Il rapporto Cina-Hong Kong e sviluppi futuri

Il rapporto Cina-Hong Kong e sviluppi futuri

Sommario: 1. Premessa – 2. Ragioni storiche dell’autonomia di Hong Kong – 3. Un Paese, due sistemi – 4. Sviluppi recenti – 5. Possibili sviluppi futuri

 

1. Premessa

La seguente trattazione ha come obiettivo la comprensione dei rapporti intercorrenti tra Cina e Hong Kong alla luce delle più recenti notizie provenienti dall’estremo oriente che vedono una progressiva erosione dell’autonomia di cui gode la città in favore dell’autorità centrale. Sarà necessaria innanzitutto una disamina storica utile a capire come Hong Kong abbia ottenuto lo speciale status di cui gode, successivamente saranno analizzate le norme di diritto pubblico che regolano tale status unitamente alle leggi di recente emanazione che di fatto lo stanno limitando, infine verranno analizzati i possibili futuri sviluppi della questione, soprattutto in virtù del diritto internazionale.

2. Ragioni storiche dell’autonomia di Hong Kong

I particolari rapporti intercorrenti tra Cina e Hong Kong hanno origine nella prima guerra dell’oppio, combattutasi tra Cina e Impero britannico sul finire della prima metà del XIX secolo.

Le cause scatenanti la guerra furono principalmente due, in primo luogo il grave deficit della bilancia commerciale sofferto dell’Impero britannico il quale importava grosse quantità di merci dalla Cina ma contestualmente non riusciva ad esportare i propri prodotti in quelle terre, dal momento che nel Celeste Impero, e questa è la seconda causa, ci si faceva pagare solo ed esclusivamente attraverso l’argento. L’impiego di questo metallo prezioso era tuttavia deleterio per gli inglesi che non ne disponevano in grosse quantità ma anzi erano costretti a convertire le proprie riserve d’oro sottoponendosi dunque al rischio di una svalutazione della sterlina. Insomma, il commercio con la Cina, a queste condizioni, era totalmente antieconomico e andava urgentemente trovata una scappatoia che permettesse di riequilibrare una tale sfavorevole situazione. La scappatoia venne individuata proprio nell’oppio, presente in grosse quantità nella regione indiana del Bengala, a quel tempo posta sotto il dominio inglese, che in Cina andava a ruba ed era molto diffuso tra le classi più abbienti, tanto che già dal ‘700 era stato oggetto di editti imperiali proibizionisti. Nello specifico, l’intento degli inglesi era di rendere l’oppio un bene diffuso tra tutte la classi sociali ed elevarlo pertanto ad oggetto di scambio con il quale importare i beni cinesi sempre più richiesti in Europa e riequilibrare così la bilancia commerciale. Il contrabbando di oppio per mano inglese produsse allora due effetti determinanti, innanzitutto rappresentò una grave piaga sociale che investì drammaticamente l’intera popolazione ma soprattutto generò uno scompenso insostenibile per le casse cinesi in quanto l’enorme domanda ne fece ben presto aumentare il valore in misura tale da superare quello dei beni cinesi richiesti in Europa. Fu allora che gli inglesi iniziarono a farsi pagare in argento, originando una fuoriuscita dai confini cinesi del metallo prezioso talmente ingente da far piombare il Paese in una situazione fuori controllo. Infatti, il prezzo dell’argento, a causa della sua scarsità, saliva a dismisura, mentre il prezzo del rame diminuiva sensibilmente. A quel punto “i lavoratori e i soldati, che venivano pagati in monete di rame, furono colpiti dall’inflazione, e i contadini, che per il fisco dovevano cambiare le loro monete di rame in argento, non riuscirono più a pagare le tasse, e furono costretti a indebitarsi”[1]. L’impossibilità nel riscuotere i tributi portò inevitabilmente ad un ulteriore impoverimento delle casse cinesi, già provate da decenni di scelte infelici in ambito economico e bellico. La disperata risposta cinese, per mano dell’imperatore Daoguang, consistette nell’imposizione di rilevanti misure draconiane che in qualche modo potessero porre fine al contrabbando dello stupefacente: venne sancita la pena di morte per i contrabbandieri e i loro complici, vennero distrutte le imbarcazioni funzionali al trasporto e infine vennero inasprite le misure proibizioniste, che però non fecero altro che alimentare l’illegalità e la corruzione tra chi era chiamato a far rispettare tali misure. La reazione inglese non si fece attendere, la guerra era appena cominciata.

Una guerra tuttavia impari a causa della superiorità tecnologica, strategica e militare degli inglesi che si servivano di armi moderne, battelli corazzati e soldati professionisti. Fu con estrema facilità dunque che i sudditi della regina Vittoria risalirono la costa orientale cinese fino a Nanchino dove, nel 1842, l’imperatore Daoguang fu costretto a firmare il trattato omonimo con il quale attribuiva grossi vantaggi alla Gran Bretagna tra cui ingenti risarcimenti per la guerra appena conclusa, l’apertura al commercio delle città cinesi geograficamente strategiche, la fissazione di dazi concordati, l’accreditamento dei diplomatici inglesi e soprattutto la cessione perpetua dell’isola di Hong Kong[2], che fu proclamata colonia britannica un anno dopo, nel 1843[3]. All’isola appena acquisita si aggiunsero nel 1860 l’antistante penisola di Kowloon[4], anch’essa ceduta in perpetuo, e nel 1898 i cosiddetti Nuovi Territori, ceduti tuttavia solo in “affitto” per 99 anni[5].

