Il procedimento di rivalutazione periodica ex art. 2 d.l. 29/2020 al vaglio della Consulta
Sommario: 1. L’intervento del d.l. 29/2020 e le scelte della magistratura di sorveglianza – 2. Il contenuto del decreto-legge – 3. Le questioni di legittimità costituzionale sollevate e i profili censurati
1. L’intervento del d.l. 29/2020 e le scelte della magistratura di sorveglianza
Pendono le prime spade di Damocle sull’applicazione del decreto legge n. 29 del 2020, recante misure urgenti “in materia di detenzione domiciliare o di differimento della pena per motivi connessi all’emergenza sanitaria da COVID-19”. Il decreto, che si colloca nella prolifica legislazione emergenziale che ha caratterizzato i mesi scorsi, è stato adottato dal Governo sulla scia della polemica mediatica relativa alla presunta “facilità” con cui i Tribunali di Sorveglianza di tutt’Italia hanno concesso a condannati per reati gravi (afferenti alla criminalità organizzata) misure alternative alla detenzione carceraria per arginare il diffondersi dell’epidemia nelle strutture carcerarie con riferimento ai condannati che disponevano già di un quadro clinico compromesso.
La magistratura di sorveglianza, prima del decreto n. 29/2020, si è trovata in una situazione inaspettata a fronte delle istanze di ammissione a misure alternative reiterate dai difensori di tali condannati “eccellenti” nel contesto dell’emergenza epidemica. In alcuni casi, si è trattato di istanze identiche a precedenti già rigettate, ma fondate su nuovi motivi emersi. Per analizzare un caso tra i tanti, particolare attenzione mediatica ha suscitato la posizione di Carmelo Terranova, noto membro apicale di un clan siciliano. Per il Terranova il Tribunale di Sorveglianza di Bari aveva già rigettato la domanda di applicazione di misure alternative alla detenzione carceraria (T.S. Bari, ordinanza del 23.4.2019), con una valutazione pienamente confermata dalla Suprema Corte di Cassazione (Cass. Pen., Sez. I, sentenza n. 52005/2019[1]), la quale aveva ritenuto che non sussistessero i presupposti di incompatibilità con lo stato detentivo intramurario né ai fini dell’applicazione della detenzione domiciliare cd. umanitaria (art. 47-ter, comma 3-ter), né per il differimento dell’esecuzione penale (art. 147, c. 1, n. 2 c.p.) anche nelle forme della detenzione domiciliare cd. surrogatoria, nonostante il complesso quadro clinico del condannato[2]. Prima dell’entrata in vigore del decreto legge n. 29 del 2020, il Tribunale di Sorveglianza di Bari ha invece ritenuto che le condizioni di salute del Terranova, collocate nel contesto di emergenza epidemiologica, non permettessero di formulare negativamente un giudizio di compatibilità con il regime intramurario: così ammettendo il condannato al regime della detenzione domiciliare.
Il Governo, sulla scia delle polemiche per la presunta “facilità” con cui si assisteva alla scarcerazione di condannati per reati di criminalità organizzata, ha varato il decreto legge n. 29 del 2020, con il quale è intervenuto sia sul versante dell’esecuzione penale, sia su quello dell’attenuazione delle misure custodiali in fase di cognizione.
2. Il contenuto del decreto-legge
Il d.l. 29/2020 ha introdotto a carico degli Uffici Giudiziari competenti l’obbligo di procedere a cadenze prefissate (nel primo periodo entro quindici giorni dall’ordinanza di ammissione alla misura; successivamente a cadenza mensile) ad una rivalutazione complessiva della sussistenza dei presupposti di accesso ai benefici penitenziari in questione (detenzione domiciliare per motivi di salute e differimento ex art. 147, comma 1, n. 2, c.p.) o a misure cautelari meno gravose (nella dialettica tra custodia cautelare in carcere e arresti domiciliari). Nello specifico, l’art. 2 del succitato decreto ha introdotto ex novo un inedito procedimento di rivalutazione periodica entro termini temporali stringenti.
