Il reato di autoriciclaggio e la clausola di non punibilità ex art. 648-ter 1, comma 4 c.p.

Il reato di autoriciclaggio e la clausola di non punibilità ex art. 648-ter 1, comma 4 c.p.

Sommario: 1. Introduzione – 2. Il reato di autoriciclaggio: struttura e ratio legis – 3. La clausola di non punibilità del comma 4 dell’art. 648 ter 1: le tesi sul tappeto – 4. La soluzione prospettata dalla Seconda Sezione Penale (Cass. Pen., Sez. II, 7 giugno 2018, n. 30399)
 

 1. Introduzione

Il reato di autoriciclaggio, introdotto nel nostro ordinamento a seguito di un tortuoso iter normativo (per come meglio si indicherà nel prosieguo) ha suscitato e continua a suscitare rilevanti problematiche in seno alla giurisprudenza e alla dottrina. Da ultimo, infatti, la Corte di Cassazione è tornata a occuparsi –  con la sentenza Cass. pen., Sez. II, 7 giugno 2018, n. 30399 – della controversa questione concernente l’ambito applicativo della clausola di non punibilità contemplata dall’art. 648 ter 1 comma 4.

Il caso sottoposto al vaglio degli Ermellini trae origine dal ricorso per cassazione proposto dall’imputato, avente ad oggetto l’ordinanza con cui il Tribunale di primo grado aveva rigettato l’istanza di riesame avverso il decreto di sequestro preventivo emesso nei propri confronti per il reato di cui all’art. 648 ter 1, il cui delitto presupposto era costituito dal reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale (artt. 216 e 223 R.D. n. 267/1942).

Il ricorrente, nello specifico, adduceva la non punibilità della condotta al medesimo ascritta, in quanto egli aveva utilizzato il denaro –  provento di delitto – per estinguere un finanziamento e, dunque, per adempiere ad una propria obbligazione; talchè la prefata condotta non sarebbe stata punibile a norma del comma 4 dell’art. 648 ter 1, che esclude che l’agente possa essere punito per autoriciclaggio qualora il denaro, i beni o le altre utilità siano destinate alla mera utilizzazione o al godimento personale.

Per comprendere funditus il tema in esame, però, si appalesa necessaria una breve disamina della struttura del reato di autoriciclaggio.

2. Reato di autoriciclaggio (art. 648 ter 1 c.p.): struttura e ratio legis

Con l. 186 del 15 dicembre 2014, entrata in vigore solo nel gennaio 2015, è stata introdotta la nuova fattispecie dell’autoriciclaggio. Quest’ultima, cristallizzata oggi dall’art. 648 ter-1c.p.[1],  sanziona le condotte di riciclaggio e reimpiego poste in essere dallo stesso soggetto autore o concorrente nel reato presupposto, con pene diverse a seconda della gravità del delitto presupposto e con previsione della non punibilità delle condotte in cui denaro/altre utilità vengano destinati alla mera utilizzazione o al godimento personale.

L’introduzione del 648 ter-1 rappresenta, pertanto, una piena presa di coscienza da parte del legislatore rispetto a un fenomeno in costante crescita e dagli effetti non meno preoccupanti dei reati-base.

Trattasi di reato proprio, potendo essere soggetto agente di siffatta condotta solo l’autore del reato presupposto o i suoi concorrenti. Parte della dottrina, però, ritiene che più precisamente si tratti di reato semi-esclusivo, dal momento che la qualifica soggettiva non determina di per sé il disvalore del fatto, poiché – anche in sua assenza – sarebbe comunque rilevante come reato comune.

La qualifica soggettiva non è, però, da sé sufficiente, richiedendosi come necessario anche l’oggetto materiale delle condotte di impiego, sostituzione o trasferimento dei proventi di tale delitto.

Fino all’introduzione del 648 ter-1, l’ordinamento non sanzionava la condotta di chi, esecutore del reato base, commettesse anche i successivi reati di ricettazione, riciclaggio e reimpiego. I fatti di autoriciclaggio erano, comunque, ritenuti punibili mediante il ricorso all’art. 12 quinquies l. 356/1992, che prevedeva il reato di trasferimento fraudolento di valori, che nella propria formulazione espressamente rinviava agli art. 648 ss. c.p.; secondo la giurisprudenza prevalente (sul punto, SS.UU. 25191/2014[2]) l’art. 12 quinquies consentiva di perseguire anche i fatti di auto ricettazione, riciclaggio e reimpiego.

