Il rapporto tra lo stalking e l’omicidio aggravato ex art. 576, co. 1, n. 5.1, c.p.; reato complesso?
Sommario: 1. Premessa – 2. Cenni sul reato complesso – 3. Il precedente del 2019 – 4. Il recente arresto
1. Premessa
Ai sensi dell’art. 576 comma 1 n. 5.1 del codice penale, “si applica la pena dell’ergastolo se il fatto preveduto dall’articolo precedente è commesso: dall’autore del delitto previsto dall’articolo 612-bis nei confronti della stessa persona offesa”.
Con la recente sentenza, la n. 30931/2020, la Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi in merito al rapporto tra il delitto punito dall’art. 612-bis c.p. e l’omicidio aggravato ai sensi dell’art. 576, primo comma n. 5.1. Si discute, in particolare, se tale ultima fattispecie costituisca o meno un reato complesso. Con la recente pronuncia la Suprema Corte, discostandosi da un suo precedente del 2019, ne afferma la natura complessa tramite il seguente principio di diritto “tra gli art. 576, comma 1, n. 5.1, e 612-bis cod. pen, sussiste un concorso apparente di norme ai sensi dell’art. 84 comma 1 c.p. e, pertanto, il delitto di atti persecutori non trova autonoma applicazione nei casi in cui l’omicidio della vittima avvenga al culmine di una serie di condotte persecutorie precedentemente poste in essere dall’agente nei confronti della medesima persona offesa”.
2. Cenni sul reato complesso
Il reato complesso si configura quando la legge considera elementi costitutivi, ovvero circostanze aggravanti, di un reato fatti che se considerati autonomamente costituirebbero reati autonomi. In tal modo viene considerato unico il reato al cui interno si fondono due fattispecie incriminatrici.
In particolare, l’art 84 cp distingue: il reato complesso “del primo tipo”, costituito da due autonomi reati che si fondono dando vita ad un terzo e diverso reato; si pensi al delitto di rapina, che non è altro che il risultato della fusione della fattispecie di furto e di violenza privata. Nel reato complesso circostanziato, invece, uno dei due reati viene considerato una mera circostanza aggravante dell’altro; si pensi a quanto previsto dall’art. 576 comma 1 numero 5, dove la commissione di uno dei reati indicati dalla norma costituisce un’aggravante della fattispecie di omicidio. La ratio del reato complesso, pertanto, dev’essere individuata nella necessità di considerare in maniera unitaria condotte condotta che, pur integrando diverse fattispecie incriminatrici, presentino una forte connessione tra loro tale da giustificare un trattamento unitario ed escludere il concorso di reato.
Ciò posto, per la giurisprudenza il reto complesso non è altro che una ripetizione del principio di specialità; si ritiene, infatti, che vista l’analoga struttura di tale tipologia di reato, non vi sia nessuna deroga al criterio di specialità. In dottrina, invece, si ritiene che l’art. 84 c.p. sia un’espressione del principio di consunzione, ragion per cui l’ambito di applicazione del concorso apparente di norme includerebbe tutte quelle ipotesi nelle quali in concreto si fondono due fatti costituenti reato ma, alla luce della condotta complessiva, uno di essi, ed in particolare quello più grave, assorbe l’altro.
3. Il precedente del 2019
La questione era già stata affrontata dalla Suprema Corte con la sentenza 20786 dell’aprile 2019. In quell’occasione la Cassazione era giunta ad affermare che “Il delitto di atti persecutori non è assorbito da quello di omicidio aggravato ai sensi dell’art. 576, comma 1, n. 5.1, c.p., non sussistendo una relazione di specialità tra tali fattispecie di reato.”
La pronuncia aveva negato che in tal caso ricorresse un reato complesso, dovendosi rilevare la connotazione tipicamente soggettiva della norma. Si è ritienuto, infatti, che il legislatore nel far riferimento “all’autore del delitto previsto dall’art. 612-bis cp” non abbia inteso sanzionare la condotta persecutoria poi sfociata in omicidio, ma la mera commissione del fatto da parte dello stalker. La Corte ha infatti affermato che “La scelta del legislatore di porre l’accento, nella costruzione dell’aggravante in esame, sulla mera identità del soggetto autore sia degli atti persecutori che dell’omicidio e non sulla relazione tra i fatti commessi non può ritenersi frutto di una casuale modalità espressiva, utilizzata, senza una finalità precisa, in luogo di quella del tipo “se il fatto è commesso in connessione o in occasione”. Non può quindi leggersi la disposizione come se avesse voluto dire che il delitto di omicidio è aggravato se commesso contestualmente o in occasione della commissione degli atti persecutori.”
Ne deriva che, in tale ipotesi, non troverebbe applicazione il principio di specialità ex art. 15 c.p. per risolvere il concorso apparente di norme e dunque, non operando l’assorbimento, si configurerebbe un concorso di reati.
4. Il recente arresto
Con la recente pronuncia indicata in premessa, la Suprema Corte ha ribaltato il principio di diritto affermato nel suo precedente appena indicato. Gli ermellini non hanno condiviso la connotazione soggettiva attribuita dalla precedente pronuncia. In particolare, i giudici di legittimità, concentrandosi sul dato letterale dell’art. 576 comma 1 n. 5.1 cp, affermano che “l’infelice e incerta formulazione della norma non può giustificarne un’interpretazione soggettivistica, incentrata sul tipo di autore, senza considerare che la pena si giustifica non per ciò che l’agente è, ma per ciò che ha fatto. In altri termini, ciò che aggrava il delitto di omicidio non è il fatto che esso sia commesso dallo stalker in quanto tale, ma che esso sia stato preceduto da condotte persecutorie che siano tragicamente culminate, appunto, con la soppressione della vita della persona offesa.”
Ne deriva che in tal caso, nonostante la formulazione infelice della norma, si configura a tutti gli effetti un reato complesso, nel quale la ratio dell’aggravamento di pena si giustifica proprio alla luce del maggiore disvalore dell’omicidio che sia preceduto da una persecuzione della vittima. In sostanza si ribalta la visione della precedente pronuncia ponendo l’accento sulla connotazione oggettiva della fattispecie.
La soluzione adottata appare coerente sia con il principio di offensività, il quale richiede che ogni aggravamento di pena trovi giustificazione in una maggiore offensività della condotta rispetto al bene giuridico tutelato, che con quello di materialità, il quale ancora la punizione alla commissione di un fatto percepibile nella realtà esterna, chiudendo le porte al diritto penale d’autore che sembrerebbe fare da sfondo nel precedente arresto.
Inoltre, nella pronuncia in commento i giudici chiariscono anche che “La diversa conclusione conduce a un’interpretazione abrogans dell’art. 84 c.p., comma 1, che non appare rispettosa del principio del ne bis in idem sostanziale, posto a fondamento della disciplina del reato complesso, il quale vieta che uno stesso fatto venga addossato giuridicamente due volte alla stessa persona, nei casi in cui l’applicazione di una sola norma incriminatrice assorba il disvalore del suo intero comportamento. Seguendo la tesi qui criticata, infatti, gli atti persecutori sono addebitati all’agente due volte: come reato autonomo, ai sensi dell’art. 612-bis c.p., e come specifica circostanza aggravante dell’omicidio, ai sensi dell’art. 576 c.p., comma 1, n. 5.1, sebbene il disvalore della condotta sia già integralmente ed adeguatamente considerato da quest’ultima norma, che commina la pena dell’ergastolo”.
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