L’attività di rivalutazione periodica impone alla magistratura di sorveglianza (in sede di applicazione provvisoria per l’organo monocratico o in sede collegiale) di acquisire il parere del Procuratore distrettuale antimafia, del Procuratore nazionale, chiedendo altresì all’Autorità Sanitaria a livello regionale (in persona del Presidente) informazioni sull’andamento dell’epidemia nel contesto regionale e al Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria informazioni circa l’attuale disponibilità di strutture penitenziarie idonee per le cure di cui i condannati ammessi al regime extramurario necessitavano. Tale passaggio normativo – la richiesta di informazioni al D.A.P. – è di agevole comprensione nella logica del legislatore: qualora dal Dipartimento vengano individuate strutture carcerarie che dispongono di presidi sanitari sufficientemente attrezzati per la cura dei condannati in questione, verrebbero meno – sulla basi di un “quasi” automatismo – i presupposti per formulare il giudizio di incompatibilità con il regime intramurario, così potendo i Tribunali di Sorveglianza revocare (immediatamente e con un provvedimento immediatamente esecutivo) l’ordinanza di ammissione alla misura alternativa e disporre la nuova carcerazione per cessazione dei presupposti applicativi della misura precedentemente disposta.
3. Le questioni di legittimità costituzionale sollevate e i profili censurati
L’entrata in vigore della nuova normativa ha imposto agli Uffici di sorveglianza un carico di lavoro di notevole mole: e, come prevedibile, sono sorti diversi dubbi circa la compatibilità della nuova disciplina con le disposizioni costituzionali. In particolare, ad oggi, sono tre gli Uffici che hanno sollevato davanti alla Consulta la questione di legittimità costituzionale: il Magistrato di sorveglianza di Avellino (ordinanza del 3 giugno 2020), il Magistrato di sorveglianza di Spoleto (ordinanza del 26 maggio 2020) e il Tribunale di Sorveglianza di Sassari (ordinanza del 9 giugno 2020, n. 645).
Procedendo in ordine, identici sono i dubbi di legittimità costituzionale dell’art. 2 del decreto legge sollevati dai due organi monocratici; diversamente articolato sotto due profili è il giudizio di non manifesta infondatezza formulato dal collegio di Sassari, che coinvolge diversi profili di illegittimità rispetto a quelli individuati dai due Magistrati di sorveglianza.
I Magistrati di sorveglianza di Spoleto e Avellino hanno entrambi accolto la tesi della difesa che sollevava dubbi di legittimità costituzionale sulla stessa struttura, ex art. 2, del procedimento di rivalutazione. I due Magistrati hanno infatti ritenuto non manifestamente infondata l’assenza di compatibilità dell’art. 2 del decreto legge con gli articoli 24, comma 2, e 111, comma 2, della Costituzione: ossia relativi al principio del contraddittorio. In particolare il Magistrato di sorveglianza di Spoleto pone in evidenza di come, seppur nella disarticolazione dei procedimenti di sorveglianza attualmente esistenti (tra i quali emerge in particolare il procedimento di applicazione provvisoria ex art. 684 c.p.p.), il neonato procedimento di rivalutazione non presenta alcun elemento in comune con i modelli procedimentali conosciuti dall’ordinamento: è assente una comunicazione di inizio del procedimento, né è prevista una necessaria interlocuzione con la difesa. Di qui ne deriva una palese violazione del principio di parità delle armi processuali, a cui il legislatore deroga altrove per espressa disposizione di legge e in procedimenti che non iniziano ex officio, ma su istanza di parte (cfr: procedimento in materia di liberazione anticipata). D’altra parte, analoghi modelli procedimentali a contraddittorio debolissimo sono previsti laddove il concreto apporto di eventuali memorie difensive sia nullo: ad esempio nel procedimento avviato d’ufficio per sopravvenienza di nuovi titoli privativi della libertà (art. 51-bis o.p.), ovvero nel procedimento di sospensione cautelativa della misura alternativa alla detenzione carceraria in attesa della decisione definitiva del Tribunale di Sorveglianza (art. 51-ter o.p.).
