Il reimpiego del personale nei cambi di appalto: garanzie e limiti delle clausole sociali di riassorbimento
Sommario: 1. Premessa – 2. La ricostruzione giurisprudenziale della fattispecie del cambio di appalto – 3. Le clausole sociali di riassorbimento del personale nei cambi di appalto: strumenti di tutela dei livelli occupazionali o soluzioni alternative di gestione del conflitto? – 4. Clausole sociali e inadempimento: i rimedi processuali esperibili dal lavoratore pretermesso – 5. Cambio di appalto e licenziamenti
1. L’apertura del sistema produttivo ai mercati globali e alle prospettive neoliberiste della new economy ha profondamente modificato i tradizionali parametri, organizzativi, geografici e gestionali del “fare impresa”, determinando lo spostamento del baricentro aziendale verso modelli sempre più flessibili in grado di sostenere il peso e i rischi del nuovo contesto di competitività allargata, prevalentemente fondata sulla creazione di mega-organizzazioni in cui alla (apparente) valorizzazione dei beni immateriali fa riscontro la drastica riduzione dei costi del lavoro1.
L’implementazione dei meccanismi di esternalizzazione e di delocalizzazione delle attività ha generato un circolo vizioso in cui all’esigenza delle imprese di competere sul mercato globale è seguita, dapprima, la necessità di svecchiamento e sviluppo del core bussiness e, subito dopo, l’opportunità di adottare formule di outsourcing estranee al perimetro aziendale che consentissero di sfruttare il differenziale delle condizioni economiche e normative di altri settori industriali, con l’acquisizione di manodopera a basso salario e poco qualificata2.
Con il ricorso a forme di exit option, tra le quali si è distinto l’appalto, i datori di lavoro hanno superato (e raggirato) i vincoli dei loro confini logistici, acquisendo prestazioni esterne con il beneficio della non uniformità dei trattamenti economici e normativi tra i propri dipendenti e quelli dei fornitori; soluzione che, evidentemente, da un lato ha messo in seria difficoltà la persistenza delle tecniche garantistiche incentrate sul paradigma “statutario” del rapporto di lavoro stabile e, dall’altro, ha innescato la «cd. fessurazione dei luoghi di lavoro», intesa come «dispersione dei processi produttivi tra varie organizzazioni e il progressivo peggioramento delle condizioni di lavoro, lungo la catena (detta anche catena del valore) delle relazioni contrattuali che legano differenti imprese»3.
In questo scenario, il diritto del lavoro ha pagato il prezzo più alto: individuare gli spazi e le tecniche normative più consone entro cui il rapporto tra il diritto al lavoro costituzionalmente garantito e la libertà di iniziativa economica delle imprese potesse esprimersi con una ragionevole conciliazione degli opposti interessi e con il minor sacrificio possibile per coloro che più risentono gli effetti di scelte strategiche e manageriali.
Già all’indomani dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 276/2003 si era avvertito il timore che l’eccessivo allentamento delle rigidità del sistema verso prospettive flessibili dell’organizzazione lavorativa e produttiva delle imprese potesse negativamente riflettersi sulla tenuta dell’ordinamento, se non altro per il graduale disinteresse degli operatori economici a proporsi sul mercato come generatori di un lavoro di qualità. E il fenomeno della disintegrazione delle strutture aziendali, in particolare di quelle con prevalenza del capitale umano, attraverso procedure di cessione e trasferimenti, è divenuto banco di prova privilegiato per misurare gli effetti pregiudizievoli di politiche del lavoro a misura di precariato e di salario minimo.
Determinante, al riguardo, la modifica dell’art. 2112 c.c. che pur ampliando, in armonia con gli indirizzi europei, la nozione di azienda per configurarvi anche le attività smaterializzate con prevalenza di lavoro umano, organizzato, qualificato e coordinato, funzionalmente capace di operare in via autonoma anche presso un nuovo datore di lavoro4, si è anche presentata, nei casi pratici, come forma di involuzione del sistema, confondendo i profili definitori degli istituti, apparentemente simili, del trasferimento del ramo d’azienda e del cambio di appalto.
Se, in linea di principio, infatti, il legislatore aveva esteso l’applicazione della tutela della continuità lavorativa a tutte le ipotesi di cessione dell’azienda, nella sua rinnovata accezione di “attività economica organizzata”, anche immateriale, in via di eccezione e di deroga, aveva anche escluso da quel panorama normativo le acquisizioni di personale realizzate in virtù di clausole sociali di riassorbimento imposte dalla legge, dal contratto collettivo o dal contratto di appalto.
Insomma, dietro la maschera della diversità tipologica delle fattispecie negoziali, sembrava celarsi solo una differente regolamentazione delle tutele, a tutto discapito dei lavoratori coinvolti nei cambi di appalto, soprattutto se privi della garanzia di conservazione degli originari livelli occupazionali.
La riscrittura dell’art. 29, comma 3, ad opera della legge europea n. 122/20165 ha risolto solo in parte i problemi di qualificazione tipologica, focalizzando piuttosto l’attenzione sugli effetti conseguenti al subentro del nuovo imprenditore e, dunque, sulla verifica ex post e in negativo della sussistenza dei criteri definitori del “trasferimento”6, definendo così che non è trasferimento di azienda o di parte dell’azienda “l’acquisizione del personale già impiegato nell’appalto a seguito di subentro di nuovo appaltatore dotato di propria struttura organizzativa e operativa, in forza di legge, di contratto collettivo nazionale di lavoro o di clausola del contratto di appalto, ove siano presenti elementi di discontinuità che determinano una specifica identità di impresa”.
Senza addentrarci nei meandri interpretativi dei due nuovi requisiti imposti dalla disposizione, è sufficiente ricordare, per quanto qui interessa, come il ricorso a parametri distintivi così ampi come quello della “presenza di elementi di discontinuità che determinano una specifica identità di impresa” non sempre è stato di aiuto ai giudici per delimitare gli ambiti dei due istituti. Nei cambi di appalto labour intensive e, ancor più, in quelli connotati dal passaggio di un gruppo di lavoratori organizzato e coordinato, è apparso alquanto complesso verificare l’esistenza di una discontinuità di impresa con la precedente gestione del lavoro, trattandosi di movimentazioni del personale che coinvolgono anche posizioni apicali e pre-strutturate che pur, reinserite nella compagine del subentrante, tendono a conservare un’autonoma operatività, in continuità con il servizio reso nella struttura dell’impresa uscente7.
