Il reato di molestie sessuali: una prospettiva de jure condendo

Il reato di molestie sessuali: una prospettiva de jure condendo

Sommario: 1. Il caso del “bacio sulla guancia” quale reato di violenza sessuale – 2. Dalla violenza carnale alla violenza sessuale – 3. Il reato di molestia o disturbo alle persone – 4. Le molestie sessuali nell’ordinamento italiano: una prospettiva de jure condendo

 

Nell’attuale ordinamento italiano il reato di molestie sessuali non è stato ancora normativamente previsto, e le condotte che negli altri ordinamenti nazionali costituiscono molestia sessuale nel nostro ordinamento vengono tutte punite a titolo di violenza sessuale o, al più, di tentata violenza sessuale. Tuttavia, l’elevata pena prevista per tale reato suscita la necessità di introdurre una normativa ad hoc volta a punire condotte meno invasive del corpo della persona offesa rispetto alla più grave violenza sessuale, anche in virtù del principio di proporzionalità della pena. Il presente lavoro, dunque, mira ad una breve riflessione circa l’opportunità di introdurre una nuova fattispecie incriminatrice volta a sanzionare specificatamente le condotte integranti molestia sessuale.

1. Il caso del “bacio sulla guancia” quale reato di violenza sessuale

Con la sentenza n. 6158/2021, la Suprema Corte torna su una questione di particolare importanza, ossia la rilevanza penale del bacio, qualificando il fatto – come ormai pacifica giurisprudenza è solita fare, a partire dalla sentenza Di Francia del 1998[1] – come violenza sessuale ex art. 609-bis c.p.

Venendo ai fatti oggetto della vicenda giudiziaria, trattasi di bacio dato dall’imputato sulla guancia della persona offesa, senza il consenso di quest’ultima, accompagnato da complimenti nei confronti della stessa.

Pertanto, la persona offesa, costituitasi parte civile nel corso del processo, chiede la condanna dell’imputato per violenza sessuale ex art. 609-bis c.p.

Ebbene, la Suprema Corte ritiene sussistere la penale responsabilità dell’imputato, condannandolo per violenza sessuale, argomentando la sentenza in un’ottica di continuità con la precedente giurisprudenza di legittimità della stessa Cassazione. Difatti, il Supremo Collegio afferma la responsabilità dell’imputato proprio sulla base della monolitica giurisprudenza in materia, affermando che “in tema di reati sessuali, il bacio sulla guancia, in quanto atto non direttamente indirizzato a zone chiaramente definibili come erogene, configura violenza sessuale, nella forma consumata e non tentata, allorquando, in base ad una valutazione complessiva della condotta che tenga conto del contesto ambientale e sociale in cui l’azione è stata realizzata, del rapporto intercorrente tra i soggetti coinvolti e di ogni altro dato fattuale qualificante, possa ritenersi che abbia inciso sula libertà sessuale della vittima”, tenuto conto anche della repentinità ed insidiosità della condotta.

Nei confronti dell’argomentazione della Corte sembrano potersi muovere alcune censure, anche se più di merito che di legittimità, in una prospettiva di riforma del sistema penale in materia di reati sessuali.

Difatti, pur sembrando astrattamente ineccepibile detta pronuncia – si ribadisce, a livello di legittimità –, comunque occorre tenere conto della condotta specifica, e soprattutto della potenziale e concreta lesività di questa al bene giuridico tutelato dalla norma oggetto di imputazione e di successiva condanna, ossia la libertà di autodeterminazione sessuale.

Orbene, il caso di specie non è connotato da un’elevata e grave lesione al bene giuridico della libertà di autodeterminazione sessuale tale da giustificare una condanna per violenza sessuale. L’alternativa sarebbe, pertanto, riqualificare il fatto in molestia ex art. 660 c.p., il quale è caratterizzato da una gravità notevolmente inferiore rispetto al reato di violenza sessuale, e ciò per evitare di lasciare comunque impunito un determinato comportamento – non voluto dalla vittima – che incide comunque nella sfera della libertà del soggetto.

Tuttavia, preliminarmente sembra opportuno analizzare le norme di riferimento, ossia il reato di violenza sessuale previsto e punito dall’art. 609-bis c.p. e, in una prospettiva de jure condendo, anche il meno grave reato di molestia o disturbo alle persone ex art. 660 c.p.

2. Dalla violenza carnale alla violenza sessuale

I reati sessuali sono una particolare categoria di delitti contro la persona, e tra i più importanti reati sessuali, caratterizzato da un maggior disvalore rispetto agli altri, rientra sicuramente il reato di violenza sessuale, previsto e punito dall’attuale art. 609-bis c.p.