Da un punto di vista amministrativo la colonia era retta da un Governatore nominato direttamente dal sovrano del Regno Unito e da due organi collegiali, il Consiglio Esecutivo e il Consiglio Legislativo[6], i cui membri non erano eletti bensì nominati dal Governatore stesso[7], che quindi esercitava di fatto un potere quasi incontrastato.

Sotto l’egida del Regno Unito l’isola e gli altri territori vissero un impressionante periodo di crescita demografica che fece più che raddoppiare la popolazione. Era infatti la norma che dissidenti, criminali e contadini cinesi provenienti dalle zone rurali emigrassero a Hong Kong insieme a tecnologia, capitali e manodopera a basso costo che, unitamente all’eccellente posizione geografica e all’impulso inglese, resero la colonia un ricco centro internazionale per il commercio con l’Europa e gli Stati Uniti[8]. Ricchezza che crebbe notevolmente intorno agli anni ’50 e ’60 del XX secolo quando il ridimensionamento del commercio costrinse i locali ad avviare con successo nuove attività industriali[9] e altre legate al terzo settore, come quelle bancarie e finanziarie[10]. Nel frattempo, il flusso di persone, e quindi di idee e denaro, non si arrestava, continuavano infatti ad arrivare immigrati cinesi che principalmente sfuggivano al regime repressivo della Repubblica Popolare.

Il punto di svolta nella storia contemporanea di Hong Kong si ebbe a cavallo tra gli anni ’70 e ’80. Erano anni di grandi riforme e cambiamenti per la Cina la cui leadership dopo la morte di Mao, avvenuta nel 1976, fu de facto assunta da Deng Xiaoping, ideatore della dottrina del cosiddetto “socialismo con caratteristiche cinesi”, vale a dire un sistema economico che si lasciava alle spalle la pianificazione per abbracciare l’apertura al mercato, anche internazionale, sebbene sotto la costante supervisione del Governo. Le parole d’ordine erano improvvisamente diventate “attirare gli investimenti dall’estero” e per questo furono istituite delle Zone economiche speciali (le città di Shenzen, Xiamen, Shantou, Zhuhai, e altre) le quali dovevano facilitare l’arrivo dei capitali stranieri rispetto a quello che era l’assetto economico-istituzionale allora vigente[11]. E proprio nell’ambito di questa strategia epocale può essere allora letto il desiderio cinese di ristabilire la propria sovranità sul “porto profumato”[12], che nel frattempo, come già anticipato, era diventato una rilevante piazza finanziaria ed economica, la più importante d’Asia insieme al Giappone. Insomma, l’economia di Hong Kong poteva e doveva rappresentare un volano per l’intero Paese.

Ma non solo. Si avvicinava infatti l’anno 1997 che in base agli accordi del 1898 doveva coincidere con il termine finale della presenza inglese nei Nuovi Territori (che erano stati ceduti, lo si è detto, per 99 anni). Il Regno Unito tentò in tutti i modi di provare a rinnovare il contratto di “fitto” ma trovò soltanto rifiuti dal lato cinese. A quel punto, per gli inglesi, mantenere il controllo della sola isola di Hong Kong e della penisola di Kowloon (che erano state cedute in perpetuo) senza i Nuovi Territori rappresentava un peso non indifferente e un compromesso del tutto problematico. Era infatti nei Nuovi Territori che si trovavano le principali infrastrutture (porti e aeroporti) così come le strutture adibite al soddisfacimento dei bisogni essenziali della città. In altri termini, senza i territori acquisiti in “affitto” alla fine dell’800 la colonia perdeva la sua autonomia economica e diventava “ostaggio della Cina popolare”[13]. Divenne quindi più semplice per il Governo inglese privarsene non prima però di aver concordato con i cinesi il futuro della città in maniera tale che essa potesse continuare a soddisfare i propri interessi economici[14].

Sul finire degli anni ‘70 iniziarono pertanto una serie di incontri propedeutici al raggiungimento di un accordo che riportasse la colonia alla madrepatria. Accordo che venne effettivamente raggiunto nel 1984 quando Zhao Ziyang, il Primo Ministro cinese, e Margaret Thatcher, il Primo Ministro del Regno Unito, si resero firmatari della Dichiarazione congiunta sino-britannica, nella quale gli inglesi si impegnavano a restituire la città e gli altri territori alla madrepatria dal primo luglio 1997, e la Repubblica Popolare, di contro, si impegnava ad osservare, per un periodo di 50 anni, una pluralità di obblighi aventi ad oggetto il trattamento da riservare in futuro alla ex colonia, un trattamento favorevole, sintetizzabile per mezzo del principio “un Paese, due sistemi”, finalizzato a incoraggiare l’arrivo di nuovi investitori, e a dissuadere quelli già presenti dal portare altrove i propri capitali, e mantenere pressoché intatti gli interessi britannici nella zona.

3. Un Paese, due sistemi

L’articolo 31 della Costituzione cinese attribuisce la possibilità di creare delle cosiddette “regioni amministrative speciali” (o Special Administrative Region – SAR in inglese) in tutte quelle ipotesi in cui ciò si renda necessario. È sulla base di questa norma costituzionale che il Governo cinese decise dunque di disciplinare i rapporti con la ex colonia britannica, stendendo nel 1990 la Legge Fondamentale della futura SAR che recepiva gli impegni assunti nell’ambito della Dichiarazione congiunta del 1984.

In particolare, la Legge Fondamentale attribuisce e assicura a Hong Kong un “ampio grado di autonomia”[15] ad eccezione che nei settori della politica estera e della difesa, i quali rimangono una prerogativa esclusiva dell’autorità centrale, anche nell’interesse degli appena riacquisiti territori[16].

