Il regionalismo differenziato alla luce delle recenti evoluzioni. Natura giuridica ed effetti della legge ad autonomia negoziata

Il regionalismo differenziato alla luce delle recenti evoluzioni. Natura giuridica ed effetti della legge ad autonomia negoziata

Sommario: Premessa – 1. La compatibilità del regionalismo differenziato con i principi fondamentali della Costituzione – 2. I limiti costituzionali al regionalismo differenziato – 2.1 Il limite dei principi dell’articolo 119 Cost. – 3. La c.d. legge di differenziazione ed il sistema delle fonti – 3.1 La natura giuridica delle intese – 3.2 Il procedimento di formazione della legge ed il contenuto “ variabile”  della legge ad  “autonomia negoziata” – 4. Gli Accordi preliminari per la differenziazione regionale – 5. Conclusioni

 

 

Premessa

I recenti esiti referendari di Lombardia e Veneto permettono di affrontare un tema, quello del c.d. regionalismo differenziato che, senza dubbio, può essere considerato tra i temi che caratterizzeranno il dibattito in materia per i prossimi anni.

L’introduzione da parte del legislatore costituzionale del 2001 della clausola di asimmetria come possibilità generalizzata per tutte le Regioni di caratterizzarsi per forme e condizioni particolari di autonomia non deve considerarsi una semplice “ aggiunta” di un elemento accidentale rispetto al tradizionale sistema regionale, quanto, piuttosto uno strumento idoneo a “ qualificare”  appieno il  sistema delle autonomie nell’ottica della loro massima valorizzazione anche attraverso  interventi diversificati a seconda delle regioni.

Si tratta, come è noto, di un’ ipotesi pienamente coerente e di stretta consequenzialità con i principi supremi del riconoscimento e della promozione delle autonomie, rappresentando attuazione diretta e specificazione di quanto previsto dall’articolo 5 della Costituzione.

La disposizione in esame, elaborata quale “ forma di apertura speciale alle forze che reclamavano maggiore federalismo”[1] è stata fino ad oggi inattuata non solo per una mancata riflessione di natura sistematica sugli effetti della c.d. clausola di asimmetria nell’ambito delle Regioni a Statuto ordinario, ma anche e soprattutto per il ruolo “ autoritario”  esercitato dallo Stato, motivato ad esercitare il proprio controllo in materie di legislazione concorrente e residuali delle Regioni anche in conseguenza di interpretazione, fortemente restrittiva, della giurisprudenza costituzionale sul punto.

Le prime (timide) iniziative da parte delle Regioni per la richiesta di “forme e condizioni particolari di autonomia”, prontamente abbandonate in concomitanza del dibattito sul federalismo fiscale e dell’adozione della legge n° 42/09[2], sembravano  essere state definitivamente accantonate dalla c.d. riforma Renzi-Boschi improntata, come è noto, su un modello di neocentralismo.

L’esito del referendum costituzionale del dicembre del 2016 ed il “dinamismo” mostrato dall’ Emilia Romagna, dalla  Lombardia e dal Veneto, possono quindi essere considerate delle straordinarie occasioni per inaugurare una nuova fase dei rapporti tra Stato, Regioni ed autonomie locali, che permetta di analizzare, di conseguenza, la natura giuridica e gli effetti della legge ad autonomia negoziata, prevista dall’articolo 116 comma 3 Cost, sull’attuale riparto di giurisdizione ex art. 117 Cost[3].

1. La compatibilità del regionalismo differenziato con i principi fondamentali della Costituzione

L’articolo 116 comma 3 nel disciplinare il procedimento necessario per l’approvazione della legge ad autonomia negoziata deve essere senza dubbio considerata una norma sulla produzione normativa e, quindi, atto fonte dell’ordinamento costituzionale capace di derogare, seppur limitatamente agli  ambiti materiali previsti dalla Costituzione in merito alla ripartizione delle competenze[4].

Tale considerazione ha imposto una riflessione sulla compatibilità della stessa disposizione con i principi costituzionali in quanto la (possibile) deroga a norme costituzionali potrebbe essere disposta utilizzando un “atto fonte” subordinato alla Costituzione violando, per questo motivo, il principio di rigidità[5].

Sul punto, attenta dottrina, analizzando ipotesi simili[6], ha sottolineato come, più che violazioni della rigidità costituzionale, tale possibilità rientri nei casi disciplinati dalla stessa Carta Costituzionale di deroghe a previsioni di rango costituzionale, derivandone, da ciò, che quanto previsto dall’articolo 116 comma 3 Cost debba considerarsi “prescrizione cedevole” per espressa previsione costituzionale[7].

Tale norma può quindi essere ricondotta al fenomeno della c.d. “decostituzionalizzazione formale”  caratterizzato da casi in cui una fonte subordinata risulti legittimata, dalla stessa fonte costituzionale, a derogare al quadro previsto dalla Costituzione o da leggi costituzionali e  la cui ratio deve rinvenirsi nel rafforzamento e nella maggiore realizzazione dei valori costituzionali  in materia di autonomia  regionale[8].

La nuova previsione, inoltre, secondo quanto evidenziato dalla dottrina, avrebbe introdotto una  “speciale specialità di singole Regioni ordinarie”[9], prevedendo, di fatto, una chiara distinzione tra diversità regionali (le regioni a statuto speciale e quelle ad autonomia “ differenziata”) accomunate dalla condivisione di un’autonomia “particolare” che legittima qualità e quantità dei poteri  assegnati, diversi tra loro[10].

Da ciò ne deriverebbe, quindi, che il meccanismo di differenziazione dovrebbe avere come “esclusivi” destinatari le regioni a statuto ordinario non essendo per questo  motivo applicabile alle autonomie speciali disciplinate dai primi due commi della disposizione[11].

Secondo una differente interpretazione il principio di differenziazione dovrebbe essere considerato di  “ordinaria specialità” o di “ geometrie variabili” capace di caratterizzare, quindi, in maniera “flessibile” il riparto di competenze tra Stato e Regioni che assumerebbe, per questo motivo, connotati intrinseci di differenziazione e mobilità, a tal punto da far ritenere che la specialità delle autonomie regionali debba essere considerato elemento caratterizzante dell’intero sistema[12].

Sulla base di tale tesi e sulla clausola di immediata applicazione alle Regioni  e Province speciali  delle condizioni di maggior favore previste dall’articolo 10 della legge n°3/01, l’articolo 116 comma 3 dovrebbe essere ritenuto applicabile ad entrambe le categorie di regioni realizzando, in questo modo, “ un diretto rapporto di integrazione od osmosi fra statuti speciali e nuovo sistema autonomistico, senza con ciò pregiudicare le condizioni di specialità e le garanzie costituzionali proprie di ciascuna Regione e Provincia autonoma”[13].

Da un’attenta analisi letterale della disposizione, che fa riferimento ad “altre Regioni”, deve evidenziarsi come risulti essere chiaro ed espresso il riferimento ad una volontà di predisporre uno strumento chiaramente destinato alla specializzazione delle autonomie ordinarie[14].

Allo stesso modo, deve altresì ricordarsi come la clausola di maggior favore, nella parte concernente le disposizioni procedurali, legittima il procedimento di ampliamento delle forme e delle condizioni di autonomia anche alle autonomie speciali, seppur limitatamente alla sola fase di transizione precedente all’emanazione delle leggi costituzionali di adeguamento dei rispettivi statuti ricordando come la maggiore autonomia da concordare con lo Stato non potrà che essere riferita al modello costituzionale  “ comune” previsto dal Titolo V della Costituzione[15].

2. I limiti costituzionali al regionalismo differenziato

L’articolo 116 comma 3 Cost prevede, come primo limite espresso alla concreta attuazione del principio di differenziazione il “ rispetto dei principi di cui all’articolo 119”.

Sul punto, parte della dottrina ha ricordato come il procedimento legislativo in materia di regionalismo differenziato debba rispettare, come limite “ontologico”, la Costituzione, i diritti fondamentali riferiti alle competenze che non possono essere devolute, ed, infine, i “ livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale”[16].

Nello specifico, infatti, l’ “autorizzata decostituzionalizzazione dell’articolo 117” non legittima la trasformazione di una legge ad autonomia negoziata in una fonte di rango costituzionale, in quanto, a differenza degli statuti speciali, la stessa gode di una capacità normativa rinforzata inidonea a disporre deroghe a previsioni costituzionali, diverse da quelle previste dallo stesso articolo 116 comma 3 Cost.[17].

Da ciò deriva, quindi, che il carattere rinforzato delle leggi di autonomia negoziata deve essere ricollegato alla specializzazione del procedimento e del contenuto dei relativi atti, escludendo, per questo motivo, che fonti diverse possano occupare la stessa materia ed, al tempo stesso, la possibilità di modificare il “valore” dell’atto legislativo che resta proprio di qualsiasi legge[18].

In riferimento alla tutela dei livelli essenziali dei diritti si è evidenziato come, dopo la riforma del Titolo V, sulla base di una coincidenza semantica tra diritti e tutela degli stessi, il godimento dei diritti fondamentali non possa subire in alcun modo discriminazioni attraverso politiche territoriali, siano esse regionali o locali[19].

Di contrario avviso parte della dottrina, riprendendo quanto evidenziato anche dalla Corte Costituzionale[20], ha sottolineato come i livelli essenziali non possano in alcun modo essere “confusi” con i diritti fondamentali in quanto idonei ad indicare il nucleo di prestazioni, relative a diritti, che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale grazie ad una normativa statale[21].

Per questo motivo, quindi, gli standard essenziali delle prestazioni non possono essere considerati una “clausola di riserva” in favore del legislatore nazionale, che può agire senza limiti precostituiti, quanto, piuttosto, devono individuare gli obiettivi dell’azione pubblica in materia di diritti fondamentali, fissati dallo Stato, che le autonomie regionali sono chiamate a realizzare con propri mezzi e risorse finanziarie[22].

Sulla base di tali considerazioni deve evidenziarsi come tali materie, considerate espressione di interessi, valori o contenuti di carattere trasversale, tra i quali rientrano senza dubbio gli elementi caratterizzanti le prestazioni riconducibili a diritti civili e sociali, impongono una seria limitazione all’esercizio del potere legislativo vista la naturale eccedenza del loro contenuto prescrittivo rispetto ai confini predefiniti.

Al riguardo ci si è interrogati sulla possibilità, da parte delle c.d. materie trasversali statali, di limitare le leggi  ad autonomia negoziata, ricordando come il carattere rinforzato di queste ultime esclude che normative statali, volte ad attuare materie di competenze esclusive trasversali, possano essere considerate uno strumento di limitazione.

In caso contrario, infatti, potrebbe riconoscersi a fonti non adottate secondo il procedimento previsto dall’articolo 116 comma 3 Cost, la capacità di deroga nei confronti di  leggi di autonomia negoziata[23].

Dall’analisi della disposizione costituzionale può senza dubbio evidenziarsi come il legislatore costituzionale del 2001, fortemente condizionato dalla prudenza e dalla preoccupazione di una “lesione” del principio di unità della Repubblica, abbia legittimato il procedimento di differenziazione solo per le materie affidate alla potestà legislativa concorrente e a sole tre materie rientranti nella competenza esclusiva da parte dello Stato[24].

Tali limitazioni non inciderebbero, in maniera determinante, sulla qualità della differenziazione in considerazione della capacità di orientare le modalità di attuazione del principio attraverso uno strumento idoneo a privilegiare l’attivazione di un meccanismo capace di individuare i confini della “ materia”, con i quali disciplinare le forme e le condizioni di maggiore autonomia[25].

La definizione di una limitazione implicita ai contenuti della legge di differenziazione può inoltre essere considerato “ontologico” in quanto strettamente collegato alla funzione affidata, trattandosi di un vincolo previsto da norme costituzionali estranee alla definizione di rapporti tra poteri centrali e autonomia regionale in quanto non regolanti il riparto di competenze tra Stato e Regioni[26].

Da ciò ne deriverebbe, quindi, una (possibile) incidenza sulla sfera dei poteri degli enti locali avente  natura “integrativa” o “ specificativa” rispetto al modello nazionale, giustificata dalle particolari esigenze di configurazione dell’ordine delle competenze alle peculiarità della singola Regione[27].

2.1. Il limite dei principi dell’articolo 119 Cost.

L’articolo 116 comma 3  Cost. limita le maggiori forme e condizioni di autonomia al rispetto dei principi fissati dall’articolo 119 Cost, considerato perno fondamentale della c.d. Costituzione finanziaria intesa  quale insieme delle relazioni fiscali e finanziarie degli enti che costituiscono la Repubblica[28].

Sul punto si è evidenziato come il richiamo espresso a tale disposizione debba essere interpretato come mero limite alla valutazione della sostenibilità finanziaria della Regione, da intendersi  non solo come “ copertura” finanziaria delle nuove funzioni ma anche quale rispetto degli equilibri del sistema finanziario regionale e del sistema finanziario complessivo, ritenuti elementi imprescindibili per iniziare l’iter  idoneo ad attribuire maggiori forme e condizioni di autonomia regionale[29].

Di contrario avviso è chi sottolinea come l’articolo 116 comma 3 Cost. imporrebbe allo Stato non solo di “ concedere ma anche di finanziarie la differenziazione”,  ricordando come, poiché il testo della disposizione richiami i soli “ principi” dell’articolo 119 Cost.[30], potrebbe legittimarsi, di fatto una differenziazione regionale anche sul piano dell’autonomia finanziaria[31].

A prescindere dal valore da attribuire alla “ condizione” prevista dalla norma costituzionale ,  deve altresì ricordarsi l’orientamento fortemente restrittivo della Corte Costituzionale, che ha imposto dei “paletti” al federalismo fiscale ed alle  politiche di entrata[32].

Come è noto, pur riconoscendo potestà impositiva alle autonomie territoriali, i giudici di legittimità costituzionale hanno limitato in maniera risoluta la concreta attuazione della stessa in assenza di principi di coordinamento del sistema fiscale nazionale, prevedendo, di fatto, l’intangibilità del sistema tributario nazionale come ordinamento statale[33].

Dopo un breve periodo in cui , “avvalorando” l’ipotesi autonomista, la Corte  aveva attribuito alla legge statale il compito di “ stabilire solo un limite complessivo, che lascia agli stessi enti ampia libertà di allocazione delle risorse fra i diversi ambiti e obiettivi di spesa”[34], deve registrarsi come di recente sia stato affermato come la finanza delle Regioni, delle Province autonome e degli enti locali è “ parte della finanza allargata e che, pertanto, il legislatore statale può, con una disciplina di principio, legittimamente imporre alle Regioni e agli enti locali, per ragioni di coordinamento finanziario connesse ad obiettivi nazionali, condizionati anche dagli obblighi comunitari, vincoli alle politiche di bilancio, anche se questi si traducono, inevitabilmente, in limitazioni indirette all’autonomia dispesa degli enti territoriali”[35].

Il rispetto dell’articolo 119 Cost. impone, quindi che  forme e  condizioni particolari di autonomia richieste in ambito finanziario debbano essere considerate in armonia con “ i principi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario”  e che, inoltre,  la finanza regionale abbia un “ bilancio in equilibrio” attraverso la predisposizione di coperture adeguate[36].

3. La c.d. legge di differenziazione ed il sistema delle fonti

Il principio del regionalismo differenziato immagina una “ dispersione” dell’autonomia in diversi atti fonte, basti pensare alla stessa Costituzione limitatamente all’articolo 117 Cost, alla legge ad autonomia negoziata disciplina dall’articolo 116 comma 3 Cost, ed, infine, agli statuti regionali.

La moltitudine delle fonti e la facoltà di poter raggiungere intese liberamente modulabili nel contenuto, renderebbe difficilmente realizzabile la definizione degli spazi di intervento territoriali e, di conseguenza, di difficile risoluzione gli inevitabili conflitti di attribuzione che si potrebbero creare.