Precisamente, il reato di violenza sessuale si concretizza qualora taluno costringa un soggetto, con violenza, minaccia o abuso di autorità, a “compiere o subire atti sessuali” (co. 1), oppure induca taluno a compiere o subire atti sessuali “abusando delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa al momento del fatto” o “traendo in inganno la persona offesa per essersi il colpevole sostituito ad altra persona” (co. 2).

Il reato di violenza sessuale, per come lo conosciamo oggi, è tuttavia di recente introduzione. Solo con la riforma dei reati sessuali del 1996, infatti, si è optato per l’unificazione – sotto un’unica rubrica – dei previgenti reati di violenza carnale ed atti di libidine.

Il discrimine tra i due reati stava nella presenza o assenza del congiungimento carnale: nel caso in cui vi fosse stato congiungimento carnale, allora si sarebbe integrata la fattispecie di violenza carnale; al contrario, nel caso in cui vi fosse stato un atto che non era comunque diretto al congiungimento carnale, allora si sarebbe configurata la meno grave ipotesi di atti di libidine.

Tuttavia, a partire dagli anni ’70 iniziarono a susseguirsi in Parlamento diversi progetti di riforma dei reati sessuali. Infatti, si ritenne non più idoneo e soddisfacente l’impianto penale utilizzato fino ad allora, poiché si riteneva che non si apprestasse sufficiente tutela alla persona. Ma solo nel 1996, con la l. n. 66, si riuscì definitivamente a superare l’intero impianto codicistico precedentemente in vigore[2].

Il principale pregio della riforma è stato quello di modificare la sistemazione dei reati sessuali a livello codicistico: non più reati contro la moralità pubblica e il buon costume, ma delitti contro la persona. Pertanto, muta il bene giuridico protetto dalla norma, passando da un bene giuridico di natura collettiva ad un bene giuridico di natura strettamente personale. I nuovi reati sessuali, difatti, vengono collocati tra i delitti contro la persona e, precisamente, tra i delitti contro la libertà personale, agli artt. 609-bis ss.

Ebbene, come si è detto, il reato sessuale più rilevante e quello caratterizzato da maggiore disvalore, è proprio quello previsto dall’art. 609-bis c.p., ossia il reato di violenza sessuale. E ciò perché la violenza sessuale è caratterizzata dall’assenza di consenso oppure, nelle particolari ipotesi di violenza sessuale per induzione, dalla presenza di un consenso invalido. Maggiore riprovevolezza caratterizza anche il reato di violenza sessuale di gruppo (art. 609-octies c.p.), altra innovazione della l. n. 66/1996, basata sulla compartecipazione, da parte di più persone riunite, alla condotta tipizzata dall’art. 609-bis c.p., e quindi a fatti di violenza sessuale.

Ai fini dell’integrazione del reato di cui all’art. 609-bis c.p., tuttavia, non è sufficiente il semplice dissenso. Infatti, la riforma del 1996, da questo punto di vista, non si è discostata dalla precedente normativa in materia. Precedentemente, difatti, si richiedeva comunque la minaccia o la violenza affinché sussistesse violenza carnale, e anche ad oggi la norma richiede tali condotte. Sicché, è vero che la violenza sessuale è integrata in caso di mancanza di consenso, ma è anche vero che la mancanza di consenso deriva da ulteriori condotte, ossia dalla minaccia, violenza o dall’abuso di autorità del soggetto agente. Questo almeno nell’ipotesi di cui al 1° comma dell’art. 609-bis c.p., ossia per le ipotesi di violenza sessuale per costrizione, in cui manca totalmente il consenso.

Quanto al bene giuridico tutelato, questo consiste nella libertà sessuale[3], e precisamente la libertà di autodeterminazione sessuale della persona. Libertà da intendersi sia in senso positivo che in senso negativo. La libertà sessuale intesa in senso positivo consiste essenzialmente nella libertà di scelta, cioè la persona è libera di scegliere se e con chi consumare un rapporto sessuale; la libertà sessuale in senso negativo, invece, è da intendersi come una libertà da manomissioni, compromissioni della propria sfera sessuale ed intima[4], e quindi libertà “da indebite violazioni del proprio corpo”[5].

Ma la giurisprudenza della Cassazione si è spinta oltre nell’interpretazione del bene giuridico tutelato. Infatti, la Suprema Corte ha avuto modo di affermare che il reato di violenza sessuale sussiste anche nelle ipotesi in cui il soggetto abbia validamente prestato il consenso per il compimento di atti sessuali ma poi dissenta circa le modalità di compimento di essi. Precisamente, con sentenza n. 4532/2007, la Cassazione ha affermato che concretizza il reato ex art. 609-bis c.p. “la prosecuzione del rapporto sessuale nel caso in cui il consenso originariamente prestato venga meno a seguito di un ripensamento o della non condivisione delle forme o modalità di consumazione dell’amplesso”, con la conseguenza che il consenso deve essere “ininterrotto e perdurante” e deve sussistere “senza soluzioni di continuità, durante tutto l’arco dell’atto sessuale”[6].