Al fine di garantire concretamente ed effettivamente il su citato grado di autonomia, la Legge Fondamentale assicura altresì l’indipendenza dei poteri esecutivo, legislativo e giudiziario i cui membri devono essere eletti o nominati esclusivamente tra i cittadini cinesi residenti in maniera permanente a Hong Kong[17].

Per quanto riguarda il potere esecutivo, esso è esercitato da uno Chief Executive il cui mandato ha durata quinquennale rinnovabile una volta sola e che assolve alle funzioni di Capo del Governo (l’Executive Council) e rappresentante della Regione. Invero, egli gode di più ampi poteri, alcuni dei quali equiparabili a quelli di un Capo di Stato, si pensi a tal proposito al potere di promulgare le leggi una volta approvate dall’organo legislativo ovvero al potere di nomina di alcuni dei componenti l’autorità giudiziaria di Hong Kong[18].

Deve trattarsi, come già anticipato, di un residente permanente della città il quale viene selezionato attraverso procedimenti elettivi specifici ma la cui nomina formale spetta pur sempre al Governo di Pechino.

Le funzioni legislative sono invece assolte dal Legislative Council, un organo collegiale monocamerale composto da 70 membri eletti secondo modalità indicate dalla legge, tra i quali membri viene a sua volta eletto un presidente. Nello specifico, 35 dei 70 “deputati” sono eletti attraverso suffragio universale dai cittadini, mentre i restanti sono eletti da un apposito comitato elettorale[19]. I compiti del Council consistono essenzialmente nell’approvare, emendare, abrogare leggi ovvero presentare proposte di legge ma anche nell’approvare il bilancio annuale, discutere sull’indirizzo politico del Capo Esecutivo e su ogni altra questione di pubblico interesse[20].

Si è detto che le leggi approvate dal Legislative Council devono essere promulgate dal Capo dell’esecutivo per poter entrare in vigore. Invero, nell’iter legislativo un ruolo chiave è giocato anche, ai sensi dell’articolo 17 della Legge Fondamentale, dal Comitato Permanente del Congresso Nazionale del Popolo[21] al quale deve essere segnalato ogni atto legislativo approvato dal Council[22]. Qualora il Comitato Permanente, consultato il Comitato per la Legge Fondamentale della SAR, dovesse ravvisare una incongruenza tra una legge della SAR e i principi costituzionali che ne disciplinano il potere legislativo, il Comitato Permanente può rinviare la legge in questione al Legislative Council per un riesame. A seguito del rinvio la legge perde di efficacia, sebbene in maniera irretroattiva, con la conseguenza che gli effetti fino ad allora prodotti permangono.

Infine, le funzioni giudiziarie sono assolte dalle “corti di Hong Kong” le quali consistono nella Court of Final Appel (il Tribunale di ultima istanza), nella High Court, nelle district courts e nelle altre eventuali corti stabilite dalla legge.

I giudici componenti le su citate istituzioni giudiziarie sono chiamati a decidere sulla base del sistema giuridico vigente nel periodo coloniale[23], il quale è stato infatti mantenuto intatto così come intatto è rimasto il sistema di common law tipico dei Paesi anglosassoni.

Come già anticipato, i giudici della città sono nominati dallo Chief Executive sebbene sulla base delle raccomandazioni di una commissione locale indipendente composta da giudici, da esponenti degli altri settori legali e da insigni individui provenienti dagli altri settori del tessuto sociale[24]. Nonostante questo, però, i giudici mantengono la loro indipendenza e libertà dalle ingerenze non soltanto delle autorità locali ma anche di quelle centrali, unitamente all’immunità rispetto alle azioni svolte nell’esercizio del potere giudiziario[25].

L’essenza del principio “un Paese, due sistemi” è tuttavia certamente ravvisabile nella diversità del sistema economico rispetto a quello della Cina continentale. Al riguardo l’articolo 5 della Legge Fondamentale dispone che il sistema socialista non troverà applicazione nella Regione Amministrativa Speciale di Hong Kong prima del 2047, in altri termini per un arco di tempo di 50 anni a decorrere dal 1997, ciò significa che fino ad allora la SAR sarà caratterizzata da un sistema capitalista mentre da quel momento in poi troverà applicazione il sistema vigente nella Repubblica Popolare, e lo stesso si può dire per i rapporti di natura economica intercorrenti tra i cittadini e tra loro stessi e l’autorità, sia centrale che locale. Al riguardo il combinato disposto degli articoli 6 e 105 eleva il diritto di proprietà, in tutte le sue sfaccettature, a diritto fondamentale sia delle persone fisiche che di quelle giuridiche, le quali potranno liberamente agire per la tutela giudiziale del suddetto diritto. Allo stesso modo, l’articolo 115 tutela la libertà di impresa garantendo i principi del libero commercio e della libera circolazione di beni, mobili e immobili, e di capitali, diversamente da quanto avviene nella Cina socialista in cui è costante la supervisione del Governo.

L’autonomia dell’apparato economico si sostanzia poi nella previsione di un proprio sistema fiscale, di un proprio sistema doganale e nella possibilità di continuare a battere moneta in maniera del tutto slegata da Pechino[26].

