Il rapporto tra gli artt. 421-bis e 422 c.p.p.

Il rapporto tra gli artt. 421-bis e 422 c.p.p.

La verifica postuma sull’esercizio dell’azione penale pone oggi al giudice dell’udienza preliminare due distinte alternative:

a) una decisione rebus sic stantibus. Il giudice dichiara chiusa la discussione se, alla luce delle operate acquisizioni e delle argomentazioni delle parti, ritiene di disporre di elementi sufficienti per decidere;

b)un ricorso ai poteri istruttori di cui agli artt. 421-bis e 422 c.p.p., sia quando, a fronte di indagini riscontate carenti, non sia pienamente convinto della fondatezza dell’accusa[1]; sia quando vi sia spazio per un approfondimento investigativo che appaia potenzialmente idoneo a rovesciare il giudizio provvisorio circa la necessità o superfluità del dibattimento[2].

L’incipit delle due disposizioni, «quando non provvede a norma del comma 4 dell’art. 421, il giudice (…)», è, infatti, identico ed estremamente  chiaro: connette l’adozione dei differenti modelli integrativi alla scelta del giudice di non decidere sulla base degli elementi attualmente a sua disposizione, in quanto ritiene che il provvedimento di “rinvio a giudizio”, come quello di “non luogo a procedere”, potrebbe risultare viziato da un decifit informativo determinante[3].

Si afferma, così, la necessaria combinazione funzionale tra “nuovi” apporti, investigativi o probatori, e decisione da adottare[4]. L’integrazione deve pur sempre rimanere «correlata alla funzione tipica del provvedimento decisorio emesso in udienza preliminare»[5].

Il dettato normativo non definisce, però, in modo altrettanto chiaro il rapporto sussistente tra i due modelli di integrazione.

Ai sensi dell’art. 421-bis c.p.p. il giudice dell’udienza preliminare indica al pubblico ministero il tema dell’indagine integrativa da svolgere: incompletezza dell’inchiesta preliminare e opportunità di decidere in seguito a tale integrazione, manifestata dalla mancata dichiarazione di chiusura delle discussione (art. 421 c.p.p.), ne costituiscono le indiscutibili premesse.

A norma dell’art. 422 c.p.p. il giudice dispone l’assunzione della prova decisiva per il non luogo a procedere, quando non dichiara chiusa la discussione perché lo stato degli atti  glielo sconsiglia, ovvero non deve sollecitare alcuna integrazione investigativa[6].

«Quando non provvede (…) a norma dell’art. 421-bis, il giudice può disporre (…)». È proprio il rinvio operato dall’art. 422 c.p.p. all’art. 421-bis c.p.p. a creare non pochi problemi in chiave interpretativa[7].

In sostanza, il giudice dell’udienza preliminare deve valutare nel contradditorio tra le parti:

  1. se v’è la possibilità di emettere una decisione allo stato degli atti (art. 421 c.p.p.);

  2. se l’esito negativo dipende da una lacuna investigativa, dovendo il tal caso attivare il pubblico ministero con indicazione delle ulteriori indagini e la fissazione del termine per la loro esecuzione (art. 421-bis c.p.p.);

  3. se la non decidibilità non sia effetto dell’incompletezza delle indagini, dovendo allora valutare, anche d’ufficio, la necessità d’acquisizione di elementi probatori di evidente decisività ai fini dell’emissione di una sentenza di non luogo a procedere[8] (art. 422 c.p.p.).

Dal riferimento all’art. 421-bis c.p.p. contenuto nell’art. 422 c.p.p., appare prevalente l’orientamento che ravvisa tra le due disposizioni un rapporto di sussidiarietà interna, in forza del quale il giudice dapprima sarebbe chiamato a verificare l’integrabilità delle indagini, garantendo quindi il controllo sulla completezza del materiale investigativo; soltanto nel caso in cui, all’esito dell’attività d’integrazione permanesse un quadro probatorio non ancora idoneo a definire il giudizio, potrebbe essere consentito il ricorso all’esercizio del potere istruttorio officioso, al quale verrebbe così riconosciuto un carattere sostanzialmente residuale[9].

Va rimarcato, in proposito, che gli strumenti d’integrazione investigativa e probatoria di cui agli artt. 421-bis e 422 c.p.p. operano su piani assai diversi perché il primo presuppone una “paralizzate” incompletezza delle indagini preliminari, mentre il secondo istituto, destinato ad operare nell’ambito di un quadro investigativo già completo ab origine o completato ex art. 421-bis c.p.p. mira all’acquisizione di uno o più elementi ulteriori e decisivi ai fini della sentenza di non luogo a procedere.

Così come per l’art. 421-bis c.p.p., nessuna previsione tassativa viene a limitare i mezzi istruttori esperibili ex art. 422 c.p.p.