Solo in seguito alle sollecitazioni sovranazionali[3], il legislatore italiano ha previsto la rilevanza penale dell’autoriciclaggio al dichiarato fine di colmare la lacuna normativa e incriminare la condotta di ricettazione, riciclaggio e reimpiego posta in essere dall’autore o dal correo del reato base.

Prima dell’espressa tipizzazione normativa, la punibilità dell’autoriciclaggio aveva suscitato talune perplessità, derivanti dall’applicazione dei principi generali del diritto penale.

In primo luogo, si riteneva che le condotte post delictumrealizzate dall’autore del reato presupposto per ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa dei beni e del denaro avrebbero costituito la normale prosecuzione del reato commesso, cosa che le avrebbe rese un mero post factumnon punibile, privo di autonomo disvalore, quindi assorbito nella fattispecie del reato presupposto.

In secondo luogo, le anzidette condotte erano ritenute da alcuni come parte integrante della condotta dello stesso reato presupposto e, pertanto, non punibili, in ossequio al principio del ne bis in idemsostanziale, alla stregua del quale nessuno può essere punito due volte per lo stesso fatto.

Ancora, la punibilità dell’autoriciclaggio avrebbe costretto l’autore del reato presupposto ad astenersi dal compiere operazioni volte ad ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa dei beni, esponendolo, così, a un maggior rischio di essere scoperto. L’autoriciclaggio sarebbe risultato, pertanto, in contrasto con il principio generale del nemo tenetur se detegere, in virtù del quale nessuno può essere tenuto ad auto-incriminarsi.

Infine, si riteneva che la punibilità dell’autoriciclaggio avrebbe assoggettato l’autore del reato presupposto ad una sanzione totalmente incongrua, rispetto alla sua gravità, sia per la pena prevista per il riciclaggio (potenzialmente molto più elevata di quella per il reato presupposto), sia perché, per effetto della continuazione, la medesima sanzione sarebbe potuta essere aumentata fino al triplo. Dalla punibilità dell’autoriciclaggio sarebbe, pertanto, conseguita una lesione del principio generale di proporzionalità della pena.

Il legislatore[4], tuttavia, in ossequio alle innumerevoli sollecitazioni sovranazionali[5], ha provveduto ad introdurre il reato di autoriciclaggio, non ponendo fine, però, alle discussioni in merito a siffatta controversa figura delittuosa.

L’introduzione di tale fattispecie è comunque da salutare con favore. Se si ha riguardo alla criminalità orientata al profitto (soprattutto nella dimensione della criminalità economica, intesa più precisamente come la flessione verso forme d’illegalità delle attività d’impresa latamente intese e non soltanto come la criminalità organizzata che investe nell’economia ‘legale’ i propri proventi), non è difficile avvedersi che la utilizzazione di mezzi provenienti dalle stesse attività illegali dà luogo a un fattore di significativa alterazione delle regole della concorrenza e del mercato.

La disponibilità ‘in proprio’ di mezzi economici di provenienza illecita (come tali non soggetti a imposizione fiscale, svincolati da qualsiasi controllo, generati attraverso modalità a loro volta alterative della concorrenza) ne permette l’impiego o verso ulteriori attività illecite (rispetto alle quali possono predicarsi analoghe connotazioni perturbative della concorrenza e del mercato), o direttamente in impieghi che pongono l’utilizzatore in una condizione di privilegio rispetto ai competitori in ipotesi rispettosi delle regole.

L’idea di fondo, che sembra giustificare l’incriminazione dell’autoriciclaggio, riposa sulla considerazione di congelare il profitto in mano al soggetto che ha commesso il reato-presupposto, in modo da impedirne la sua utilizzazione maggiormente offensiva, quella che espone a pericolo o addirittura lede “l’ordine economico”.

