cost., sent. n. 191 del 2006

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Ambra Calabrese

Avvocato
Laurea Magistrale in Giurisprudenza presso l'Università degli Studi di Catania, con tesi di laurea in diritto processuale penale dal titolo "L'avviso di conclusione delle indagini preliminari". Conseguimento del diploma di specialista in professioni legali presso la Scuola di specializzazione per le professioni legali "La Sapienza" di Roma. Abilitazione all'esercizio della professione forense presso la Corte d'Appello di Roma. Master in Diritto di famiglia e minori conseguito presso Studio Cataldi in collaborazione con il Centro Studi di Diritto di famiglia e dei minori di Roma. Funzionario amministrativo presso il Ministero dell'agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste.

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