Sul piano socio-economico, poi, certe dinamiche hanno contribuito al proliferare dei fenomeni di subentro in appalto alla presenza di manodopera a basso valore aggiunto, suscitando nelle imprese l’interesse a negoziare clausole di assorbimento del solo personale non apicale per scongiurare il rischio di un trasferimento d’azienda ex art. 2112 c.c.8
Peraltro, al disinteresse degli operatori a contenere gli effetti del reimpiego della manodopera ceduta con la conservazione degli originari standard quantitativi e qualitativi, ha fatto da contraltare una legislazione lacunosa e astratta che neppure valorizza il ruolo dell’autonomia collettiva, qui, più che altrove, soggetta alle limitazioni operative originate dalla mancata attuazione dell’art. 39 della Cost.9 e a quelle delle diversificate esigenze di protezione dei lavoratori “trasferiti” o “acquisiti” per effetto dell’applicazione della clausola sociale.10
2. Dall’esatto inquadramento della fattispecie derivano le differenti tutele che l’ordinamento riconosce a protezione dei dipendenti impiegati nell’appalto; ma, se in punto di diritto, sono proprio gli artt. 2112 c.c. e 29, comma 3, d.lgs. n. 276/2003 a tracciarne il percorso distintivo, è pur vero che le nozioni definitorie consacrate nei testi legislativi fanno fatica, ancora oggi, ad adattarsi alla mutevolezza dei contesti socio-lavorativi in cui sono richiamate.
Prima delle modifiche apportate dalla legge n. 122 del 2016, l’art. 29, comma 3, si era posto come norma di deroga alla previsione più generale dell’art. 2112 c.c., escludendo dal regime di continuità quelle ipotesi di cessione aziendale (mediante cambio e/o subentro in appalto) aventi ad oggetto la mera acquisizione di personale in forza di pattuizioni di riassorbimento imposte dalla legge, dalla contrattazione collettiva o dai negozi d’appalto.
Per molti, si trattava di interpretazione autentica della disciplina contenuta nell’art. 2112 c.c., avendone perimetrato l’ambito di applicazione, con rimodulazione del relativo impianto di tutele in ragione del tipo di rapporto contrattuale diretto tra cedente e cessionario11. E in quest’ottica – configurata come trasferimento d’azienda ogni forma di cessione o di fusione comportante il mutamento nella titolarità di un’attività economica organizzata, con o senza scopo di lucro, preesistente al trasferimento e “conservata” nella sua originaria identità (a prescindere dalla tipologia negoziale che vi aveva dato causa) e definito il ramo d’azienda come “articolazione funzionalmente autonoma dell’attività”, identificato come tale dal cedente e dal cessionario al momento del trasferimento – risultava quasi naturale sottrarre alla disciplina codicistica le vicende di mera assunzione dei lavoratori addetti alle commesse trasferite in assenza della contestuale cessione di beni idonei a conservare l’identità della preesistente azienda (o di un suo ramo) e tali da consentire lo svolgimento di una specifica impresa.
Sull’argomento la giurisprudenza di legittimità non tardò ad assumere posizioni chiarificatorie mirate a non minare la stabilità dell’impianto, accogliendo un’interpretazione più elastica che, a prescindere dalla relazione negoziale tra l’imprenditore uscente e il subentrante, prendesse in considerazione la possibilità che il trasferimento avesse ad oggetto i soli beni immateriali e/o i servizi dell’azienda o di un suo ramo costituito dalla sola manodopera12.
Per la Corte, il criterio speciale di qualificazione dell’ipotesi delineata dall’art. 2112 c.c. doveva ricercarsi nel passaggio di beni di non trascurabile entità tali da rendere possibile lo svolgimento di una specifica impresa, rinvenibile anche nelle aziende smaterializzate (dove, pur sempre, esiste una minima organizzazione dei fattori della produzione, capitale, lavoro e beni naturali) in termini di cessione di un gruppo di dipendenti, stabilmente organizzati e coordinati tra loro, con una capacità operativa assicurata dal fatto di essere dotati di un particolare know how13. «Elemento costitutivo della fattispecie (…) è l’autonomia funzionale del ramo d’azienda ceduto, ovvero la capacità di questo, già al momento dello scorporo dal complesso cedente, di provvedere ad uno scopo produttivo con propri mezzi, funzionali ed organizzativi (…) di svolgere autonomamente, senza integrazioni di rilievo da parte del cessionario, il servizio o la funzione cui risultava finalizzato, nell’ambito dell’impresa cedente, anteriormente alla cessione».14
Poteva, così ritenersi superata anche l’apparente incompatibilità dell’art. 29, comma del d. lgs. n. 276/2003, con gli indirizzi comunitari che, nonostante l’estensione del regime protezionistico dei trasferimenti d’azienda tout court a vicende successorie analoghe, avevano comunque data per ferma la circostanza che si trattasse di operazioni in cui l’azienda figurava come complesso organizzato di persone ed elementi che consentivano l’esercizio di un’attività economica finalizzata a proseguire un determinato obiettivo e che l’autonomia dell’entità ceduta preesistesse al trasferimento, “conservando” in questo la propria identità15.
Nonostante le attese, l’intervento riformatore della legge n. 122/2016 non ha permesso di azzerare le discrasie tra fonti; ha piuttosto ribaltato in negativo l’inquadramento del trasferimento d’azienda, con l’onere a carico del subentrante di provare la genuinità dell’appalto e la discontinuità dell’attività ceduta rispetto a quella del precedente titolare (indicativa della specifica identità di impresa, differente ed indipendente da quella originaria) e con l’elevazione delle clausole di reimpiego da condizioni escludenti ad elementi “indiziari” delle cessioni ex art. 2112 c.c.16, potendo concorrere a determinarle almeno nella misura in cui non le integrino in maniera autonoma ed intrinseca17.
