Il rapporto tra il delitto di maltrattamenti in famiglia contro i familiari e conviventi e il delitto di atti persecutori

Il rapporto tra il delitto di maltrattamenti in famiglia contro i familiari e conviventi e il delitto di atti persecutori

Sommario: 1. Introduzione – 2. Disamina della disciplina giuridica prevista in materia di maltrattamenti – 3. Dibattito giurisprudenziale sui elementi materiale e soggettivo del delitto cui all’art. 572 c.p. – 4. Disamina del delitto di atti persecutori ex art. 612 bis del codice penale – 5. Il rapporto tra maltrattamenti in famiglia e il reato di atti persecutori – 6. Riflessioni conclusive

 

1. Introduzione

La nostra società “moderna” deve far fronte, purtroppo, ad un costante aumento di femminicidi come epilogo finale di reati quali  maltrattamenti in famiglia e/o atti persecutori consumati nei confronti della vittima. A tal proposito, spesse volte le condotte tipiche del delitto maltrattamenti in famiglia si mescolano con quelle differenti del delitto di atti persecutori ex art. 612bis c.p. Si pensi a Tizio, ex marito di Caia che, si presenta più volte al posto di lavoro della stessa al fine di convincerla a ritornare insieme, assumendo atteggiamenti a tratti miti ed a tratti aggressivi.

 2. Disamina della disciplina giuridica prevista in materia di maltrattamenti

Il delitto di maltrattamenti cui all’art. 572 del codice penale è un reato contro la famiglia, il cui oggetto giuridico tutelato è  costituito dai congiunti interessi dello Stato alla tutela della famiglia o, per meglio dire, del legame giuridico tra persone appartenenti alla stessa famiglia o ad un vincolo ad essa assimilabile. Le condotte che vengono condannate consistono in tutti quei comportamenti vessatori e violenti che possono arrecare, non solo danni all’incolumità fisica, ma anche danni psichici alle persone della nucleo familiare. Si tratta, altresì, di un reato proprio, in quanto è necessario che il soggetto agente sia una persona che ricopre un ruolo all’interno della comunità (genitore, coniuge) o che, comunque, rivesta una posizione di autorità all’interno del gruppo di persone legate da vincoli affettivi. Il legislatore, infine, con tale fattispecie di reato incrimina e punisce la condotta di chi, con atti di natura vessatoria che possano manifestarsi in parole o violenza, offende il decoro e la dignità della persona, provocandone uno stato generale di avvilimento, sofferenza o mortificazione.

3. Dibattito giurisprudenziale sui elementi materiale e soggettivo del delitto cui all’art. 572 c.p.

Quanto al presupposto soggettivo del reato, la giurisprudenza appare ormai concorde nel ritenere che il soggetto agente deve avere in sé la volontà specifica, intesa come dolo specifico, di arrecare alla sua vittima un perdurante stato di ansia, preoccupazione ed allarme, nonché creare un generale clima di afflizione, sofferenza e paura. Annoso è il dibattito giurisprudenziale sul presupposto materiale  necessario affinché sia integrato il delitto cui all’art. 572 c.p. La latitudine applicativo della fattispecie varia infatti a secondo dell’interpretazione che viene data al concetto di “famiglia” e “convivenza”. Sul tema, esistono due principali e contrapposti orientamenti giurisprudenziali. Secondo un primo orientamento, ai fini della configurabilità del delitto di maltrattamenti, è necessaria l’esistenza di una relazione attuale tra le parti derivante dall’esistenza di una situazione giuridica, ad esempio un vincolo matrimoniale oppure una relazione di fatto, come un rapporto di convivenza. Questo orientamento fa leva su un argomento testuale: l’art. 572 c.p. parla espressamente di “convivente” e, pertanto, secondo i sostenitori di questa tesi, è necessaria una relazione attuale tra le parti. Un secondo filone interpretativo, invece, ritiene che i maltrattamenti possono realizzarsi anche quando tra le parti è cessata la convivenza, intendendosi per famiglia ogni gruppo di persone tra le quali, per strette relazioni e consuetudini di vita, si siano instaurati rapporti di reciproca assistenza e solidarietà, senza necessità di una convivenza o di una stabile coabitazione.