Più in dettaglio, in merito agli elementi costitutivi dell’illecito penale in commento, si osserva –  quanto al bene giuridico presidiato dall’art. 648 ter 1 – che  la duplice valenza delle condotte di ri-immisione nel circuito legale dei mezzi provenienti da attività illecite e di ostacolo alla tracciabilità della provenienza allontana la fattispecie criminosa de quadalla componente meramente patrimonialistica per collocarla nell’alveo dei reati plurioffensivi; invero, esaltando altresì la dimensione dell’offesa al mercato e alla concorrenza, inquinati dalla reimmessione di capitali “sporchi nel circuito dell’economia legale”, l’oggettività giuridica viene ad identificarsi anche con l’amministrazione della giustizia, l’ordine economico e il risparmio.

Il soggetto attivo del reato, come prima detto, è colui che ha commesso o concorso a commettere un delitto non colposo.

La condotta incriminata può consistere, alternativamente, nell’impiegare, sostituire o trasferire in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative denaro, beni o altre utilità provenienti dal delitto non colposoin precedenza perpetrato, in guisa da ostacolare concretamente l’identificazione della loro provenienza delittuosa.

Più in dettaglio, la locuzione “impiegare” allude a qualsiasi forma di ri-immissione della disponibilità del denaro, beni o altre utilità di provenienza delittuosa nel circuito economico-legale, mentre le forme della sostituzione e del trasferimento rimandano a qualsiasi comportamento che realizzi l’effetto tipico indicato dalla norma (appunto, la sostituzione o il trasferimento).

L’inciso “in modo da ostacolare concretamente l’identificazione della provenienza delittuosa” stigmatizza, nella condotta tipica, il requisito della artificiosità, sicchè la punibilità è circoscritta alle sole condotte che, in concreto – per le peculiari modalità in cui si manifestano, pur non integrando gli estremi degli artifici o raggiri – esprimano un contenuto decettivo e, pertanto, risultino idonee ad ostacolare la tracciabilità che conduce dalla disponibilità del denaro, dei beni o delle altre utilità alla sua fonte genetica.

L’aggiunta dell’avverbio “concretamente” oltre ad esigere un accertamento in termini oggettivi e strettamente collegati al singolo caso, suggerisce un’esegesi rigorosa, che impone all’interprete di attribuire al termine “ostacolare” il suo significato proprio, ossia di frapporre un mezzo allo svolgimento di un’azione o all’esplicazione di una facoltà.

L’oggetto materiale del reato è costituito da denaro, beni o qualsiasi altra utilità proveniente dal delitto presupposto, con ciò ricomprendendo, altresì, gli immobili, le aziende, i titoli di credito e quant’altro.

L’elemento soggettivo del reato di autoriciclaggio è il dolo generico, e cioè la coscienza e volontà di realizzare il fatto tipico. Si richiede, infatti, la volontaria realizzazione di una delle condotte dissimulatorie previste dal comma 1 dell’art. 648 ter 1, accompagnata dalla consapevolezza dell’idoneità dell’operazione realizzata a creare un concreto ostacolo all’identificazione della provenienza delittuosa del denaro, dei beni o delle altre utilità autoriciclate. Deve, al contrario, presumersi la consapevolezza della provenienza delittuosa della res, essendo il reo anche l’autore del reato presupposto.

Trattandosi di reato di pura condotta, la consumazione si ha nel momento e nel luogo in cui viene realizzato dall’agente il comportamento tipico. Nonostante la formulazione della norma in termini di reato di pericolo concreto, il tentativo è generalmente ammesso.

Il quinto comma dell’art. 648 ter 1 prevede un aumento di pena allorquando le condotte siano state poste in essere nell’esercizio di un’attività bancaria o finanziaria o in un’altra attività professionale; la ratiodell’aggravante è da rintracciarsi nel fatto che lo svolgimento di determinate attività professionali (come, per l’appunto, quelle bancarie) rende più agevole la realizzazione di operazioni di ripulitura di capitali “sporchi”.

Il sesto comma della norma in commento, invece, introduce un’attenuante speciale di tipo premiale applicabile al soggetto che si sia efficacemente adoperato per evitare che le condotte siano portate a conseguenze ulteriori o per assicurare le prove del reato e l’individuazione dei beni, del denaro o delle altre utilità provenienti dal delitto.