Per dirla in altri termini, al verificarsi di un fenomeno successorio di outsourcing che coinvolga le sole maestranze impiegate nell’azienda, l’accertamento giudiziale non potrà non focalizzarsi sulla sussistenza dei criteri che, in negativo, ai sensi dell’art. 29, comma 3, stabiliscono ciò che trasferimento non è e, di contro, sul riconoscimento dell’entità immateriale ceduta quale complesso aziendale dotato di capacità operativa autonoma che non ammette interferenze da parte dell’impresa uscente e neppure integrazioni da parte dell’acquirente (che ben potrebbe assumere una data organizzazione attraverso coevi o successivi contratti di appalto).
Deduzioni che non mutano se l’operazione coinvolge il ramo aziendale, nella cui nozione, i beni e i servizi, in rapporto di reciproca organicità, sono di per sé idonei a perseguire lo scopo produttivo e, con riguardo alle strutture dematerializzate, la sua autonomia può essere certamente ravvisarsi nel «gruppo organizzato di dipendenti, specificamente e stabilmente assegnati ad un compito comune», dotato di un «comune bagaglio di conoscenze, esperienze e capacità tecniche, tale che proprio in virtù di esso sia possibile fornire lo stesso servizio». «Il ramo ceduto deve essere dotato di effettive potenzialità commerciali che prescindano dalla struttura cedente dal quale viene estrapolato e deve essere in grado di offrire sul mercato, ad una platea indistinta di potenziali clienti, quello specifico servizio per il quale è organizzato»18. In questi termini, la sua preesistenza è implicitamente desumibile dalla qualificazione che le parti ne fanno al momento della cessione19, non potendo identificarsi ciò che già non esiste e non è già costituito20.
3. Una delle questioni più dibattute sulla configurabilità o meno di una cessione aziendale o di una sua articolazione funzionalmente autonoma (nei settori labour intensive rappresentata dal mero passaggio di manodopera) è quella delle tutele, sostanziali e processuali, correlate alla posizione dei dipendenti “ereditati”21, mancando una disciplina ad hoc delle clausole di riassorbimento del personale che, a seconda della fonte da cui originano così come del loro carattere dispositivo o costitutivo, assumono potenziale garantistico differente anche in situazioni (apparentemente) similari.
Pur proiettate alla salvaguardia dei livelli occupazionali – funzione che, nelle operazioni di trasferimento d’azienda, risulta assorbita dalla tutela legale della continuità dei rapporti ex art. 2112 c.c. – le clausole di seconda generazione22 scontano, nei cambi di appalto, la loro efficacia garantistica in ragione dell’inevitabile scontro con i principi costituzionali che governano l’agire imprenditoriale, facendo anche spazio a soluzioni “alternative” che mettano il new comer al riparo dalle conseguenze negative di un loro eventuale inadempimento.
Rileva qui, innanzitutto, il giusto contemperamento della libertà di organizzazione e di gestione dell’impresa – elementi essenziali della libertà di iniziativa economica privata ex art. 41, comma 1, Cost. – con il “diritto” dei lavoratori alla conservazione del posto di lavoro (a rischio di soppressione per effetto della cessazione dell’appalto su cui sono incardinati); ma rileva, altresì, alla presenza di clausole di origine contrattuale, la loro possibile natura illegittima, per contrasto con l’art. 41, comma 1, Cost. e con l’art. 39 Cost., allorquando si impongono ai nuovi operatori commerciali trattative negoziali e procedimentali condizionanti la libertà sindacale e configuranti anomali meccanismi di estensione ultra partes dell’efficacia soggettiva degli accordi collettivi.
Fin tanto, infatti, che la previsione ha origine legale, il superamento del conflitto tra gli opposti interessi può ritenersi realizzato con la conformazione di quella ai fini sociali previsti dal comma 2 dell’art. 41 Cost., senza interferenze nell’attività economica dei singoli operatori.23 Più complessa, invece, si presenta l’ipotesi delle clausole di origine contrattuale che, al di là delle molte differenze contenutistiche per ciascun settore, prefigurano modelli concertativi confinati all’ambito soggettivo delle parti firmatarie o aderenti ai contratti. Con la conseguenza che, qualora nel cambio di appalto sia coinvolto un imprenditore non vincolato alla fonte collettiva costitutiva della disposizione, difficilmente se ne potrebbe sostenere l’applicazione in termini di obbligazione ex contractu.
«Il contratto collettivo è dotato di efficacia soggettivamente limitata, le clausole che garantiscono ai lavoratori la continuità del rapporto di lavoro risultano opponibili all’impresa subentrante solo se anch’essa applica lo stesso contratto collettivo o altro contratto che contempli analogo obbligo»24, con buona pace della generalizzata esigenza di tutela dei livelli di occupazione. E l’argomento non muta se la stabilità di questi è garantita da prescrizioni rivolte al subentrante solo per via mediata, con l’imposizione dell’obbligo a carico dell’impresa committente di inserire nel contratto di appalto la clausola di riassunzione vincolante per il nuovo appaltatore a seguito della stipula25.
Il new comer potrebbe sempre contestarla, a monte, per violazione del principio di libera iniziativa economica privata e di quello della libertà di concorrenza nel mercato, lamentandone l’illegittima incidenza sui costi della commessa e sulla sua libertà di gestirla secondo le logiche della propria impresa. Più frequente che la eluda a valle, in ragione di una mutata esigenza tecnico-organizzativa; visti i contenuti, a volte molto elastici, le clausole ben potrebbero essere solo “dedotte” al tavolo della concertazione sindacale, assurgendo a parametro di contenimento delle misure occupazionali originariamente previste, con riduzione qualitativa e/o quantitativa dei processi di riassorbimento.
Depone, in tal senso, la variegata formulazione contrattuale degli obblighi di assunzione che, come nel caso del CCNL Pulizie e Multiservizi26, del CCNL Turismo27 o del CCNL Istituti ed imprese di Vigilanza Privata e Servizi fiduciari (2020)28, risultano modulati in funzione della variazione o meno dei termini, delle modalità e delle prestazioni contrattuali.
Peraltro, gli impegni di assunzione lì contemplati a carico dell’impresa acquirente dispiegano efficacia vincolante solo nella misura in cui si verificano le circostanze cui le parti sociali hanno rimesso la relativa operatività, con la degradazione del diritto al lavoro del personale destinatario degli effetti favorevoli della previsione a mera aspettativa di reimpiego o, tutt’al più, a diritto di precedenza nell’ipotesi di nuove assunzioni da parte del subentrante.