Questa tesi poggia le sue fondamenta su un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 572 c.p. secondo cui, pur in caso di separazione dei coniugi e, quindi, cessata la convivenza, rimane integro tra le parti il dovere di rispetto reciproco e solidarietà. Conformemente a questa tesi si è pronunciata la Cass. Pen. con la sentenza n. 2328 del 2021. Ad oggi, il contrasto giurisprudenziale non è stato risolto sicché si ritiene che il reato di maltrattamenti possa verificarsi sia in presenza sia in assenza di una convivenza tra le parti. Inoltre, secondo la giurisprudenza ormai maggioritaria, nel delitto ex art. art 572 c.p. vengono inglobati gli atti ingiuriosi e le percosse, pur se previste come fattispecie delittuose autonome agli artt. 594 e 581 c.p., poiché tali atti rappresentano modalità differenti attraverso le quali si estrinseca l’atteggiamento prevaricante ed oppressivo del soggetto agente nei confronti della sua vittima.

E’ altresì interessante una pronuncia della Cassazione n. 15147 del 19.03.2014 che estende l’ambito applicativo e del delitto de quo ai rapporti di “parafamiliarità” . In particolare, si afferma che l’art. 572 c.p. <<può trovare applicazione nei rapporti di tipo lavorativo a condizione che sussista il presupposto di parafamiliarità, intesa come sottoposizione di una persona all’autorità di un altra in un contesto di prossimità permanente, di abitudini di vita proprie e comuni alle comunità familiari, nonché di affidamento, fiducia e soggezione del sottoposto rispetto all’azione di chi ha la posizione di supremazia>>. Nel caso di specie, il reato si è ritenuto integrato con riferimento alle condotte vessatorie poste in essere dal titolare di un’impresa agricola nei confronti dei dipendenti di nazionalità rumena ospitati nella struttura e ridotti in una situazione di estremo disagio quanto al vitto, all’alloggio ed alle condizioni igieniche.

In una altra recente pronuncia, invece, la Cassazione, Sent. n. 34086 del 2.10.2020,  ha ritenuto che in tema di maltrattamenti in famiglia, non è configurabile una relazione assimilabile a quella familiare nel caso di due persone che, coltivando una relazione clandestina, utilizzino un appartamento esclusivamente quale base dei loro incontri.

Dunque, certamente ad oggi potremmo sostenere che non esiste un indirizzo univoco circa l’ambito oggettivo di applicazione del reato poiché trattasi di un reato in cui la sussistenza di ogni singolo elemento soggettivo ed oggettivo deve essere il frutto di un apprezzamento pertinente delle componenti strutturali del reato operato dei giudici.

4. Disamina del delitto di atti persecutori ex art. 612 bis del codice penale

Il reato di atti persecutori è stato introdotto dal D.l. n. 11 del 2009 all’art. 612 bis c.p., è un reato comune che può essere commesso da chiunque con atti di minaccia o molestia reiterata (reato abituale); con questa fattispecie penale il legislatore punisce quelle condotte persecutorie che sono idonee a produrre uno dei tre eventi previsti dalla norma, ossia  il perdurante stato d’animo di paura, il fondato timore per la propria o altrui incolumità, nonché il mutamento delle abitudine di vita della vittima di tali condotte. Sotto il profilo soggettivo, è richiesta la consapevolezza e volontà del soggetto agente, inteso come dolo specifico, di arrecare alla vittima della propria condotta un effetto destabilizzante della sua serenità. Questo reato, infatti, ormai noto come stalking (dal termine anglosassone 5to stalk ovvero <<fare la posta alla preda>>) prevede la pena della reclusione da sei mesi a quattro anni  ed è punito a querela della persona offesa. Ai fini della configurabilità di tale crimine, non è richiesta l’esistenza di una relazione soggettiva specifica tra il reo e la vittima.

5. Il rapporto tra maltrattamenti in famiglia e il reato di atti persecutori

E’ di facile comprensione che l’oggettività giuridica delle due fattispecie è diversa e diversi sono i soggetti attivi e passivi delle condotte illecite, ancorché le condotte materiali dei reati appaiono omologabili per modalità esecutive e per tipologia esecutiva.