Nello specifico, la previsione dei principi costituzionalità di specialità e differenziazione finirebbe per rappresentare un modello di stato regionale in cui la certezza delle sfere di attribuzione, elemento imprescindibile per la definizione delle forme di autonomia, verrebbe assicurata attraverso una poco giustificabile frammentazione delle fonti.

Sulla base di tali premesse parte della dottrina, interrogatasi sulla natura della fonte del regionalismo differenziato, ha evidenziato come il procedimento legislativo, tenendo conto di aspetti formali e materiali, sia diretto a produrre una legge atipica e rinforzata diretta a stabilire una disciplina fortemente vincolata alla permanenza dell’accordo tra Stato e Regione[37].

Al fine di definire una corretta collocazione della legge ad autonomia negoziata nel sistema delle fonti del diritto e di valutare, inoltre,  il realistico ed effettivo utilizzo del modello previsto dall’articolo 116 comma 3 Cost. , si ritiene necessario affrontare la questione inerente il grado di rigidità o della forza di resistenza passiva di tale fonte[38].

Esaminando la questione da un punto di vista pratico può evidenziarsi come il nucleo più rilevante della questione possa risolversi nel valutare l’ ammissibilità o meno di “ reversibilità” della  maggiore autonomia differenziata nei casi di  situazioni sopravvenute  che rendano necessario un “ ritorno” al livello centrale delle funzioni precedentemente devolute con legge.

Si tratta di un’ipotesi che dovrebbe concretamente prospettarsi nel caso in cui lo Stato revochi, in maniera unilaterale, in tutto o in parte l’autonomia negoziata con la Regione, attraverso una “ restituzione concordata” delle forme e condizioni particolari di autonomia utilizzando una nuova intesa tra Stato e Regione interessata o  tramite una “ restituzione unilaterale” da parte della Regione[39].

In riferimento alla (possibile) revoca unilaterale da parte dello Stato, si è evidenziato come la legge utilizzata per riconoscere l’autonomia differenziata di una Regione, proprio per la sua natura di fonte “ atipica” e “ rinforzata”, si troverebbe in regime di separazione di competenza rispetto non solo alle leggi ordinarie ma anche alle stesse leggi costituzionali, resistendo, per questo motivo, ai tentativi di modifiche o abrogazione  da  parte delle stesse fonti[40].

Una legge approvata con il procedimento disciplinato dall’articolo 138 Cost. potrebbe infatti modificare l’articolo 116 comma 3 Cost. e, di conseguenza, il procedimento volto a concedere una più ampia autonomia, non potendo però incidere sui contenuti della singola legge atipica già intervenuta a favore di una determinata Regione.

Di qui la conseguenza che le forme particolari di autonomia, una volta che siano state riconosciute, finirebbero per assumere i connotati di una “ disciplina permanente e stabile, pressochè intoccabile”, del regime di differenziazione di quella Regione[41].

Sulla stessa linea di pensiero, ma in termini meno radicali, si è sottolineato come un’eventuale legge costituzionale, potrebbe, solo in parte, consentire allo Stato di riacquistare unilateralmente le competenze già trasferite con legge atipica.

Secondo questo orientamento, infatti, la “ la differenziazione, in quanto espressione di accordi paritetici, non può essere vanificata unilateralmente neppure con fonti di rango superiore, acquisendo così il carattere di principio irrevocabile. Ne consegue verosimilmente che neppure la revisione costituzionale potrà eliminare il contenuto della differenziazione così riconosciuta ben potendo, naturalmente, incidere su singoli aspetti non qualificanti”[42].

Allo stesso modo potrebbe ulteriormente evidenziarsi come il principio di differenziazione, al pari di quello di specialità, dovrebbe essere considerato un “principio irrevocabile” della Costituzione Italiana.

Tale impostazione troverebbe “conforto” da una lettura parallela dell’articolo 116 comma 3 Cost. e degli articoli 7 e 8 Cost. in considerazione del fatto che, il principio concordatario e quello di bilateralità contenuti in quelle disposizioni sono da ritenersi immodificabili, anche sulla base di quanto previsto dall’ articolo 138 Cost.[43].

Proprio la comparazione tra i due sistemi normativi permette di superare le tesi di cui sopra, in considerazione del fatto che ciò che non può essere modificato neppure con il procedimento di revisione costituzionale è, nel caso degli articoli 7 e 8 Cost., proprio il principio negoziale e non il contenuto del concordato o delle intese stipulate dalle parti.

Per questo motivo, quindi, nei casi di legge ad autonomia negoziata deve sostenersi il divieto di deroghe all’ordine costituzionale delle competenze da parte di una fonte diversa con l’espressa conseguenza che troverebbe piena e legittima applicazione, anche in questo ambito, una legge di revisione costituzionale.

Al tempo stesso si è inoltre ricordato come fosse difficilmente ipotizzabile assegnare natura di norma immodificabile al principio di differenziazione, essendo già dubbio che tale ipotesi potesse essere prevista per il principio di specialità[44].

Nello specifico, infatti, la norma costituzionale si limita a stabilire un procedimento che non è altro che un modello non necessario e, quindi, meramente eventuale rispetto al regime ordinario stabilito, in via generale, dall’articolo 117 Cost., derivando da ciò la considerazione secondo la quale la fonte  delle “ ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia” non possa assumere carattere costituzionale, ben potendo essere modificata attraverso la revisione costituzionale e senza che possano resistere i contenuti dell’intesa stabilita tra lo Stato e la Regione.

Una (eventuale) revisione dell’articolo 116 comma 3 Cost. avrebbe quindi l’effetto di determinare non l’abrogazione, quanto l’illegittimità costituzionale sopravvenuta delle leggi di autonomia differenziata preesistenti[45].

Al riguardo è stato sottolineato come tali impostazioni debbano considerarsi “ intrinsicamente deboli” in  quanto finirebbero per ammettere che un legge di revisione costituzionale sia in grado di istituire una fonte atipica capace di assumere, di per sé, una forza di resistenza passiva superiore alle stesse leggi di revisione costituzionale successive, costituendo, di fatto, una  palese  macroscopica violazione del consolidato principio secondo il quale “ nessuna fonte può creare altre fonti aventi efficacia maggiore o anche eguale a quella propri, ma solo fonti dotate di efficacia minore”[46].

Più correttamente occorre quindi ammettere come le norme contenute nella legge rinforzata prevista dall’articolo 116 comma 3, non potendo essere dotate della forza e del valore delle norme di rango costituzionale, possano senz’ altro ritenersi suscettibili di modifiche o abrogazioni unilaterali da parte dello Stato attraverso lo strumento della legge costituzionale, approvata con procedimento aggravato ex art. 138 cost., a patto che tale strumento sia compatibile con il limite invalicabile dei principi supremi, con i quali, in ipotesi particolari, potrebbero risultare inscindibilmente saldati alcuni dei singoli contenuti normativi della legge di differenziazione[47].

Con riferimento all’ipotesi della restituzione concordata consensualmente tra lo Stato e la Regione, è stato evidenziato come la soluzione più naturale dovrebbe rinvenirsi nella facoltà di ammettere, in questo caso, l’utilizzo della stessa legge rinforzata prevista per il riconoscimento della maggiore autonomia regionale.

In questo caso, sarebbe l’accordo tra le parti a costituire la condizione necessaria e sufficiente per consentire l’uso della fonte atipica da utilizzarsi, quindi, non solo per l’attribuzione dell’autonomia differenziata, ma anche  per gli eventuali successivi interventi modificativi e correttivi, sia in senso integrativo-ampliativo che in senso diminutivo[48].

In riferimento all’ipotesi della restituzione concordata, deve tuttavia sottolinearsi come, da una diversa lettura della norma costituzionale, può sostenersi come il meccanismo dell’articolo 116 comma 3 Cost. debba essere utilizzato esclusivamente per la “crescita” dell’autonomia regionale e non per la sua “riduzione”, legittimando l’utilizzo della legge ad autonomia negoziata solo in senso “ discendente”, per l’ampliamento delle forme e condizioni di autonomia e non in senso “ ascendente”, per il loro contenimento.

Da ciò deriverebbe, quindi, come nei casi in cui la stessa regione dovesse rendersi conto di non riuscire ad esercitare adeguatamente competenze richieste in precedenza allo Stato, la necessità di trattenersi nei fatti “dal normare e/o amministrare in relazione agli interessi avuti in cura ed attendere, pertanto, che si attivino meccanismi di sussidiarietà dall’altro”[49].

Nonostante  tale impostazione sia capace di cogliere la ratio del modello  previsto dall’articolo 116 comma 3 Cost. , risultando certamente condivisibile, deve allo stesso modo ricordarsi come  a prescindere da tale eventualità, non sembri sussistere alcun ostacolo giuridico ad ammettere, del tutto ragionevolmente, che lo Stato e la Regione interessata possano, di comune accordo, procedere a correzioni e aggiustamenti, anche in senso riduttivo, delle forme e condizioni di autonomia differenziata con lo stesso strumento formale abilitato al primo riconoscimento.

Tale soluzione, d’altronde, potrebbe, di fatto, conciliare non solo l’esigenza di evitare la rigidità del procedimento di revisione costituzionale ma anche quella di disporre di un quadro certo e sempre corrispondente alla realtà delle forme e condizioni di autonomia riconosciute alla Regione.

Sulla base di tali considerazioni si è sottolineato come non dovesse essere esclusa a priori l’ipotesi che le stesse leggi “atipiche” di attuazione dell’articolo 116 comma 3, al fine di garantire l’opportuna flessibilità ed elasticità della maggiore autonomia regionale, potessero “affidare” la loro modifica consensuale ad una fonte approvata con modalità diverse e più snelle di quelle previste dalla norma costituzionale[50].

Tale prospettiva incontra un limite invalicabile nella previsione costituzionale della riserva di legge rinforzata per il riconoscimento della “maggiore” autonomia, con l’espressa conseguenza che la previsione esplicita di una fonte “ più snella” dovrebbe necessariamente essere limitata alle sole modifiche volta alla “ riduzione” consensuale dell’autonomia concessa.

Infine, in merito all’ipotesi di restituzione unilaterale da parte della Regione, deve anzitutto evidenziarsi come, in presenza di condizioni che rendano opportuno o necessario per la Regione già differenziata un ritorno a condizioni di “minore autonomia”, il procedimento per l’approvazione della legge rinforzata o la ricerca del consenso da parte dello Stato possano essere considerata alla strega di una “condizione meramente potestativa” rispetto all’effettivo conseguimento dell’obiettivo[51].

Partendo dalla considerazione secondo la quale  lo Stato è, per sua natura, l’ente “sussidiario” in caso di impossibilità o incapacità della Regione  deputato a svolgere tutti i suoi compiti, non sembra irragionevole ipotizzare la praticabilità di vie alternative alla legge di cui all’articolo 116 comma 3  per la restituzione unilaterale delle forme di  “maggiore autonomia”.

Sul punto si è evidenziato come l’articolo 116 comma 3 Cost. debba essere considerato un modello  deputato ad accrescere le competenze regionali e non può essere utilizzato, con actus contrarius, per riportare le “cose alla condizione di partenza”.

Da ciò deriva che l’ulteriore definizione del quadro delle competenze, volto a fare recuperare allo Stato funzioni devolute alle regioni, debba essere disposto solo con revisione costituzionale e che lo stesso Stato potrebbe attivare i poteri in materia di sussidiarietà e di determinazione dei livelli essenziali anche attraverso strumenti legislativi ordinari[52].

Sulla base di tale considerazioni si evidenzierebbe come la singola Regione non disponga, in via generale, di un proprio atto normativo in grado di modificare o abrogare le norme prodotte dalla legge atipica di differenziazione, con l’espressa conseguenza che l’istanza unilaterale della Regione che pretenda di conseguire il risultato della restituzione senza il necessario concorso degli organi statali è certamente da ritenere destinata a rimanere insoddisfatta.

Uno strumento idoneo ad aggirare l’ostacolo potrebbe, semmai, rinvenirsi  nell’introduzione, nella stessa legge di differenziazione approvata secondo il procedimento dell’articolo 116 comma 3 Cost., di una clausola che autorizzi espressamente una fonte regionale ad apportare modifiche in senso riduttivo alle forme e condizioni particolari di autonomia riconosciute, in modo da assegnare alla fonte “ atipica” la capacità di legittimare un atto normativo esclusivamente regionale nell’ abrogare proprie disposizioni.

In conclusione, sulla base di quanto evidenziato in dottrina, può evidenziarsi come la norma costituzionale debba essere considerata una fonte sulla produzione normativa diretta a stabilire un modello per l’attribuzione di forme e condizioni particolari di autonomia, che trova la propria essenza nell’incontro delle volontà di Stato e Regione e nella legge approvata dalle Camere sulla base dell’intesa.

Da ciò ne deriva che le leggi previste dall’articolo 116 comma 3 Cost., pur rientrando nel genus delle leggi ordinarie, possano essere qualificate come “leggi di autonomia negoziata” in quanto modificabili solo attraverso leggi deliberate secondo il procedimento previsto dalla stessa norma[53].

3.1. La natura giuridica delle intese

Al fine di una corretta ed esaustiva analisi del procedimento di formazione della legge di autonomia negoziata risulta necessaria una riflessione sulla natura giuridica da attribuire alle intese tra Stato e Regioni, previste espressamente dalla Costituzione come elemento necessario e prodromico all’emanazione della legge ad autonomia negoziata avente efficacia rinforzata in considerazione di quanto disposto dalla stessa disposizione costituzionale[54].

Al riguardo, nonostante l’assenza del requisito della sovranità per le autonomie regionali. ci si è interrogati sulla (possibile) analogia tra le intese ex articolo 116 comma 3 Cost. ed i trattati di diritto internazionale, propendendo, infine, per l’assegnazione della natura di accordo interno di diritto costituzionale con forti analogie con quelle disciplinate dall’articolo 8 comma 3 Cost.[55].

Nello specifico, infatti, entrambe potrebbero essere ricondotte alla categoria degli atti bilaterali di tipo negoziale, disciplinate dalle regole del diritto comune ma caratterizzate, al tempo stesso, dal rilievo essenzialmente pubblicistico degli atti posti in essere.[56]

Chiarita la natura giuridica, altro elemento di estrema rilevanza deve essere considerata l’efficacia giuridica dell’intesa in relazione alla successiva legge ad autonomia negoziata.

Sul punto parte della dottrina ha evidenziato come tale legge possa essere considerata “ l’involucro formale che contiene l’intesa finalizzata a tramutarla da accordo Stato- Regione in una fonte normativa dell’intero ordinamento” [57], in piena conformità con un’ autorevole impostazione secondo la quale le leggi di approvazione non rientrano nella categoria degli atti aventi funzioni di controllo esprimendo “ compartecipazione alla decisione o alla scelta politica consacrata nell’atto che forma il contenuto della legge”,  con la conseguenza che “ l’atto approvato con legge fa corpo con la legge che l’approva sicchè nessuna modifica se ne rende possibile se non con l’impiego della forma propria dell’atto legislativo o ad esso equivalente”[58].

Da un’attenta analisi della disposizione costituzionale, può quindi evidenziarsi come tali intese non possano essere considerate fonti del diritto ma uno strumento necessario e caratterizzante l’iter  per l’approvazione dell’unica fonte del diritto (la legge statale) abilitata ad innovare l’ordinamento “ sulla base” delle intese fra Stato e Regioni.

Infine, in merito al rapporto tra intesa e legge ad autonomia negoziata, ci si è interrogati sulla necessità di dover riprodurre, nel testo legislativo, in maniera integrale, il contenuto dell’intesa o sulla possibilità di presentare (ed approvare), durante i lavori parlamentari, emendamenti allo stesso testo.