Per quanto riguarda i diritti civili e politici, la Legge Fondamentale assicura le ormai consolidate libertà di derivazione occidentale a tutti i cittadini, senza distinzione alcuna, anche alla luce del Patto internazionale per i diritti civili e politici e del Patto internazionale per i diritti economici, sociali e culturali, i quali sono recepiti nell’ordinamento di Hong Kong. È assicurata pertanto la libertà di parola, di stampa, di associazione, assemblea e sciopero, la libertà personale, del domicilio e della corrispondenza, la libertà religiosa, il diritto di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti oltre ai già menzionati diritto di proprietà e libertà di impresa[27].

4. Sviluppi recenti

Fin dai primi anni della cosiddetta “Riunificazione” i timori della popolazione hongkonghese e della comunità internazionale si sono focalizzati sulla possibile soppressione dei diritti civili e politici da parte del Governo centrale. Invero, ciò non è mai avvenuto, anzi, Pechino ha sempre evitato ingerenze negli affari interni di Hong Kong, consentendo addirittura manifestazioni, quali le commemorazioni per le Proteste di Piazza Tienanmen del 1989, palesemente contestatorie dell’autorità centrale[28].

Dal 2002 tuttavia iniziarono ad osservarsi nuove dinamiche che andavano in una direzione totalmente opposta. In quegli anni infatti il Governo locale, attraverso lo Chief Executive, propose un disegno di legge attuativo dell’articolo 23 della Legge Fondamentale[29], secondo cui la SAR è chiamata ad emanare un’adeguata legislazione volta alla proibizione di ogni atto di tradimento, sedizione, secessione e sovversione nei confronti dello Stato così come ogni attività politica all’interno della SAR da parte di enti e organismi politici stranieri e ogni rapporto tra le autorità locali e i suddetti enti o organismi. Il disegno di legge nello specifico prevedeva la pena dell’ergastolo per chi si rendeva autore dei crimini sopra menzionati e il rafforzamento dei poteri della polizia in ordine a fermi e perquisizioni di individui sospetti. Non mancava infine la possibilità di limitare la libertà di associazione e riunione[30].

La proposta dell’esecutivo diede origine a rilevanti proteste le quali sfociarono, il 1° luglio del 2003, in un’imponente manifestazione che vide mezzo milione di persone scendere in piazza e che costrinse lo Chief Executive a sospendere il disegno fino a data da destinarsi[31].

Il secondo decennio degli anni duemila è stato caratterizzato da proteste ancor più massicce che hanno indotto i media a coniare la formula “Rivoluzione degli ombrelli” per definirle. Tutto ebbe inizio nel 2014 in vista delle imminenti elezioni dello Chief Executive previste per il 2017.

Fin dall’Handover[32] l’aspirazione principale dei movimenti pro-democrazia era quella di attuare un sistema a suffragio universale, che consentisse cioè un’elezione diretta dello Chief Executive da parte di tutti i cittadini della città, senza distinzione alcuna. Fino a quel momento infatti la selezione del capo esecutivo consisteva in un’elezione da parte di un Comitato Elettorale composto da membri provenienti da diversi settori sociali che, sostanzialmente, si ritrovavano ad essere sempre in maggioranza filogovernativi.

Ora, l’elezione dello Chief Executive di Hong Kong è disciplinata dalla Legge Fondamentale, da un suo Allegato, il primo, nello specifico, e da ciò discende che la definizione del sistema elettorale spetta esclusivamente al Congresso Nazionale del Popolo, l’unico organo cioè legittimato ad emendare la Basic Law ai sensi dell’articolo 159[33]. Ed effettivamente il CNP promise in vista delle elezioni del 2017 il varo di una riforma elettorale che fosse democraticamente orientata, la quale tuttavia prevedeva sì il suffragio universale ma in riferimento ad una rosa di candidati estremamente ristretta e che comunque doveva essere approvata da un apposito comitato filo pechinese[34]. Si trattava, in altri termini, di elezioni libere e democratiche in via puramente formale dato che nella sostanza i possibili capi dell’esecutivo continuavano ad essere scelti dall’autorità centrale.

Ciò ha portato come detto allo scoppio della Rivoluzione degli ombrelli del 2014, una protesta di ampie proporzioni cui parteciparono principalmente giovani e studenti e che bloccò completamente la città per ben 79 giorni.

I moti di protesta portarono poi il CNP a ritirare la proposta di riforma elettorale e a mantenere, sebbene con lievi modifiche, il sistema fino ad allora vigente[35], attraverso il quale, tra l’altro, venne eletto l’attuale Chief Executive, Carrie Lam.

Proprio la Lam si rese promotrice nel 2019 di una proposta di legge che avrebbe consentito l’estradizione verso la Cina per particolari reati, tra i quali l’omicidio e la violenza sessuale, ad esclusione comunque di quelli di natura economico-finanziaria e soprattutto di quelli politici. Nonostante questo, tuttavia, le forze autonomiste e quelle democratiche videro con preoccupazione la proposta di legge e la assimilarono ad un pretesto di Pechino atto al raggiungimento dei dissidenti politici rifugiatisi nella SAR ovvero degli oppositori locali e quindi ad un ulteriore tassello verso quell’integrazione totale della città allo Stato centrale che ormai non sembrava più così lontana[36].

Come già accaduto in passato, una tale messa in pericolo alla già fragile democrazia hongkonghese ha portato i manifestanti a scendere nuovamente in piazza, questa volta in maniera ancora più incisiva ed in una misura tale da costringere lo Chief Executive a ritirare la Extradition Bill[37].