Pertanto, la libertà di autodeterminazione sessuale consiste non solo nella libera scelta di consumare o meno un rapporto sessuale, ma anche nella scelta circa le modalità di consumazione dello stesso.

Per quanto riguarda la definizione di “atto sessuale”, l’art. 609-bis c.p. nulla dice al riguardo, e questo ha sollevato non pochi dubbi di legittimità costituzionale in relazione all’art. 25 Cost., e quindi in relazione al principio di legalità e ad uno dei suoi corollari, ossia il principio di sufficiente determinatezza[7]. Comunque, nonostante tali dubbi di costituzionalità, la giurisprudenza e la dottrina hanno ritenuto che è da considerare come sessuale quell’atto che ricade innanzitutto sul corpo della persona offesa, essendo pertanto necessario che l’atto investa la corporeità della persona offesa, che ricada sulla persona offesa[8]. Ne consegue che puri atti di esibizionismo o di autoerotismo dinanzi ad un’altra persona non configurano il reato di violenza sessuale[9].

Inoltre, affinché un atto sia da considerarsi come “sessuale”, si ritiene che questo debba ricadere su zone “[…] ritenute dalla scienza non solo medica, ma anche psicologica e antropologico-sociologica erogene”[10]. Tenute in considerazione le seguenti affermazioni, si può affermare come sia necessario un contatto corpore-corpori tra l’agente e la vittima affinché sussista il reato di violenza sessuale.

3. Il reato di molestia o disturbo alle persone

Il reato di molestia è previsto dall’art. 660 c.p., il quale recita “chiunque, in un luogo pubblico o aperto al pubblico, ovvero col mezzo del telefono, per petulanza o per altro biasimevole motivo, reca a taluno molestia o disturbo è punito con l’arresto fino a sei mesi o con l’ammenda fino a 516 euro”.

Il reato di molestia o disturbo alle persone è un reato contravvenzionale, posto – secondo l’orientamento maggioritario – a tutela della pubblica tranquillità[11]. Ciò lo conferma anche la sistemazione del reato: esso è infatti collocato nel Titolo I (“Delle contravvenzioni di polizia”), nella Sezione I (“Delle contravvenzioni concernenti l’ordine pubblico e la tranquillità pubblica”). E, ancora, a favore di tale individuazione del bene giuridico – ossia la pubblica tranquillità – depone anche il locus commissi delicti: difatti, è necessario che la contravvenzione venga commessa in un luogo pubblico o aperto al pubblico.

Critiche sono state avanzate, tuttavia, riguardo alla tradizionale individuazione del bene giuridico. Difatti, la molestia è una condotta subita da un singolo soggetto determinato, e pertanto si ritiene che il soggetto passivo del reato sia una persona determinata[12]. E proprio per questo sorgono problemi circa la tutela del singolo: se la molestia è una condotta che ricade su un determinato soggetto, e ad essere tutelato è un bene dalla natura strettamente collettiva – quale la pubblica tranquillità – allora non vi è tutela diretta del singolo, ma esso è soltanto indirettamente tutelato: l’interesse privato ad evitare interferenze nella propria vita privata e a non ricevere comportamenti molesti, pertanto, riceve una protezione soltanto riflessa[13].

Il problema si acuisce se si tiene a mente la lettera della norma, e sorge quindi un dilemma soprattutto a livello interpretativo-esegetico: come si spiega la tutela di un bene di rilevanza strettamente collettiva e pubblica se la molestia, stante il dettato normativo dell’art. 660 c.p., può essere commessa anche col mezzo del telefono e, dunque, anche attraverso un mezzo che fisiologicamente e per sua natura garantisce riservatezza ed ha un carattere privato?

Ed ecco allora che la dottrina ha reinterpretato il bene giuridico, riconducendolo non alla pubblica tranquillità (interpretazione questa – si ripete – frutto della collocazione del reato all’interno del codice penale), ma la tranquillità personale[14].

La norma richiede che la molestia sia arrecata per petulanza o per altro biasimevole motivo. La dottrina ha pertanto inquadrato tali elementi come condizioni obiettive di punibilità (art. 44 c.p.)[15], necessarie affinché possa essere mosso il rimprovero penale: pertanto, qualora la condotta non sia spinta da petulanza o da altro biasimevole motivo, non sussisterebbe responsabilità penale.