3. La clausola di non punibilità del comma 4 dell’art. 648 ter 1: le tesi sul tappeto.

Tutto ciò chiarito in merito alla genesi e agli elementi costitutivi del reato di autoriciclaggio, è possibile ora affrontare il tema dell’ambito di applicazione della clausola di non punibilità prevista dal comma 4 dell’art. 648 ter 1.

In particolare, il suddetto comma 4 statuisce- in maniera alquanto sibillina – che “Fuori dai  casi di cui ai commi precedenti, non sono punibili le condotte per cui il denaro, i beni, o le altre utilità vengano destinate alla mera utilizzazione o al godimento personale”. Il quarto comma, dunque, delimita l’ambito di applicazione della fattispecie e segna un limite negativo, descrivendo una modalità della condotta espressamente esclusa dalla rilevanza penale. Non è chiaro, però, quale sia l’ambito operativo di siffatta clausola di esclusione.

La querellegiurisprudenziale, sorta all’indomani dell’introduzione del delitto di cui si discorre, si è incentrata sul corretto significato da attribuire alla locuzione “Fuori dei casi di cui ai commi precedenti”.

Sul punto, due tesi si contengono il campo.

Alla stregua di un primo filone giurisprudenziale, che possiamo definire “restrittivo”, la fattispecie disciplinata dal comma 4 dell’art. 648 ter 1 sarebbe, già sul piano della tipicità, diversa e autonoma rispetto alle condotte descritte nei commi precedenti.

Per i sostenitori di tale indirizzo interpretativo, la norma dovrebbe essere interpretata secondo il senso fatto palese dal significato proprio delle parole in essa indicate, sicchè la suddetta clausola non si applicherebbe alle condotte descritte nei commi precedenti.

L’espressione “Fuori dei casi..”, a livello semantico, sta a significare che la fattispecie testé contemplata è diversa  e autonoma rispetto a quelle previste nei “commi precedenti”. La norma, dunque – avendo una sua autonomia e ponendosi all’esterno delle fattispecie previste nei commi precedenti – avrebbe una funzione interpretativa o di puntualizzazione del primo comma, proprio perché si sarebbe potuti addivenire alle medesime conclusioni anche senza di essa e sulla base di una semplice interpretazione a contrario.

Infatti, posto che il primo comma sanziona l’impiego, la sostituzione, il trasferimento in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative del denaro, dei beni o delle altre utilità provenienti dalla commissione del delitto presupposto, si sarebbe potuti ugualmente pervenire a ritenere non punibili le condotte con cui il denaro, i beni e le altre utilità vengono destinate alla mera utilizzazione o al godimento personale, proprio perché si tratta di condotte estranee all’area della condotta tipica e, quindi, penalmente irrilevanti, in ossequio al principio di legalità di cui all’art. 25, comma 2 Cost.

Un secondo orientamento (2° tesi, c.d. “estensiva”) obietta che l’interpretazione appena richiamata condurrebbe ad una inevitabile interpretatio abrogansdella fattispecie de qua, rendendo del tutto superfluo il quarto comma dell’art. 648 ter 1.

Si verserebbe, pertanto, in ipotesi di mero errore legislativo, talchè si è proposto di riscrivere e leggere la norma nel suddetto modo “Nei casi di cui ai commi precedenti”.

Di conseguenza, a seguito di tale rilettura della norma, la clausola in esame fungerebbe da limite alla condotta descritta e sanzionata nel primo comma, ossia come una clausola di non punibilità da applicare tutte le volte in cui la condotta autoriciclatoria, di per sé punibile, sia stata finalizzata alla utilizzazione o godimento personale del denaro, dei beni o delle altre utilità provento del delitto presupposto.

L’adesione alla prima, piuttosto che alla seconda, delle tesi ricordate non conduce a conclusioni meramente dogmatiche, bensì è foriera di conseguenze rilevanti sul piano applicativo.

La prima tesi – come prima detto, restrittiva e, quindi, di stretta interpretazione – pone il suo baricentro sulla condotta descritta nel primo comma, dimodoché ogniqualvolta la fattispecie criminosa sia integra in tutti i suoi elementi costitutivi, l’agente sarà perseguibile penalmente, essendo del tutto indifferente che, alla fine delle operazioni di autoriciclaggio, egli abbia meramente utilizzato o goduto dei suddetti beni a titolo personale.