Data l’incapacità degli organi regionali di apportare modifiche ordinamentali atte a tutelare i propri interessi, il Governo di Pechino ha nel 2020 emanato la “Legge della Repubblica Popolare Cinese sulla salvaguardia della sicurezza nazionale nella Regione Amministrativa Speciale di Hong Kong[38]. Si tratta essenzialmente di una legge nazionale emanata dal Comitato Permanente del CNP che tuttavia ha validità nel territorio della SAR nonostante la sua autonomia legislativa. Ciò si è reso possibile alla luce dell’articolo 18 della Legge Fondamentale il quale dispone che tutte le leggi nazionali della Cina continentale incluse nell’Allegato III della medesima Legge trovano diretta applicazione anche nella SAR e che all’Allegato in questione possono aggiungersi nuove leggi nazionali a totale discrezione dell’autorità centrale, in quanto, come affermato in precedenza, unica entità legittimata ad emendare la Basic Law.

In altri termini, l’autorità centrale ha eluso le resistenze e le perplessità imperanti a Hong Kong scavalcando l’organo legislativo della città attraverso uno strumento, l’Allegato III, certamente pensato per altre finalità. È in ogni caso fatta salva una sorta di ratifica da parte degli organi regionali, chiamati a promulgare la legge affinché essa sia pienamente efficace[39].

Nello specifico la legge si propone di prevenire, sopprimere e punire i reati di secessione, sovversione, organizzazione e perpetrazione di attività terroristiche, e collusione con Paesi stranieri o con elementi esterni tale da mettere in pericolo la sicurezza nazionale.

Per fare ciò è prescritta l’istituzione di un Comitato per la salvaguardia della sicurezza nazionale posto sotto la sostanziale supervisione del Governo centrale e composto principalmente da membri delle istituzioni hongkonghesi cui si affianca un Consigliere per la sicurezza nazionale designato direttamente da Pechino. Il Comitato non deve essere confuso con l’Ufficio per la salvaguardia della sicurezza nazionale il quale rappresenta invece un organismo della RPC di stanza presso la SAR avente competenze anche giurisdizionali.

È prevista altresì l’istituzione di un’apposita Procura specializzata nel perseguimento delle condotte in esame e di un apposito Dipartimento per la salvaguardia della sicurezza nazionale presso la polizia di Hong Kong. La composizione di tale forza di polizia può variare, nel senso che possono prestarvi servizio anche soggetti del tutto estranei alla città, come per esempio funzionari, militari e membri dell’intelligence cinese[40]. I membri della Procura invece sono nominati dal Segretario alla Giustizia della SAR previo consenso del Comitato per la salvaguardia della sicurezza nazionale, mentre il giudice posto a capo di detta Procura viene nominato dallo Chief Executive non prima però di aver ottenuto un riscontro positivo da parte dell’Ufficio per la salvaguardia della sicurezza nazionale.

La seconda parte della legge si preoccupa poi di determinare il regime sanzionatorio relativo ai reati sopra descritti. Le pene vanno da un minimo di tre anni ad un massimo dell’ergastolo a seconda della gravità della condotta tenuta e del grado di coinvolgimento nella stessa[41].

Uno dei punti cruciali della nuova disciplina è poi sicuramente ravvisabile nel Capitolo IV recante disposizioni sul foro competente a giudicare. Ai sensi dell’articolo 40 i tribunali competenti sono quelli della città, tuttavia nei casi indicati dall’articolo 55 la disciplina è notevolmente diversa. Infatti, qualora il caso per il quale si procede sia troppo complesso a causa del coinvolgimento di forze straniere ovvero le autorità locali siano impossibilitate a vario titolo a procedere ovvero ancora sussista un imminente rischio per la sicurezza nazionale la giurisdizione è attribuita all’Ufficio per la salvaguardia della sicurezza nazionale cui prima si è fatto cenno, in altri termini allo Stato centrale, con la conseguenza che ad essere applicate sarebbero le regole e le procedure proprie della legislazione criminale della RPC.

L’emanazione di questa legge ha destato scalpore, non soltanto all’interno della comunità locale ma anche di quella internazionale[42].  Il deciso intervento del Governo centrale è stato visto essenzialmente come un mero pretesto per ristabilire il pieno controllo sulla SAR, mandando di fatto in pensione anticipata il principio “un Paese, due sistemi”, ma soprattutto per combattere e annientare una volta per tutte le opposizioni operanti nella città[43]. La legge è infatti caratterizzata dalla presenza di un ampio numero di clausole eccessivamente vaghe che legittimano gli organi giudicanti ad interpretazioni estensive e certamente pro Governo centrale a causa del fondamento della loro autorità[44]. A queste condizioni diventa estremamente facile per Pechino perseguire tutti quei soggetti che in un modo o nell’altro minano l’autorità centrale, dai leader dei movimenti e dei partiti di opposizione[45] tacciati di essere pericolosi secessionisti, ai semplici manifestanti che invocano soltanto un maggiore grado di democrazia e riforme in tal senso orientate come per esempio l’introduzione del suffragio universale. Non è un caso infatti che il Governo centrale abbia etichettato i manifestanti come terroristi e le attività da essi svolte come estremamente pericolose per la tenuta della sicurezza nazionale[46].

5. Possibili sviluppi futuri

Alla luce di quanto detto fino ad ora una serie di interrogativi sorgono spontanei: quale futuro attende Hong Kong? Sarà interamente integrata allo Stato centrale, manterrà intatta la sua autonomia o dichiarerà la sua indipendenza?