Nel rispondere a tale dubbio, condivisibile dottrina, considerata la necessità di attribuire al Parlamento quale organo di rappresentanza la giusta rilevanza, ha sottolineato come il procedimento previsto dall’articolo 116 comma 3 Cost. possa considerarsi a “struttura complessa” evidenziando, quindi, come l’intesa stipulata e la delibera del Parlamento debbano ritenersi elementi costitutivi della legge di autonomia negoziata.

Da ciò ne deriverebbe la legittimità non solo di emendamenti, anche sostanziali, al testo dell’intesa ma anche di una (possibile) richiesta di revisione dell’intesa stessa sulla base di motivate indicazioni programmatiche prodromiche ad una più convinta approvazione parlamentare[59].

A tale impostazione si contrappone un’interpretazione dottrinaria maggiormente accreditata che, sulla base dell’analogia tra le intese previste dall’articolo 116 comma 3 Cost. e quelle disciplinate dall’articolo 8 comma 3 Cost., riconosce alla legge ad autonomia negoziata natura di atto di approvazione dei contenuti dell’intesa, avendo lo scopo di tramutare l’“accordo Stato- Regione in una fonte normativa dell’intero ordinamento” senza che il Parlamento possa modificarne il contenuto[60].

In merito alla possibilità emendare il testo del disegno di lege volto a recepire il contenuto dell’intesa, parte della dottrina, basandosi sull’impostazione adottata in riferimento al rapporto tra legge ed intesa, ha sottolineato come il momento pattizio debba essere considerato vero e proprio presupposto sostanziale dell’atto legislativo.[61]

Alla luce della prassi parlamentare, tenuto conto anche dell’assenza di specifiche disposizioni speciali o “minimamente limitative” nei regolamentari parlamentari, si è evidenziato come si sia affermata la consapevolezza che l’approvazione di proposte emendative contrarie ai principi dettati dall’intesa imporrebbero la rinegoziazione della stessa e, quindi, il necessario “azzeramento” dell’intero procedimento [62].

3.2. Il procedimento di formazione ed il contenuto “variabile” della legge ad autonomia negoziata.

L’articolo 116 comma 3 Cost., nel definire il procedimento necessario all’approvazione della legge ad autonomia negoziata, specifica che lo stesso debba realizzarsi sulla base dell’iniziativa della regione interessata, rispettando la  partecipazione degli enti locali[63] ed  attraverso  la stipulazione dell’intesa Stato e Regione il cui contenuto dovrà essere “ratificato” dal Parlamento  tramite una legge approvata a maggioranza assoluta.

Nonostante la diversa interpretazione del riferimento all’ “ iniziativa della regione interessata[64]” deve sottolinearsi come la disposizione costituzionale non chiarisca le modalità ed i (possibili) effetti derivanti dalla stessa[65].

Interrogatasi sulle “forme” della consultazione, la dottrina sembrerebbe aver legittimato l’acquisizione del parere attraverso una deliberazione del Consiglio delle autonomie locali o tramite il ricorso ad un referendum regionale consultivo, ritenuto ammissibile nelle ipotesi di questioni di interesse regionale, nonostante si sia ricordato come la norma costituzionale parrebbe far riferimento  agli enti locali intesi quali organi esponenziali delle collettività locali e per non indicare maniera diretta i cittadini[66].

Al tempo stesso si ritiene che, sulla base dell’impostazione secondo la quale le Regioni sono  considerate comunità territoriali unitarie, il parere delle autonomie locali debba manifestarsi in una fase precedente alla stipulazione dell’intesa tra Presidenza della Giunta regionale e Presidenza del Consiglio dei Ministri.

Esaurita la fase di acquisizione dell’intesa  è opinione consolidata che il potere di iniziativa legislativa volto ad attivare l’iter per l’approvazione della legge, che dovrà essere votata a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera, possa essere esercitato dalle Regioni in quanto soggetti direttamente interessati all’esercizio di quelle “ forme e condizioni particolari di autonomia”[67].

Nonostante autorevole dottrina[68] abbia ipotizzato il ricorso al procedimento di delegazione legislativa, avvalorata anche dal presupposto che l’articolo 116 comma 3 Cost. non chiarisce se la legge possa essere “sostituita” da atti del governo aventi valore di legge, si ritiene opportuno avvalorare la tesi secondo la quale il riferimento al termine “legge” nella disposizione costituzionale legittima una riserva di assemblea ex art. 72 Cost. idonea a garantire un effettivo e necessario coinvolgimento da parte del Parlamento[69].

Nonostante i limiti costituzionali procedurali e sostanziali al regionalismo differenziato, avvalorati dalla giurisprudenza costituzionale pronunciatasi sul punto, deve sottolinearsi come lo “scopo” della fonte riservata può essere rinvenuto nel riconoscimento alla singola Regione di “ ulteriori forme e condizioni di autonomia”[70].

Da ciò deriva, quindi, che oggetto della legge potrebbe essere qualsiasi aspetto riconducibile alla previsione delle diverse sfere di autonomia regionale ed al loro rinvio “ mobile” con i poteri e le competenze dello Stato[71].

Tale considerazione impone, al tempo stesso, di precisare i (possibili) spazi di derogabilità attribuiti alla legge di autonomia negoziata in merito al riparto di competenze previsto dall’articolo 117 Cost.

Nel caso in cui si volesse “riqualificare” una competenza legislativa esclusiva, facendola rientrare nella materie oggetto di legislazione concorrente, il contenuto della legge atipica avrebbe l’effetto di rendere vincolanti, nei confronti del legislatore regionale, i principi fondamentali stabiliti dalla legge statale, lasciando “operative” le disposizioni di dettaglio affidate al legislatore regionale.

Tale ipotesi imporrebbe, di conseguenza, il trasferimento della potestà regolamentare dallo Stato alla Regione secondo quanto previsto dall’articolo 117 comma 6 Cost[72].

Nei casi in cui, invece, la legge ad autonomia negoziata avesse ad oggetto lo spostamento di materie dalla potestà concorrente a quella residuale delle Regioni, l’effetto derivante da tale operazione potrebbe facilmente rinvenirsi nell’esclusione dell’operatività della legislazione statale di principio.

Fortemente “ irrealistica” è considerata, infine, l’ipotesi di un trasferimento di una materia rientrante nella competenza esclusiva dello Stato in quelle di legislazione residuale regionale, il cui effetto sarebbe quello di escludere, in via di principio, la competenza da parte dello Stato in materie caratterizzate dall’esigenza di essere attribuite ad un solo “soggetto” per la definizione di una disciplina unitaria in ambito nazionale[73].

Secondo quanto previsto dall’articolo 118 Cost., deve altresì ricordarsi come l’attribuzione di “ nuove” competenze legislative porterebbe, di conseguenza, il trasferimento delle funzioni amministrative di riferimento che dovrebbero sottostare, in merito alla loro allocazione, alle previsioni costituzionali indicate dalla stessa disposizione, nel rispetto dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza, sempre che non risulti necessario, al fine di garantire l’esercizio unitario, che le stesse restino a livello regionale.

Da ciò ne deriverebbe che la clausola di asimmetria non potrebbe, in via teorica, prevedere una frammentazione delle materie della legislazione così come determinate dal legislatore costituzionale attraverso le enumerazioni, né legittimare una asimmetria legislativa regionale, partendo dalla richiesta di attribuire specifiche funzioni amministrative, in quanto, quelle riconducibili alle materie disciplinate dall’art. 117 comma 3 Cost. sono, ratione materiae, già tutte di spettanza regionale.

Al riguardo, parte della dottrina , interrogatasi sul punto, ha ritenuto in parte ammissibile una (possibile) frammentazione della materia ed un riferimento a funzioni amministrative “richieste” espressamente per quelle materie ( quelle di competenza esclusiva dello Stato, del “coordinamento della finanza pubblica  e del sistema tributario” e dei “ rapporti internazionali e con l’Unione Europea) che non possono essere esclusivamente trasferite alle regioni  [74].

In conclusione può quindi evidenziarsi come il modello legislativo previsto dall’articolo 116 comma 3 Cost. legittimerebbe opzioni contenutistiche varie in merito alla configurazione tra fonti statali e regionali, “ridefinendo” il modello costituzionale previsto dall’articolo 117 della Cost., con l’espressa conseguenza che la medesima fonte statale potrebbe risultare caratterizzata da (possibili) regimi giuridici differenziati, a seconda dei contesti regionali a cui si voglia fare riferimento.

Sulla base di tali considerazioni si ritiene infine necessario un, seppur breve, richiamo al rapporto tra legge di autonomia negoziata e sindacato di costituzionalità.

Essendo una fonte del diritto specializzata, adottata sulla base di un procedimento a forma complessa, un ipotetico sindacato di  legittimità costituzionale dovrebbe essere diretto ad accertare, sotto il profilo formale, il rispetto delle regole sul procedimento di adozione, valutando, quindi, la compresenza dell’intesa tra Stato e Regioni e della deliberazione parlamentare a maggioranza, dovendosi per questo motivo escludersi il controllo sulla corrispondenza tra i due atti, considerati interna corporis acta e, per questo, sottratti al sindacato di costituzionalità.

Da ciò ne deriverebbe che comportamenti contrari al canone della leale collaborazione dovrebbero essere oggetto di un giudizio per la risoluzione dei conflitti di attribuzione tra poteri dello Stato e non di uno per legittimità costituzionale[75].

Certamente più penetrante può essere considerato il controllo di costituzionalità da un punto di vista materiale, potendo la Corte agire in merito a tutte le ipotesi di contrasto tra la legge ad autonomia negoziata e i diversi parametri di legittimità costituzionale riconducibili ai limiti, all’oggetto ed al contenuto della stessa.

In conclusione può evidenziarsi come, in sede di sindacato costituzionale,  la stessa legge agisca quale  norma “interposta” non solo nei confronti di fonti diverse da quelle regionali dirette ad incidere negli spazi riservati, in via esclusiva, alle previsioni in materia di autonomia differenziata ma anche in riferimento a leggi regionali di attuazione sottoposte, per questo motivo.  agli stessi limiti previsti per la medesima legge[76].

4. Gli Accordi preliminari per la differenziazione regionale

Nella fase precedente alla stipulazione delle intese, il cui contenuto verrà ratificato da una legge dello Stato nel rispetto delle modalità e dei vincoli prescritti dalla Costituzione, si collocano gli Accordi preliminari, risultato di un “ primo confronto, ispirato al principio di leale collaborazione”[77].

Per la parte che qui interessa, si evidenzia come le tre Regioni che hanno dato avvio a questa nuova importante stagione del regionalismo differenziato che porterà (forse) ad una definitiva e concreta attuazione dell’articolo 116 comma 3 Cost., hanno, come è noto, scelto percorsi differenti per arrivare alla sottoscrizione dell’accordo con il Governo, propedeutico alla stipulazione dell’intesa tra Stato e Regione.

Infatti, a differenza della Lombardia e del Veneto, l’Emilia Romagna non è ricorsa all’istituto referendario, avendo avviato il lungo iter, conclusosi (per ora) nella stipulazione dell’accordo preliminare tra Governo e Regioni, con l’approvazione di un Documento di indirizzo da parte della Giunta regionale, arricchito dai contributi dei firmatari del c.d. Patto per il lavoro stipulato tra sindacato, imprese, enti locali, università ed associazioni[78].

La giunta regionale, nel rispetto del principio costituzionale di indivisibilità, ha ritenuto “perno essenziale del mandato politico della legislatura” iniziare l’iter per il potenziamento dell’autonomia regionale focalizzando l’attenzione su aree di intervento strategico[79].

A seguito dell’esame svolto dalle commissioni assembleari, il testo è stato illustrato, dal Presidente della Giunta, al Consiglio regionale che ha approvato una risoluzione con la quale si impegnava lo stesso Presidente ad avviare un confronto con il Governo in merito alle aree strategiche scelte ed all’organizzazione della giustizia di pace prevista dall’articolo 117 comma 2 lettera I Cost.[80].

Sulla base di tale mandato il Presidente della Giunta ha sottoscritto, insieme al Presidente del Consiglio dei Ministri,  la Dichiarazione di intenti per l’avvio dei negoziati, formalizzando, di fatto, la reciproca volontà di avviare il negoziato che ha portato all’insediamento, presso il Dipartimento per gli affari regionali della Presidenza del Consiglio dei Ministri, del Tavolo a composizione tecnico politica, al fine di definire il  negoziato tra singoli ministeri e delegazioni regionali.

Tenendo conto di queste evoluzioni, il Consiglio regionale ha rinnovato, attraverso una seconda risoluzione approvata all’unanimità, l’impegno del Presidente della Giunta a proseguire il percorso iniziato, conferendogli, inoltre, mandato a definire, attraverso un confronto da realizzarsi nelle Commissioni competenti, (possibili) ulteriori ambiti materiali volti ad ampliare la richiesta di autonomia[81].

Una volta avviati gli incontri tecnici tra delegati regionali e ministeri competenti, l’assemblea legislativa regionale ha infine approvato un’ulteriore risoluzione con la quale, condividendo l’andamento del negoziato con il Governo, ha delegato il Presidente della Giunta a sottoscrivere l’intesa quadro con il Governo, nel rispetto delle indicazioni e del mandato conferito[82].

Per quanto riguarda, invece, la Regione Lombardia, che aveva già in precedenza iniziato il percorso per l’assegnazione di maggiori forme e condizioni di autonomia[83],  si evidenzia come la stessa abbia dato inizio all’ iter istituzionale  attraverso una delibera del Consiglio regionale con la quale si è legittimata l’indizione, avvenuta con decreto del Presidente della Giunta[84], del referendum consultivo tenutosi il 22 ottobre 2017[85].

L’obiettivo di ottenere una più ampia autonomia, ritenuta la migliore tra le soluzioni, essendo ampiamente condivisa anche dalla società civile e dalle forze politiche, è stato inteso quale strumento idoneo a  contrastare la crisi economica (facendo leva sulla virtuosità della regione) e a ristabilire corretti meccanismi di responsabilizzazione, trasparenza e partecipazione dei cittadini e dei loro rappresentati a beneficio dell’intera collettività.

Facendo riferimento ad un “federalismo dell’efficienza”, diretto ad aumentare la capacità di risposta dell’azione pubblica alle esigenze di cittadini, imprese e delle altre realtà sociali, si è evidenziato come il pluralismo regionale impone che le diverse politiche debbano essere “calibrate” alle specificità delle situazioni locali, per dare vita a un proficuo dinamismo istituzionale anche attraverso forme di innovazione concordate tra i diversi livelli di governo.

L’introduzione di elementi di differenziazione porterebbe, quindi, non solo ad un più ampio decentramento ma, soprattutto, ad una migliore efficienza dell’amministrazione permettendo di sperimentare originali modelli organizzativi utili alle comunità regionali e statale.

Sulla base di tali considerazioni la stessa assemblea legislativa regionale ha approvato una nuova deliberazione con la quale si è impegnato il Presidente di Regione ad istituire un Tavolo tecnico nell’ambito della trattativa con il Governo successiva al referendum, allo scopo di individuare i costi collegati alle competenze previste dagli articoli 116 e 117 Cost. ed a svolgere, inoltre, tale percorso insieme ai Presidenti di Veneto ed Emilia Romagna con il deliberato obiettivo di rafforzare la forza d’impatto nella trattativa interistituzionale con il Governo.

Con lo stesso documento, si è attribuito allo stesso Presidente il compito di negoziare, all’indomani dell’esito positivo del referendum, contestualmente alle nuove competenze e alle risorse relative, anche l’autonomia fiscale così come riconosciuta alle Regioni a Statuto speciale[86].