«La garanzia della riassunzione presso l’impresa subentrante diviene elastica, essendo condizionata alla possibilità di utilizzare diversamente il personale, in quanto il lavoratore licenziato non è titolare di un diritto soggettivo prefetto all’assunzione a tempo pieno e indeterminato nei confronti del subentrante»29. Piuttosto, eventuali mutamenti dell’organizzazione e delle modalità del servizio (non connessi a mere determinazioni datoriali30) possono esonerare il nuovo operatore economico dagli obblighi stringenti delle clausole sociali, giustificando l’adozione di misure alternative (part-time, riduzione dell’orario di lavoro, flessibilità delle giornate lavorative, mobilità) alla conservazione dei livelli occupazionali originari, connotate dalla tecnica della rimodulazione individuale delle tutele lavoristiche in funzione della libertà di iniziativa economica privata dell’impresa subentrante.
In questa prospettiva, il diritto al lavoro (inteso come diritto ad avere un’occupazione) lascia il passo alla libertà dell’imprenditore di dotarsi della manodopera ritenuta necessaria per lo svolgimento dell’attività economica e tutto ciò peraltro nel pieno rispetto di quanto sancito dall’art. 4, comma 1, Cost. che, «nella locuzione diritto al lavoro», distingue due significati: la libertà di lavorare e il diritto ad ottenere un lavoro. «Questo secondo significato denota una pretesa nei confronti dei soggetti pubblici o di altri soggetti che non assurge nel nostro sistema a diritto soggettivo perfetto”»31.
Si assiste ad un ripensamento della clausola sociale secondo le medesime logiche dell’art. 8 della legge 223/1991 e degli artt. 5, commi 4 quater e 4 quinquies, del d.lgs. n. 368/2001, come costitutiva di un diritto di precedenza32 che, sul piano dei rapporti, richiede, quale condizione logico giuridica, la specifica volontà assunzionale del datore di lavoro33. «La clausola sociale va interpretata nel senso che l’appaltatore subentrante deve prioritariamente assumere gli stessi addetti che operavano alle dipendenze dell’appaltatore uscente, a condizione che il loro numero e la loro qualifica siano armonizzabili con l’organizzazione d’impresa prescelta dall’imprenditore subentrante. I lavoratori che non trovano spazio nell’organigramma dell’appaltatore subentrante e che non vengano ulteriormente impiegati dall’appaltatore uscente in altri settori, sono destinatari delle misure legislative in materia di ammortizzatori sociali»34. Una diversa interpretazione, secondo parte della giurisprudenza, comporterebbe un’irragionevole compromissione della sfera decisionale del new comer che, costretto ad un generalizzato obbligo di reimpiego per la conservazione dei livelli occupazioni, potrebbe da un lato, sottrarsi all’applicazione di un dato contratto collettivo, per l’altro, vedersi costretto, a fronte di oneri non programmati e non deducibili, ad avviare le procedure di licenziamento del nuovo personale eccedente, che non trovi spazio nell’organigramma aziendale e non sia utilmente utilizzabile35.
4. Approdare ad una conclusione univoca sui termini di giustiziabilità delle clausole di reimpiego nei cambi di appalto è compito arduo per gli esegeti che, nel variegato panorama delle possibili funzioni ad esse sottese, soprattutto se contemplate in sede negoziale, si misurano innanzitutto con il loro multiforme contenuto regolamentare.
Se in alcuni contratti collettivi, infatti, si individuano norme stringenti per il new comer obbligato alla riassunzione del personale secondo schemi molti vicini alla fattispecie più garantistica dell’art. 2112 c.c.36, in altri, invece, quell’imposizione, modulata da circostanze e da limiti che variano al modificarsi di taluni presupposti, sembra assumere una natura sostanzialmente elastica, con l’esclusione, in capo ai lavoratori ereditati, di qualsivoglia “diritto soggettivo perfetto” alla riassunzione37. In altri ancora l’attenzione si focalizza sui fattori condizionanti l’operatività del meccanismo, con la previsione dell’onere a carico delle parti imprenditoriali (o anche di una sola di esse) al preventivo espletamento delle procedure di informazione e consultazione sindacale che, se in qualche caso, richiedono il coinvolgimento di una soglia minima di lavoratori38, altrove, addirittura, si accompagnano all’applicazione di clausole penali impositive dell’obbligo all’assunzione dell’intero personale impiegato nell’appalto39. Un panorama che si complica se l’indagine si sposta sul versante delle discipline applicabili al rapporto costituito ex novo, con previsioni differenti che, ora irrigidiscono le dinamiche aziendali, con il vincolo per il subentrante a garantire, ai nuovi assunti, i trattamenti pregressi acquisiti in funzione dell’anzianità di servizio40, ora ampliano gli ambiti decisionali dell’impresa acquirente, autorizzando modifiche in peius dei precedenti regimi normativi in funzione delle concomitanti esigenze organizzative, tecniche e produttive41.
Non vi è dubbio che il contesto giustifica e legittima la dilatazione dei rimedi processuali azionabili dal lavoratore leso dal cambio di appalto, ma è pur vero che in esso proliferano i dubbi interpretativi sul riconoscimento della giusta tutela, alimentando pronunce giudiziarie che rendono sempre meno certi i contorni, già deboli e insidiosi, del fenomeno successorio aziendale, specialmente in quei settori dove la linea di demarcazione tra trasferimento d’azienda e appalto è pressoché inesistente.
Dall’uno e dall’altro dei due istituti discendono differenti diritti a tutela dell’impiego, collegati alle relative posizioni contrattuali (o potenzialmente tali) del soggetto pretermesso: il diritto alla reintegra nell’originario posto di lavoro alle dipendenze dell’impresa uscente e il diritto all’assunzione ex novo da parte dell’impresa subentrante in virtù dell’operatività della clausola di reimpiego e/o del diritto di precedenza. Ed è ovvio che, là dove la previsione del riassorbimento di personale risulta concordata in termini di transito diretto, senza soluzione di continuità, l’evanescenza del confine tipologico tende a tradursi, sul piano concreto, processuale, nel ricorso contestuale al duplice rimedio della tutela reintegratoria e di quella alla riassunzione.