Il rapporto tra questi due reati è regolato dalla clausola di sussidiarietà prevista dall’art. 612- bis co. 1 c.p. “salvo che il fatto costituisca più grave reato”, secondo cui è applicabile il reato cui al 572 co. 1 c.p. più grave per la pena edittale rispetto a quello di atti persecutori nella sua forma generale di cui all’art. 612 bis co.1 c.p. E’ possibile, altresì, un concorso apparente di norme che renda applicabili (concorrenti) entrambi i reati  di maltrattamenti e di atti persecutori. Si precisa inoltre che il reato di atti persecutori è idoneo a sanzionare con effetti diacronici comportamenti che, sorti in seno alla comunità familiare (o simile) esulerebbero dalla fattispecie dei maltrattamenti per la sopravvenuta cessazione del vincolo familiare o affettivo comunque dalla sua attualità e continuità temporale, ad esempio in caso di divorzio o di relazione affettiva definitivamente cessata, perché in caso di separazione legale, oltre che di fatto, la Suprema Cassazione ha ritenuto che si configura il crimine di maltrattamenti in quanto il venir meno della convivenza e del dovere di fedeltà, non fa venir meno l’obbligo di reciproco rispetto e assistenza materiale e morale tra i coniugi.

Il rapporto tra le due fattispecie incriminatrici, tuttavia, si complica quando, come prevedono le ipotesi aggravate di atti persecutori, l’autore sia il coniuge legalmente separato o divorziato o un soggetto che sia stato legato da relazione affettiva alla persona offesa (cioè da una aggregazione in sostanza surrogatoria della famiglia stricto sensu). In questo caso, una  pronuncia della Suprema Corte del 2011 ha stabilito che «la forma aggravata del reato prevista dal 2° comma dell’art. 612-bis c.p. recupera ambiti referenziali latamente legati alla comunità della famiglia e che ne costituiscono – se così può dirsi – postume proiezioni temporali». Occorre allora stabilire quando quella sequenza cronologica che ha inizio dai maltrattamenti in famiglia – durante la convivenza – e prosegue con le condotte persecutorie post separazione, può giungere a configurare (a titolo di concorso) anche il delitto di atti persecutori.

6. Riflessioni conclusive

Le due fattispecie di reato fin qui esaminate purtroppo, nella maggior parte dei casi, si verificano in un contesto di tipo “familiare” o pseudo tale; tutto ciò rende ovviamente più difficile definire concretamente quale sono le condotte da incriminare e, soprattutto, darne la corretta classificazione giuridica.

Sicuramente, ai fini di una corretta configurabilità della fattispecie di reato consumatasi, rilevano gli elementi probatori a carico dell’imputato. Il nostro processo penale, infatti, da estrema rilevanza alla fase dell’istruttoria dibattimentale, in cui vengono acquisiti al processo gli elementi conoscitivi necessari al giudice per valutare la fondatezza delle ipotesi d’accusa, dalle dichiarazioni della persona offesa, alle testimonianze di familiari e parenti per verificare se ed in quale misura si è verificato un atto persecutorio e/o un maltrattamento.

Eppure, a parer di chi scrive, questa separazione tra maltrattamenti e atti persecutori si rivela a tratti insufficiente se non meramente “classificatoria”; le condotte di entrambi i reati, infatti, soprattutto in un contesto familiare, si mescolano al punto tale da non trovare più la linea di confine dell’una o l’altra.

I fatti di cronaca dimostrano come numerose donne, già all’interno della relazione coniugale venivano perseguitate e/o maltrattate sia fisicamente che psicologicamente. Nelle aule dei tribunali, non è così scontato dimostrare gli atti persecutori ed i  maltrattamenti verificatisi nel corso di anni e anni, la vittima infatti il più delle volte prova una sorta di “vergogna” nel “dare spiegazione” ad un Pubblico Ministero delle violenze subite, sicché nella maggioranza dei casi le donne non arrivano quasi mai in Tribunale e finiscono, purtroppo, per perdere la vita dopo essere state perseguitate e maltrattate per mano di uomini scellerati che, approfittando della “carenze” della giustizia, hanno tutto il tempo per pianificare e concretizzare la loro vendetta.

Ad oggi, se i casi di femminicidio, maturati in un contesto familiare, aumentano in modo così esponenziale, vuol dire che la risposta che il nostro sistema da a questi crimini è insufficiente. Pertanto, l’auspicio è un intervento del legislatore al fine di rivedere la disciplina ed inasprire notevolmente le pene previste per queste distinte ma, nella realtà, simili condotte consumate all’interno di ambienti “familiari”.


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