A seguito dell’importante risultato elettorale (prima consultazione avvenuta con sistema elettronico)  è stato  quindi formalmente avviato il negoziato con il Governo con una risoluzione, votata dal consiglio regionale che fornisce indicazioni in riferimento alle 23 competenze specificate dall’articolo 117 Cost., accorpate in sei aree tematiche[87].

Nello specifico il documento attribuisce un mandato al Presidente della Regione ad avviare, con il coinvolgimento del Consiglio regionale. il confronto con il Governo per la definizione dei contenuti dell’intesa di cui all’articolo 116, terzo comma della Costituzione, chiarendo il complessivo assetto delle potestà normative ed i rapporti tra legislazione, del potere regolamentare e delle relative funzioni amministrative riconducibili, soprattutto  in riferimento alle risorse finanziarie correlate al fine di non vanificare l’obiettivo di mantenere nel tempo l’autonomia conseguita.

Infine, per quanto riguarda il Veneto si ricorda come l’iter finalizzato all’acquisizione di ulteriori forme e condizioni di autonomia ai sensi dell’articolo 116 comma 3 Cost., abbia avuto origine già nel 2012 con l’approvazione, da parte del Consiglio regionale del Veneto, di una risoluzione  con cui si sono impegnati i Presidenti del Consiglio e della Giunta Regionale ad “ avviare urgentemente con tutte le Istituzioni dell’Unione Europea e delle Nazioni Unite le relazioni istituzionali”, al fine di indire una consultazione referendaria capace “ di accertare la volontà del Popolo Veneto in ordine alla propria autodeterminazione sino anche alla dichiarazione di indipendenza[88].

Nel dare seguito a tale richiesta il Consiglio regionale del Veneto ha approvato due leggi, la n. 15 e la n. 16 del 2014 con le quali si è previsto, rispettivamente, l’indizione di un referendum consultivo al fine di conoscere la volontà degli elettori della Regione circa il conseguimento di maggiori forme e condizioni particolari di autonomia ed una consultazione referendaria avente ad oggetto la possibilità per il Veneto di divenire una Repubblica indipendente e sovrana [89].

Come è noto le stesse leggi sono stato oggetto di declaratoria di incostituzionalità da parte della Corte Costituzionale che, con la sentenza n° 118/15 ha ribadito, nel dichiarare l’illegittimità costituzionale della legge n° 16/14, una sua costante giurisprudenza, considerando le “prospettive di secessione in vista della istituzione di un nuovo soggetto sovrano” del tutto incompatibili con i principi supremi dell’unità ed indivisibilità della Repubblica secondo quanto previsto dall’articolo 5 Cost[90].

In riferimento all’altra legge regionale (15/14) i giudici hanno ritenuto parzialmente infondata la questione di costituzionalità dell’indizione di referendum consultivo sull’autonomia della Regione Veneto, almeno per la parte relativa all’applicazione nei confronti da parte della stessa Regione di quanto disciplinato dall’ articolo dell’art. 116 comma 3 Cost.

Pur legittimando lo strumento si è, comunque, dichiarata l’illegittimità delle disposizioni che disciplinavano la parte dei quesiti relativi al coordinamento ed all’assetto della finanza regionale in rapporto con quella statuale, ritenuta in radicale contrasto con i principi fondamentali di livello costituzionale, al pari della pretesa di interpellare l’elettorato sulla trasformazione del Veneto in Regione ad autonomia speciale[91].

Secondo la Corte, infatti, “ non  vi è alcuna contrapposizione tra la consultazione popolare regionale e il procedimento di cui all’art. 116 commi terzo e quarto Cost., che pertanto potrà svolgersi inalterato, nel caso in cui fosse effettivamente attivato. Il referendum consultivo previsto dalla disposizione regionale impugnata si colloca in una fase anteriore ed esterna rispetto al procedimento prestabilito dall’art. 116 Cost.[….] rimanendo giuridicamente autonomo e distinto dal referendum pur potendo essere politicamente condizionato dal suo esito”.

In seguito, con proprio decreto[92], il Presidente della Giunta regionale ha indetto, per la data del 22 ottobre 2017, il referendum consultivo in attuazione della parte della legge n° 15/14 “ sopravvissuta” al sindacato di legittimità costituzionale.

Come è noto, in seguito all’esito positivo del referendum consultivo, che ha superato ampiamente il quorum previsto dall’articolo 27 comma 2 dello Statuto regionale[93], la Giunta Regionale ha assunto le prime determinazioni necessarie ad organizzare il percorso per l’avvio e lo svolgimento del negoziato con lo Stato, istituendo, ad esempio, con propria delibera, la “Consulta del Veneto per l’autonomia“, organismo permanente composto dalle rappresentanze regionali delle Autonomie locali, delle categorie economiche e produttive del territorio, delle forze sindacali e del Terzo Settore, del mondo dell’Università e della Ricerca, nonché da altri organismi espressione di interessi diffusi a livello regionale, in modo da garantirne la più ampia rappresentatività[94].

Allo stesso modo, il Consiglio regionale ha inoltre, con propria delibera, approvato una proposta di legge statale da trasmettere al Parlamento nazionale, conferendo, inoltre, al Presidente della Giunta ampio mandato “ per l’avvio e la conduzione del negoziato e la informativa al Consiglio regionale nell’interesse della Regione Veneto[95].

Sulla base di tale documento il Presidente della Giunta ha trasmesso la proposta di legge statale di iniziativa regionale al Presidente del Consiglio dei Ministri che, preso atto della richiesta e ritenendola compatibile con quanto previsto dall’articolo 116 comma 3 della Costituzione,  ha avviato il negoziato e le successive  fasi di convocazione dei tavoli tecnici tra Stato e Regioni deputati ad individuare le competenze oggetto di maggiore autonomia sulla base di un comune percorso metodologico da utilizzare quale criterio generale per il prosieguo dei negoziati.

L’accordo preliminare in merito all’intesa che si dovrà stipulare tra Governo e Regioni, sottoscritto in data 28 febbraio 2018, ha ad oggetto i principi generali, la metodologia e le materie per l’attribuzione di maggiore autonomia nel rispetto dei principi costituzionali[96].

Nello specifico, si è previsto il conferimento alle tre Regioni di “ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia amministrativa e legislativa” nelle materie : politiche del lavoro, istruzione, salute e  tutela dell’ambiente e dell’ecosistema.

Al fine di rafforzare l’autonomia regionale in materia di politiche attive del lavoro è stata attribuita la competenza legislativa per regolare e integrare le prestazioni di politica attiva attraverso l’introduzione e la disciplina di misure complementari di controllo in riferimento alle materie oggetto di regolazione regionale.

Per quel che riguarda la materia “istruzione” è assegnata alla regione la programmazione dell’offerta di istruzione regionale, definendo la relativa dotazione dell’organico e l’attribuzione alle autonomie scolastiche dei percorsi di istruzione attraverso la possibilità di disciplinare le modalità organizzative e attuative idonee a realizzare un sistema integrato di istruzione professionale e di istruzione e formazione professionale.

Inoltre, nel rispetto dell’autonomia delle istituzioni universitarie e delle disposizioni nazionali è stata attribuita la competenza di programmare, sulla base di un’intesa con la Conferenza Regione Università, l’attivazione di un’offerta integrativa di percorsi universitari per favorire lo sviluppo tecnologico, economico e sociale del territorio, in conformità con i requisiti di sostenibilità dei corsi universitari e della disciplina che regola la professione di docente universitario.

Nell’ambito della materia “ salute” è attribuita maggiore autonomia indirizzata alla rimozione dei vincoli di spesa, con riferimento alle politiche di gestione del personale, ed, inoltre, in coerenza con le proprie esigenze specifiche, una più ampia libertà nella definizione regionale dei modelli di “governance”  delle Aziende e degli enti del servizio sanitario nazionale nel rispetto dei livelli essenziali di assistenza al fine di garantire un assetto organizzativo della rete ospedaliera e dei servizi territoriali e di supporto.

Infine in riferimento alla “ tutela dell’ambiente e dell’ecosistema” è assegnata, sulla base dell’articolo 118 Cost.,  competenza legislativa ed amministrativa in merito all’organizzazione ed allo svolgimento delle funzioni attribuite agli enti locali, predisponendo, inoltre, sulla base di specifiche esigenze territoriali, l’adozione di regolamenti ed atti amministrativi generali di competenza dello Stato o di organi ed enti di livello statale.

L’accordo preliminare prevede, infine, per le modalità di attribuzione delle risorse finanziarie, la costituzione di un’apposita Commissione paritetica Stato Regioni chiamata a valutare la compartecipazione o la riserva di aliquota al gettito di uno o più tributi erariali maturati nel territorio regionale, la spesa sostenuta dallo Stato nella Regione in merito alle funzioni trasferite o assegnate ed, infine, la definizione dei c.d. fabbisogni standard  che dovranno essere utilizzati quale termine di riferimento in merito al rapporto tra popolazione residente e  gettito di tributi maturati nel territorio.

Lo stesso documento ha inoltre previsto la sottoscrizione di un addendum sui rapporti internazionali e con l’Unione Europea, con il quale Stato e Regione si impegnano a rafforzare le forme di partecipazione delle autonomie territoriali al consolidamento dell’Unione Europea ed all’intensificazione delle relazioni transfrontaliere e della cooperazione transfrontaliera della collettività e autorità territoriali.

Sul punto si è evidenziato, inoltre come le materie oggetto delle pre-intese siano “fondamentali” per i diritti dei cittadini le cui prestazioni sono affidate in gran parte proprio alle autonomie territoriali che, per questo motivo, si prefiggono l’obiettivo di elevare i propri standard qualitativi anche grazie al superamento dell’attuale ripartizione delle competenze tra Stato e Regioni[97].

In conclusione può evidenziarsi come, in riferimento alle modalità di trasformazione di tali Accordi preliminari in intese, non essendo previste ipotesi tassative, potrebbe pacificamente replicarsi lo stesso procedimento per la definizione e conclusione delle intese ex art. 8 Cost. basato sulla previsione di un’apposita commissione interministeriale ad hoc[98].

5. Conclusioni

Le iniziative di Emilia Romagna, Lombardia e Veneto permettono di compiere delle, seppur brevi, conclusioni in merito alle effettive opportunità offerte dalla definitiva ed effettiva attuazione dell’articolo 116 comma 3 Cost.

Partendo dalla considerazione che la c.d. clausola di asimmetria presente nella disposizione costituzionale non rappresenta “l’anticamera” di una possibile secessione, il regionalismo differenziato potrebbe introdurre, all’interno di un regionalismo tutt’altro che omogeneo, elementi di forte valorizzazione delle forti identità regionali, attraverso la realizzazione delle specifiche vocazioni ed, al tempo stesso condizioni di  di maggiore efficienza del sistema istituzionale nel suo complesso, aprendo, quindi, la strada ad un regionalismo più consapevole e responsabile.

Nello specifico, l’attribuzione di forme e condizioni di autonomia a Regioni in grado di esercitare al meglio funzioni e attività, in precedenza svolte dallo Stato, a parità di risorse, potrebbe infatti concretizzarsi in una maggiore efficienza finanziaria dell’intero sistema nazionale.

Una più ampia “regionalizzazione” delle competenze potrebbe inoltre favorire, in considerazione delle enormi differenze sociali, economiche e demografiche fra i vari territori, una più funzionale allocazione delle risorse attraverso l’erogazione di beni e servizi pubblici da ritenersi più conformi alle esigenze della collettività locale.

Si tratta di un’impostazione che richiede, necessariamente, un intervento concreto in ambito nazionale capace di raccordare le diverse realtà territoriali e che tenga conto dell’attuale stato dell’Italia, caratterizzato  da un sistema di internazionalizzazione dell’economia  e  dal processo di integrazione europea.

Una completa ed effettiva attuazione dell’articolo 116 comma 3 Cost. potrebbe risultare pienamente efficace in un contesto che veda riconosciuto un importante ruolo dello Stato non solo in ambito nazionale, ma anche e soprattutto in Europa nelle sedi di negoziazione internazionale.

L’aspetto senza dubbio più rilevante è, infatti, quello rinvenibile nella necessità, da parte dello Stato di trovare l’equilibrio territoriale avvalendosi della collaborazione tra Stato e Regioni, migliorando ed intensificando interventi di perequazione territoriale stimolando, al tempo stesso, la (possibile) crescita delle Regioni.

Nonostante i numerosi aspetti positivi da rinvenirsi dai (possibili) effetti dell’articolo 116 comma 3 Cost. ed il proficuo rapporto istituzionale tra Governo e Regioni (avvalorato anche dall’accordo preliminare in merito alla definizione dell’intesa disciplinata dalla stessa disposizione costituzionale) appare necessario considerare come una vera e definitiva attuazione del principio di differenziazione non possa non passare dal recupero del processo di decentramento delineato dalla legge n° 42/09, bruscamente interrotto dall’inizio della crisi economica globale.

La concezione di un regionalismo differenziato deve essere infatti strettamente compensata da un regionalismo cooperativo ed integrativo previsto dal Titolo V della Costituzione e da una netta consapevolezza che il principio autonomistico debba essere considerato quale promotore di integrazione statale e non di separazione, capace di garantire rapporti stabili tra Stato- Regioni capaci  di contrastare (future) tendenze espansive da parte di entrambi.

Per questo motivo deve auspicarsi un quadro di integrazione chiaro tra gli stessi soggetti idoneo a colmare il divario tra le varie realtà territoriali e non accentuarlo attraverso un distorto utilizzo dell’autonomia differenziata, tenuto conto del mancato assetto organico della finanza regionale e locale che potrebbe far emergere il rischio di un percorso transitorio con conseguenti conflitti istituzionali ed incertezze nella dotazione delle risorse.

Solo attraverso un’adeguata ripresa dell’impostazione iniziata con la legge 42/09[99] in materia di  federalismo fiscale ed una conseguente ridefinizione concentra  degli aspetti più problematici del  complessivo sistema di finanza decentrata, potrebbero assicurare un effettivo rafforzamento dell’autonomia regionale nel rispetto del principio della necessaria correlazione tra funzioni e risorse, così come elaborato dalla giustizia costituzionale[100].

La possibile prosecuzione, ed il conseguente allargamento in termini soggettivi e oggettivi di tale percorso, improntata sui principi di ragionevolezza, proporzionalità e garanzia di unitarietà del sistema, può inoltre offrire, un importante contribuito al superamento di impostazioni centralistiche ed uniformanti in favore di un rilancio di un effettivo regionalismo ed autonomismo[101].

La necessità di adeguare le politiche alle esigenze territoriali, considerata un eccezionale strumento di crescita e di garanzia della coesione sociale, deve essere strettamente collegata all’esigenza di equilibrare le ragioni autonomistiche con quelle di unità e di uguaglianza dei cittadini, immaginabile solo attravers un effettivo adeguamento dell’impianto statale al processo di differenziazione in atto[102].

Dall’analisi degli accordi preliminari sottoscritti dai soggetti interessati risulta inoltre chiara la modalità di approvazione da parte delle Camera delle (future) intese stipulate tra Stato e Regioni, che dovranno avvenire in conformità al procedimento, ormai consolidato, in via di prassi, per l’approvazione delle intese tra Stato e confessioni religiose secondo quanto previsto dall’articolo 8 comma 3 della Costituzione.

Tale previsione legittima, quindi, espressamente quella tesi secondo la quale al Parlamento spetterebbe l’adozione di una legge di approvazione in senso tecnico senza possibilità emendativa, potendo lo stesso approvare o respingere un testo che risulta, di fatto, essere il frutto dell’accordo tra Governo e Regione, relegando, di fatto, l’unico organo costituzionale rappresentativo della sovranità popolare a mero “ ratificatore” delle volontà governative, non potendo intervenire in maniera “ attiva” per una più convinta approvazione parlamentare.