Non è mancata la tesi contraria che ha sostenuto la mera alternatività tra le due azioni42, escludendo la possibilità di agire per la costituzione del nuovo rapporto di lavoro in mancanza della condizione della cessazione del precedente (a dire che solo accettando la risoluzione del precedente rapporto e, dunque, rinunciando anche per implicito all’impugnativa di licenziamento, potrebbe accogliersi la pretesa alla costituzione di un nuovo rapporto che, tecnicamente, dovrebbe ritenersi dipendente dalla conclusione del primo). Ma, negli ultimi tempi, l’argomento è stato completamente abbandonato sul presupposto che la cessazione dell’appalto non può assurgere a causa dell’automaticità del licenziamento43 e che sarebbe riduttivo e contrario alla ratio legis ritenere la tutela (negoziale e collettiva) all’assunzione ex novo assorbente e/o escludente di quella più ampia riservata dalla legge nell’ipotesi di superamento dei poteri di recesso del datore di lavoro.
Nell’accettazione della nuova occupazione (ovvero nella pretesa giudiziaria di condanna del new comer all’assunzione), non si configura alcuna rinuncia alle azioni di impugnativa del licenziamento illegittimo: la scelta o il reperimento di una nuova occupazione «non è in grado di rivelare in maniera univoca, ancorché implicita, la sicura intenzione del lavoratore di accettare l’atto risolutivo».44
Il licenziamento e la costituzione del nuovo rapporto di lavoro costituiscono due istituti autonomi ed indipendenti e l’alternatività delle relative discipline, correlate alle vicende circolatorie dell’azienda, va considerata con riguardo al momento accertativo della fattispecie successoria. Nulla esclude che le tutele del reimpiego possano sussistere contemporaneamente a quelle connesse al licenziamento illegittimo e che, per l’autonomia delle vicende (quella del licenziamento da parte dell’impresa uscente e quella dell’assunzione ex novo da parte del subentrante), le prime possano operare in assenza di recesso, così come le altre possano essere invocate in caso adempimento della clausola sociale.
Il raccordo tra le due azioni va, piuttosto, ricercato nelle disposizioni dei contratti collettivi di riferimento, là dove peraltro, proprio sui termini e sui contenuti di giustiziabilità delle clausole sociali, si scorgono i limiti delle garanzie che ne discendono per il diverso modo di intendere il beneficio tutelato. Si pensi alle ipotesi in cui le previsioni negoziali concepiscono l’insorgenza, in capo al lavoratore, del diritto al “passaggio diretto e immediato” alle dipendenze del new comer45.
Guardato nell’ottica del rapporto con il vecchio datore di lavoro, la nozione di transito senza soluzione di continuità ripropone le problematiche già affrontate circa i retroscena delle operazioni successorie ex art. 2112 c.c., non escludendo la possibilità di una contestuale azione verso il subentrante per la costituzione del nuovo rapporto lavorativo. Diversamente, sul piano della relazione con l’acquirente, il passaggio potrebbe far presumere che il diritto all’assunzione sia conseguenza della combinazione dell’istituto della risoluzione del precedente rapporto lavorativo con quello della costituzione del nuovo vincolo di subordinazione alle dipendenze del subentrante, nell’ambito della quale, presupponendosi il recesso dell’uscente, potrebbe anche escludersi, a priori, ogni spazio di applicazione della tutela alla reintegra46.
Ad arricchire il panorama interpretativo, soccorrono quelle previsioni contrattuali dell’onere, a carico dell’uscente, all’avvio delle procedure di informazione e di consultazione sindacale quale condizione sospensiva dell’insorgenza dell’obbligo a carico del new comer al reimpiego e, di riflesso, del diritto del lavoratore alla riassunzione47.
Al tavolo del confronto, il cedente è chiamato a dare informazioni e notizie sull’operazione successoria da compiersi, individuando i lavoratori coinvolti attraverso la predisposizione di una graduatoria di prescelti cui l’impresa subentrante è tenuta ad attingere per la formazione del proprio organico lavorativo, attingendolo dalla platea già definita; ed è sempre in questa sede che si definisce l’entità del riassorbimento, valutando concordemente, nella negativa, l’adozione di misure alternative alla prosecuzione dei rapporti o di modifica degli originari trattamenti economici e normativi.
Espletate le procedure e precisati i termini del passaggio diretto, con l’impegno del new comer all’assunzione, l’eventuale inadempimento della relativa pattuizione ben potrebbe essere eccepito, oltre che sul piano individuale, dal diretto interessato con un’azione costitutiva ex art. 2932 c.c. (sempre ne sussistano i presupposti)48, anche a livello collettivo, mediante il ricorso allo strumento di repressione della condotta antisindacale ex art. 28 St. lav.
5. La fine dei rapporti lavorativi al cessare dell’appalto non può ritenersi scontata e, per le ragioni già dette, neppure può dirsi che la garanzia del riassorbimento sia idonea, di per sé, a configurare lo scioglimento dell’originario vincolo lavorativo come atto di risoluzione consensuale e il reimpiego come sua accettazione, con rinuncia ad ogni pretesa conservativa alle dipendenze dell’uscente.
La conclusione dell’appalto può assurgere a fattore scatenante della definizione dei rapporti in esso impiegati, sempre che sussistano le condizioni imposte dalla normativa sui licenziamenti individuali o collettivi; e la circostanza che nell’operazione successoria dell’azienda o di un suo ramo siano state concordate clausole di reimpiego, anche con passaggio diretto ed immediato, non è escludente dell’avvio, da parte del precedente datore di lavoro, delle procedure legali di recesso secondo i propri criteri dimensionali e il numero dei lavoratori coinvolti. Anzi, la comunicazione dei recessi per giustificato motivo oggettivo da parte dell’impresa cedente consente alle subentranti di ottemperare all’obbligo di riassunzione del personale che, se non licenziato, resterebbe evidentemente incardinato nell’organigramma della prima.
