Il rapporto tra arbitrato e procedimento monitorio
Inquadramento
Come noto, accanto alla procedura ordinaria rappresentata dal ricorso all’autorità giudiziaria le parti possono scegliere di demandare la risoluzione di determinate controversie alla decisione di uno o più arbitri, attivando un giudizio privato. Un procedimento decisamente più veloce di quello ordinario.
L’arbitrato costituisce, pertanto, una deroga volontaria, in favore dell’autonomia privata, al principio generale secondo cui la giurisdizione è esercitata dalla magistratura.
Le parti possono demandare agli arbitri solo le controversie in materia di diritti disponibili, essendo esclusa la procedura arbitrale in caso di questioni afferenti diritti indisponibili, quali quelli di stato e separazione personale e, in ogni caso, in tutte le altre ipotesi espressamente vietate dalla legge.
La volontà delle parti di rimettere la decisione ad un terzo imparziale deve essere espressa per mezzo di un negozio giuridico chiamato convenzione di arbitrato o patto compromissorio, che può assumere tanto la forma del compromesso quanto quella della clausola compromissoria. Si tratta, più in particolare, di un negozio privato avente rilevanza ed effetti processuali, consistenti nella preclusione del ricorso alla giurisdizione ordinaria, soggetto alla disciplina generale in materia di contratti in quanto compatibile.
Per espressa disposizione degli artt. 807 ed 808 c.p.c., il compromesso (contratto con il quale le parti convengono di deferire la controversia tra le stesse già insorta ad uno o più arbitri) e la clausola compromissoria (avente ad oggetto le controversie eventuali e future nascenti da un determinato rapporto giuridico contrattuale cui la clausola accede) devono rivestire la forma scritta a pena di nullità.
Arbitrato rituale e irrituale
Giova rammentare come nella prassi ci siano due forme di giudizio arbitrale: quella rituale ed irrituale.
A fianco dell’arbitrato disciplinato dal codice di rito si è venuta, infatti, sviluppando un’altra forma di definizione delle controversie, elaborata dalla dottrina e dalla pratica, ammessa dalla giurisprudenza e che è stato denominato arbitrato improprio, irrituale o libero.
Secondo autorevoli opinioni dottrinarie, arbitrato rituale e irrituale sarebbero espressioni di un unico fenomeno negoziale, alternativo al ricorso al giudice ordinario e si differenzierebbero tra di essi solamente in quanto attraverso l’arbitrato rituale le parti intendono ottenere effetti esecutivi e attraverso quello irrituale esse intendono ottenere effetti solo negoziali e non un lodo ma un contratto.
A ben vedere, secondo l’insegnamento tradizionale, l’arbitrato rituale ricorre quando le parti di una controversia demandano agli arbitri l’esercizio di una giurisdizione, concorrente con quella ordinaria, per la risoluzione della lite; si ha, invece, un arbitrato irrituale (o libero) quando agli arbitri è conferita la risoluzione di un rapporto controverso mediante una dichiarazione di volontà che viene imputata alle stesse parti del rapporto.
Ciò posto, al fine di determinare se si verta in tema di arbitrato rituale o irrituale, occorre interpretare la clausola compromissoria alla stregua dei normali canoni ermeneutici ricavabili dall’art. 1362 c.c. e, dunque, fare riferimento al dato letterale, alla comune intenzione delle parti ed al comportamento complessivo delle stesse, senza che il mancato richiamo nella clausola alle formalità dell’arbitrato rituale deponga univocamente nel senso dell’irritualità dell’arbitrato (Cass. Civ., sez. II, 10 maggio 2018, n. 11313).
Procedimento monitorio ed eccezione di arbitrato
Una volta esaminata la disciplina del giudizio arbitrale occorre soffermarsi sulla clausola compromissoria di cui all’art. 808 c.p.a. per poter analizzare quale sia il rapporto tra il procedimento monitorio e quello arbitrale.
Orbene, la clausola compromissoria, come sopra detto, consiste in un accordo con il quale le parti intendono affidare ad arbitri la risoluzione di tutte o determinate controversie future che possano tra loro insorgere in merito all’interpretazione o all’esecuzione del contratto.
In questo modo tali controversie vengono sottratte al sindacato della giustizia ordinaria che comporterebbe, come noto, un maggior impiego di tempo e di risorse.
A ben vedere, può verificarsi il caso che una delle parti di un contratto (al cui interno vi è una clausola compromissoria), voglia tuttavia, riservarsi la possibilità di agire in via monitoria e ottenere così un decreto ingiuntivo.