La petulanza può essere definita come un atteggiamento di invadenza e intromissione continua nella vita altrui[16], “un modo di agire pressante ed indiscreto, tale da interferire sgradevolmente nella sfera privata di altri”[17]. In altre parole, la petulanza è da intendersi come un modo di agire insistente e pressante, ripetitivo, che interferisce negativamente nella vita altrui, sussistendo una “volontà specifica di dare fastidio a una persona”[18], di interferire sgradevolmente e negativamente nella quiete e nella tranquillità e libertà delle persone[19].

Quanto al biasimevole motivo, questo non ha una definizione precisa, ma con esso deve intendersi genericamente “ogni altro movente che sia riprovevole in sé stesso o in relazione alla qualità della persona molestata, e che abbia praticamente su quest’ultima gli stessi effetti della petulanza”[20].

Si tratta di condotte tra loro alternative, ed è quindi sufficiente che sussista una sola di esse affinché sia integrato il reato, ma nulla toglie che possano sussistere entrambe.

Inoltre, tali condotte devono essere volte a recare molestia o disturbo alle persone verso cui sono indirizzate. Sotto il profilo soggettivo, dunque, sarebbe necessario il dolo specifico, e questo perché la condotta deve essere mossa dall’intento di cagionare, per petulanza o altro biasimevole motivo, molestia o disturbo[21].

Dato che la condotta deve essere volta a recare molestia o disturbo alla persona, il reato è da qualificarsi come reato di evento, prevendo l’art. 660 c.p. un duplice ordine di eventi, alternativi tra loro: la molestia o il disturbo. Inoltre, molestia e disturbo possono essere recati con qualsiasi mezzo. La norma, infatti, non specifica quali forme debba assumere la condotta, preoccupandosi solo di precisare che essa può anche essere commessa col mezzo del telefono: pertanto, trattasi di reato a forma libera.

Altro elemento fondamentale da analizzare è il locus commissi delicti. L’art. 660 c.p., infatti, prevede che il reato de qua possa essere commesso esclusivamente in luogo pubblico o aperto al pubblico, richiedendo dunque la pubblicità del luogo.

Innanzitutto occorre definire cosa si intenda per luogo pubblico e quale sia il punto di discrimine tra questo e il luogo aperto al pubblico. Ebbene, per luogo pubblico è da intendersi quel luogo in cui “tutti possono continuamente accedere”[22]; al contrario, per luogo aperto al pubblico deve intendersi “quello in cui ciascuno può accedere in determinati momenti ovvero quello cui può accedere una determinata categoria di persone che abbia determinati requisiti”[23].

Tuttavia, la giurisprudenza ha reputato non necessaria la presenza della persona offesa nel luogo pubblico o aperto al pubblico in cui si consuma il reato. Difatti, la giurisprudenza ha affermato che il requisito della pubblicità del luogo di cui all’art. 660 c.p. sussiste anche nelle ipotesi sia in cui “l’agente si trovi in luogo pubblico o aperto al pubblico ed il soggetto passivo in un luogo privato, tanto nell’ipotesi in cui la molestia venga arrecata da un luogo privato nei riguardi di chi si trovi in un luogo pubblico o aperto al pubblico”[24].

In alternativa alla pubblicità del luogo, l’art. 660 c.p. contempla la commissione della molestia attraverso l’uso del telefono.

4. Le molestie sessuali nell’ordinamento italiano: una prospettiva de jure condendo

Tornando alla pronuncia sopra citata, in astratto e dal punto di vista della legittimità della pronuncia non risulterebbero censure di nessun tipo, non potendo eccepire alcunché all’orientamento della Suprema Corte, rimproverando piuttosto esclusivamente la troppa estensività del concetto di “atti sessuali” elaborato in questi anni dalla precedente giurisprudenza.

Tuttavia, in questa sede le critiche che vengono mosse non riguardano tanto la pronuncia in esame e, di conseguenza, il lavoro svolto dai giudici di legittimità, ma queste vengono mosse soprattutto nei confronti del legislatore penale e delle conseguenze che derivano in concreto dalla mancata previsione del reato di molestie sessuali.

A questo punto, venendo al punto focale del presente lavoro, occorre stabilire a quale titolo vengono punite le molestie sessuali nell’ordinamento italiano, in cui difetta una specifica disciplina e non è previsto nessun reato di molestie sessuali.

Occorre allora stabilire se la molestia sessuale, che non è esente da punizione nel nostro ordinamento, possa essere ricondotta nell’alveo di operatività dell’art. 660 c.p. precedentemente delineato, tentando di conservare e preservare il più possibile il principio di legalità di cui all’art. 25 Cost. e il divieto di analogia in malam partem.