Di sicuro la Cina non intende privarsene o quantomeno porre fine al processo di integrazione forzata, principalmente per due motivi. Innanzitutto, perché la città rappresenta un asset importantissimo, in termini finanziari e logistici, per le proprie aspirazioni di egemonia economica e commerciale, soprattutto alla luce del progetto relativo alla Greater Bay Area, vale a dire un’area coincidente con la regione del Guandong, geograficamente comprensiva anche di Hong Kong e Macao, che nelle intenzioni del Governo è destinata a diventare un’imponente distretto tecnologico assimilabile alla Silicon Valley statunitense[47]. In secondo luogo, una linea più morbida del Governo centrale nei confronti della città presterebbe il fianco alle mire indipendentiste di altri territori notoriamente problematici come il Tibet e la provincia dello Xinjiang, e metterebbe altresì in pericolo la anelata riunificazione con Taiwan.

Di sicuro è anche che il regime di amministrazione speciale di cui gode la ex colonia ha una durata limitata nel tempo, è infatti il 2047 l’anno in cui la RPC potrà legittimamente integrare i territori della SAR ai suoi. C’è da chiedersi pertanto se questa di fatto anticipata rinuncia unilaterale al principio “un Paese, due sistemi” possa trovare una qualche giustificazione giuridica. Da un punto di vista del diritto interno, sia della RPC che della SAR, non sussistono appigli validi per dimostrare il contrario, soprattutto se si considera che la Basic Law non è fonte sovraordinata rispetto alle leggi nazionali cinesi[48]. Sembra pertanto che il Congresso Nazionale del Popolo abbia agito, nell’emanare la Legge sulla sicurezza nazionale, in conformità ai limiti costituzionali che gli sono attribuiti. Certo, alla luce del fatto di aver by-passato il potere legislativo hongkonghese si potrebbe contestare una errata interpretazione rispetto alla Legge Fondamentale, il problema è che l’organismo deputato alla risoluzione di eventuali “conflitti di attribuzione” è lo stesso Congresso Nazionale del Popolo attraverso il Comitato Permanente[49], che certamente non può considerarsi giudice imparziale.

Il discorso è diverso se si fa rinvenire il fondamento della Basic Law nella Dichiarazione sino-britannica del 1984 perché in questo caso la Repubblica Popolare, anticipando di fatto la fine dell’autonomia di Hong Kong, starebbe violando un Trattato internazionale in piena regola[50] registrato peraltro presso le Nazioni Unite come accordo vincolante[51]. Se così fosse il Regno Unito potrebbe agire nei confronti della Cina attuando una serie di contromisure in funzione di autotutela, come per esempio le sanzioni economiche, in conformità al diritto internazionale consuetudinario. Invero, anche tutti gli altri Stati della comunità internazionale potrebbero invocare la responsabilità internazionale della Cina sebbene solo in riferimento alle violazioni delle norme consuetudinarie cogenti (ius cogens) le quali proteggono anche i diritti fondamentali della persona[52].

Per quanto riguarda l’ultimo punto, sull’ipotesi della secessione, la situazione è certamente più spinosa. Nell’ambito dello ius cogens sopra menzionato è ricompreso il “principio di autodeterminazione dei popoli[53] il quale trova un suo fondamento anche nel diritto positivo, per la precisione negli articoli 1, 55 e 56 della Carta delle Nazioni Unite e soprattutto nell’articolo 1 del Patto internazionale sui diritti civili e politici del 1966 secondo cui i popoli “decidono liberamente del loro statuto politico e perseguono liberamente il loro sviluppo economico, sociale e culturale” attraverso vari strumenti, tra cui la secessione, ma non solo.

Premettendo che il principio in esame si è consolidato al fine di contrastare il colonialismo diffuso della seconda metà del XX secolo e che con il tempo ha visto estendere il suo ambito applicativo, nel senso che non si applica necessariamente ai popoli oggetto di dominazione coloniale ma a tutti i popoli, è da escludere una sua applicazione generalizzata, per due motivi, uno oggettivo e uno soggettivo. Innanzitutto, l’autodeterminazione dei popoli trova un limite nel principio dell’integrità territoriale dello Stato[54] in base al quale, sempre che siano tutelati i diritti fondamentali delle persone, l’integrità territoriale e l’unità politica degli Stati indipendenti rappresentano un interesse preminente rispetto a qualunque altro[55] anche in considerazione del pericolo cui potrebbe soggiacere la comunità internazionale a seguito del disgregamento di un apparato statale[56]. In secondo luogo, sulla base di alcune risoluzioni ONU e di una sentenza della Corte Suprema del Canada in merito alla richiesta di secessione della Regione del Quebec, è necessario che il popolo non assoggettato a dominio coloniale che voglia comunque fruire del principio di autodeterminazione sia effettivamente escluso dalla possibilità di accedere alle autorità pubbliche vedendosi dunque negare il suo sviluppo politico, sociale, economico e culturale. Da ciò discende che il diritto internazionale non vede con favore la secessione a meno che non ricorrano i presupposti specifici sopra esaminati, con la conseguenza che il governo al potere può legittimamente reprimere i movimenti tendenti alla disgregazione dell’unità statale[57]. Ciò non significa però che la secessione, una volta avvenuta sia automaticamente qualificata come contraria al diritto internazionale[58], anzi alcuni suoi aspetti, come per esempio lo status degli insorti, trova proprio nel diritto internazionale una rilevante tutela[59].

Quella appena esaminata è l’autodeterminazione esterna la quale non deve essere confusa con quella interna che si distingue dalla prima per la tendenza non a dar luogo ad un’entità statale separata bensì ad un ordinamento locale democratico e rappresentativo, in altri termini ad una entità autonoma ma non indipendente dallo Stato centrale. La distinzione in esame è molto importante dal momento che le cosiddette minoranze possono fruire solo dell’autodeterminazione interna mentre i cosiddetti popoli possono mettere in atto entrambe le tipologie[60].