La seconda tesi, al contrario – avente natura estensiva – tende a ricondurre nell’alveo delle condotte non punibili tutte quelle che, sebbene rientranti in quelle stigmatizzate nel primo comma, abbiano come risultato finale quello della mera utilizzazione o godimento personale della res provento del delitto presupposto.

4. La soluzione prospettata dalla Seconda Sezione penale (Cass. pen., Sez. II, 7 giugno 2018, n. 30399)

La Corte di Cassazione, nella sentenza indicata in epigrafe, aderisce alla prima delle tesi prospettate e, quindi, afferma che la fattispecie criminosa che integri tutti i requisiti di cui al comma 1 dell’art. 648 ter 1 è sanzionabile penalmente, essendo del tutto irrilevante che, alla fine della operazioni di autoriciclaggio, il soggetto abbia deciso di semplicemente utilizzare o godere dei suddetti beni a titolo personale.

La Seconda Sezione penale adduce a conforto di tale conclusione diverse argomentazioni.

In via preliminare, gli Ermellini non ritengono percorribile la via interpretativa per effetto della quale l’espressione “Fuori dei casi” dovrebbe essere sostituita – con una ingiustificata torsione del dato normativo – con la diversa locuzione “Nei casi”.

Siffatta operazione ermeneutica, difatti, finirebbe per stravolgere il dettato legislativo, dal punto di vista e semantico-giuridico e dogmatico: un’interpretazione consimile, pertanto, violerebbe il canone interpretativo dell’art. 12 delle Preleggi.

In secondo luogo, i giudici di legittimità chiariscono che non corrisponde al vero l’assunto in base al quale, aderendo alla prima tesi, il comma 4 non avrebbe alcuna utilità pratica, non essendo mai applicabile. La norma in esame, al contrario, laddove correttamente interpretata, conserva una propria utilità pratica.

Il comma 4, infatti, prevede un peculiare caso di non punibilità che, limitando in negativo la fattispecie criminosa di cui al primo comma, ad essa si affianca contribuendo a definirne, in modo più chiaro, l’ambito di operatività. Per poter comprendere quale sia tale ambito applicativo, occorre analizzare la struttura della clausola in commento.

Soggetto agente è sempre e soltanto colui che – a norma del primo comma – abbia commesso o concorso a commettere un delitto non colposo e cioè chi abbia posto in essere il delitto presupposto.

Per quanto attiene alla condotta, il comma quarto sancisce la non punibilità delle condotte per cui “il denaro, i beni o le altre utilità vengano destinate alla mera utilizzazione o al godimento personale”. È palese la differenza rispetto alla condotta del comma primo che sanziona, invece, la reimmissione nel circuito economico legale dei proventi illeciti: il comma quarto, a differenza del primo, prevede la “destinazione alla mera utilizzazione o al godimento personale”.

La summenzionata locuzione, quindi, sottintende unuso diretto, da parte dell’agente, dei beni provento del delitto presupposto; tale conclusione deriva dall’aggettivo (“mera” e, quindi, semplice, personale) utilizzato dalla norma per descrivere i due sostantivi (“utilizzazione” e “godimento” ) che non lascia spazio ad alternative.

Di conseguenza, non sarà riconducibile alla fattispecie in esame una condotta a seguito della quale l’agente utilizzi i beni in modo indiretto, come per esempio il godimento di un bene provento del delitto presupposto che, anziché essere goduto o utilizzato personalmente e, pertanto, direttamente, sia stato, prima di essere utilizzato, sottoposto ad operazioni di riciclaggio che ne abbiano concretamente ostacolato l’identificazione della provenienza delittuosa.

Il quarto comma richiede, altresì, l’assenza di qualsiasi attività concretamente idonea ad ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa del bene. A tale conclusione si perviene, innanzitutto, sulla base del testo normativo: se l’agente – per non essere punibile – deve limitarsi a “destinare” direttamente i beni provento del delitto presupposto alle proprie esigenze personali, ne deriva che tale condotta, conseguente a quella del delitto presupposto, non può e, soprattutto, non deve essere connotata dal requisito della decettività, proprio perché l’agente non avrebbe alcuna necessità di ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa del bene che utilizza.

