Il rapporto tra la responsabilità genitoriale e la tutela assicurativa della “RC capofamiglia”

Il rapporto tra la responsabilità genitoriale e la tutela assicurativa della “RC capofamiglia”

Il concetto di famiglia nel corso degli anni ha mutato forma e contenuti, tanto che per darne una definizione non si può prescindere dall’evoluzione sociale e di costumi verificatasi nel tempo.

In questo momento storico stiamo assistendo all’estensione dei confini del nucleo famigliare, sino a identificare con famiglia ogni nucleo rappresentato da due o più individui conviventi, legati tra loro da vincoli e/o rapporti di unione, di coniugio e/o di parentela, affinità.

E’ la famiglia così intesa a rappresentare oggi l’epicentro di tutte le forme di responsabilità civile correlate alla vita domestica, ed al contempo il centro di interessi di posizioni giuridiche soggettive che necessitano di tutela dall’ordinamento e che assumono rilevanza anche per le compagnie assicurative.

Infatti seppur la normativa prevista per la responsabilità civile nel caso di danni occorsi a terzi per fatti commessi dai membri di una famiglia – come ad esempio i figli minori – resti immutata, si è registrata un’evoluzione sul piano della tutela offerta dalle compagnie assicurative, che scelgono di garantire tutta la famiglia a prescindere dal vincolo e dal legame che mette in relazione i membri della stessa.

Quando si pensa alla vita famigliare, emergono varie circostanze che sono fonti di responsabilità civile, a titolo esemplificativo e non esaustivo: l’uso e la proprietà dell’immobile adibito ad abitazione, l’esecuzione di lavori di ordinaria e straordinaria amministrazione, ma altresì l’esercizio di attività ricreative, la proprietà di animali domestici, nonché i figli minori.

Il caso maggiormente problematico è rappresentato dall’ipotesi di danni cagionati da figli minori.

In questo caso, trova applicazione l’art. 2048 codice civile che a seguito delle modifiche apportate dal Decreto Legislativo nr. 154 del 2013, oggi individua le ipotesi di responsabilità genitoriale, che ha sostituito la così detta “patria potestà”.

Secondo la dottrina più tradizionale e la giurisprudenza[1] maggioritaria, la fattispecie di cui all’art. 2048 c.c. rientrerebbe nel sistema generale della responsabilità per colpa, in particolare si tratterebbe “culpa in educando” che avrebbe per effetto un’inversione dell’onere della prova a favore del danneggiato, in deroga ai comuni principi vigenti in tema di illecito aquiliano.

La colpa è identificata non già nel non aver impedito il fatto, ma in un comportamento antecedente la commissione dell’illecito e, più precisamente, nella violazione dei doveri correlati all’esercizio della potestà, in particolare i doveri di educazione e di vigilanza.

Si chiede infatti ai genitori di dimostrare – per andare esenti da responsabilità – di aver convenientemente educato il minore e di aver vigilato la sua condotta in modo da prevenire la commissione dell’illecito; non è pertanto sufficiente al genitore provare di non aver potuto materialmente impedire la commissione del fatto.

In ottica di risarcimento del danno rileva altresì l’elemento della causalità.

In effetti in ambito di responsabilità extra contrattuale (come quella genitoriale) la giurisprudenza e la dottrina prevalenti, in applicazione dei principi penalistici, di cui agli artt. 40 e 41 codice penale, ritengono che un evento è da considerare causato da un altro se, ferme restando le altre condizioni, il primo non si sarebbe verificato in assenza del secondo (cd. teoria della condicio sine qua non).

Al contempo, non è sufficiente tale relazione causale per determinare una causalità giuridicamente rilevante, dovendosi, all’interno delle serie causali così determinate, dare rilievo a quelle soltanto che, nel momento in cui si produce l’evento causante non appaiano del tutto inverosimili, ma che si presentino come effetto non del tutto imprevedibile, secondo il principio della cd. causalità adeguata o quella similare della cd. regolarità causale[2].

Anche nella fattispecie di danno commesso da figli minori, quindi, integrando un illecito aquiliano, occorre tenere distinti il concetto di lesioni che integrano l’evento dannoso, dal danno risarcibile non patrimoniale, che invero è solo un danno conseguenza, ed è questo l’oggetto del risarcimento, soggetto alla causalità giuridica.