In passato non sono mancate posizioni divergenti, sino a negare l’applicabilità della legge n. 223/1991 alle risoluzioni per cessazioni di appalto in numero superiore a quattro, sul presupposto del differente contesto aziendale (riduzione o trasformazione di attività di lavoro) e nell’ottica della deroga introdotta dall’art. 7, comma 4 bis, d. l. 248/2007 (come modificato dalla legge di conversione 28/2/2008, n. 311)49, per effetto della quale trovava ingresso nel sistema, come unica soluzione percorribile, quella della qualificazione dei recessi quali licenziamenti plurimi per giustificato motivo oggettivo50. Ma, nel tempo, l’orientamento è stato completamente ribaltato dalla giurisprudenza di legittimità, insistendo ora sull’identità ontologica dei licenziamenti collettivi e di quelli per giustificato motivo oggettivo, ora sulla necessaria delimitazione del campo di applicazione del citato art. 7, riferibile unicamente ai lavoratori già assunti dal new comer, a parità di condizioni economiche e normative, e non anche alla rosa di addetti alla commessa ceduta che il nuovo datore di lavoro neppure conosce, non potendo procedersi al riassorbimento del precedente personale senza la comunicazione dei propedeutici licenziamenti.
Intanto, sul versante dei rimedi processuali, le cose non sono certo apparse più semplici.
Da un’iniziale esclusione della contestuale proponibilità di domande interdipendenti tra loro e intrinsecamente contraddittorie nella fase esecutiva, per cui l’accettazione del nuovo rapporto o la proposizione di un’azione costitutiva ex art. 2932 c.c. doveva ritenersi rinuncia implicita ad ogni impugnativa di licenziamento51, si è giunti ad affermare la totale autonomia, sostanziale, del momento risolutivo rispetto a quello del reimpiego alle dipendenze del nuovo soggetto52, ammettendo così la possibile convivenza dell’azione di accertamento dell’illegittimità del licenziamento con quella volta alla costituzione del rapporto ex novo53. «La tutela riconosciuta da una clausola sociale di riassunzione non esclude quella apprestata a favore del lavoratore nei confronti del datore di lavoro che ha intimato il licenziamento, ma si aggiunge ad essa (…). La tutela pattizia può operare anche in assenza di un atto di recesso così come la tutela legale può essere invocata anche in ipotesi di corretto funzionamento della clausola sociale»54. In taluni casi, è proprio la prova della continuità giuridica del rapporto che consente al pretermesso di esigere l’applicazione in suo favore della clausola di reimpiego alle dipendenze del new comer 55 mediante il ricorso all’azione costitutiva ex art. 2932 c.c. (sempre che sussistano contenuti contrattuali che definiscono, compiutamente, l’inquadramento, le mansioni da espletare e le condizioni normative ed economico-contrattuali da applicarsi al futuro rapporto lavorativo56), fermo restando il diritto al risarcimento dei danni – nella loro componente patrimoniale e di quella ulteriore da perdita di chance57 – quando all’offerta del lavoratore della propria prestazione lavorativa consegue il rifiuto del datore all’assunzione. Resta inteso che, se la scelta del pretermesso è nella direzione dell’adempimento coattivo alla conclusione del contratto non ancora in essere, non potrà concepirsi alcuna operatività del rimedio risarcitorio, mancando la lesione dell’originario diritto58.
Il dinamismo di un tale sistema non poteva non riflettersi anche sul piano istruttorio degli oneri correlati alle difese processuali, in primis nei giudizi per impugnativa di recesso, declinandoli in maniera diversa a seconda del configurarsi del tipo di risoluzione e del verificarsi delle condizioni attuative del riassorbimento. Ne costituisce esempio, l’ipotesi derogatoria contemplata dal citato art. 7, comma 4 bis, che ha sottratto allo stringente regime della legge n. 223/1991 i recessi per cambio di appalto riguardanti i soli lavoratori riassunti dal subentrante con la garanzia di mantenimento dell’originario trattamento economico e normativo59 previsto dai contratti collettivi nazionali di settore, stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative o a seguito di accordi collettivi con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative.
Si tratta di una procedura che richiede il rispetto di tutti i requisiti negoziali per la configurazione della fattispecie “passaggio diretto” e, ancor più, la necessità che le riassunzioni siano realizzate a parità di condizioni contrattuali e normative tipiche del precedente rapporto di lavoro60. E proprio sul concetto “parità di trattamento” non sono mancate riflessioni interpretative contrastanti, specialmente sul richiamo della norma alle disposizioni dei contratti collettivi applicati alla commessa appaltata.
Fin quando l’impresa uscente e quella subentrante applicano il medesimo contratto di settore, nulla quaestio; il problema ritorna, evidentemente, quando il new comer ricorre ad un diverso CCNL o non applica alcun contratto, per cui diventa difficile immaginare un tranquillo e lineare reimpiego del personale secondo i parametri imposti dalla legge.
Peraltro, a mente della citata norma, la deroga può ritenersi operante esclusivamente nei confronti dei soggetti “riassunti dall’azienda subentrante”, a nulla rilevando che la mancata assunzione sia dipesa da un rifiuto del lavoratore di passare alle dipendenze del nuovo appaltatore; di contro, la stessa risulterà inapplicabile alle riassunzioni che eventualmente dovessero seguire ad una procedura di licenziamento collettiva già aperta, con l’annullamento, ex post, di tutte le fasi e le implicazioni che la contraddistinguono anche in termini di selezione del personale interessato.
Nel primo caso, il limite alla deroga è di ordine tipologico, non configurandosi la riassunzione nei termini deducibili dalla legge: pur operando la clausola sociale di passaggio diretto e pur sussistendo tutte le condizioni perché questo si attui secondo le previsioni di legge, ben potrebbe registrarsi un esubero di personale non programmato, gestibile unicamente con l’apertura di una procedura di licenziamento collettivo che coinvolga, poiché tra loro fungibili, gli operatori all’interno dell’intero perimetro aziendale61. Nell’altro, invece, il limite, originariamente superato, riemerge dalle ceneri facendo saltare le determinazioni datoriali in un momento successivo all’avvio del procedimento di riduzione del personale, con un meccanismo che parte della dottrina non ha temuto di definire come «schizofrenico, intollerabilmente irrazionale ed irragionevole»62.