Ad approdi differenti perviene chi, osservando la dimensione finalistica dei due istituti, vi scorge un rapporto di alternatività che ne preclude un utilizzo congiunto nell’ambito del medesimo processo.

Difatti, mentre l’art. 421-bis c.p.p. è funzionale alla ricerca di elementi di decisione in un quadro incompleto, l’art. 422 c.p.p. facoltizza il giudice all’assunzione di prove già individuate in una prospettiva teologicamente orientata[10].

L’alternatività degli ambiti di operatività degli artt. 421-bis e 422 c.p.p. si profila, poi, con nettezza appena si consideri che l’integrazione probatoria prevista dall’art. 422 c.p.p. è espressione di un principio di favor verso l’imputato: essa preclude al giudice di pronunciarsi sulla fondatezza dell’imputazione quando dal contenuto del fascicolo emerga una prova che, una volta acquisita, impone di emettere sentenza di non luogo a procedere[11].

L’alternatività fra i due istituti è avvalorata pure da un argomento di ordine testuale. L’art. 422 comma 1 c.p.p. prevede che il giudice «può disporre (…) l’assunzione delle prove dalle quali appare evidente la decisività ai fini della sentenza di non luogo a procedere» allorché non possa decidere allo stato degli atti ex art. 421 comma 4 c.p.p. «ovvero» non intenda disporre «le ulteriori indagini» ex art. 421-bis comma 1 c.p.p.

Il lemma «ovvero» non può che essere inteso in senso disgiuntivo. La decisione del giudice di ordinare lo svolgimento delle ulteriori indagini ex art. 421-bis c.p.p. gli impedisce di attivarsi anche per disporre l’integrazione del quadro probatorio ex art. 422 c.p.p.: l’art. 422 comma 1 c.p.p., in effetti, vale a «inibire al giudice dell’udienza preliminare iniziative eterogenee concomitanti»[12].

In breve, l’impiego del primo strumento integrativo esclude l’utilizzo del secondo.

Un altro orientamento – probabilmente più aderente alla prassi, che conosce forme di utilizzo assai meno rigide – accredita invece i due istituti di maggior eclettismo ritenendo che, salva l’incompatibilità di un utilizzo concomitante, il giudice possa indifferentemente procedere al loro impiego combinato, secondo cadenze non aprioristicamente definite[13].

Non è possibile, però, escludere che la combinazione fra i due modelli istruttori avvenga, seguendo un ordine inverso rispetto a quello mutuabile attraverso la lettura sistematica delle differenti disposizioni.

Né, ancora, è improbabile che il giudice tragga spunto da un primo supplemento di indagine per suggerirne un altro. Né, infine, è da scartare l’ipotesi in cui l’assunzione della prova ritenuta decisiva non sia collegata ad alcuna pregressa attività di completamento investigativo[14].

La novella 1999 si è, infatti, solo limitata ad indicare la scelta contingente che il giudice è chiamato ad effettuare, qualora ritenga di dover posticipare la propria decisione ad un’opportuna integrazione «investigativa» o «probatoria».

Si sono volute, cioè, «inibire al giudice dell’udienza preliminare iniziative eterogenee concomitanti»[15], ferma restando, però, la possibilità che i risultati dell’integrazione delle indagini diano impulso all’integrazione probatoria, senza escludere che proprio quest’ultima, «sia pure eccezionalmente, ponga le premesse per il compimento di ulteriori attività di indagine»[16].

È  possibile, così, concludere sul punto.

Art. 421-bis c.p.p. e art. 422 c.p.p. non si pongono né in un rapporto di alternatività assoluta, né di consequenzialità necessaria.

Si tratta di strumenti anche combinabili all’interno del medesimo procedimento secondo adeguate cadenze temporali e secondo priorità, che saranno suggerite dalle possibili proiezioni del materiali agli atti e dallo stesso evolversi del supplemento conoscitivo: senza aprioristiche e astratte preferenze da assegnare ad un modello integrativo rispetto ad un altro; senza la necessità di far precedere l’operatività dell’uno dalla effettuazione dell’altro[17].

Come è stato efficacemente precisato «ciò che distingue i poteri delineati dagli artt. 421-bis e 422 c.p.p. non è tanto il momento nel quale la lacuna, o meglio l’esigenza di acquisizione si prospetta, quanto piuttosto il tipo di attività integrativa necessaria (…) e la sua connotazione teleologica»[18].

L’unico limite intangibile rimane, quindi, connesso all’impossibilità di un loro esercizio simultaneo.

Anche perché la pretesa decisività della prova da assumere mal si coniugherebbe con un panorama investigativo da dover contestualmente completare[19].

Con i rischi connessi ad una pronostica decisività che potrebbe essere simultaneamente sconfessata dalle emergenze di una “parallela” inchiesta ad integrandum[20].

 


[1] P. Tonini, Manuale di procedura penale, Milano, 2005, p. 487 e ss.