Innanzitutto, confrontando l’attuale disciplina con i progetti di legge che a partire dagli anni ’70 e per un ventennio si sono susseguiti in seno al Parlamento circa la riforma dei reati sessuali, si può ben vedere come l’approvazione della l. n. 66/1996 abbia lasciato fuori dalla previsione legislativa il reato di molestie sessuali. Infatti, in tutti i vari progetti di legge ante riforma del 1996 figurava tale titolo di reato.

Precisamente, l’art. 8 del progetto di legge Mussolini-Basile (C.1982) affermava che la molestia sessuale “consiste in comportamenti verbali o fisici o nell’uso di scritti, immagini, pubblicazioni, comunicazioni telefoniche o telematiche, che abbiano riferimenti di natura sessuale o siano finalizzati a motivi sessuali indesiderati dalla persona oggetto della molestia o comunque lesivi del suo diritto alla dignità”.

Tuttavia, nell’approvazione della l. n. 66/1996 si è verificato lo stralcio di tale reato, non introducendo nell’ordinamento un reato che sistematicamente figurava in ogni progetto di riforma dei reati sessuali, facendo così sorgere problemi interpretativi e applicativi in casi che potrebbero essere ricondotti appunto all’ipotesi di molestia sessuale.

Il problema più rilevante deriva dal fatto che la giurisprudenza è ormai consolidata nell’applicare l’art. 609-bis c.p. – e quindi di ritenere integrato il reato di violenza sessuale – alle situazioni che avrebbero potuto integrare, se fosse previsto, il reato di molestia sessuale. Difatti, la giurisprudenza afferma che la contravvenzione di cui all’art. 660 c.p. è configurabile “solo in presenza di espressioni verbali a sfondo sessuale o di atti di corteggiamento invasivo ed insistito diversi dall’abuso sessuale”[25]. La conseguenza è che si applica il reato di molestia esclusivamente qualora si abbiano espressioni verbali a sfondo sessuale e non anche nelle ipotesi in cui vi siano toccamenti e, dunque, contatti fisici, ancorché estemporanei e repentini e non volti al congiungimento carnale[26].

Ne discende che nella totalità dei casi si ritiene applicabile la violenza sessuale ex art. 609-bis c.p., nella sua forma – a seconda dei casi – consumata o tentata, e praticamente mai il reato contravvenzionale di molestia ex art. 660 c.p., in tutte quelle ipotesi in cui l’approccio sessuale non sia stato solo verbale ma anche fisico, con conseguente applicazione del relativo regime sanzionatorio caratterizzato da maggiore gravità e rigore rispetto all’ipotesi di molestia. Sicché, il reato di molestia, in relazione a tutte quelle condotte aventi fini sessuali, viene applicato soltanto qualora ci si limiti a comportamenti dallo sfondo sessuale esclusivamente verbali[27]. Il punto di discrimine, dunque, sta nella presenza o meno di un contatto corporeo, seppur fugace ed estemporaneo: in presenza di contatto corporeo si avrà violenza sessuale.

Nel nostro ordinamento la molestia spinta da fini sessuali viene pertanto punita alla stregua della violenza sessuale, con conseguenti problemi sotto il profilo della proporzionalità della pena. E anche tenendo conto – in ossequio agli indici di commisurazione della pena ex art. 133 c.p. – dell’offensività del comportamento, comunque non si ritorna a rispettare pienamente il principio di cui prima: si finisce sempre per sanzionare troppo gravemente una condotta che, in realtà, seppur riprovevole e caratterizzata comunque da un certo disvalore, non è assolutamente paragonabile – sempre in termini di offensività – ad un’ipotesi di violenza sessuale, tentata o consumata che sia.

Nel caso di molestie sessuali, difatti, la libertà sessuale sarebbe lesa in misura nettamente inferiore rispetto alla violenza sessuale, in cui vi è una vera e propria invasione nella sfera intima del soggetto[28]. Ad esempio, il toccamento repentino dei glutei, o del seno di una ragazza, oppure di altre zone definite come erogene, come può comunque essere paragonata – a livello di disvalore penale – ad una vera e propria violenza sessuale, caratterizzata soprattutto dalla coercizione fisica della vittima? Ed è proprio questo il punto critico dell’attuale impostazione giurisprudenziale, ossia la tendenza ad applicare l’art. 609-bis c.p. a tutte quelle ipotesi meno gravi di molestie sessuali, e dunque a tutti quei casi in cui vi è il compimento di atti che ricadono sul corpo della persona offesa ed hanno, seppur minima, una valenza sessuale.