Per questo motivo, quindi, nonostante l’esigenza di attribuire al Parlamento, quale organo di rappresentanza degli interessi generali, un ruolo centrale all’interno del procedimento, deve sottolinearsi come, lo stesso, sembrerebbe nella totale “disponibilità” del Governo.

Nello specifico, infatti, gli accordi preliminari stipulati tra esecutivo e regioni interessate debbano essere senza dubbio considerati il frutto di un importante e proficuo dinamismo di entrambi le parti, ( gli accordi preliminari firmati dalle Regioni con lo Stato entrambe le parti hanno convenuto che debba essere riconosciuta la rilevanza del percorso intrapreso a prescindere dal  rinnovo degli organi statali)  non può non evidenziarsi come gli stessi siano stati predisposti da un Governo (seppur legittimato ad agire ma prossimo alla dimissioni) non rappresentativo della nuova maggioranza parlamentare.

Da ciò ne deriva, quindi, come, nonostante una sostanziale condivisione tra le forze politiche, a livello nazionale e regionale, sull’utilità dello strumento, sarà fondamentale considerare l’operato del nuovo esecutivo che ha, da subito, assegnato al tema del regionalismo differenziato una straordinaria rilevanza all’interno del programma di governo, attribuendogli particolare attenzione anche in considerazione del radicamento di tali istanze su istituti di democrazia diretta.

La diretta applicabilità delle disposizioni costituzionali, resa possibile anche dall’assenza di una disciplina legislativa di attuazione, legittima, quindi, un adattamento dei procedimenti devolutivi sulla base non solo delle richieste delle singole Regioni ma, soprattutto, dei diversi quadri politici che si avvicendano nel corso del tempo.

L’attivazione del procedimento previsto dall’articolo 116 comma 3 Cost. rafforzerebbe, inoltre, quel progetto mai del tutto abbandonato di una seconda Camera rappresentativa delle istanze differenti dei territori capace di convertirle in una dimensione unitaria nel rispetto del principio di solidarietà disciplinato dall’articolo 2 della Costituzione

Sul punto è stato attentamente osservato come la definizione di una legge formale rinforzata per forma e contenuto per l’approvazione dell’intesa raggiunta tra Governo e regione interessata costituisce un altro elemento positivo per immaginare il “nuovo” Senato quale modello di efficace rappresentanza territoriale capace, inoltre, di prevenire i possibili scontri tra Stato e Regioni [103].

In conclusione, quindi, deve evidenziarsi come tutte le riforme legislative “materialmente costituzionali” a Costituzione invariata necessitano non solo di un processo attuativo coerente con le finalità perseguite dallo stesso atto di riforma iniziale, al fine di scongiurare fatti di incertezza e di instabilità che l’ordinamento giuridico faticherebbe a tollerare, ma anche di un uso corretto degli strumenti normativi nel rispetto della gerarchia delle fonti.

Tale modello risponderebbe ad esigenze di garanzia della legalità costituzionale ed, allo stesso modo, ridurrebbe i (possibili) problemi interpretazione concorrendo, di fatto, a ridimensionare il contenzioso costituzionale in materia[104].