[2] Cfr., F. Caprioli, Insufficienza e contraddittorietà della prova, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1997, p. 295.

[3] F. Cordero, Procedura penale, cit., p. 909, con la solita efficace sinteticità, «qui gli acta non bastano alla decisione»

[4] È proprio il rinvio operato sia dall’art. 421-bis c.p.p., sia dall’art. 422 c.p.p., al comma 4 dell’art. 421 c.p.p. a consentire tale collegamento. Cfr., D. Grosso, Commento alla legge 16 dicembre 1999, n. 479, sub artt. 20-23, cit., p. 282.

[5] G. Garuti, La nuova fisionomia dell’udienza preliminare, cit., p. 387. Di diverso avviso è                A. De Caro, L’integrazione investigativa e probatoria nell’udienza preliminare, in Le recenti modifiche al codice di procedura penale (a cura di Kalb), Milano, 2000, p. 409, il quale ritiene che l’integrazione investigativa deriva unicamente «da un’esigenza di completezza, senza proiezioni particolari su i possibili esiti» dell’udienza preliminare.

[6] Cfr., G. Bruno, L’attività del Gup nell’udienza preliminare tra poteri di sollecitazione e integrazione, in  Dir. pen. e proc., 2012, p. 234.

[7] F. Siracusano, La completezza delle indagini nel processo penale, Torino, 2005, p. 309.

[8] Potrebbe darsi che il compendio accusatorio rimanga incerto anche dopo l’avvenuta integrazione probatoria ex art. 421-bis c.p.p. e che tale nebulosità sia diradabile con l’acquisizione di una prova solo in quel momento prospettata o ricavabile.

[9] In questo senso, A. Marandola, Due significative novità per il processo penale: l’avviso di chiusura delle indagini preliminari e i «nuovi» poteri probatori del giudice dell’udienza preliminare, in Studium iuris, 2001, p. 1137; M. Saso, L’attività d’integrazione probatoria del giudice dell’udienza preliminare, cit., p. 167.

[10] F. Cassibba, L’udienza preliminare. Struttura e funzioni, Milano, 2007, p. 352 e ss.

[11] Ivi, p. 353.

[12] D. Grosso, Commento alla legge 16 dicembre 1999, n. 479, sub artt. 20-23, cit., p. 282; Cfr., F. Siracusano, La completezza delle indagini nel processo penale, cit., p. 313

[13] Così, ad esempio, dall’attività integrativa d’indagine il giudice potrebbe ricavare l’esistenza di una prova decisiva, così come potrebbe procedere all’assunzione di questa, anche in presenza di un quadro investigativo integrabile, ma in termini valutativi sostanzialmente superflui in vista della decisione finale. F. Siracusano, La completezza delle indagini nel processo penale, cit., p. 312.

[14] Ibidem

[15] D. Grosso, Commento alla legge 16 dicembre 1999, n. 479, sub artt. 20-23, cit., p. 282.

[16] Ivi, p. 285. Della stessa opinione sono A. Galati – E. Zappalà, L’udienza preliminare, in               D. Siracusano – A. Galati – G. Tranchina – E. Zappalà, Diritto processuale penale, vol. II, Milano, 2004, p.212.

[17] Se si ritenesse che l’integrazione investigativa debba costituire il passaggio obbligatorio affinché il giudice dell’udienza preliminare possa disporre acquisizioni probatorie, accadrebbe che il giudice prima di poter assumere la prova decisiva dovrebbe paradossalmente disporre un supplemento di indagine anche qualora lo ritenesse superfluo. Evidenti, accendendo a tale soluzione, sarebbero i rischi di lesione della durata ragionevole del processo connessi ad un’inutile dilatazione dei tempi.

[18] Così, L. Caraceni, Giudice dell’udienza preliminare e «nuovi» poteri istruttori, cit., p. 313. L’autrice continua affermando che, se non fossero questi gli unici parametri di riferimento, si giungerebbe al paradosso di precludere al giudice di assumere direttamente una prova decisiva per il non luogo a procedere chiesta dalla difesa (o comunque conosciuta) già nel corso delle indagini preliminari, in quanto una volta esercitata l’azione penale ciò si tramuterebbe in un’omissione investigativa sanabile esclusivamente facendo ricorso ai poteri previsti dall’art. 421-bis c.p.p.

[19] F. Siracusano, La completezza delle indagini nel processo penale, cit., p. 313.

[20] Ibidem


Salvis Juribus – Rivista di informazione giuridica
Direttore responsabile Avv. Giacomo Romano
Listed in ROAD, con patrocinio UNESCO
Copyrights © 2015 - ISSN 2464-9775
Ufficio Redazione: redazione@salvisjuribus.it
Ufficio Risorse Umane: recruitment@salvisjuribus.it
Ufficio Commerciale: info@salvisjuribus.it
***
Metti una stella e seguici anche su Google News
The following two tabs change content below.

Articoli inerenti