Pertanto, ci si trova dinanzi ad un problema di non poco conto: sanzionare la molestia a sfondo sessuale con la pena, del tutto esigua del reato di molestia ex art. 660 c.p. – giustificata dal fatto che trattasi comunque di una contravvenzione e non di un delitto –, oppure sanzionarla con la pena prevista per il più grave delitto di violenza sessuale ex art. 609-bis c.p., ma non tenendo però conto della minore incisività e lesività che hanno le condotte di molestia sessuale rispetto alla violenza sessuale.

Anche tenendo in considerazione la circostanza attenuante della minore gravità di cui al 3° comma dell’art. 609-bis c.p., ugualmente sorgono problemi di conciliazione – ad avviso di chi scrive – con il principio di proporzionalità della pena, ma non solo.

Infatti, la circostanza attenuante della minore gravità è indefinita, e ciò comporta anche delle incertezze sulla sua applicazione, nel senso che non si ha un criterio oggettivo per l’applicazione della stessa.

È pacifico che la minore gravità sussiste nelle ipotesi in cui il bene giuridico tutelato non sia leso in misura troppo incisiva, non particolarmente grave. Tuttavia non vi sono indici forniti dal legislatore che permettono di ricondurre i comportamenti sotto tale circostanza attenuante. La conseguenza principale è che si finisce per attribuire eccesiva discrezionalità nei confronti del giudice. L’orientamento maggioritario tende comunque ad affermare che la minore gravità vada valutata con l’ausilio degli indici di commisurazione della pena di cui all’art. 133 c.p.[29]

Tenendo conto del fatto che la violenza sessuale (art. 609­-bis c.p.) può essere commessa, oltre che con violenza e minaccia, anche con abuso di autorità, parte della dottrina addirittura afferma che la tutela nei casi di molestie sessuali ambientali, come quelle sul posto di lavoro, possa essere assicurata proprio attraverso tale norma[30], tenendo conto che le molestie sono perlopiù ambientali. Opinione, questa – ad avviso di chi scrive –, che sembra più una forzatura che una soluzione, perché si ricade sempre nello stesso problema di cui sopra: punire troppo severamente una condotta che non ha un elevato disvalore rispetto alla violenza sessuale.

Ai fini della pronuncia esaminata nel presente lavoro, la potenzialità lesiva della condotta non sembra idonea a ledere in maniera così pregnante il bene giuridico tutelato dalla norma di cui all’art. 609-bis, ossia la libertà di autodeterminazione sessuale, tenuto anche conto– così come affermato anche dalla stessa Corte di Cassazione nella pronuncia in commento – che il bacio sulla guancia non ricade su zone da considerarsi come erogene.

Tuttavia, la responsabilità di tale orientamento estensivo e, ad avviso di chi scrive, anche poco aderente ai principi penali sopra citati, non ricade totalmente sulla persona dei giudici – di merito o di legittimità che siano – ma ricadono, si ripete, sul legislatore penale.

Difatti, è vero sì che concretamente non si vede come una condotta simile possa determinare una violenza sessuale propriamente intesa (e pertanto integrare il ben più grave delitto di violenza sessuale), però è anche vero che siffatti comportamenti non possono considerarsi privi di rilevanza penale e, di conseguenza, considerarsi come totalmente esenti da punizione; ma neppure possono ricondursi ad un reato contravvenzionale caratterizzato da minore gravità.

La soluzione migliore per comportamenti analoghi, quindi, sarebbe l’introduzione del reato di molestie sessuali[31], il quale dovrebbe punire condotte sessuali connotate da una minore lesività e che, in quanto tali, non determinano una importante lesione della libertà di autodeterminazione sessuale.

Si dovrebbe pertanto creare (e si propende per ciò) una sorta di “graduazione” della punizione, facendo rientrare: i comportanti molesti e non sessuali nel reato di cui all’art. 660 c.p.; le condotte sessuali ma meno incisive della libertà sessuale nel reato di molestie sessuali; le condotte più incisive e lesive della libertà sessuale nel delitto di violenza sessuale ex art. 609-bis c.p.

 

 

 

 

 