Sul punto, si evidenzia che fino all’introduzione della nuova norma, l’autoriciclaggio – in qualunque forma fosse realizzato – alla stregua della clausola di riserva di cui all’incipit dell’art. 648 bis cod. pen. – non era punibile in base al cd. privilegiodell’autoriciclatore la cui condotta post factum non era, appunto, considerata punibile, trattandosi della naturale prosecuzione del delitto presupposto.

Però, una volta superato il dogma della non punibilità, e introdotto il nuovo reato, il legislatore ha ritenuto di conservare per l’autoriciclatore una ristretta area di “privilegio” limitandola, appunto, ai due tassativi casi di cui al quarto comma: mera utilizzazione e godimento personale dei beni provento del delitto presupposto.

In secondo luogo, la soluzione prospettata è coerente con la ratio legis: con l’introduzione del reato di autoriciclaggio il legislatore ha avuto come obiettivo quello di sterilizzare il profitto conseguito con il reato presupposto e, quindi, di impedire all’agente sia di reinvestirlo nell’economia legale sia di inquinare il libero mercato ledendo l’ordine economico con l’utilizzo di risorse economiche provenienti da reati: fu proprio questa, infatti, la ragione principale per cui venne messo in discussione e superato il cd. privilegio dell’autoriciclatore.

L’ubi consistam del reato di autoriciclaggio (e di riciclaggio) consiste, quindi, nel divieto di condotte decettive finalizzate a rendere non tracciabili i proventi del delitto presupposto, proprio perchè, solo qualora i medesimi siano tracciabili si può impedire che l’economia sana venga infettata da proventi illeciti che ne distorcano le corrette dinamiche esplicative.

Sarebbe, quindi, paradossale consentire all’agente del reato presupposto di effettuare una tipica condotta di autoriciclaggio (rendere non tracciabile i proventi del reato) e, al contempo, consentirgli di usufruire della clausola di non punibilità.

La non punibilità trova, infatti, una sua logica e coerente spiegazione nel divieto del ne bis in idem sostanziale (punizione di due volte per lo stesso fatto) ma solo e solamente a condizione che l’agente si limiti al mero utilizzo o godimento dei beni provento del delitto presupposto senza che ponga in essere alcuna attività decettiva al fine di ostacolarne l’identificazione, quand’anche la suddetta condotta fosse finalizzata ad utilizzare o meglio godere dei suddetti beni.

La norma, quindi, persegue un chiaro intento:limitare la non punibilità ai soli casi in cui i beni proventi del delitto restino cristallizzati – attraverso la mera utilizzazione o il godimento personale – nella disponibilità del soggetto che ha commesso il reato presupposto, perchè solo in tale modo si può realizzare quell’effetto di “sterilizzazione” che impedisce – pena la sanzione penale – la reimmissione nel legale circuito economico.

E tale limitazione appare opportuna, proprio perchè, con la tassativa indicazione dei casi di non punibilità, contribuisce a delimitare, in negativo, l’area di operatività di cui al primo comma che, invece, descrive, in positivo, la condotta punibile.

La clausola di non punibilità – a titolo meramente esemplificativo – sarebbe applicabile al caso dell’amministratore di società che, avendo commesso il delitto di omesso versamento di IVA (art. 10−ter d. lgs. 74/2000) destini le disponibilità in tal modo ottenute al pagamento degli stipendi dei dipendenti ovvero dei creditori sociali. Trattandosi di flussi finanziari che fuoriescono dalla “cassa” dell’impresa, non vi è alcuna modalità di ostacolo e il fatto non è tipico al cospetto del delitto di autoriciclaggio.

Non altrettanto potrebbe dirsi se le disponibilità derivanti dall’omesso versamento dell’IVA fossero trasferite, su disposizione del medesimo amministratore, in conti correnti intestati a un veicolo societario ad hoc (magari basato in qualche paese black list) per essere poi utilizzate per la corresponsione di denaro a un pubblico ufficiale infedele. In quest’ultimo caso, sussistendone tutti i requisiti, si verterebbe senz’altro in un’ipotesi tipica di autoriciclaggio.

