Il rapporto tra la cessione di selfie pedopornografici e il reato di cui all’art. 600-ter, co. IV, c.p.

Il rapporto tra la cessione di selfie pedopornografici e il reato di cui all’art. 600-ter, co. IV, c.p.

Sommario: 1. La questione – 2. La vicenda – 3. L’iter processuale – 4. L’evoluzione giurisprudenziale

 

1. La questione 

Con la sentenza n. 5522 del 2020 la Cassazione affronta un problema relativo all’interpretazione dell’art. 600 ter co. IV c.p. in rapporto all’art. 600 ter co. I c.p. 

Nello specifico, la Suprema Corte si trova a dover valutare “se la condotta di chi entri abusivamente nella disponibilità di foto pornografiche autoprodotte dal minore e presenti nel suo telefono cellulare, ne effettui la riproduzione fotografica e le offra o le ceda successivamente a terzi senza autorizzazione, integri o meno l’ipotesi delittuosa di cui all’art. 600 ter c.p.” (Cass. pen., sez. III, sent. 12.02.2020, n. 5522). 

2. La vicenda 

Uno studente universitario, durante una gita avvenuta nel periodo pasquale, usava il cellulare della persona offesa per scattare delle foto di gruppo. 

All’insaputa di quest’ultima, tratteneva il suo telefono e rinveniva nella galleria delle foto una serie di selfie pornografici. Lo studente, dopo aver fotografato i selfie della minore, li inviava ad un suo amico, il quale poi a sua volta li inoltrava su un gruppo whatsapp.

3. L’iter processuale 

Il Pubblico Ministero di Salerno contestava allo studente universitario la cessione di materiale pedopornografico, fattispecie p. e p. dall’art. 600 ter co. IV c.p.

Al contrario, il G.U.P. di Salerno osservava, in primo luogo, che l’imputato non aveva divulgato e diffuso le foto ad un numero indeterminato di soggetti, essendosi al contrario limitato ad inoltrarle ad un unico soggetto dal quale era poi partita la divulgazione. 

In secondo luogo, il Giudice affermava che il reato di cui all’art. 600 ter c.p. presupponeva che il produttore del materiale pedopornografico fosse un soggetto diverso dal minore raffigurato.

Secondo il G.U.P., infatti, la ratio della norma sarebbe quella di punire chi si serve del minore per produrre il materiale pornografico. 

Al contrario, nel caso di specie, si era verificata una mera copiatura del materiale autoprodotto dalla minore e tale ipotesi, ad avviso del Giudice, non era sussumibile nella fattispecie di cui all’art. 600 ter c.p. Per tali ragioni, il G.U.P. assolveva l’imputato.

Di tutt’altro avviso era la Corte d’Appello di Salerno.

Secondo quest’ultima, se è pur vero che la minore aveva prodotto in modo del tutto volontario le foto (momento originario), ciò che rileva è la condotta successiva consistita  nel fotografare e divulgare le foto della minore senza il suo consenso.

Peraltro, sottolinea la Corte, il fatto che quelle foto siano state inviate ad un solo soggetto e non ad una serie indeterminata di utenti non osta alla configurabilità del reato, integrando tale condotta la nozione di cessione “per la possibilità, insita nel mezzo telematico prescelto, di accesso ad un numero indeterminato di destinatari”.  

4. L’evoluzione giurisprudenziale

Il punto di partenza del ragionamento condotto dalla Cassazione nella pronuncia in esame è rappresentato dalla sentenza n. 11675 del 2016 (Cass. pen. sez. III, sent. 18.02.2016, n. 11675). 

In quel caso la Corte aveva affermato che il delitto di cui all’art. 600 ter c.p. si configura solo se il produttore del materiale è persona diversa dal minore raffigurato. 

Al contrario, se il minore realizza e produce tale materiale in modo autonomo, consapevole, non indotto o costretto vengono a mancare i requisiti dell’alterità e della diversità, difettando l’elemento costitutivo dell’utilizzo del minore da parte di un terzo.