Al contrario, si valorizza particolarmente la parte pubblica, mediante l’obbligatorietà del parere delle Procure richiamate dalla norma e in relazione alle informazioni da richiedersi al D.A.P. Né, d’altra parte, è previsto in qualsiasi caso che alla difesa sia data contezza delle risultanze istruttorie. Tali elementi conducono il Magistrato a ritenere che il procedimento sia censurabile davanti alla Consulta per violazione del contraddittorio: “Il campo delle revoche delle misure alternative alla detenzione è proprio quello in cui la pienezza del contraddittorio appare caratteristica indefettibile”, nota il giudice rimettente alla luce dei modelli procedimentali esistenti in materia penitenziaria.
Ad analoghe conclusioni giunge il Magistrato di sorveglianza di Avellino, il quale valorizza nuovamente l’insussistenza di qualsiasi contraddittorio con la difesa – specialmente nel caso in cui gravato della rivalutazione sia l’organo monocratico e non il collegiale; inoltre, introduce un ulteriore censura, relativa alla violazione del diritto alla salute di cui all’art. 32 della Costituzione, che è trattata in maniera esauriente dall’ordinanza di rimessione degli atti alla Consulta del Tribunale di Sorveglianza di Sassari.
I giudici di Sassari lamentano, in particolare, l’illegittimità costituzionale dell’art. 2 sotto ogni profilo del procedimento di rivalutazione. In primo luogo, focalizzano l’attenzione sul bilanciamento tra diritto alla salute e legittimità delle istituzioni ad eseguire le pene inflitte. Tale bilanciamento non è per nulla estraneo all’ordinamento penitenziario, posto che nei casi di maggiore gravità l’ordinamento prevede le ipotesi di differimento obbligatorio dell’esecuzione all’art. 146 c.p., mentre nei casi di minore, ma ugualmente consistente, gravità vi è il presidio dell’art. 147 c.p. – ossia il differimento facoltativo, eventualmente anche nelle forme della detenzione domiciliare cd. “surrogatoria” di cui all’art. 47-ter, comma 3-ter. Il bilanciamento è tra due principi di rango costituzionale: per tale motivo il legislatore ha rimesso al prudente apprezzamento dei collegi di sorveglianza la definizione dei casi in cui la bilancia debba pendere dal lato della maggiore pericolosità sociale (negando il differimento), ovvero dal lato della tutela della salute del condannato. Richiamando consolidata giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (in particolare, il caso Provenzano c. Italia), il collegio valorizza la scarsa attitudine del diritto alla salute a subire compressioni, seppur in bilanciamento con altri principi di rango costituzionale, sino a giungere a configurare una “ipotutela di diritti fondamentali” per i condannati che, seppur tali per titoli di notevole allarme sociale, versano in condizioni cliniche gravi. Lì dove per “gravità” non deve intendersi solo l’assoluta incompatibilità con lo stato detentivo intramurario, ma altresì l’esistenza di un serio pericolo di vita derivante dalla protrazione del regime carcerario.