Appare evidente che il decreto ingiuntivo, per la sua stessa natura, nel caso in cui il Giudice ne concedesse la provvisoria esecuzione, costituirebbe una rapida ed efficace modalità di tutela delle ragioni creditorie.
Difatti, il decreto ingiuntivo, è un provvedimento che viene emesso inaudita altera parte in cui il creditore, per ottenerlo, deve fornire solo la prova scritta del suo credito. Instaurato il contraddittorio con la notifica del ricorso e del decreto al debitore, quest’ultimo potrà provocare un giudizio a cognizione piena, proponendo opposizione al decreto ingiuntivo; e in questo giudizio a cognizione piena potrà sollevare le sue eccezioni processuali e di merito e svolgere le sue difese.
La tutela fornita alla parte in sede monitoria può essere considerata come “forte” a differenza di quella che potrebbe ottenere la stessa attivando un giudizio arbitrale.
Pertanto, poniamo il caso in cui insorga una lite avente ad oggetto il pagamento di somme di denaro e nel contratto vi sia una clausola compromissoria, non vi è alcuna preclusione in merito alla possibilità per una parte contraente di incardinare un procedimento monitorio e conseguentemente nulla osta, per l’autorità giudiziaria, alla concessione del relativo provvedimento.
Infatti, la clausola compromissoria non esclude la competenza del Giudice ordinario ad emettere decreto ingiuntivo, ma mantiene ferma la competenza del Collegio Arbitrale in merito al giudizio di opposizione (da ultimo Cass. civ. Sez. I, 23 ottobre 2019, n. 27085; Cass., sez. un., 21 settembre 2018, n. 22433; Cass. 3 maggio 2016, n. 8690; Cass. 23 ottobre 2015, n. 21666; Cass. 4 marzo 2011, n. 5265; con riguardo all’arbitrato irrituale, Cass., sez. un., 30 settembre 2016, n. 19473).
Anche ove la fonte del credito fatto valere dal creditore consista in un contratto che contiene una clausola compromissoria, il Giudice non può per tale motivo respingere il ricorso per decreto ingiuntivo.
Dal punto di vista processuale, occorre sottolineare come l’eccezione di arbitrato, in quanto eccezione in senso stretto, può essere sollevata dal convenuto tempestivamente costituito (dall’attore opponente nell’atto di citazione, in caso di opposizione a decreto ingiuntivo), e non può essere rilevata d’ufficio dal Giudice. Questo in effetti è il costante insegnamento della Suprema Corte (Cass. civ., Sez. II , 4 marzo 2011, n. 5265).
In altri termini, il decreto ingiuntivo viene pronunciato nonostante la stipulazione della clausola compromissoria; il debitore può però proporre opposizione, e ottenere la dichiarazione di nullità del decreto, sollevando l’eccezione di arbitrato. Quando solleva questa eccezione, il debitore deve limitarsi ad allegare la stipulazione della clausola compromissoria. Se la clausola è valida ed efficace, il Giudice ordinario pronunzierà la propria incompetenza (o l’improponibilità della domanda, in caso di arbitrato irrituale).
Pertanto, in presenza di una rituale e tempestiva eccezione di compromesso, il Giudice adito deve declinare la propria competenza a conoscere della controversia, in favore degli arbitri.
E tanto si ricava inequivocabilmente dal disposto di cui all’art. 819 ter c.p.c. – introdotto dall’art. 22 del D.Lgs. n. 40/2006 – che, nel regolare i “rapporti tra arbitri ed autorità giudiziaria”, assoggetta, tra l’altro, al regolamento di competenza ex artt. 42 e 43 c.p.c., “la sentenza con la quale il giudice” abbia affermato o negato “la propria competenza in relazione a una convenzione d’arbitrato”.
Salvis Juribus – Rivista di informazione giuridica
Direttore responsabile Avv. Giacomo Romano
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Gloria Cirillo
Laureata con lode presso l'Università degli Studi di Roma "Tor Vergata" con tesi in Diritto Amministrativo.
Successivamente ha svolto la pratica forense presso l'Avvocatura di Roma Capitale, occupandosi principalmente di diritto amministrativo e diritto civile. Ha svolto con esito positivo il tirocinio ex art. 73 d.l. 69/2013 presso il Tribunale di Roma, sezione civile. Ha frequentato il corso di alta formazione giuridica "Foroeuropeo" e sostenuto l'esame per l'abilitazione alla professione forense nel Dicembre 2019 .