Il reato continuato di cui all’art. 81, co. 2, c.p.

Il reato continuato di cui all’art. 81, co. 2, c.p.

Il reato continuato è disciplinato dall’art. 81, comma 2, c.p. e viene a configurarsi nell’ipotesi in cui, con più condotte attive od omissive, esecutive di un medesimo disegno criminoso, si commettano anche in tempi diversi più violazioni della stessa o di diverse disposizioni di legge.

Un’attenta lettura della norma in commento consente di comprendere come l’istituto della continuazione presenti la medesima struttura del concorso materiale di reati, tuttavia, sotto il profilo sanzionatorio, il legislatore ha optato per un più mite cumulo giuridico, consistente nell’applicazione della pena stabilita per la violazione più grave aumentata fino al triplo.

La ratio di tale disciplina di favore è da rinvenirsi nell’idea – non da tutti condivisa – che il soggetto che commette più reati avvinti dalla continuazione debba essere punito meno severamente rispetto a quello che pone in essere una pluralità di illeciti penali in esecuzione di plurimi progetti criminosi.

Il reato continuato, sotto il profilo strutturale, può essere analizzato sia dal punto di vista dell’elemento soggettivo che dal punto di vista dell’elemento oggettivo.

Ponendo l’attenzione sulla componente psicologica, giova precisare che la continuazione richiede necessariamente il dolo, atteso che non è possibile ritenere sussistente, nemmeno astrattamente, un nesso di continuazione tra fattispecie criminose colpose. E’ opportuno precisare, infatti, che il concetto di colpa si pone in un rapporto di incompatibilità rispetto a quello di medesimo disegno criminoso.

Le stesse considerazioni valgono anche per il c.d. dolo d’impeto, in quanto, essendo quest’ultimo caratterizzato dalla repentinità della decisione e dalla sua immediatezza nella fase esecutiva, non può conciliarsi con la necessaria programmazione delle plurime violazioni riconducibili al disegno criminoso.

Il reato continuato parrebbe, invece, potersi configurare in ordine alle contravvenzioni, purché sorrette da dolo.

Per quanto concerne l’elemento oggettivo, la continuazione richiede la compresenza dei seguenti requisiti: pluralità di azioni od omissioni, idonea ad originare altrettanti episodi criminosi (giova peraltro precisare che l’istituto della continuazione si ritiene configurabile anche nell’ipotesi in cui un individuo con una sola condotta attiva od omissiva, nell’ambito del medesimo disegno criminoso, violi più volte la stessa o diverse disposizioni di legge); più violazioni di legge, distinguendo reato continuato omogeneo ed eterogeneo a seconda che le violazioni riguardino, rispettivamente, la stessa legge oppure leggi diverse. Sul punto, si precisa che le plurime violazioni possono essere commesse anche in tempi diversi, fermo restando che l’eccessivo lasso temporale intercorrente fra le stesse conduce ad escludere l’unicità del disegno criminoso con conseguente concorso materiale di reati e, sotto il profilo sanzionatorio, cumulo materiale di pene; medesimo disegno criminoso.

Con riferimento a tale ultimo requisito, è opportuno evidenziare come in dottrina prevalga la concezione finalistica che richiede sia una rappresentazione mentale unitaria ed anticipata dei singoli fatti di reato, poi effettivamente posti in essere dall’agente, supportata da un programma iniziale che comprenda le diverse imprese criminose, sia l’unicità di scopo, cioè una programmazione diretta alla realizzazione di un obiettivo unitario.

Sotto il profilo sanzionatorio, come accennato in apertura, in tema di reato continuato trova applicazione il cumulo giuridico, con il limite insuperabile del cumulo materiale fra le pene, di cui al comma 3. Ciò significa che nell’applicare la pena prevista per la violazione più grave aumentata fino al triplo non potrà mai superarsi il cumulo materiale delle singole pene previste in ordine ai reati avvinti dal nesso della continuazione.

Per quanto concerne il concetto di “violazione più grave”, la giurisprudenza a Sezioni Unite ha chiarito che per poter stabilire quale sia, in concreto, la violazione più grave deve farsi riferimento al tipo e all’entità della sanzione prevista in astratto dalle norme incriminatrici per ciascun illecito penale commesso in continuazione.

Nello specifico, qualora si tratti di violazioni punite con sanzioni eterogenee, sarà da considerarsi più grave quella sanzionata con la pena qualitativamente più grave.