In secondo luogo, il Tribunale dubita anche della legittimità costituzionale dell’art. 5 del decreto, che introduce propriamente una deroga vistosa al principio di irretroattività della legge penale: passaggio, questo, che richiama per alcuni versi il dibattito sulla natura delle norme in materia penitenziaria, recentemente riaffrontata dalla Consulta con riferimento al decreto “Spazzacorrotti”, alla cui sentenza si rimanda (Corte Cost., sentenza n. 32/2020). Tale norma del decreto infatti rende applicabile la sopravvenuta disciplina a tutti i provvedimenti pertinenti adottati dagli Uffici Giudiziari dal 23 febbraio 2020
In ultimo, il collegio evidenzia di come i termini stringenti previsti dall’art. 2 – termini che si ritiene possano fissarsi solo ad opera del potere giudiziario stesso, integrando perciò una violazione del principio di separazione dei poteri – per avviare il procedimento di rivalutazione periodica siano da un lato meramente ordinatori (al più, acceleratori); d’altra parte siano del tutto incongrui per ottenere una soddisfacente istruttoria che permetta al collegio di valutare compiutamente i pregressi o regressi clinici del condannato, e di valutare globalmente l’utilità dell’indicazione fornita dal Dipartimento per l’Amministrazione Penitenziaria in ordine alla disponibilità attuale di istituti che forniscano cure adeguate al condannato. Ciò che si censura in tale secondo passaggio è, pertanto, l’automatismo normativo che sopprime l’autonomia decisionale del potere giudiziario. La norma, per come scritta, formulerebbe infatti un obbligo di revoca immediata della misura alternativa nel caso in cui il D.A.P. comunichi l’esistenza di presidi sanitari adeguati.
In particolare dall’ordinanza del Tribunale di Sassari emerge, infatti, di come il decreto n. 29/2020 abbia un’unica finalità, perseguita a giudizio dei giudici rimettenti con modalità normativamente maldestre: ossia quella di privilegiare il ripristino dello stato detentivo, comprimendo in maniera sproporzionata il diritto alla salute del condannato e sbilanciandosi verso la riaffermazione della pretesa punitiva dello Stato a scapito della tutela dei diritti fondamentali dei detenuti.
4. Conclusioni
Il dibattito, quindi, si concentra non solo sul difficile bilanciamento tra diritti individuali e protezione della collettività, in particolare nel caso di reati che lacerano l’integrità del tessuto sociale come i delitti associativi di stampo mafioso; ma anche sul rapporto tra diritto interno e diritto sovranazionale, atteso che un forte sostegno alla tutela dei diritti dei detenuti proviene proprio dalla copiosa giurisprudenza della Corte EDU (basti ricordare, ex multis, la sentenza nel caso Torreggiani c. Italia, che ha aperto la strada per l’introduzione nell’ordinamento penitenziario italiano dell’art. 35-ter in materia di risarcimento per detenzione disumana).
Per la consultazione delle ordinanze di rimessione degli atti alla Corte Costituzionale (rinvenibili tramite gli ordinari motori di ricerca): Magistrato di Sorveglianza di Avellino, ordinanza del 3.6.2020; Magistrato di Sorveglianza di Spoleto, ordinanza n. 1380/2020, del 26.5.2020; Tribunale di Sorveglianza di Sassari, ordinanza n. 645/2020, del 9.6.2020.
[1] “Ne discende che le emergenze cliniche non consentivano di esprimere un giudizio di incompatibilità con lo stato carcerario patito dal ricorrente, atteso che le sue concomitanti patologie potevano essere curate all’interno del circuito penitenziario, sulla scorta di quanto evidenziato dagli accertamenti sanitari eseguiti presso la Casa circondariale di Bari. Né poteva rilevare, in senso contrario, la documentazione sanitaria richiamata da Terranova nel suo atto di impugnazione, che non consentiva di ritenere destituite di fondamento nosografico le conclusioni alle quali era pervenuto il Tribunale di sorveglianza di Bari, esprimendo nei confronti del condannato il giudizio di compatibilità carceraria censurato.”
[2] Vi è da sottolineare che, per costante giurisprudenza di legittimità, il differimento dell’esecuzione penale per gravi motivi di salute, anche nelle forme della detenzione domiciliare, costituisce l’extrema ratio, posto che deve formularsi un giudizio di assoluta incompatibilità delle condizioni sanitarie del detenuto con il regime intramurario (nel senso dell’indisponibilità di trattamenti terapeutici adeguati al caso concreto in ambiente carcerario).
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