Tutto ciò chiarito, la Seconda Sezione penale – rigettando il ricorso dell’imputato – ha enunciato il seguente principio di diritto: “La clausola di non punibilità prevista nel comma quarto dell’art. 648 ter 1 cod. pen. a norma della quale “Fuori dei casi di cui ai commi precedenti [….]” va intesa ed interpretata nel senso fatto palese dal significato proprio delle suddette parole e cioè che la fattispecie ivi prevista non si applica alle condotte descritte nei commi precedenti. Di conseguenza, l’agente può andare esente da responsabilità penale solo e soltanto se utilizzi o goda dei beni proventi del delitto presupposto in modo diretto e senza che compia su di essi alcuna operazione atta ad ostacolare concretamente l’identificazione della loro provenienza delittuosa”.

Nel caso sottoposto all’attenzione dei giudici di legittimità, quindi, non può operare la clausola di non punibilità del comma 4 dell’art, 648 ter 1, come correttamente interpretata dagli Ermellini stessi.

Il denaro derivante dal reato presupposto (bancarotta fraudolenta patrimoniale), invero, era stato sottoposto a plurime e complesse operazioni volte a concretamente ostacolarne l’identificazione della provenienza delittuosa. Il ricorrente, pertanto, è stato correttamente indagato per il reato di cui all’art. 648 ter 1, anche qualora si pervenisse alla conclusione che il denaro, all’esito di siffatte operazioni di ripulitura, sia stato poi utilizzato per estinguere un debito personale.

La clausola di non punibilità del comma 4 non può, in tale caso, avere spazio operativo, proprio perché l’utilizzo del denaro da parte dell’imputato è stato indiretto e successivo alla effettuazione delle condotte decettive, finalizzate ad occultarne, pertanto,  la provenienza illecita.