Nello stesso senso si è espressa la medesima sezione nella sentenza n. 34357 dell’11.04.2017.

Rispetto a tale orientamento segnano un punto di svolta le Sezioni Unite con la sentenza n. 51815 del 2018.  

In tale occasione la Cassazione ha riconosciuto la liceità della pornografia domestica, per tale intendendosi la realizzazione di materiale pornografico che veda coinvolti dei minori che abbiano raggiunto l’età del consenso sessuale, nel caso in cui tale materiale venga prodotto e detenuto con il consenso di tali minori e unicamente a uso privato. 

Secondo le Sezioni Unite, il discrimen fra il penalmente rilevante e il penalmente irrilevante è dato dalla configurabilità del requisito della utilizzazione del materiale prodotto.

Dunque, ad avviso della Corte, “qualora le immagini o i video abbiano per oggetto la vita privata sessuale nell’ambito di un rapporto che, valutate le circostanze del caso, non sia caratterizzato da condizionamenti derivanti dalla posizione dell’autore, ma siano frutto di una libera scelta – come avviene, per esempio, nell’ambito di una relazione paritaria tra minorenni ultraquattordicenni – e siano destinate ad un uso strettamente privato, dovrà essere esclusa la ricorrenza di quella “utilizzazione” che costituisce il presupposto dei reati sopra richiamati” (Cass. pen., S.U., sent. 15.11.2018, n. 51815).

Alla luce delle considerazioni svolte dalle Sezioni Unite, la Suprema Corte di Cassazione  nella sentenza in esame (Cass. pen., sez. III, sent. 12.02.2020, n. 5522) ha ritenuto di rivedere l’orientamento espresso nelle precedenti sentenze del 2016 e del 2017.

Ad avviso della Corte, ai fini della riconducibilità di una condotta nell’alveo dell’art. 600 ter co. IV c.p., non riveste valore alcuno la modalità di produzione del materiale pornografico, rientrando nell’art. 600 ter c.p. tutte quelle condotte che ledono “la dignità del minore e ne impediscono il suo armonioso sviluppo morale” (Cass. pen., sez. III, sent. 12.02.2020, n. 5522). 

In questo senso depone anche la nozione di pornografia minorile di cui al settimo comma dell’art. 600 ter c.p., per tale intendendosi “ogni rappresentazione, con qualunque mezzo, di un minore degli anni diciotto coinvolto in attività sessuali esplicite, reali o simulate, o qualunque rappresentazione degli organi sessuali di un minore di anni diciotto per scopi sessuali”.

In conclusione, affinché si configuri il reato di cui all’art. 600 ter co. IV c.p. “relativo all’offerta o cessione ad altri di materiale pedopornografico ossia di materiale raffigurante la pornografia minorile secondo la nozione data dal settimo comma dell’art. 600-ter c.p., è necessario e sufficiente che oggetto dell’offerta o della cessione sia il materiale pedopornografico realizzato o prodotto, e non il reato di produzione pornografica”.

Sulla base di quanto sopra esposto, la Cassazione ha ritenuto che la condotta dello studente universitario integrasse il reato di cui all’art. 600 ter co. IV c.p., confermando la decisione di appello.


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Gaia Gagliardi

Laureata nel gennaio 2018 presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano (votazione 110) con una tesi dal titolo "La responsabilità penale dello psichiatra tra obblighi di protezione e obblighi di controllo" (Relatore Prof. G. Forti), ha svolto la pratica forense presso il foro di Milano, specializzandosi in diritto penale.  Ha conseguito un master di secondo livello in diritto penale dell'impresa, discutendo un elaborato finale dal titolo "La fenomenologia della manipolazione del mercato: il pump and dump". Nel dicembre 2021 ha conseguito l'abilitazione all'esercizio della professione forense presso la Corte d'Appello di Milano e attualmente è iscritta all'Albo degli Avvocati di Piacenza.

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