[1] Cfr. S. Mangiameli, L’attuazione dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione con particolare riferimento alle recenti iniziative delle Regioni Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna. Indagine conoscitiva della Commissione parlamentare per le questioni regionali. Audizione del 29 novembre 2017, in www.issirfa.cnr.it.
[2] Legge 5 maggio 2009 n° 42, Delega al governo in materia di federalismo fiscale in attuazione dell’articolo 119 della Costituzione.
[3] Al fine di “rianimare” l’articolo 116 comma 3 e, di conseguenza, facilitare il procedimento volto ad incrementare le competenze regionali in alcuni specifici settori si ricorda la c.d. Legge di Stabilità per il 2014 con la quale era stato previsto che “ ai fini di coordinamento della finanza pubblica, il Governo si attiva sulle iniziative delle Regioni presentate al Presidente del Consiglio dei Ministri ed al Ministro per gli affari regionali ai fini dell’intesa ai sensi dell’articolo 116 terzo comma della Costituzione, nel temine di sessanta giorni dal ricevimento”. Cfr. Legge 27 dicembre 2013 n° 143 recante “ Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato”.
[4] Cfr. M. Cecchetti, Attuazione della riforma costituzionale del Titolo V e differenziazione delle regioni di diritto comune, in www.federalismi.it.
[5] Cfr. tra i tanti L. Elia, Audizione, in Indagine conoscitiva sugli effetti nell’ordinamento delle revisioni del Titolo V della parte II della Costituzione della I Commissione-permanente del Senato, in T. Groppi- M. Olivetti ( a cura di), La Repubblica delle autonomie, Torino, 2003, 7 ss.; L. Antonini, Verso un regionalismo a due velocità o verso un circolo virtuoso dell’autonomia? in Problemi del federalismo, Milano, 2001. Sul punto l’Autore ha evidenziato come la “ prospettiva dell’asimmetria appare quindi votata a presentarsi come un’ipotesi di revisione costituzionale, potenzialmente idonea a ricondurre in nuovi e più giustificati equilibri l’una e l’altra delle forme originarie del regionalismo italiano”.
[6] E’ il caso, ad esempio, dell’articolo 73 ultimo comma delle Costituzione, con il quale si autorizza la legge ordinaria a derogare il termine di vacatio legis stabilito in quindici giorni o dell’articolo 122 ultimo comma della Costituzione che consente agli statuti delle regioni a statuto ordinario di derogare alla regola dell’elezione del Presidente della Giunta regionale a suffragio universale e diretto. Cfr. sul punto G. Salerno, Gli statuti speciali nel sistema delle fonti, in A. Ferrara- G.M. Salerno ( a cura di), Le nuove specialità nella riforma dell’ordinamento regionale, Milano, 2003, 18.
[7] Cfr. A. Morrone, Il regionalismo differenziato. Commento all’art. 116 comma 3 della Costituzione, in Fed. Fisc, 2007, 1, 148.
[8] Cfr. L. Paladin, Le fonti del diritto italiano, Bologna, 1996, 171; Cfr. M. Cecchetti, La differenziazione delle forme e condizioni dell’autonomia regionale nel sistema delle fonti, in P. Caretti ( a cura di), Osservatorio sulle fonti, Torino, 2002, 135.
[9] Cfr. G. Falcon, Il nuovo Titolo V della parte seconda della Costituzione, in Regioni, 2001, 11
[10] Cfr. L. Antonini, Verso un regionalismo a due velocità o verso un circolo virtuoso dell’autonomia ?,in AA.VV. Problemi del federalismo, Milano, 2001, 180. Secondo l’Autore “ la nuova asimmetria risulterebbe fondata sulla differenziazione- evocativa di un principio di adaequatio rei et iuris potenzialmente aperto al diffondersi di una successiva e più diffusa situazione autonomistica, piuttosto che sulla specialità, evocativa, invece non solo di una dimensione prettamente politica, ma caratterizzata anche da una più decisa vocazione alla stabilità della situazione di asimmetria”.
[11] Cfr. A. Ruggieri, Forma e sostanza dell’adeguamento degli Statuti speciali alla riforma costituzionale del Titolo V ( notazioni preliminari di ordine metodico-ricostruttivo), in Le Regioni, 2, 2003, 103.; S. Panunzio, Audizione del Presidente dell’associazione italiana dei costituzionalisti, 130.
[12] Cfr. G. Pastori, La nuova specialità, in Regioni, 2001, 493.
[13]Cfr. G. Pastori, La nuova specialità, in Regioni, 2001, 493. Cfr. inoltre P. Pinna, Il diritto costituzionale della Sardegna, Torino, 2003. L’Autore, propendendo per l’estensione della clausola anche alle autonomie speciali, ha evidenziato come “ l’ipotesi opposta porterebbe ad un esito paradossale: le Regioni ordinarie potrebbero accrescere le loro funzioni normative con un procedimento più agevole e soprattutto che valorizza molto di più la volontà regionale rispetto alla procedura di revisione degli Statuti speciali”.
[14] Cfr. A. Ruggieri, Neoregionalismo, dinamiche della normazione, diritti fondamentali in www.giurcost.org, 3, 2002.
[15] Cfr. B. Caravita di Toritto, La Costituzione dopo la riforma del Titolo V, Torino, 2002, 142.
[16] A. Ruggeri, Neoregionalismo diritti fondamentali cit. Cfr. inoltre sul punto M. Cecchetti, Attuazione della riforma costituzionale del Titolo V e differenziazione delle regioni di diritto comune, cit.; F. Moro, Federalismo differenziato e devolution, in Riv. Giur.Mezzogiorno, 2002, 741, secondo cui, in presenza di materie aventi ad oggetto diritti fondamentali, deve ritenersi necessaria una funzione in posizione sovraordinata. Cfr. infine E. De Marco, Qualche interrogativo ad un “regionalismo a più velocità”, in Quad. cost., 2003, 353. 
[17] Cfr. A. Morrone, Il regionalismo differenziato. Commento all’art. 116 comma 3 della Costituzione, in Fed. Fisc., 2007, 1, 148.
[18] In merito al concetto di valore il riferimento è al regime giuridico dell’atto espresso. Cfr. sul punto A.M. Sandulli, Legge. Forza di legge. Valore di legge, in Scritti scelti di Aldo M. Sandulli, Milano, 2005.
[19] Cfr. sul punto M. Luciani, I diritti costituzionali tra Stato e Regioni ( a proposito dell’art. 117 comma 2, lett. m della Costituzione, in Pol. Dir., 2002, 345; E. Balboni, Il concetto di “livelli essenziali e uniformi” come garanzia in materia di diritti sociali, in Le istituzioni del federalismo, 2001, 1103; C. Pinelli, Sui “ livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali” ( art. 117 co 2, lett. m Cost) , in Dir. Pubbl., 2002, 881; A. D’ Aloia, Diritti e stato autonomistico. I modello dei livelli essenziali delle prestazioni, in Le Regioni, 2003, 1063.
[20] Cfr. Corte Costituzionale 26 giugno 2002, n° 282, in Regioni, 2002, 1444; Corte Costituzionale, 27 marzo 2003, n°88, in Regioni, 2003, 1177. Nello specifico, i giudici hanno evidenziato come “la lettera m dell’articolo 117 cost ha individuato una competenza del legislatore idonea ad investire tutte le materie rispetto alle quali lo Stato deve porre le norme per assicurare a tutti il godimento di prestazioni garantite come contenuto essenziale di tali diritti”.
[21] Per un’analisi esaustiva Cfr. A.Lucarelli, Percorsi sul regionalismo italiano, Milano, 2004.
[22]Cfr. sul punto S. Mangiameli, La riforma del regionalismo italiano, Torino, 2002.
[23] Cfr. A. Morrone, Il regionalismo differenziato. Commento all’art. 116 comma 3 della Costituzione, in Fed. Fisc., 181. L’Autore sul punto ha altresì evidenziato come, nei casi di rapporti tra legge statale che disciplina una materia trasversale e legge regionale adottata sulla base ed in attuazione di quanto previsto dall’articolo 116 comma 3 Cost, la trasversalità della funzione legislativa potrebbe limitare l’esercizio della potestà legislativa della Regione, salvo che la medesima legge di autonomia negoziata non preveda una diversa soluzione.
[24] Il riferimento è alla: “organizzazione dei giudici di pace; (alle) norme generali sull’istruzione; (alla) tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali”. In merito al riferimento alla “ giustizia di pace” si è evidenziato  come, non potendo assegnare alle regioni competenze in materia di ordine e sicurezza pubblica o di ordinamento civile e penale, si sono attribuite alle stesse competenze con riferimento ai profili organizzativi e non anche funzionali degli uffici del giudice di pace. Per quanto riguarda invece le “ norme generali sull’istruzione”,  attenta dottrina ha sottolineato  “evidente discrasia” tra l’articolo 116 comma 3 Cost. e l’articolo 33 comma 2 della Cost. Tale previsione  riduce l’ambito oggettivo essendo in contrasto con la definizione di norme stabilite attraverso una disciplina comune per quel che riguardano gli aspetti fondamentali, su tutto il territorio nazionale. Da ciò, quindi, può sottolinearsi come verrebbe, di fatto, impedito un completo trasferimento delle competenza anche attraverso la legge ad autonomia negoziata. Infine, per quanto riguarda la “ tutela dell’ambiente”, si è ritenuta difficilmente superabile la dimensione costituzionale dei beni sottesi alla “ tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali” che legittimerebbe, per questo motivo, una differenziazione in tale ambito. Cfr. sul punto A. Morrone, Appunti sulle “ norme generali” ( dopo il progetto di “riforma della riforma”, in Le istituzioni del federalismo, 2003, 145; A. Morrone, Una spada di Damocle sulla potestà legislativa esclusiva delle regioni, in Giur. Cost, 6, 2002, 4430; S. Mangiameli, Le regioni e l’organizzazione della giustizia di pace, in www.forumcostituzionale.it, 25 maggio 2004.
[25]Cfr. sul punto A. Ruggieri, Neoregionalismo, dinamiche della normazione, diritti fondamentali, cit, 20; M. Cecchetti, Attuazione della riforma costituzionale del Titolo V e differenziazione delle Regioni di diritto comune. cit.,14; A.Anzon, I poteri delle Regioni dopo la riforma costituzionale. Il nuovo regime e il modello originario a confronto, Torino, 2002, 208; G D’Ignazio, Asimmetrie e differenziazioni regionali dopo la riforma del Titolo V della Costituzione, in S.Gambino (a cura di ) Il nuovo ordinamento regionale. Competenze e diritti, Milano, 2003, 269 ss.;.
[26] Cfr. F. Pizzetti, Le nuove esigenze di governance in un sistema policentrico esploso, in Le regioni, 2001,24. Sul punto l’Autore sembrerebbe sostenere la derogabilità alla disciplina costituzionale solo in riferimento alla ripartizione delle competenze fra legislatore statale e legislatore regionale.
[27] Cfr. sul punto M. Cecchetti, La differenziazione delle forme e condizioni dell’autonomia regionale nel sistema delle fonti, in P. Caretti ( a cura di), Osservatorio sulle fonti, Torino, 2002, 135.
[28] Si tratta, come noto, di una disposizione che attribuisce alle Regioni ed agli enti locali autonomia costituzionalmente garantita in riferimento alle politiche di bilancio, prevedendo oltremodo interventi speciali,  e risorse, straordinarie e selettive, aggiuntive da parte dello Stato al fine di assicurare, in chiave redistributiva, esigenze di carattere nazionale. Allo stesso modo l’articolo 119 Cost., imponendo la congruità tra risorse finanziarie e competenza attribuite ha, secondo parte della dottrina, positivizzato il principio di responsabilità che impone la coincidenza, in capo allo stesso ente, di competenze, legislative e amministrative, e delle conseguenti decisioni fiscali e finanziarie, correlando, di fatto, l’autonomia regionale alla responsabilità dei titolari degli enti di governo. Da ciò deriva, un netto allontanamento delle fonti di finanziamento delle politiche territoriali dalla c.d. finanza derivata ed il conseguente avvicinamento verso modelli di finanza autonoma. Per un’analisi più approfondita si rinvia a A. Morrone, Il sistema finanziario e tributario della Repubblica. I principi costituzionali, Bologna, 2004.
[29] Cfr. F. Palermo, Il regionalismo differenziato in T. Groppi – M. Olivetti (a cura di), La repubblica delle autonomie. Regioni ed enti locali nel nuovo Titolo V, Torino, 2003, 52; G. D’ Ignazio, Asimmetrie e differenziazioni regionali, in S. Gambino ( a cura di), Milano, 2003,4 ; B. Caravita di Toritto, La Costituzione dopo la riforma del Titolo V, Torino, 2002, 144, il quale, seppur in forma dubitativa, evidenzia come, a prescindere dall’attuazione dell’articolo 119 Cost., la legge di autonomia negoziata debba prevedere una chiara forma di raccordo tra nuove competenze e risorse finanziarie. Cfr. inoltre C. Buratti, Federalismo differenziato. Il punto di vista di un economista, in  Fed. Fisc, 2007, 6 secondo cui “ l’essenza dell’art. 116 comma 3 Cost. non è l’attribuzione di maggiori risorse alle regioni che facciano richiesta di più ampie forme di autonomia, quanto la possibilità di organizzare in modo diverso e più efficiente certe funzioni pubbliche utilizzando sostanzialmente le medesime risorse impiegate in precedenza dallo Stato, salva la possibilità di prelevare ulteriori risorse dai cittadini della Regione”.
[30] In merito alla concreta individuazione dei principi, si è sottolineato come la loro definizione risulti “operazione tutt’altro che agevole” , essendo per loro natura strutturalmente autonomi e pariordinati, con la conseguente impossibilità di poter utilizzarli quali parametro di costituzionalità sufficientemente definito. Da ciò deriva, quindi, come l’intesa tra Stato e Regione debba definire in maniera certa un determinato “ assetto organico” dei principi previsti dall’articolo 119 Cost., prevedendo un “ sistema” di reciproche relazioni su cui basare l’accordo, che deve altresì  basato  sulla “ mobilità del confine imposto alla differenziazione dall’art. 119” e dalla conseguente definizione di clausole di salvaguardia e meccanismi di compensazione idonei a garantire il modello scelto. Cfr. M. Cecchetti, La differenziazione delle forme e condizioni dell’autonomia regionale nel sistema delle fonti, cit., 132.. Cfr. inoltre A. D’Atena, Prime impressioni sul progetto di riforma del Titolo V, in G. Berti, G.C. De Martin ( a cura di), Le autonomie territoriali: dalla riforma amministrativa alla riforma costituzionale, Milano, 2001, 238; A. D’Atena, L’Italia verso il federalismo. Taccuini di viaggio, Milano, 2001, 226; P. Giarda, Le regole del federalismo fiscale nell’art. 119: un economista di fronte alla nuova Costituzione, in Regioni, 2001, 1483. Secondo l’Autore “ il finanziamento dell’autonomia differenziata è trattato in modo non adeguato, in quanto l’art. 119 non offre alcuna indicazione al legislatore ordinario sui criteri che dovrà utilizzare quando singole Regioni otterranno più ampie competenze legislative”.
[31] Cfr. M. Cecchetti, La differenziazione delle forme e condizioni dell’autonomia regionale nel sistema delle fonti, cit., 149. Sul punto l’Autore ha inoltre evidenziato come “ proprio uno dei “ principi” dell’art. 119 cost stabilisca che le risorse garantite alle Regioni dai primi tre commi debbono consentire loro di finanziare integralmente le funzioni attribuite, senza alcuna distinzione in ordine al titolo di tale attribuzione; di talchè, se ed in quanto la legge di attuazione dell’art. 116 comma 3 preveda il riconoscimento alle Regione di ulteriori funzioni che importino costi aggiuntivi, sarebbe lo stesso principio dell’art. 119 comma 4, ad imporre anche la previsione delle corrispondenti fonti di finanziamento in deroga al regime finanziario ordinario”. Sul punto si veda anche B. Caravita di Toritto, Audizione del Presidente dell’A.I.C. al Senato sulla revisione del Titolo V, Parte II della Costituzione. Risposta dei soci dell’ A.I.C. ai quesiti, in Costituzione, Regioni e Autonomie locali, in Costituzione, Regioni e Autonomie locali, 33.
[32] Per un maggior approfondimento Cfr. A. Morrone, Corte Costituzionale e “ Costituzione finanziaria”,  in A. Pace ( a cura di), Corte Costituzionale e processo costituzionale, Milano, 2006, 624.
[33] Cfr. tra le tante Corte costituzionale 26 settembre 2003, n° 296, in Giust civ, 2004, I, 26; Corte costituzionale  26 settembre 2003, n° 297, in Giur. It., 2004, 1339; Corte costituzionale 26 gennaio 2004, n° 37, in Foro it., 2005, I, 1666; Corte costituzionale13 gennaio 2006, n° 2, in Giur.it., 2007, 2,
[34] Cfr. Corte costituzionale 14 novembre 2005 ° 417, in Giur.cost., 2005, 6.
[35] Cfr. Corte Costituzionale, 24 marzo 2016 n° 64, in Foro it., 2017, I, 110. Per una più attenta e dettagliata analisi sul punto Cfr. F. Gallo, Attualità e prospettive del coordinamento della finanza pubblica alla luce della giurisprudenza della Corte Costituzionale, in Rivistaaic., 2, 2017.
[36]Sul punto parte della dottrina ha evidenziato come tale ipotesi possa ritenersi legittima nei casi in cui  “ la Regione abbia un debito pubblico più che sostenibile; una capacità fiscale adeguata; un sistema tributario che non abbia esercitato tutta la pressione fiscale; una finanza locale equilibrata; e, ovviamente, l’assenza di piani di rientro o di forme di commissariamento statale. Inoltre, a fronte di queste condizioni, si apre l’altra questione della fiscalizzazione, o meno delle ulteriori risorse che lo Stato deve trasferire, a fronte delle competenze asimmetriche”. Cfr. S. Mangiameli, L’attuazione dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione con particolare riferimento alle recenti iniziative delle Regioni Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna. Indagine conoscitiva della Commissione parlamentare per le questioni regionali. Audizione del 29 novembre 2017, in www.issirfa.cnr.it.
[37] Atipica perché avrebbe ad oggetto di deliberazione l’intesa raggiunta, rafforzata in quanto il procedimento prevede l’approvazione delle Camere a maggioranza assoluta dei componenti. Cfr. N. Zanon, Per un regionalismo differenziato: linee di sviluppo a Costituzione invariata e prospettive alla luce della revisione del Titolo V in Problemi del federalismo, Milano, 2001; 57;  S. Agosta, L’infanzia “difficile” ( ….ed un’incerta adolescenza?) del nuovo art. 116 comma 3, tra proposte (sempre più pressanti) di revisione costituzionale ed esigenze (sempre più sentite) di partecipazione regionale alla riscrittura del quadro costituzionale delle competenze in www.federalismi.it., 13, 2013; F. Palermo, Il regionalismo differenziato, in T. Groppi – M. Olivetti (a cura di ), La Repubblica delle autonomie. Regioni ed enti locali nel nuovo titolo V, Torino, 2003, 53. L’Autore attribuisce alle “ leggi di differenziazione” la natura di fonti di “ norme negoziate quasi costituzionali”, che danno luogo a un federalismo di tipo pattizio che esclude modifiche unilaterali, anche mediante revisione costituzionale. Cfr. inoltre A. Barbera- C. Fusaro, Corso di diritto pubblico, Bologna, 2016. 100. Secondo gli Autori, le leggi in esame rientrano nella categoria descrittiva delle “ leggi specializzate”, definizione che sembrerebbe precludere ad un regime diverso da quello delle altre leggi ordinarie in considerazione della peculiarità dell’oggetto e della forma.
[38] Al riguardo si evidenzia come proprio su questo profilo si siano concentrati la gran parte dei quesiti formulati dai componenti della Commissione Affari costituzionali del Senato nel corso delle audizioni sugli effetti della riforma del Titolo V. Cfr. sul punto M. Villone, Interventi  (20 e 27 novembre e 4 dicembre 2001) in Costituzione, Regioni e Autonomie locali, 142, 143, 173-210.
