Il reato di diffamazione nelle nuove agorà virtuali

Il reato di diffamazione nelle nuove agorà virtuali

La nuova configurazione del reato di diffamazione a mezzo internet ai sensi dell’art. 595 co.3 nella recentissima pronuncia della Corte di Cassazione Penale Sez. I del 2/1/2017 n°50.

L’attualissimo tema delle nuove tecnologie di comunicazione porta con sé oggi giorno anche riflessi e conseguenti sviluppi nell’ambito dell’ordinamento normativo italiano, “costretto” ad un conseguente aggiornamento. A tal riguardo la nascita, l’espansione e lo smodato uso dei nuovi canali di comunicazione ha condotto alla realizzazione di nuove agorà virtuali divenute evoluti luoghi di ritrovo di identità fisiche, attraverso la loro forma di rete chiamata identità digitale, ossia l’insieme delle informazioni e delle risorse concesse da un sistema informatico ad un particolare utilizzatore del suddetto sotto un processo di identificazione.

Questa nuova forma di identità disciplinata dal Decreto legislativo de 7 marzo 2005, n. 82 Codice dell’Amministrazione Digitale trova spazio principalmente nei nuovi canali di comunicazione, in particolar modo nei social (Facebook, twitter, ecc.).

L’agorà, come quella greca, viene vissuto come locus di scambio di comunicazioni, opinioni, pensieri e semplici messaggi in correlazione tra più persone o gruppi di esse. La semplicità nel poter digitare un qualsiasi scritto in rete ha fornito anche alla possibilità ad un confronto immediato e rapido con l’interlocutore, anche quello più lontano geograficamente. Tale libertà porta costantemente anche numerose a aggressioni a queste identità digitali che possono facilmente travalicare il consentito e ledere inevitabilmente i beni giuridici personali di ciascun individuo, ovvero l’onore ed il decoro. Per onore definiamo il complesso delle condizioni da cui dipende il valore sociale della persona, il secondo deve intendersi come l’insieme delle doti fisiche, intellettuali e sociali della persona [1].

Il riferimento normativo alle condotte di cui sopra è contenuto all’interno dell’articolo 595 c.p. 3 comma il quale precisa il reato di diffamazione a mezzo stampa, pubblicità in una forma aggravata rispetto al primo comma dello stesso.

Il supporto a questa evoluzione del reato di diffamazione attraverso l’uso delle nuove tecnologie di comunicazione ci viene fornito mirabilmente dalla Corte di Cassazione in due pronunce che di seguito si illustrano.

La prima, rilevante in via generale, è quella del 28.4.2015 Cass Pen. Sez, I n°24431, ove il Giudice di legittimità, nonostante già in passato abbia affermato che il reato di diffamazione possa essere commesso a mezzo internet, ha delineato anche l’aggravante dell’avere commesso il fatto con l’uso del Web.

L’aggravio normativo, rilevato dalla Suprema Corte, parte da alcuni elementi fondamentali , ossia quelli della diffusione in maniera allargata verso il “public virtual” dell’offesa, della facile reperibilità della stessa e dalla sua permanenza in visione sulla rete. In questa prima ed importante pronunzia la Corte ha fornito anche un ambito di applicazione più afferente a testate giornalistiche on-line, e blog, che concedono ai propri utenti la possibilità di postare commenti ad articoli, messaggi, video e foto e divenendo così luoghi di possibili confronti anche vivaci ed oltre i limiti del consentito tali a condurre condotte diffamatorie nei confronti di terzi.

Il primo paletto dettato dati togati capitolini ha segnato un passaggio fondamentale nell’aggiornamento del reato di cui all’art. 595 c.p. dando poi il là a quella che è stata la configurazione del reato nell’ambito della rete e dei social network in particolare.

La sentenza n°50 del 2 Gennaio 2017 della II° Sezione della Cassazione Penale non ha fatto altro che estendersi anche nelle nuove e reti di comunicazione sociale.

In particolar modo l’enunciato ha ribadito, definito e marcato che la diffusione di un messaggio diffamatorio su una bacheca (“Facebook”, Twitter ecc…) va ad integrare l’ipotesi di diffamazione di cui all’art. 595 c.p. terzo comma dato che si tratta di condotta esponenzialmente in grado di giungere ad un numero indeterminato di persone. L’aggravante dell’uso del mezzo della pubblicità, trova la sua ragione di sussistenza nel mezzo addotto a coinvolgere e raggiungere una vasta area di soggetti ampliando di conseguenza la capacità diffusiva del messaggio denigratorio della reputazione del soggetto. E’ fatto notorio poi che gruppi, pagine e nel caso di specie le bacheche dei social network, possano essere visionate da un numero indefinibile di persone, dando ulteriore modo di condivisione telematica che finisce per incoraggiare altre identità digitali ad essere visualizzatori e diffusori anche indiretti di tutto ciò.

A margine di questo processo evolutivo normativo, c’è anche da tener conto che nella condotta diffamatoria a mezzo Web rientrano anche quelle espressioni insinuanti, allusive, sottintese, ambigue suggestionanti (Cass. penale, sez. V, 04 ottobre 2005, n. 45910). Queste poi per il modo con cui sono poste all’attenzione del lettore, possono far sorgere in quest’ultimo un atteggiarsi della mente favorevole a ritenere l’effettiva rispondenza a verità dei fatti narrati e di conseguenza ad una maggiore diffusione diretta ed indiretta (vedi utilizzo della condivisione del sul proprio profilo oppure in pagine e gruppi) tali da rientrare nella specifica condotta diffamatoria di cui ai sensi dell’art 595 c.p.


[1] F. Antolisei, Manuale di Diritto Penale, Giuffrè 2003


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Alberto Maria Acone

Laureato in Giurisprudenza presso l'Università degli Studi di Napoli "Federico II" Diploma Accademico presso LUMSA Master School in "Cybercrime i lati oscuri della rete. Corso di Diritto Penale dell'Informatica" Corso di Perfezionamento in tecnica e Deontologica dell'Avvocato Penalista presso la Camera Penale Irpina Winter school presso Università degli Studi di Napoli "Federico II"- Spazio Giuridico Europeo e tutela dei diritti dell'imputato tra processo e carcere" Corso di Perfezionamento in Scienze Penalistiche Integrate presso Università degli Studi di Napoli Federico II Esercita la propria attività professionale presso lo Studio legale Associato Acone in Avellino

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