Orbene, ci si deve chiedere se gli abitanti della città sono qualificabili come minoranza o come popolo perché a seconda della risposta essi potranno accedere all’una, all’altra o a entrambe le tipologie di autodeterminazione. I residenti di Hong Kong sono per il 92% di etnia cinese[61] per cui è evidente che non sono annoverabili nella categoria delle minoranze. Gli hongkonghesi rappresentano allora un popolo diverso da quello abitante la terraferma? Numerosi studi propendono per il sì giustificando tale orientamento sulle diversità delle lingue parlate, che sono il cantonese e l’inglese, rispetto al mandarino del resto della Cina, degli usi e dei costumi, che rappresenterebbero un ibrido tra Oriente e Occidente, dettato per altro non dal colonialismo bensì dallo status di crocevia che ha sempre contraddistinto la regione, delle tradizioni legali e della cultura giuridica. Insomma, gli abitanti della regione sarebbero portatori di una propria identità diversa da quella degli abitanti la Cina continentale. È anche vero però che altri studi vanno in senso contrario[62] e di certo non aiuta l’inesistenza di una definizione legale del concetto di popolo. Si può però senz’altro affermare che le recenti iniziative del Governo centrale stanno di fatto inquinando l’identità degli hongkonghesi nei termini sopra descritti e sta altresì impedendo quello sviluppo quantomeno politico, sociale e culturale posto alla base della legittimità delle rivendicazioni secessioniste.

In definitiva, non è facile prevedere cosa succederà in futuro anche perché problematiche di una tale portata, come insegna la storia, vengono affrontate prima di tutto in ambito politico e, nei casi più gravi, in ambito bellico. Di sicuro una “secessione concordata” sembra al momento fuori discussione dal momento che l’unità politica della Repubblica Popolare Cinese è un principio fondamentale sancito dalla Costituzione e ribadito dalla Legge Fondamentale le quali non ammettono deroga alcuna, a meno che non si proceda a revisione costituzionale. In realtà una tale ipotesi sarebbe irrealizzabile e irrealistica sotto tutti i punti di vista, la Repubblica Popolare infatti non acconsentirebbe mai ad una risoluzione del genere alla luce principalmente delle considerazioni fatte in apertura di paragrafo.

 

 

 