[39]Sul punto parte della dottrina ha evidenziato come non si debba intendere alla stregua di un vero e proprio revirement ma, soprattutto, quale strumento utilizzabile per aggiustamenti e correttivi dinamici rispetto all’intesa originaria. Cfr. sul punto A. Poggi, Istruzione, formazione professionale e Titolo V: alla ricerca di un ( indispensabile) equilibrio tra cittadinanza sociale, decentramento regionale e autonomia funzionale delle Istituzioni scolastiche, in Regioni, 2002, 801.
[40] Cfr. N. Zanon, Per un regionalismo differenziato: linee di sviluppo a Costituzione invariata e prospettive alla luce della revisione del Titolo V, in Problemi del federalismo, Milano, 2001, 57; G. D’Ignazio, Asimmetrie e differenziazioni regionali in Italia dopo la riforma del Titolo V della Costituzione, cit., 45.
[41] Cfr. N. Zanon, Per un regionalismo differenziato: linee di sviluppo a Costituzione invariata e prospettive alla luce della revisione del Titolo V,  cit., 57.
[42] Cfr. F. Palermo, Il regionalismo differenziato, in T. Groppi – M. Olivetti (a cura di ), La Repubblica delle autonomie. Regioni ed enti locali nel nuovo titolo V, Torino, 2003, 53. Sul punto l’Autore ricollega alle “ leggi di differenziazione” la natura di fonti “ di norme negoziate quasi costituzionali” che danno luogo ad un federalismo di tipo pattizio volto ad escludere modifiche unilaterali, anche mediante revisione costituzionale.
[43] Cfr. A. Barbera, Il cammino della laicità, in S. Canestrari (a cura di) , Laicità e diritto, BUP-Bonomia, University Press, 2007, 33; S. Lariccia, Intese con le confessioni religiose diverse dalla cattolica, in S. Cassese ( a cura di), Dizionario di Diritto Pubblico, Milano, 2006, 3225. Sul punto l’Autore evidenzia il divieto costituzionale di una regolamentazione giurisdizionalistica dei rapporti tra Stato e confessioni religiose.
[44] Cfr. sul punto S. Labriola, Il principio di specialità nel regionalismo italiano, in Rass. Parl., 1997, 336; F. Salomoni, Forme e condizioni particolari di autonomia per le regioni ordinarie e nuove forme di specialità,in A. Ferrara – G.M. Salerno,  (a cura di ), Le nuove specialità nella riforma dell’ordinamento regionale, Milano, 2003.
[45] Cfr. A. Morrone, Il regionalismo differenziato. Commento all’art. 116 comma 3 della Costituzione, cit.,139.
[46] Cfr. G. Zagrebelsky, Manuale di diritto costituzionale, Il sistema delle fonti del diritto, Torino, 1988, 5.
[47] Cfr. sul punto A. Ruggieri, Neoregionalismo, dinamiche della normazione, cit, 20.
[48] Cfr. sul punto B. Caravita di Toritto, Audizione del Presidente dell’A.I.C. al Senato sulla revisione del Titolo V, Parte II della Costituzione. Risposta dei soci dell’ A.I.C. ai quesiti, in Costituzione, Regioni e Autonomie locali, 33; A. Catelani, Audizione del Presidente dell’A.I.C. al Senato sulla revisione del Titolo V, Parte II della Costituzione. Risposta dei soci dell’ A.I.C. ai quesiti, in Costituzione, Regioni e Autonomie locali, 45; G. Di Plinio, Audizione del Presidente dell’A.I.C. al Senato sulla revisione del Titolo V, Parte II della Costituzione. Risposta dei soci dell’ A.I.C. ai quesiti, in Costituzione, Regioni e Autonomie locali, 55, M. Luciani, , Audizione del Presidente dell’A.I.C. al Senato sulla revisione del Titolo V, Parte II della Costituzione. Risposta dei soci dell’ A.I.C. ai quesiti, in Costituzione, Regioni e Autonomie locali, 69; F. Pizzetti, Audizione del Presidente dell’A.I.C. al Senato sulla revisione del Titolo V, Parte II della Costituzione. Risposta dei soci dell’ A.I.C. ai quesiti, in Costituzione, Regioni e Autonomie locali, 75-77; C. Pinelli, Audizione del Presidente dell’A.I.C. al Senato sulla revisione del Titolo V, Parte II della Costituzione. Risposta dei soci dell’ A.I.C. ai quesiti, in Costituzione, Regioni e Autonomie locali, 109.
[49] Cfr. A. Ruggieri, Nota minima sulle oscillanti prospettive del regionalismo italiano, cit. Sul punto l’Autore ha evidenziato come tale ipotesi dovesse essere scartata in considerazione del fatto che “ obbligherebbe ad una continua ed affannosa ricerca dei punti di equilibrio più idonei a dare un assetto soddisfacente alle relazioni tra Stato e Regioni attraverso soluzioni normative la cui messa in opera richiede comunque tempi più o meno lunghi, la produzione di atti a catena, forti oscillazioni nel riparto delle competenze” essendo molto più conveniente “ conformare come duttili le competenze stesse, affidandosi a meccanismi agili e spontanei, grazie ai quali riuscire a determinare, per le singole materie e/o funzioni, l’assetto maggiormente confacente alla natura degli interessi che ad essere fanno capo”.
[50] Cfr. S. Bartole Opinioni sul primo quesito, in Quadro sintetico e sinottico delle risposte dei soci dell’A.I.C. ai quesiti della revisione del Titolo V della Parte II della Costituzione, formulati dalla 1°Commissione del Senato, in Costituzione, Regioni e Autonomie locali, 33.
[51] Cfr. M. Cecchetti, La differenziazione delle forme e condizioni dell’autonomia regionale nel sistema delle fonti, cit., 135.
[52] Cfr. A. Ruggieri, Neoregionalismo, dinamiche della normazione, diritti fondamentali.cit.20.
[53] Cfr. A. Morrone, Il regionalismo differenziato. Commento all’art. 116 comma 3 della Costituzione, cit, 139. Secondo l’Autore potrebbe mutarsi in questo senso la tesi che configura una “ riserva di procedimento aggravato” nell’articolo 116 co 3, nel senso che la particolare legge lì prevista detiene in questa materia la “ competenza esclusiva” a intervenire. Cfr. sul punto G. Braga, La legge attributiva di “ ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia” alle regioni, in F. Modugno- P. Carnevali ( a cura di ) , Trasformazioni della funzione legislativa. Rilevanti novità in tema di fonti del diritto dopo la riforma del Titolo V della parte II della Costituzione, Milano, 2003, 109. Secondo l’Autore la possibilità di modificare il contenuto della legge di autonomia negoziata sussiste solo mediante l’approvazione di una legge di revisione costituzionale dell’articolo 116 comma 3, non essendo sufficiente una legge costituzionale tout court , perché non abilitata come tale ad incidere sulla riserva di competenza normativa stabilita dalla Costituzione, modificabile solo espressamente e non per via di abrogazione implicita.
[54] Sul punto parte della dottrina ha evidenziato come le intese possano essere considerate non solo “ la forma più intensa di collaborazione”, ma, soprattutto una formula verbale idonea a riassumere le forme di partecipazione delle regioni a procedimenti decisioni statali aventi oggetto e contenuto variabile. Allo stesso modo, a prescindere dal loro ruolo endoprocedimentale nella fase di adozione di provvedimenti ad hoc, le stesse possono essere distinte, in intese deboli e forti, a seconda del grado di partecipazione della regionale alla fase di determinazione dell’atto finale. Nello specifico, infatti, mentre le prime possono risolversi in un parere favorevole da parte delle Regioni, sostituibile da un atto unilaterale dello Stato in caso di inerzia o esito negativo, le intese forti sono contraddistinte dalla parità delle parti vista la loro struttura necessariamente bilaterale che attribuisce al parere delle Regioni natura vincolante. Cfr. sul punto G. Rizza, Le intese costituzionali fra enti territoriali: tipologia, orientamenti della Corte e spunti ricostruttivi, in Scritti in onore di Vezio Crisafulli, Padova, 1985; 710; P. Carrozza, Principio di collaborazione e sistema delle garanzie procedurali ( la via italiana al regionalismo cooperativo) , in Le Regioni, 1989, 498; A. Morrone, La Corte Costituzionale e la cooperazione tra Stato e Regione nella fattispecie dell’intesa: analisi critica di un modello contraddittorio, in Riv. Giur. Ambiente, 1995, 662; G. Carpani, La Conferenza Stato- Regioni, Bologna, 2006, 61. Cfr. inoltre Corte Costituzionale,  24 gennaio 1991 n° 21, in Giur. Cost., 1991; Corte Costituzionale 31 marzo 1994 n° 116, in Rass.Avv.Stato, 1, 195; Corte Costituzionale  15 luglio 1994 n° 302, in Riv. Giur.ambiente,1995,659; Corte Costituzionale Corte Costituzione 1 ottobre 2003 n° 303, in Riv.giur.edilizia, 2004, I, 10 ; Corte Costituzionale  20 gennaio 2004 n° 27, in Giur. It., 2004, I, 2016;  Corte Costituzionale  7 ottobre 2005 n° 378, in Foro it., 2007, 2, 377.
[55] Cfr. A. Morrone, Il regionalismo differenziato. Commento all’art. 116 comma 3 della Costituzione, cit.
[56] Sul punto può inoltre evidenziarsi come l’analisi testuale della disposizione anche se imporrebbe la sola definizione di “ intese bilaterali”, non  vieta, al tempo stesso, intese collettive o plurisoggettive approvate con legge generale che potrebbe, al tempo stesso stabilire gli aspetti caratterizzanti il regionalismo differenziato ed i rapporti con l’autonomia delle regioni a Statuto speciale. Cfr. M. Cecchetti, Attuazione della riforma costituzionale del Titolo V e differenziazione delle regioni di diritto comune, cit, 14. Sul punto l’Autore, legittimando la soluzione dello schema dell’ “intesa madre e delle intese figlia” ha ricordato come dovesse essere fatta salva la possibilità di verificare concretamente le modalità di autorizzazione di queste ultime che dovrebbero essere direttamente previste nella legge di autonomia negoziata o nell’ambito dei principi da essa posti.
[57] Cfr. N. Zanon, Per un regionalismo differenziato: linee di sviluppo a Costituzione invariata e prospettive alla luce della revisione del Titolo V, cit., 57;  S. Agosta, L’infanzia “difficile” ( ….ed un’incerta adolescenza?) del nuovo art. 116 comma 3, tra proposte (sempre più pressanti) di revisione costituzionale ed esigenze (sempre più sentite) di partecipazione regionale alla riscrittura del quadro costituzionale delle competenze, cit. Nell’avvalorare tale tesi si è ritenuta opportuno ricorrere nuovamente alla comparazione con le intese stipulate ex art. 8 Cost. In riferimento a queste ultime, parte della dottrina ha evidenziato come “ pur trattandosi di sottoporre all’approvazione del Parlamento un provvedimento legislativo dal contenuto preformato integralmente in altra sede, s’è abbandonato, tuttavia, lo strumento della legge formale, composta di un solo articolo di approvazione ( o di esecuzione), evidentemente per evitare una procedura che potesse comunque deporre nel senso di una internalizzazione o esteriorizzazione dell’intesa che ha finito per assumere un carattere interno e procedimentale”. Da ciò ne deriva, quindi, che gli effetti giuridici “ conseguono quindi esclusivamente dalla legge nominalmente di approvazione”. Cfr. N. Colaianni, Confessioni religiose e intese: contributo all’interpretazione dell’art. 8 della Costituzione, Bari, 1990, 180. Si veda inoltre C. Cardia, Stato e confessioni religiose, Bologna, 1995, 169.
[58] Cfr. C. Mortati, Istituzioni di diritto pubblico, Padova, 1991. Tale tesi po’ essere in parte equiparata al procedimento previsto dal “ precedente” articolo 123 Cost. che disciplinava la fase di formazione degli Statuti regionali delle autonomie ordinarie. Nello specifico, poiché la deliberazione del consiglio regionale veniva considerato “ atto preparatorio” alla deliberazione da parte del Parlamento, lo Statuto doveva essere considerato un atto complesso imputabile allo Stato. Cfr. V. Crisafulli, Lezione di diritto costituzionale, Padova, 1984, 107.
[59] Cfr. A. Morrone, Il regionalismo differenziato. Commento all’art. 116 comma 3 della Costituzione, cit., 170. Sul punto si ricorda, inoltre, altra dottrina che, sostenuta la natura eminentemente preparatoria dell’intesa per la successiva legge, ammette una maggiore discrezionalità del legislatore. Cfr. T. Martines, Note sui procedimenti di formazione delle fonti del diritto, in A.A.V.V., Aspetti e tendenze del diritto costituzionale. Scritti in onore di Costantino Mortati,II. L’organizzazione e le funzioni dello Stato-persona, Milano, 1977, 377; N. Colaianni, Confessioni religiose e intese. Contributo all’interpretazione dell’art. 8 della Costituzione, Bari, 1990, 172; B. Randazzo, La legge “ sulla base” di intese tra Governo, Parlamento e Corte Costituzionale, in I rapporti tra Parlamento e Governo attraverso le fonti del diritto, in V. Cocozza, S. Staiano ( a cura di), Torino, 2001, 897.
[60] Come è noto, infatti, la fase di approvazione delle intese con le confessioni religiose costituisce una fase che, seppur distinta, deve essere inserita nello stesso procedimento rientrante pienamente nel quadro costituzionale italiano. Sul punto si evidenzia come, secondo una recente impostazione della Corte Costituzionale, la fase di approvazione delle intese debba inquadrarsi all’interno del circuito politico dell’indirizzo politico definito tra Governo e Parlamento. Cfr. Corte Costituzionale 10 marzo 2016 n° 52, in Foro it., 2016, 61, I, 1940. Cfr. inoltre R. Dickmann, La delibera del Consiglio dei ministri di avviare o meno le trattative finalizzate ad un’intesa di cui all’art. 8, terzo comma Cost. è un atto insindacabile in sede giurisdizionale, in www.forumcostituzionale.it, 21 marzo 2016. Contra M. Croce, Alla Corte dell’arbitrio: l’atto politico nel sistema delle fonti, in Giur. Cost., 2016, 560.
[61] Cfr. G. Long, I disegni di legge attuativi di intese e accordi con confessioni religiose: questioni costituzionali e procedurali, in Il Parlamento della Repubblica Italiana. Organi, procedure, apparati, Roma, 1987, 3; F. Finocchiaro, Diritto ecclesiastico, Bologna, 1999, 129; A. Placanica, Aspetti della procedura parlamentare per l’approvazione delle leggi conseguenti a intese con le confessioni religiose diverse dalla cattolica, in Giur. Cost, 2002, 4547; S. Labriola, Il Governo nella produzione delle norme primarie, in Scienza e tecnica della legislazione. Lezioni, Napoli, 2006.Sul punto l’Autore ha evidenziato come “ la legge parlamentare è di sola approvazione e quindi può solo approvare il provvedimento, sul quale si è formato il consenso dei rappresentanti, oppure respingerlo, ma non può né emendarlo, né apporre condizioni”.Cfr. altresì R. Bin, “ Regionalismo differenziato” e utilizzazione dell’art. 116 terzo comma Cost. Alcune tesi per aprire il dibattito, in Le istituzioni del federalismo, 2008, 9.
[62] Cfr. G. Piccirilli, Gli “Accordi preliminari” per la differenziazione regionale. Primi spunti sulla procedura da seguire per l’attuazione dell’art. 116 terzo comma Cost, in Diritti Regionali. Rivista di diritto delle autonomia territoriali, 21 aprile 2018, 13. Sul punto si è inoltre sottolineato come il recente orientamento da parte dei Presidenti di Camera e Senato abbia ammesso emendamenti riguardanti il versante “interno” del recepimento dell’intesa, come, ad esempio, la copertura finanziaria o la data di entrata in vigore delle stesse.
[63] Per quanto riguarda gli enti locali legittimati ad intervenire il riferimento è, esclusivamente, a quelli individuati dall’articolo 114 Cost. e richiamati in altre disposizioni costituzionali. Sul punto Cfr. Corte Costituzionale 6 luglio 2001 n° 229, in Giurcost.. 2001, 4.; Corte Costituzionale 24 giugno 2005 n° 244, in Giur.cost., 2005, 3, 2108; Corte Costituzionale 1 dicembre 2006 n° 397, in Foro it., 2007, 5, I, 1346.
[64] Cfr. sul punto Cfr. N. Zanon, Per un regionalismo differenziato: linee di sviluppo a Costituzione invariata e prospettive alla luce della revisione del Titolo V, cit; 57; M. Cecchetti, Attuazione della riforma costituzionale del Titolo V e differenziazione delle regioni di diritto comune, cit. Secondo gli Autori il termine “iniziativa” regionale deve essere equiparato a quello di “proposta di legge”. Di contrario avviso S. Agosta, L’infanzia “difficile” ( ….ed un’incerta adolescenza?) del nuovo art. 116 comma 3, tra proposte (sempre più pressanti) di revisione costituzionale ed esigenze (sempre più sentite) di partecipazione regionale alla riscrittura del quadro costituzionale delle competenze, cit. 7.; Cfr. A. Morrone, Il regionalismo differenziato. Commento all’art. 116 comma 3 della Costituzione, cit., 136. Secondo l’Autore la disposizione costituzionale risulta espressione della volontà di basare l’attuazione della maggiore autonomia alla mera volontà della Regione interessata ad agire in tal senso.
[65] In merito agli “effetti” della consultazione degli enti locali, nonostante la disposizione costituzionale attribuisca al tempo stesso, natura obbligatoria e meramente consultiva alla stessa, non essendo vincolante, è stata evidenziata la “ poca opportunità” in termini politici, di avviare trattative per una maggiore autonomia nelle ipotesi in cui vi fosse una volontà contraria da parte degli enti locali ( e dei cittadini) stessi.
[66] Cfr. F. Salmoni, Forme e condizioni particolari di autonomia per le regioni ordinarie e nuove forme di specialità, in A. Ferrara, G.M. Salerno ( a cura di), Le nuove specialità nella riforma dell’ordinamento regionale, Milano, 2003, 327. Di contrario avviso è parte della dottrina che sembrerebbe pacificamente escludere la necessità di ricorrere a una consultazione referendaria, ritenuto strumento legittimo, ad esempio, per la modifica delle circoscrizioni comunali, l’istituzione di nuovi comuni o la modifica della loro denominazione. Partendo da questa considerazione si è riscontrsata la differenza testuale tra l’articolo 116 comma 3 Cost. e l’articolo 133 comma 2 Cost., per cui il primo fa riferimento “agli enti locali”, mentre il secondo alle “popolazioni interessate”. Da ciò ne deriva, quindi, che il coinvolgimento di rappresentanti degli enti locali e del Consiglio delle autonomie locali debba avvenire attraverso le procedure già disciplinate dalle disposizioni statutarie e dai regolamenti consiliari. Cfr. G. Piccirilli, Gli “Accordi preliminari” per la differenziazione regionale. Primi spunti sulla procedura da seguire per l’attuazione dell’art. 116 terzo comma Cost., cit., 23.
[67] Sul punto si evidenzia inoltre come, tenuto conto dell’interesse della regione a vedersi riconosciuto un ampliamento della propria sfera di autonomia, il riferimento previsto dall’ articolo 116 comma 3 cost. debba riferirsi non solo alla fase di impulso del procedimento ma anche all’istaurazione della fase finale dello stesso. Cfr. M. Cecchetti, La differenziazione delle forme e condizioni dell’autonomia regionale nel sistema delle fonti, cit., 153 che parla di “ procedimento legislativo atipico, i cui elementi essenziali sono individuati nell’iniziativa legislativa affidata, in via esclusiva, alla stessa Regione”. Cfr. inoltre A. Cariola, F. Leotta, Art. 116, in R. Bifulco, A. Celotto, M. Olivetti (a cura di), Commentario alla Costituzione, Torino, 2006, III, 2178; G. Piccirilli, Gli “Accordi preliminari” per la differenziazione regionale. Primi spunti sulla procedura da seguire per l’attuazione dell’art. 116 terzo comma Cost., cit., 20.