Voler trarre delle conclusioni univoche, in uno scenario così complesso, è pressoché impossibile. Certe discrasie regolamentari potrebbero superarsi solo con un intervento di riforma che, a sutura della falla dell’attuale normativa, ridefinisse, da un lato, i termini e gli ambiti di operatività della legge n. 223/1991 nelle ipotesi di cessazione e cambio di appalto e, dall’altro, rilanciasse il ruolo delle clausole sociali quali meccanismi di tutela dell’occupazione, prevedendo ad esempio la sostituzione dell’obbligo di riassunzione a carico del subentrante con incentivi alla costituzione dei nuovi rapporti lavorativi63. Non meno determinante, in questa prospettiva, anche l’attuazione di una politica di sostegno alla crescita professionale del personale impiegato nell’appalto che ribalti le tradizionali logiche di contenimento del costo del lavoro e di salario minimo, spingendo le imprese ad investire in nuovi modelli organizzativi e produttivi di qualità, nell’ambito dei quali le scelte manageriali e le strategie competitive siano benefiche anche per i lavoratori64.
1 Cfr. Rizzi D., Marketing ed economia dell’impresa globale, Roma, 2020.
2 Dorigatti L. – Mori A., L’impatto delle scelte datoriali sulle condizioni di lavoro e sulle diseguaglianze: disintegrazione verticale, esternalizzazioni e appalti, in Soc. Lav., 144/2016. Secondo le autrici, «l’outsourcing premette alle imprese lead di mettere in competizione i propri (potenziali) fornitori, spingendoli a costanti abbassamenti dei prezzi e, di conseguenza, dei loro margini di profitto. A loro volta, le imprese appaltatrici scaricano queste prestazioni sui propri dipendenti nella forma del peggioramento delle condizioni di lavoro».
3 Cfr. Bellavista A., Appalti e tutela dei lavoratori, in WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”.IT – 454/2022, 5.
4 Per una compiuta disamina, v. De Luca Tamajo R., La disciplina del trasferimento di ramo d’azienda dal codice civile al decreto legislativo n. 276 del 10 settembre 2003, in De Luca Tamajo R. – Rusciano M. – Zoppoli L. (a cura di), Mercato del lavoro. Riforma e vincoli di sistema, Napoli, 569 ss., nonché Novella M., Il trasferimento di ramo d’azienda: la fattispecie, in Aimo M. – Izzo D. (a cura di), Esternalizzazioni e tutela dei lavoratori, Torino, 2014, 237 ss.; Speziale V., Appalti e trasferimenti di azienda, in WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”.IT – 41/2006 che, in particolare, sul concetto della identificazione del ramo di azienda al momento del trasferimento, precisa: «La riforma, nel consentire la identificazione del ramo di azienda al momento del trasferimento, favorisce oggettivamente anche quelle operazioni elusive efficacemente descritte nella sentenza citata, “aggirando” il contenuto di normative inderogabili (ad esempio in materia di licenziamento) a tutela dei lavoratori». Di recente, Pettinelli R., La tutela dei lavoratori nella successione di imprenditori nel contratto di appalto tra clausole di riassorbimento della manodopera e trasferimento d’azienda, in WP C.S.D.L.E “Massimo D’Antona”.IT – 425/2020 Sul versante comunitario, il richiamo è principalmente alla sentenza Suzen Corte di Giustizia 11/3/1997, C-13/95, Suzen, in Riv. it. dir. lav., 1998, II, 651, con nota di Faleri C., I giudici del lavoro rivedono la nozione di trasferimento d’azienda.
5 Pubblicata in data 8/7/2016 sulla spinta di una procedura di pre-infrazione UE (cd. “EU pilot”, n. 7622/15/EMPL) che aveva ritenuto l’art. 29, comma 3, d.lgs. 276/2003, nella sua originaria formulazione, in contrasto con la Direttiva 2001/23/CE in tema di trasferimento d’impresa. La Commissione Europea, infatti, aveva sostenuto che le sentenze della Cassazione sostenevano un’interpretazione della norma escludente la configurazione del subentro in appalto come trasferimento d’azienda o di una sua parte in tutti i casi in cui il medesimo subentro non fosse accompagnato, oltre che dal passaggio di personale, da un trasferimento di beni di non trascurabile entità
6 Asnaghi A., Cambio di appalto e trasferimento, in Il giurista del lavoro, 21/09/2016, secondo il quale quell’intervento riformatore è stato frutto di un’equivoca interpretazione da parte dell’UE del “comma incriminato”, non considerando che esso, nei fatti, «non operava un’esclusione tout court dell’applicabilità dell’art. 2112 ai cambi di appalto, agendo anzi in senso ben differente, delimitando solo i confini entro cui non potesse essere in via automatica presunto un trasferimento d’azienda per il solo fatto che l’appaltatore fosse (nei modi stabiliti dalla norma stessa) onerato all’acquisizione del personale»
7 In tal senso Marrazza M., Contributo allo studio della fattispecie del ramo di azienda (art. 2112, comma quinto, cod. civ.), in Arg. dir. lav., 2018, I, 410 ss.
8 Cfr., al riguardo, art. 334 del CCNL Turismo (2014), nella parte in cui è stabilito che «La gestione subentrante assumerà tutto il personale addetto, in quanto regolarmente iscritto da almeno 3 mesi sui libri paga-matricola della gestione uscente, riferiti all’unità produttiva interessata, con facoltà di esclusione del personale che svolge funzioni di direzione esecutiva, di coordinamento e controllo dell’impianto nonché dei lavoratori di concetto e/o degli specializzati provetti con responsabilità di coordinamento tecnico-funzionale nei confronti di altri lavoratori».
9 La mancata attuazione dell’art. 39 Cost. esclude che si possa configurare un obbligo generalizzato per le imprese subentranti nell’appalto a dare attuazione ad una clausola di riassorbimento contemplata in un contratto diverso da quello applicato o, comunque, non vincolante.
10 In considerazione sia dei differenti contenuti delle clausole che possono gestire il riassorbimento con o senza soluzione di continuità, sia del riconosciuto diritto dei lavoratori “trasferiti” di impugnare il licenziamento e chiedere la reintegra nell’originario rapporto di lavoro alle dipendenze del cedente.
11 Cfr. Gragnoli E., Contratti di appalto di servizi e trasferimento di azienda, in AA.VV., Trasferimento di ramo d’azienda e rapporto di lavoro – Dialoghi fra dottrina e giurisprudenza (Quaderni di diritto del lavoro), Milano, 2004, 2, 195 ss. secondo il quale non esiste tale relazione diretta nell’ipotesi di successione tra più appaltatori, il titolo giuridico che legittima il subentrante va rinvenuto nel diverso ed autonomo rapporto negoziale fra l’appaltante ed il secondo appaltatore.