Laddove, invece, le violazioni siano punite con sanzioni omogenee, quella più grave sarà la violazione punita con la sanzione quantitativamente più incisiva-pesante.

In riferimento al cumulo giuridico e al limite “insuperabile” del cumulo materiale delle pene, ai sensi dell’art. 81, co. 3, c.p., occorre precisare che il comma successivo – introdotto dal legislatore nel 2005 – recita quanto segue “Fermi restando i limiti individuati dal terzo comma, se i reati in concorso formale o in continuazione con quello più grave sono commessi da soggetti ai quali sia stata applicata la recidiva prevista dall’art. 99, quarto comma, l’aumento della quantità di pena non può essere comunque inferiore ad un terzo della pena stabilita per il reato più grave”.

In ordine a tale ultimo comma, in seno alla Giurisprudenza di legittimità si è formato un contrasto di orientamenti circa la possibilità per il giudice di applicare l’aumento della quantità di pena non inferiore ad un terzo di quella stabilita per il reato più grave, sebbene la recidiva, nell’ambito del giudizio di bilanciamento di cui all’art. 69 c.p., sia stata ritenuta equivalente alle concorrenti circostanze attenuanti.

Orbene, secondo l’orientamento ermeneutico prevalente, il limite di aumento minimo per la continuazione, di cui all’art. 81, co. 4, c.p., opera anche quando il giudice abbia considerato la recidiva equivalente alle riconosciute attenuanti (cfr. Cass. Pen., Sez. III, 11.05.2016, n. 19496).

Ad avviso, invece, dell’indirizzo minoritario, il limite in questione non opera qualora la recidiva di cui all’art. 99, co. 4, c.p., sia stata ritenuta equivalente alle riconosciute circostanze attenuanti, in quanto il giudice, in tale ipotesi, ne ha escluso l’applicazione a causa della sua concreta inidoneità ad aggravare la sanzione (cfr. Cass. Pen., Sez. V, 26.10.2015, n. 43030).

Sul tema sono intervenute, da ultimo, le Sezioni Unite le quali, aderendo all’indirizzo maggioritario, hanno rilevato che la recidiva può ritenersi applicata quando produce uno qualsiasi degli effetti che le sono propri, quindi non esclusivamente quello tipico di aumento della pena, bensì anche la neutralizzazione di una circostanza di segno contrario (Cass. Pen., Sez. Un., 21.07.2016, n. 31669). La Suprema Corte di Cassazione ha precisato, inoltre, che la recidiva richiede, da parte del giudice, un accertamento articolato, inerente la maggiore colpevolezza e l’aumentata capacità a delinquere, che solo laddove negativo esclude ogni conseguenza e che, invece, permane comunque alla valutazione comparativa operata nel giudizio di bilanciamento, in quanto, quando questo avviene, la recidiva è stata già riconosciuta ed applicata, essendole stata attribuita quell’oggettiva consistenza che consente il confronto con le attenuanti concorrenti. Ne discende, dunque, che al momento in cui viene effettuato il giudizio di comparazione, l’azione consistente nell’applicazione della recidiva si è già esaurita, altrimenti il bilanciamento non sarebbe stato necessario.

La Corte, da ultimo, ha osservato che anche in altre occasioni in cui la giurisprudenza di legittimità ha affrontato questioni riferite alla recidiva, si è ritenuto che il giudizio di bilanciamento con altre circostanze concorrenti non determini conseguenze neutralizzanti degli ulteriori effetti della recidiva. In tema di prescrizione, giova richiamare la pronuncia delle Sezioni Unite, con la quale è stato affermato che la recidiva reiterata, quale circostanza aggravante ad effetto speciale, rileva ai fini della determinazione del termine della prescrizione, anche qualora nel giudizio di comparazione con le attenuanti sia stata considerata equivalente (Cass. Pen., Sez. VI, 16.09.2015, n. 39849).


Salvis Juribus – Rivista di informazione giuridica
Direttore responsabile Avv. Giacomo Romano
Listed in ROAD, con patrocinio UNESCO
Copyrights © 2015 - ISSN 2464-9775
Ufficio Redazione: redazione@salvisjuribus.it
Ufficio Risorse Umane: recruitment@salvisjuribus.it
Ufficio Commerciale: info@salvisjuribus.it
***
Metti una stella e seguici anche su Google News

Articoli inerenti