[68] Cfr. V. Onida, Profili costituzionali delle intese ,in C. Mirabelli ( a cura di ), Le intese tra Stato e confessioni religiose. Problemi e prospetti, Milano, 1978, 45
[69] Cfr. A. Morrone, Il regionalismo differenziato. Commento all’art. 116 comma 3 della Costituzione, cit., 165.
[70] La Corte Costituzionale è in più occasioni intervenuta sul punto superando, di fatto, i limiti tracciati dalla Costituzione, rendendo “ dinamico” il confine delle competenze tra Stato e Regioni utilizzando strumenti come il criterio di continuità dell’ordinamento, il criterio di prevalenza, il criterio della leale collaborazione, il criterio di continuità istituzionale ed il principio di sussidiarietà. Cfr. sul punto Corte Costituzionale, 26 giugno 2002, n° 282, in Regioni, 2002, 144; Corte Costituzionale 1 ottobre 2003 n° 303, in Riv. Giur. Edilizia, 2004, I, 10; Corte Costituzionale 19 dicembre 2003 n° 359, in Foro it., 2004, I, 2320;  Corte Costituzionale 19 dicembre 2003 n° 361, in Foro it., 2004, I, 2317; Corte Costituzionale 23 dicembre 2003 n° 370, in Foro it., 2005, I, 49; Corte Costituzionale 13 gennaio 2004 n° 12, in Giurcost., 2004, I; Corte Costituzionale 13 gennaio 2004 n° 13, in Foro it., 2004, I, 2666; Corte Costituzionale 28 giugno 2004 n° 196, in Foro it., 2005, I, 327; Corte Costituzionale 21 luglio 2004 n° 255, in Giur. It, 2005, 1121; Corte Costituzionale 21 luglio 2004 n° 256, in Foro it., 2005, I, 32; Corte Costituzionale 29 gennaio 2005 n° 62, in Giur cost. 2005, I; Corte Costituzionale, 8 giugno 2005 n° 219, in Giur cost. 2005, 3; Corte Costituzionale 7 ottobre 2005 n° 378, in Giur. It, 2006, 7, 1351.
[71] Cfr. M. Cecchetti, Attuazione della riforma costituzionale del Titolo V e differenziazione delle regioni di diritto comune, cit. 45; A. Anzon, La nuova distribuzione delle competenze e il “ regionalismo” duale, in I poteri delle Regioni dopo la riforma costituzionale, Torino, 2002, 208; F. Benelli, La “ smaterializzazione” delle materie, Milano, 2007.
[72] Nonostante tale ipotesi sembrerebbe “ automatica”, in considerazione del limite costituzionalmente previsto che condiziona la fonte della maggiore autonomia regionale, dovrebbe essere ritenuto ammissibile la volontà di stabilire, attraverso la legge atipica, la potestà concorrente su una materia precedentemente affidata esclusivamente allo Stato ed, al tempo stesso, il mantenimento in capo allo Stato di una, seppur limitata, potestà regolamentare compatibilmente con il potere regolamentare da parte della Regione. Come evidenziato dalla dottrina l’unico limite invalicabile potrebbe essere rinvenuto nell’impossibilità di prevedere il mantenimento di una riserva di regolamento statale in una materia affidata alla legislazione concorrente. Sul punto si è evidenziato come, nei casi in cui la legge di autonomia negoziata riconosca alla Regione una “nuova” potestà legislativa in materia concorrente, la stessa debba inoltre precisare se lo Stato sia competente per la sola definizione dei  principi fondamentali della materia o anche per le previsione di discipline “ autoapplicative” o di dettaglio da considerarsi “ cedevoli” rispetto agli interventi del legislatore regionale e  se il potere regolamentare dello Stato debba essere escluso in toto o debba considerarsi “ recessivo” rispetto alle disposizioni regionali. Cfr. M. Cecchetti, La differenziazione delle forme e condizioni dell’autonomia regionale nel sistema delle fonti, cit., 55.
[73] Cfr. M. Cecchetti, La differenziazione delle forme e condizioni dell’autonomia regionale nel sistema delle fonti, cit., 57.
[74] Cfr. S. Mangiameli, L’attuazione dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione con particolare riferimento alle recenti iniziative delle Regioni Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna, cit., 67.
[75] Cfr. S. Agosta, L’infanzia “difficile” ( ….ed un’incerta adolescenza?) del nuovo art. 116 comma 3, tra proposte (sempre più pressanti) di revisione costituzionale ed esigenze (sempre più sentite) di partecipazione regionale alla riscrittura del quadro costituzionale delle competenze, cit., 78. Cfr. inoltre Corte Costituzionale 1 febbraio 2006 n° 3, in Giurcost., 2006, I, 238. in merito alla “ duttilità” ed alla “vaghezza” del c.d. principio di leale collaborazione.
[76] Cfr. A. Morrone, Il regionalismo differenziato. Commento all’art. 116 comma 3 della Costituzione. cit., 187.
[77] Cfr. Accordo preliminare in merito all’Intesa prevista dall’articolo 116, terzo comma, della Costituzione tra il Governo della Repubblica Italiana e la Regione Emilia- Romagna, sottoscritto a Roma il 28 febbraio 2018 dal Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri con delega agli Affari regionali e le Autonomie Gianclaudio Bressa e il Presidente della Regione Emilia-Romagna Stefano Bonaccini. Per una analisi più approfondita del principio di leale collaborazione si veda, tra i tanti, C. Bertolino, Il principio di leale collaborazione nel policentrismo del sistema costituzionale italiano, Torino, 2007, 89.
[78] Documento di indirizzo della Giunta Regionale per l’avvio del percorso finalizzato all’acquisizione di  “ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia” ai sensi dell’articolo 116 comma terzo della Costituzione, 28 agosto 2017.
[79] Il riferimento è  alla tutela ed alla sicurezza del lavoro; all’ istruzione tecnica e professionale; all’ internazionalizzazione delle imprese, alla ricerca scientifica e tecnologica; al sostegno dell’innovazione; al territorio ed alla rigenerazione urbana; all’ ambiente ed alle infrastrutture ed, infine, alla  tutela dell’ambiente.
[80] Risoluzione Consiglio regionale dell’Emilia Romagna, 3 ottobre 2017 n° 5321.
[81] Risoluzione Consiglio regionale dell’Emilia Romagna, 14 novembre 2017, n° 5600.
[82] Risoluzione Consiglio regionale dell’Emilia Romagna, 12 febbraio 2018, n° 62129.
[83] La prima iniziativa, orientata a verificare capacità e potenzialità di ampliamento degli ambiti di azione regionale e di applicazione di forme di federalismo fiscale, si era bruscamente interrotta alle criticità incontrate in ambito nazionale.
[84] Decreto Presidente Regione Lombardia, 24 luglio 2017, n° 745, Indizione del referendum consultivo regionale per l’autonomia sul quesito “ Volete voi che la Regione Lombardia, in considerazione della sua specialità, nel quadro dell’unità nazionale, intraprenda le iniziative istituzionali necessarie per richiedere allo Stato l’attribuzione di ulteriori forme e condizioni particolari d’autonomia con le relative risorse, ai sensi e per gli effetti di cui all’articolo 116 terzo comma della Costituzione e con riferimento a ogni materia legislativa per cui tale procedimento sia ammesso in base all’articolo richiamato ?”
[85] Deliberazione Consiglio regionale della Lombardia 17 febbraio 2015 n° 638, “ Indizione del referendum consultivo concernente l’iniziativa per l’attribuzione a Regione Lombardia di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia ai sensi dell’articolo 116 terzo comma della Costituzione.
[86] Deliberazione consiglio regionale della Lombardia, 13 giugno 2017 n° 1531, Mozione concernente il referendum per l’autonomia della Lombardia: competenze e risorse.
[87] Deliberazione consiglio regionale della Lombardia, 7 novembre 2017 n° 1645, Risoluzione concernente l’iniziativa per l’attribuzione alla Regione Lombardia di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia ai sensi dell’articolo 116 terzo comma della Costituzione. Il riferimento è : all’Area Istituzionale, che comprende rapporti internazionali e con l’Unione Europea, ordinamento della comunicazione e organizzazione della giustizia di pace; Area finanziaria, che contempla il coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, previdenza complementare e integrativa, casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale, enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale; Area Ambiente, territorio ed infrastrutture, che racchiude tutela e valorizzazione dell’ambiente e dell’ecosistema, Protezione civile; governo del territorio; produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia; grandi reti di trasporto e navigazione: porti e aeroporti civili; Area economica e del lavoro, che include tutela e sicurezza del lavoro, ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all’innovazione per i settori produttivi, commercio con l’estero, professioni; Area cultura, istruzione e ricerca scientifica, che annovera norme generali sull’istruzione, tutela e valorizzazione dei beni culturali, ordinamento sportivo, ed, fine l’Area sociale e sanitaria, che conta la tutela della salute e dell’alimentazione.
[88] Consiglio Regionale del Veneto, Risoluzione n° 44 del 28 novembre 2012, approvata con deliberazione n° 145/2012
[89] Legge Regionale 19 giugno 2014 n° 15, Legge Regionale 19 giugno 2014 n° 16 recanti disposizione “ Referendum consultivo sull’autonomia del Veneto”
Nello specifico, la legge regionale del Veneto 19 giugno 2014, n. 15 prevede all’art. 2, comma 1, che, una volta non andato a buon fine il negoziato che il Presidente della Giunta regionale fosse autorizzato ad avviare con il Governo per la definizione dei contenuti di un referendum consultivo per le finalità sopra indicate, impegnando lo stesso Presidente ad indire una consultazione per conoscere il punto di vista degli elettori veneti in merito a:  ottenimento per la Regione del Veneto di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia; trattenuta nel territorio regionale di una percentuale non inferiore all’80% dei tributi attualmente pagati annualmente dai cittadini veneti all’amministrazione centrale; trattenuta dell’80% dei tributi riscossi nel territorio regionale;  il gettito derivante da fonti di finanziamento della Regione non deve essere soggetto a vincoli di destinazione; trasformazione della Regione del Veneto in ordinamento regionale ad autonomia differenziata.”.Viceversa, la legge regionale 19 giugno 2014, n. 16, in esecuzione della già ricordata Risoluzione del Consiglio regionale n. 44/2012, stabilisce all’art. 1, comma 1, che il Presidente della Giunta regionale del Veneto indica “un referendum consultivo per conoscere la volontà degli elettori del Veneto sul seguente quesito: “Vuoi che il Veneto diventi una Repubblica indipendente e sovrana? Si o No?” e si attivi, come disposto dall’art. 3, comma 1, insieme al Presidente del Consiglio regionale “per avviare urgentemente con tutte le istituzioni dell’Unione europea e delle Nazioni Unite le relazioni istituzionali che garantiscano l’indizione della consultazione referendaria innanzi richiamata ed il monitoraggio delle procedure di voto al fine di accertare l’effettiva volontà del popolo veneto e convalidare l’esito del risultato finale”.
[90] Corte Costituzionale 25 giugno 2015 n° 118, in Foro it., 2015, 10, 3024.
[91] Sul punto, parte della dottrina ha evidenziato come la Corte, in questa occasione, sembrerebbe definitivamente aver superato quell’interpretazione che ravvisava, nell’indizione di referendum regionali consultivi in materia di autonomia regionale, “il rischio di influire negativamente sull’ordine costituzionale e politico dello Stato” Cfr. sul punto Corte Costituzionale 18 maggio 1989 n° 256, in Foro it, 1990, 1, 385; Corte Costituzionale 24 novembre1992 n° 470, in Regioni, 1993, 1305. Già in altre decisioni la Corte Costituzionale si era discostata da tale impostazione circoscrivendo la portata dell’argomento formalistico della tipicità del procedimento legislativo, ribadendo, al tempo stesso, il divieto che “il corpo elettorale regionale potesse farsi portatore di modificazioni costituzionali”. Secondo i Giudici, infatti, il compito di revisione della Costituzione, secondo quanto previsto dall’articolo 138 Cost., deve essere assegnato “ primariamente alla rappresentanza politico-parlamentare”, mentre il coinvolgimento al corpo elettorale deve essere considerato meramente eventuale e riferito all’ intero popolo. Cfr. Corte Costituzionale 14 novembre 2000 n° 496, in Foro it., 2001, I, 395. Cfr. S. Bartole, Pretese venete di secessione e storica questione catalana, convergenza e divergenza fra Corte Costituzionale italiana e Tribunale Costituzionale spagnolo, anche con ripensamento della giurisprudenza della prima., in Giurcost., 3, 2015, 939; L. A. Mazzarolli, Annotazioni e riflessioni sul referendum in materia di “ autonomia” che si terrà in Veneto il 22 ottobre 2017, in www.federalismi.it, 13 settembre 2017.
[92] Decreto Presidente della Giunta regionale del Veneto , 24 aprile 2017, Indizione del referendum consultivo di cui alla legge regionale 19 giugno 2014 n° 15, “ Referendum consultivo sull’autonomia del Veneto”.
[93] In merito alla compatibilità del referendum previsto dalla Legge n° 15/14 Cfr. F. Conte, I referendum del Veneto per l’autonomia ( e l’indipendenza). Non c’è due senza tre. Anche se.., in Quadernicostituzionali.it, 3 luglio 2015. Criticando la conclusione raggiunta dalla Corte Costituzionale, l’Autore evidenzia come “ a prescindere dalla legittimità dei singoli quesiti, il referendum previsto dalla Legge Veneto n. 15 del 2014 si discosta, negli effetti ( in parte vincolanti), dal modello di referendum disciplinato dall’art. 27 dello Statuto della Regione ( meramente consultivo). Orbene, se è vero, come pure afferma la Corte, che le leggi regionali “ordinarie” non possono derogare alle specifiche previsioni dello Statuto nelle materie di competenza statutaria ( cfr. anche sentt. 81/15; 188/11; 188/07), tra le quali rientra il referendum ( sent. 372/04) a maggior ragione dovrebbe essere illegittima l’istituzione, per via legislativa, di un referendum diverso, nelle caratteristiche fondamentali, da quelli statutariamente previsti. Tuttavia, nessuna questione è stata formulata in tal senso dalla difesa erariale e, conseguentemente, il vizio non è stato rilevato dalla Corte. Una piccola ( e involontaria?) concessione alle istanze degli autonomisti”.
[94] Delibera Giunta Regionale, 23 ottobre 2017 n° 1680. Con i Decreti del Presidente della Giunta Regionale 26 ottobre 2017n° 175 e 15 novembre 2017 n° 186 è stata data attuazione all’istituzione della Consulta del Veneto per l’Autonomia, procedendo, al tempo stesso, alla costituzione della “Delegazione trattante”  composta da dirigenti regionali di vertice e da esperti di chiara fama e comprovata esperienza in materia.
[95] Deliberazione Consiglio Regionale del Veneto, 15 novembre 2017 n° 155 che ha approvato la proposta di legge statale n°43, già varata dalla Giunta regionale del Veneto il 23 ottobre 2017 con la delibera n° 35 e recante “ Proposta di legge statale da trasmettere al Parlamento nazionale, ai sensi dell’articolo 121 della Costituzione dal titolo “  Iniziativa regionale contenente, ai sensi dell’articolo 2, comma 2, della legge regionale 19 giugno 2014 n° 15, percorsi e contenuti per il riconoscimento di ulteriori e specifiche forme di autonomia per la Regione del Veneto, in attuazione dell’articolo 116, terzo comma della Costituzione”. 
[96]  Accordo preliminare in merito all’ Intesa prevista dall’articolo 116, terzo comma, della Costituzione tra il Governo della Repubblica Italiana e la Regione Emilia- Romagna, sottoscritto a Roma il 28 febbraio 2018 dal Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri con delega agli Affari regionali e le Autonomie Gianclaudio Bressa e il Presidente della Regione Emilia-Romagna Stefano Bonaccini.
[97] Cfr. sul punto L. Ronchetti, Unità ed indivisibilità della Repubblica: la sovranità popolare e l’interdipendenza nel nome della Costituzione, in Costituzionalismo.it, 1, 2018, 20. Sul punto l’Autore ha sottolineato il timore che la valorizzazione del criterio della territorialità del gettito possa portare ad una lettura “egoistica” della richiesta di autonomia differenziata ed ad un conseguente rischio per l’unità del sistema. Cfr. inoltre C. Tubertini, La proposta di autonomia differenziata delle Regioni del Nord: un tentativo di lettura alla luce dell’art. 116 comma 3 della Costituzione, in www.federalismi.it, 26 settembre 2018, 22.
[98] Il riferimento è alla Commissione interministeriale per le intese con le Commissioni religiose istituita con Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 14 marzo 1997 e da ultimo prorogata con Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 4 maggio 2016. Cfr. sul punto Cfr. G. Piccirilli, Gli “Accordi preliminari” per la differenziazione regionale. Primi spunti sulla procedura da seguire per l’attuazione dell’art. 116 terzo comma Cost., cit., 10.
[99] Legge 5 maggio 2009 n° 42, cit.
[100] Cfr. sul punto F. Gallo, Attualità e prospettive del coordinamento della finanza pubblica alla luce della giurisprudenza della Corte Costituzionale, cit., 12.
[101] Cfr. sul punto C. Tubertini, La proposta di autonomia differenziata delle Regioni del Nord: un tentativo di lettura alla luce dell’art. 116 comma 3 della Costituzione, cit, 20.
[102] Cfr. F. Bassanini, Riforma della riforma, o ritorno al passato?, in L. Vandelli, F. Bassanini, ( a cura di), Il federalismo alla prova: regole, politiche, diritti nelle Regioni, Bologna, 2012, 519. Cfr. inoltre S. Mangiameli, Appunti a margine dell’art. 116 comma 3 della Costituzione, in Le Regioni, 2017, 662. Sul punto l’Autore ha evidenziato come un’autonomia consolidata possa rivelarsi efficace e produrre risultati solo in un contesto in cui si rafforzano anche i compiti riconosciuti al centro, soprattutto verso l’esterno, nei confronti dell’Europa e delle sedi di negoziazione internazionale, ma anche verso l’interno. Cfr. infine C. Tubertini, La proposta di autonomia differenziata delle Regioni del Nord: un tentativo di lettura alla luce dell’art. 116 comma 3 della Costituzione, cit, 22.
[103]  Cfr. A. Patroni Griffi, Per il superamento del bicameralismo paritario e il Senato delle autonomie: lineamenti di una proposta, in www.federalismi.it, 12 settembre 2018. Cfr. inoltre R. Bifulco, Il bilancino dell’orafo. Appunti per la riforma del Senato, in Regioni e dinamiche di integrazione europea, in L. Chieffi ( a cura di ) Regioni e dinamiche di integrazione europea, Torino, 2003, 155.
[104] Cfr. A. Morelli, Le Autonomie della Repubblica: c’è un ordine nel caos? in in Diritti Regionali. Rivista di diritto delle autonomia territoriali, 21 aprile 2018, 13.

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Andrea Napolitano

Andrea Napolitano è dottore di ricerca, indirizzo giuspubblicistico, in “Il diritto dei servizi nell’ordinamento italiano e comunitario” presso l’Università degli Studi di Napoli “Parthenope”. Nato nel 1989, si è laureato con lode in Giurisprudenza nel luglio 2012 presso l’Università degli Studi di Napoli Federico II discutendo una tesi di laurea in diritto amministrativo dal titolo “Risarcimento dei danni conseguenti ad una illegittima aggiudicazione di appalto”.

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