[1]Art. 648 ter 1 c.p.: “Si applica la pena della reclusione da due a otto anni e della multa da euro 5.000 a euro 25.000 a chiunque, avendo commesso o concorso a commettere un delitto non colposo, impiega, sostituisce, trasferisce, in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative, il denaro, i beni o le altre utilità provenienti dalla commissione di tale delitto, in modo da ostacolare concretamente l’identificazione della loro provenienza delittuosa. Si applica la pena della reclusione da uno a quattro anni e della multa da euro 2.500 a euro 12.500 se il denaro, i beni o le altre utilità provengono dalla commissione di un delitto non colposo punito con la reclusione inferiore nel massimo a cinque anni. Si applicano comunque le pene previste dal primo co. se il denaro, i beni o le altre utilità provengono da un delitto commesso con le condizioni o le finalità di cui all’art. 7 del decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 1991, n. 203, e successive modificazioni. Fuori dai casi di cui ai commi precedenti, non sono punibili le condotte per cui il denaro, i beni o le altre utilità vengono destinate alla mera utilizzazione o godimento personale. La pena è aumentata quando i fatti sono commessi nell’esercizio di un’attività bancaria o finanziaria o di altra attività professionale. La pena è diminuita fino alla metà per chi si sia efficacemente adoperato per evitare che le condotte siano portate a conseguenze ulteriori o per assicurare le prove del reato e l’individuazione dei beni, del denaro e delle altre utilità provenienti dal delitto. Si applica l’ultimo comma dell’art. 648”.
[2]Su tal punto, la S.C. chiariva, infatti, che il delitto di cui all’art. 12- quinquies d.l. n. 306 del 1992 “Costituisce una fattispecie a forma libera che si concretizza nell’attribuzione fittizia della titolarità o disponibilità di denaro o di qualsiasi altro bene o utilità, realizzata con modalità non predeterminate, al fine di eludere specifiche disposizioni di legge. La condotta vietata consiste nella creazione di una situazione di apparenza formale dellatitolarità di un bene, difforme dalla realtà sostanziale, e nel mantenimento consapevole e volontario di tale situazione. L’interpretazione letterale e logico-sistematica della norma rende evidente che il suo ambito di applicabilità non è limitato alle ipotesi riconducibili a precisi schemi civilistici, ma comprende tutte quelle situazioni in cui il soggetto viene a trovarsi in un rapporto di signoria con il bene, e, inoltre, che essa prescinde da un trasferimento in senso tecnico-giuridico, rimandando non a negozi giuridici tipicamente definiti ovvero a precise forme negoziali, ma piuttosto ad una indeterminata casistica, individuabile soltanto attraverso la comune caratteristica. del mantenimento dell’effettivo potere sul bene attribuito in capo al soggetto che effettua l’attribuzione ovvero per conto o nell’interesse del quale l’attribuzione medesima viene compiuta. Lo spazio di illiceità delineato dalla norma in relazione a manovre di occultamento giuridico o di fatto di attività e beni, altrimenti lecite, si connota per il fine perseguito dall’agente, individuato alternativamente nell’elusione delle disposizioni in tema di misure di prevenzione patrimoniali ovvero nell’agevolazione nella commissione dei delitti di ricettazione, riciclaggio o reimpiego. Sotto tale profilo la disposizione in esame consente di perseguire penalmente anche questi fatti, per così dire, di “auto” ricettazione, riciclaggio, reimpiego, che non sarebbero altrimenti punibili per la clausola di riserva presente negli artt. 648-bis e 648-ter, che ne esclude l’applicabilità agli autori dei reati presupposti. Di conseguenza, l’autore del delitto presupposto il quale attribuisca fittiziamente ad altri la titolarità o la disponibilità di beni o di altre utilità, di cui rimanga effettivamente dominus, al fine di agevolarne una successiva circolazione nel tessuto finanziario, economico e produttivo è punibile anche ai sensi dell’art. 12-quinquies d.l. n. 306 del 1992. A sua volta, colui che, mediante la formale titolarità o disponibilità dei beni o delle attività economiche, si presta volontariamente a creare una situazione apparente difforme dal reale, così contribuendo a ledere il generale principio di affidamento, risponde di concorso nel medesimo delitto, ove abbia la consapevolezza che colui che ha effettuato l’attribuzione è motivato dal perseguimento di uno degli scopo tipici indicati dalla norma. Il disvalore della condotta è dato, poi, dalle finalità che costituiscono il profilo soggettivo (dolo specifico) della figura delittuosa, intesa ad eludere – come già sopra detto – le misure di prevenzione patrimoniale o di contrabbando ovvero ad agevolare la commissione di reati che reprimono fatti connessi alla circolazione di mezzi economici di illecita provenienza. Conclusivamente è possibile affermare il seguente principio di diritto: “I fatti di “auto” riciclaggio e reimpiego sono punibili, sussistendone i relativi presupposti, ai sensi dell’art. 12-quinquies d.l. n. 306 del 1992. convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1992, n. 356″. 
[3]Il riferimento è al Rapporto sull’Italia del Fondo monetario internazionale del 2006 e al Rapporto sull’Italia dell’Ocse del 2011.
[4]Una prima apertura normativa all’autoriciclaggio era già evincibile dal D.Lgs 21 novembre 2007, n. 231, recante disposizioni volte a prevenire l’utilizzo del sistema finanziario a scopo di riciclaggio e finanziamento del terrorismo, il cui art. 2 dettava una definizione delle attività costituenti riciclaggio (pur se ai soli fini del provvedimento) priva della riserva prevista dall’art. 648 bis c.p. e, dunque, potenzialmente estesa all’autore del reato presupposto.
[5]Inoltre, l’introduzione del delitto di autoriciclaggio appariva ormai ineluttabile, anche per motivi di armonizzazione normativa in materia con altri Paesi europei, in cui era già da tempo prevista espressamente la suddetta ipotesi (come il Belgio o il Portogallo), mentre in altri era frutto di interpretazione giurisprudenziale (ad es., la Svizzera).

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Ludovica Loprieno

Ludovica Loprieno, nata a Lecce il 3 marzo 1990. Consegue la laurea in giurisprudenza il 16 ottobre 2014 presso l'Università del Salento, con tesi in diritto penale e votazione 110 con lode. In data 25 luglio 2016 consegue il diploma di specializzazione post-laurea presso la SSPL di Lecce, con tesi in diritto penale e votazione 70/70. Dal 2014 al 2016 svolge il tirocinio obbligatorio previsto per legge ai fini dell'ammissione all'esame per l'esercizio della professione forense presso l'Avvocatura distrettuale dello Stato di Lecce. Consegue l'abilitazione all'esercizio della professione di avvocato il 20 ottobre 2017. Nel frattempo partecipa a vari corsi di alta formazione giuridica per la preparazione del concorso in magistratura.

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