[1] Cass. pen., sez. III, sent. 27 aprile 1998, n. 6651. Orientamento confermato anche da successiva giurisprudenza. A titolo di esempio si veda Cass. pen., sez. III, sent. n. 549/2005; Cass. pen., sez. III, sent. n. 12425/2007; Cass. pen., sez. III, sent. n. 40979/2012: Cass. pen., sez. III, sent. n. 44480/2012.
[2] Per una ricostruzione organica e approfondita della riforma sui reati sessuali di cui alla l. n. 66/1996 si vedano G. AMBROSINI, Le nuove norme sulla violenza sessuale, UTET, Torino, 1997; BARTOLI – PELISSERO – SEMINARA, Diritto penale. Lineamenti di parte speciale, Giappichelli Editore, Torino, 2021; A. CADOPPI (a cura di), Commentario delle norme contro la violenza sessuale e contro la pedofilia, CEDAM, Padova, 2006; ID., I reati contro la libertà sessuale e lo sviluppo psico-fisico dei minori, UTET, Torino, 2006; F. COPPI (a cura di), I reati sessuali, op. cit.; G. FIANDACA – E. MUSCO, Diritto penale. Parte speciale, I delitti contro la persona, V edizione, Zanichelli Editore, Bologna, 2020; L. GOISIS, La violenza sessuale: profili storici e criminologici, in Diritto penale contemporaneo, 2010; F. MANTOVANI, Diritto penale. Parte speciale, I. Delitti contro la persona, VII edizione, CEDAM, Padova, 2019; G. MATTENCINI, I reati contro la libertà sessuale, Giuffrè Editore, Milano, 2000; V. MUSACCHIO, Il delitto di violenza sessuale, CEDAM, Padova, 1999; PIERGALLINI – VI-GANÒ – VIZZARDI – VERRI, I delitti contro la persona, in Trattato di diritto penale – parte speciale, diretto da G. MARINUCCI – E. DOLCINI, CEDAM, Padova, 2015.; B. ROMANO, Il rinnovato volto delle norme contro la violenza sessuale: una timida riforma dopo una lunga attesa, in Dir. fam. pers., 1996, pp. 1610 ss.; B. ROMANO, Reati contro la persona. Tomo III, reati contro la libertà individuale, in Trattato di diritto penale, diretto da GROSSO – PADOVANI – PAGLIARO, Giuffrè Editore, 2016.
[3] Cfr. G. AMBROSINI, Le nuove norme sulla violenza sessuale, op. cit., p. 4; A. COSTANZO, I reati contro la libertà ses-suale, op. cit., p. 6; V. MUSACCHIO, Il delitto di violenza sessuale, op. cit., p. 11; PIERGALLINI – VIGANÒ – VIZ-ZARDI – VERRI, I delitti contro la persona, op. cit., p. 62.
[4] Cfr. V. MUSACCHIO, Il delitto di violenza sessuale, op. cit., p. 11
[5] PIERGALLINI – VIGANÒ – VIZZARDI – VERRI, I delitti contro la persona, op. cit., p. 64.
[6] Cass. pen., sez. III, sent. n. 4532/2007.
[7] Precisamente, la mancanza di determinatezza si evincerebbe proprio dalla generica locuzione “atti sessuali” utilizzata dall’art. 609-bis, dato che la norma non specifica quando un atto debba intendersi come sessuale. La dottrina è unanimemente orientata nel sostenere la illegittimità costituzionale della norma, a differenza della giurisprudenza, la quale continua ad applicare senza nessun problema la norma in esame. Invero, qualche giudice (precisamente, il Tribunale di Crema) ha nutrito qualche dubbio di legittimità costituzionale della norma, proprio nella parte in cui si fa generico riferimento agli “atti sessuali”, sollevando la relativa questione di legittimità costituzionale dinanzi la Corte costituzionale. Tuttavia, la Consulta ha respinto, con ord. n. 295/2000, la questione di legittimità sollevata dal giudice a quo in quanto quest’ultimo, pur argomentando sufficientemente circa la presunta illegittimità della norma – prendendo a riferimento i parametri costituzionali e la relativa giurisprudenza costituzionale –, non ha tuttavia argomentato circa la rilevanza che la questione di legittimità aveva circa il caso di specie nell’ambito del quale questa era stata sollevata. Il Giudice delle leggi, dunque, non ha potuto far altro che rigettare la questione di legittimità costituzionale per mancanza dei requisiti richiesti dalla legge per il giudizio incidentale di costituzionalità, non potendo pronunciare nel merito della questione. Tale questione di legittimità costituzionale è rimasta del tutto isolata, in quanto nessun altro giudice ha ritenuto di dover sollevare riformulare il quesito di costituzionalità dinanzi alla Corte costituzionale, applicando quindi – senza dubbi di costituzionalità – la norma.