[1] VOGELSANG K., Cina. Una storia millenaria, Einaudi, Torino, 2014, ebook.
[2] Ibidem.
[3] Hong Kong, in Enciclopedia online, www.treccani.it, https://www.treccani.it/enciclopedia/hong-kong/, 10 settembre 2020.
[4] La cessione era prevista dal Trattato di Tianjin, il quale poneva termine alla seconda guerra dell’oppio, che vide nuovamente il Regno Unito, con il concorso della Francia, muovere guerra alla Cina per mere ragioni economiche, VOGELSANG K., op. cit.
[5] Ibidem.
[6] LEUNG C.K., Hong Kong, in Encyclopedia Britannica, www.britannica.com, https://www.britannica.com/place/Hong-Kong, 10 settembre 2020.
[7] VOGELSANG K., op. cit.
[8] Ibidem.
[9] Si pensi, per esempio, all’industria cinematografica.
[10] VOGELSANG K., op. cit. Ed effettivamente la Borsa di Hong Kong è oggi una delle più importanti del mondo.
[11] Ibidem.
[12] ESPOSITO MARTINO E., Un paese due sistemi: Hong Kong e la Repubblica Popolare Cinese nei nuovi scenari dell’universo giuridico globalizzato, in Osservatorio costituzionale, 2, 2015, pag. 11, https://www.osservatorioaic.it/images/rivista/pdf/Elisabetta%20Esposito%20Martino%202.2015_.pdf.
[13] Ibidem.
[14] La presenza di aziende e imprenditori inglesi era infatti molto rilevante a Hong Kong.
[15] Articolo 2 della Legge Fondamentale di Hong Kong.
[16] Articoli 13 e 14 della Legge fondamentali di Hong Kong.
[17] Articolo 3 della Legge Fondamentale di Hong Kong.
[18] Articolo 88 della Legge Fondamentale di Hong Kong.
[19] Allegato II della Legge Fondamentale di Hong Kong.
[20] Articolo 73 della Legge Fondamentale di Hong Kong.
[21] Si tratta di organo collegiale che “fa le veci” del Congresso in adunanza plenaria.
[22] Va segnalato che la mancata segnalazione non inficia tuttavia l’entrata in vigore dell’atto legislativo.
[23] Articoli 80 e 81 della Legge Fondamentale di Hong Kong.
[24] Articolo 88 della Legge Fondamentale di Hong Kong.
[25] Articolo 85 della Legge Fondamentale di Hong Kong.
[26] Nella SAR la valuta legale è infatti il “Dollaro di Hong Kong”. Articoli 108 e 116 della Legge Fondamentale di Hong Kong.
[27] Capitolo III della Legge Fondamentale di Hong Kong.
[28] ESPOSITO MARTINO E., op. cit., pag. 18.
[29] THE EDITORS OF ENCYCLOPEDIA BRITANNICA, Tung Chee-hwa, in Encyclopedia Britannica, www.britannica.com, https://www.britannica.com/biography/Tung-Chee-hwa, 14 ottobre 2020.
[30] ESPOSITO MARTINO E., op. cit., pag. 18.
[31] TUCCARI F., La rivolta di Hong Kong, in Aula di lettere Zanichelli, www.zanichelli.it, https://aulalettere.scuola.zanichelli.it/argomenti/la-rivolta-di-hong-kong/?id_tipo=401, 14 ottobre 2020.
[32] Handover è il termine attraverso il quale si indica il trasferimento della sovranità su Hong Kong dal Regno Unito alla Cina.
[33] Gli organi della SAR infatti possono al più proporre emendamenti.
[34] TUCCARI F., op.cit.
[35] Ibidem.
[36] SCIORATI G., Hong Kong, origine e sviluppo della protesta, in Istituto per gli studi di politica internazionale, https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/hong-kong-origine-e-sviluppo-della-protesta-23283, 14 ottobre 2020.
[37] TUCCARI F., op. cit.
[38] Hong Kong, la Cina vara legge sicurezza nazionale, è una “spada affilata” contro l’instabilità, www.ansa,it, https://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/2020/06/30/hong-kong-wong-con-legge-sicurezza-e-stato-di-polizia_7feaf265-d887-41c5-8d30-7ae7bda8bba2.html.
[39] Allegato III della Legge Fondamentale di Hong Kong.
[40] Hong Kong, ultimo atto, in Istituto per gli studi di politica internazionale, https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/hong-kong-ultimo-atto-26785, 15 ottobre 2020.
[41] Gli ideatori sono infatti puniti più severamente rispetto ai meri partecipanti.
[42] A titolo esemplificativo, reazioni ci sono state da parte dell’Unione Europea (https://www.consilium.europa.eu/it/press/press-releases/2020/07/01/declaration-of-the-high-representative-on-behalf-of-the-european-union-on-the-adoption-by-china-s-national-people-s-congress-of-a-national-security-legislation-on-hong-kong/), del Regno Unito (https://www.repubblica.it/esteri/2020/07/01/news/hong_kong_il_regno_unito_apre_le_porte_ai_cittadini_della_sua_ex_colonia_visti_e_cittadinanze_per_3_milioni_di_persone-260706140/) e degli USA (https://sicurezzainternazionale.luiss.it/2020/08/20/hong-kong-gli-usa-si-ritirano-tre-accordi-bilaterali/).
[43] Hong Kong, ultimo atto, in Istituto per gli studi di politica internazionale, https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/hong-kong-ultimo-atto-26785, 15 ottobre 2020.
[44] GRANDI S., Cosa dice davvero la nuova Legge sulla Sicurezza di Hong Kong, www.orizzontipolitici.it, https://www.orizzontipolitici.it/cosa-dice-davvero-la-nuova-legge-sulla-sicurezza-di-hong-kong/.
[45] Il celebre movimento pro-democrazia “Demosistò” ha annunciato il suo scioglimento poco dopo l’emanazione della legge sulla sicurezza nazionale, Hong Kong: Demosisto si scioglie dopo legge sicurezza, www.ansa.it, https://www.ansa.it/sito/notizie/topnews/2020/06/30/hong-kong-demosisto-si-scioglie-dopo-legge-sicurezza_157e058f-00c0-46ac-9da3-04c75100773c.html.
[46] SANTELLI F., Hong Kong, il monito di Pechino: “Sta crescendo il terrorismo”, www.repubblica.it, https://www.repubblica.it/esteri/2020/05/25/news/hong_kong_le_autorita_difendono_la_nuova_legge_sta_crescendo_il_terrorismo_-257563864/.
[47] Greater Bay Area: una Silicon Valley cinese?, Istituto per gli studi di politica internazionale, https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/greater-bay-area-una-silicon-valley-cinese-23503.
[48] ESPOSITO MARTINO E., op. cit., pag. 14.
[49] Articolo 158 della Legge Fondamentale di Hong Kong.
[50] Nella definizione di Trattato infatti possono essere ricompresi vari strumenti tra i quali le Dichiarazioni, RONZITTI N., Introduzione al diritto internazionale, Giappichelli, Torino, 2016, pag. 178.
[51] Le prove della registrazione sono disponibili al seguente link: https://treaties.un.org/Pages/showDetails.aspx?objid=08000002800d4d6e&clang=_en.
[52] RONZITTI N., op. cit., pagg. 402-411.
[53] Ivi, pag. 349.
[54] Ivi, pag. 349.
[55] Risoluzione dell’Assemblea Generale dell’ONU 2625 (XXV), disponibile qui: https://www.un.org/ruleoflaw/files/3dda1f104.pdf.
[56] Risoluzione dell’Assemblea Generale dell’ONU 53/71, disponibile qui: https://undocs.org/en/A/RES/53/71.
[57] RONZITTI N., op. cit., pagg. 349-351.
[58] Un esempio lampante è rappresentato dalla dichiarazione di indipendenza del Kosovo dalla Serbia, reputata conforme al diritto internazionale dalla Corte internazionale di giustizia, Ivi, pag. 352.
[59] Ivi, pag. 21 ss.
[60] Ivi, pag. 348.
[61]  2016 Population by census, Census and Statistics Department Hong Kong Special Administrative Region, 2016, disponibile qui: https://www.statistics.gov.hk/pub/B11201002016XXXXB0100.pdf.
[62] MATHEWS G., Hèunggóngyàhn: On the past, present, and future of Hong Kong identity, in Bulletin of Concerned Asian Scholars, 29:3, 3-13, 2020, https://doi.org/10.1080/14672715.1997.10413089.

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Gennaro Calimà

Laureato in Giurisprudenza presso l'Università della Calabria discutendo una tesi dal titolo "Le nuove frontiere delle neuroscienze nel processo penale".

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