In tale contesto, è stata avvertita la necessità di mitigare gli effetti negativi della responsabilità genitoriale per fatti commessi dai figli, ma non solo: è stato introdotto uno strumento di tutela che prescindendo dal rapporto genitoriale tradizionale ha offerto una garanzia per tutti i soggetti facenti parte del nucleo familiare, ivi compresi i collaboratori domestici.

Ebbene nel contesto famigliare descritto in apertura, è stata introdotta la polizza assicurativa “RC capofamiglia” a copertura del rischio di danni nei confronti di terzi, causati dal comportamento dei membri assicurati, ovviamente ivi compresi i figli, ma non necessariamente figli del “capofamiglia” e minori di età, ed in ogni caso la tutela comprende tutti i membri del nucleo.

Così operando viene limitato il campo di operatività della responsabilità genitoriale di cui all’art. 2048 c.c. per far spazio ad una forma di tutela ampia e generalista.

Per poter esaminare compiutamente l’applicazione e il funzionamento di tale copertura assicurativa, è opportuno partire da un dato letterale: cosa si intende con capofamiglia.

Generalmente si identifica come capofamiglia la persona che provvede al sostentamento economico familiare, ossia:

– chi svolge attività lavorativa in caso di famiglie monoreddito;

– colui/colei che ha il reddito maggiore in caso di famiglie multireddito.

L’assicurazione capofamiglia è intestabile a una singola persona, che verrà identificata come il responsabile civile di qualsiasi sinistro o incidente denunciato, ma la protezione può essere estesa a tutti i membri della famiglia, con modifica dei massimali e del premio annuo della polizza.

La “capofamiglia” quindi è una speciale polizza assicurativa secondo la quale è la compagnia assicurativa ad accollarsi l’onere risarcitorio nel caso di danni commessi da membri della famiglia, a prescindere dalla tipologia di relazione che lega il soggetto al capofamiglia, purché naturalmente, la relazione sussista concretamente.

Nel dettaglio, trattasi di una tutela prevista per tutte le tipologie di famiglia: da quelle composte da una sola persona, fino alle più numerose, siano esse composte da entrambi i genitori oppure da uno solo, sia in caso di coniugi che di soggetti uniti civilmente, ovvero conviventi di fatto.

L’evento lesivo, che fonda il rischio assicurato, è la lesione personale del terzo, non anche del minore o del membro assicurato: non potrà essere accolta l’equazione proposta tra lesioni personali del terzo e del minore, sia per la diversa natura ontologica-giuridica di tali danni sia perché, così operando si verificherebbe una commistione tra il danno-evento (in sé non risarcibile) con il danno-conseguenza risarcibile.

Ne consegue che l’unico rischio assicurato e quindi danno risarcibile, in caso di copertura assicurativa capofamiglia è il danno conseguenza ossia le lesioni personali o i danni patrimoniali del terzo per fatto del membro della famiglia, sia esso il figlio minore o altro soggetto.

In definitiva, pur restando immutato il concetto di responsabilità genitoriale ex art. 2048 c.c., il suo perimetro di operatività viene ristretto in caso di stipula di una copertura assicurativa che tuteli tutti i membri della solita famiglia da ipotesi di responsabilità extracontrattuale, ivi compreso il caso di danni a terzi commessi da figli minori.

Si considera superato il profilo di responsabilità ex art. 2048 c.c. sussistente in capo ai genitori poiché l’obbligazione risarcitoria è assolta direttamente dalla compagnia assicurativa.

 

 

 

 

 


[1]V., per tutte, Cass. 26 giugno 1984, n. 3726, in Arch. resp. civ., 1985, p. 51; Cass. 18 giugno 1985, n. 3664 e 6 maggio 1986, n. 3031, entrambe in Giur. it., 1986, I, 1, c. 1527; Cass. 24 ottobre 1988, n. 5751, in Foro it., 1989, I, c. 98; Cass. 29 maggio 1992, n. 6484, in Giur. it., 1993, I, 1, c. 588; Cass. 9 giugno 1994, n. 5619, in Mass. Giur. it., 1994.
[2] V., Cass. 1.3.2007; n. 4791; Cass. 6.7.2006, n. 15384; Cass. 27.9.2006, n. 21020; Cass. 3.12.2002, n. 17152; Cass. 10.5.2000 n. 5962.

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