[8] In tal senso, G. MATTENCINI, I reati contro la libertà sessuale, op. cit., p. 45.
[9] Così anche G. AMBROSINI, Le nuove norme sulla violenza sessuale, op. cit., p. 13; S. TOVANI – S. TRINCI (a cura di), I delitti contro la libertà sessuale, aggiornato al d.lgs. 4 marzo 2014, n. 39, Giappichelli Editore, Torino, 2014, p. 125.
[10] Cass. pen., sez. III, sent. 27 aprile 1998, n. 6651.
[11] Cfr. F. BASILE, Commento all’art. 660, in Codice penale commentato, vol. III, III ed., a cura di DOLCINI – MARINUCCI, IPSOA, Milano, 2011, pp. 6691.; AA. VV., Codice penale, a cura di T. PADOVANI, Giuffrè Editore, Milano, 2019, p. 4804.
[12] Cfr. V. MANZINI, Trattato di diritto penale, X, UTET, Torino, 1986, p. 188; G. ROSSO, Ordine pubblico (contravvenzioni), in Novissimo Digesto, XII, Torino, 1965, p. 143.
[13] Cfr. AA. VV., Codice penale, op. cit., p. 4804. Cfr. Cass. pen., sez. I, sent. n. 9446/2018.
[14] V. F. BASILE, Commento all’art. 660, op. cit., p. 6692. Cfr. anche G. M. FLICK, Molestia o disturbo alle persone, in Enciclopedia del diritto, XXVI, Varese, 1976, p. 709; M. PIAZZA, Un recente arresto della Cassazione in tema di molestia o disturbo alle persone: alcuni spunti di riflessione, in Diritto penale contemporaneo, 2012.
[15] Cfr. F. BASILE, Commento all’art. 600, op. cit., p. 6700; V. MANZINI, Trattato di diritto penale, op. cit., p. 196.
[16] Cfr. F. BASILE, Commento all’art. 600, op. cit., p. 6696.
[17] Così Cass. pen., sez. I, sent. n. 3758/2014
[18] Definisce in tal senso la petulanza Cass. pen., sez. I, sent. n. 7379/2000.
[19] Cfr. Cass. pen., sez. I, sent. n. 26776/2016; Cass. pen., sez. I, sent. n. 9780/2014.
[20] Cass. pen., sez. I, sent. n. 3494/1994.
[21] In tal senso orientato anche F. BASILE, Commento all’art. 660, op. cit., p. 6697. In senso contrario M. PIAZZA, Un recente arresto della Cassazione in tema di molestie o disturbo alle persone, op. cit. La giurisprudenza dominante, tuttavia, è orientata nel definire l’elemento soggettivo in termini di dolo specifico: cfr. Cass. pen, sez. I, sent. n. 25033/2012; Cass. pen., sez. I, sent. n. 26776/2016; Cass. pen., sez. I, sent. n. 6064/2018; Cass. pen., sez. I, sent. n. 18216/2019.
[22] Così F. BASILE, Commento all’art. 660, op. cit., p. 6698. Cfr anche Cass. pen., sez. I, sent. n. 6089/2021, la quale definisce “luogo pubblico” quello in cui ognuno può liberamente transitare e trattenersi senza necessità di particolari autorizzazioni.
[23] Ibidem. Cfr. anche Cass. pen., sez. I, sent. n.28853/2009.
[24] Cass. pen., sez. I, sent. n. 11524/1986.
[25] AA. VV., Codice penale, a cura di T. PADOVANI, op. cit., p. 4808.
[26] Cfr. Cass. pen., sez. III, sent. n. 24895/2015; Cass. pen., sez. III, sent. n. 40973/2013. Cfr. anche, in materia di violenza sessuale, Cass. pen., sez. III, sent. n. 1405/2000; Cass. pen., sez. III, sent. n. 9146/2021.
[27] Cfr. Cass. pen., sez. III, sent. n. 40973/2013.
[28] In tal senso anche F. MACRÌ, La violenza sessuale (art. 609-bis c.p.) nella giurisprudenza della Suprema Corte del 2015, in Diritto Penale Contemporaneo, fasc. 1/2016.
[29] Cfr., tra gli altri, A. CADOPPI, Commentario, op. cit., pp. 530 ss.; F. MANTOVANI, Diritto penale. Parte speciale, op. cit., pp. 255 ss.; S. TOVANI – A. TRINCI, I delitti contro la libertà sessuale, op. cit., pp. 175 ss.; S. VITELLI, Atti sessuali e minore gravità nel delitto di violenza sessuale, in Archivio Penale, n. 1/2016.
[30] Orientato in tal senso A. CADOPPI, Commentario, op. cit., p. 511.
[31] Orientato favorevolmente verso l’introduzione del reato di molestie sessuali è anche B. ROMANO, Proposte di riforma nei delitti contro la sfera sessuale della persona, in Diritto Penale Contemporaneo, 2018, pp. 5-6.

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Gennaro De Lucia

Laureato in Giurisprudenza cum laude presso l'Università della Calabria, con una tesi in diritto penale dal titolo "Il reato di violenza sessuale tra interpretazione classica ed evoluzioni giurisprudenziali". Tirocinante presso Procura della Repubblica di Paola (CS).

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