12 Cass. 6/12/2016, n. 24972, in Il giuslavorista.it, 19 gennaio 2017, di recente confermata anche da Cass. 31/01/2020, n. 2315 in Iusexplorer che, discutendo su fattispecie soggetta alla disciplina dell’art. 29 d.lgs. 276/2003 nella sua precedente formulazione, ha ribadito il principio secondo cui la norma va intesa nel senso che la mera assunzione da parte del subentrante nell’appalto non integra di per sé trasferimento d’azienda ove non si accompagni alla cessione dell’azienda o di un suo ramo autonomo. Pertanto, se in un determinato appalto di servizi un imprenditore subentra ad un altro e nel contempo ne acquisisce il personale e i beni strumentali organizzati (cioè l’azienda), la fattispecie non può che essere disciplinata dall’art. 2112 c.c.
13 Per la Cassazione 6/12/2016, n. 24972, cit. la mera assunzione del personale in ottemperanza a clausole sociali di riassorbimento, senza alcuna contestuale cessione dell’entità produttiva aziendale preesistente, doveva considerarsi condizione escludente dell’operatività dell’art. 2112 c.c.
14 Cass. 31/5/2016, n. 11247, richiamata peraltro, unitamente a Cassazione n. 3/7/2009, n. 15690, da Trib. Roma, 15/6/2020, n. 3294, in Iusexplorer, che focalizza l’attenzione sulla capacità della parte di azienda ceduta di svolgere autonomamente, senza integrazioni di rilievo da parte del cessionario, il servizio o la funzione cui esso risultava finalizzato già nell’ambito dell’impresa cedente, anteriormente alla cessione: «la disposizione legittima (….) anche la cessione di un ramo “dematerializzato” o “leggero” dell’impresa, ovvero nel quale il fattore personale sia preponderante rispetto ai beni, quando però il gruppo dei lavoratori trasferiti sia dotato di un particolare know how e cioè di un bagaglio di conoscenze, esperienze e capacità tecniche, tale che proprio in virtù di esso sia possibile fornire lo stesso servizio».
15 C. Giust. 10 dicembre 1998, cause riunite C-127/96, C-229/96, C-7497, Hernandez, Vidal, Santner, Gomez Montana, in Not. giur. lav., 1999, 132 ss. Sulla ricostruzione in giurisprudenza, si rinvia a Colosimo C., Il trasferimento di impresa: casistica giurisprudenziale, in Lav. Dir. Eur., 2018/2.
16 Cfr. Cass. 31/01/2020, n. 2315 cit., secondo la quale il fatto che i lavoratori già impiegati nell’esecuzione dell’appalto siano acquisiti dal subentrante non per una libera scelta ma in ragione di un obbligo contrattuale non è circostanza idonea ad escludere l’applicabilità dell’art. 2112 c.c.
17 Trib. Sulmona 18/02/2020, n. 20, in Iusexplorer, secondo il quale «non tutte le acquisizioni di personale conseguenti al subentro di un nuovo soggetto nel contratto di appalto, e quindi non anche quelle intrinsecamente e autonomamente riconducibili a ipotesi di trasferimenti di azienda, esulano dalle previsioni dell’art. 2112 c.c.»; nello stesso senso Cass. 30/10/2019, n. 27913, in Iusexplorer
18 Cass. 14/09/2021, n. 24687 e n. 24690, in Iusexplorer che hanno affrontato le vicende di alcune cessioni aziendali messe in atto dalla Vodafone e opposte dai lavoratori con l’intento di non subire il trasferimento forzoso in capo alla cessionaria. Tra i primi commenti, v. Notaro F., Trasferimento di ramo di azienda e contratti di esternalizzazione del lavoro, tra criteri sussuntivi e diritto vivente, in Labor. Il lavoro nel diritto, 13 Ottobre 2021 (www.rivistalabor.it)
19 Identificazione che, nell’attuale ottica interpretativa, non deve intendersi come riconoscimento di un arbitrario potere costitutivo del ramo in capo al cedente e al cessionario ma come determinazione negoziale, ex post, all’esisto del processo di frammentazione di un complesso produttivo inizialmente unitario, dei contenuti e dei mezzi oggetto del negozio traslativo che consegua da sé, in quanto dotato di capacità organizzativa e funzionale, un ben preciso obiettivo (cfr. Cass. 1/2/2008, n. 2489; Cass. 4/12/2012, n. 21711; Cass. 15/4/2014 n. 8757; Cass. 28/9/2015, n. 19141). Negli stessi termini anche Corte di Appello di Milano 31/01/2022 n. 1549, in Iusexplorer.
20 Da Cass. 14/09/2021, n. 24687, cit. secondo la quale «L’atto di identificazione da parte del cedente ….. deve avere un contenuto accertativo e non costitutivo. In dottrina, cfr. Lepore A., Il trasferimento d’azienda, in Santoro Passarelli G. (a cura di), Diritto e processo del lavoro e della previdenza sociale, Torino, 2020, 1958.
21 Il termine è di Buoncristiani D., Le forme di tutela del lavoratore “ereditato” nel cambio di gestione di appalti labour intensive, in Riv. it. dir. lav., 2, 2007, 165 ss.
22 Cfr., per una disamina generale, Ghera E., Le cd. clausole sociali: evoluzione di un modello di politica legislativa, in Dir. rel. ind., 2, 2001, 133 ss.
23 Così Ghera E., Le c.d. clausole sociali: evoluzione di un modello di politica legislativa, cit., 135
24 Interpello Ministeriale n. 1/8/2012, n. 22. In dottrina, cf. Pettinelli R., La tutela dei lavoratori nella successione di imprenditori nel contratto di appalto tra clausole di riassorbimento della manodopera e trasferimento d’azienda, cit., 15 ss.
25 Cfr. Faleri C., Ciò che appalto non è. A proposito dell’intervento riformatore in materia di successione di appalti e trasferimento di azienda, in Giur. comm., 2018, 6, 1044 ss. che rinvia, sull’argomento, a Faleri C., Le clausole sociali di riassunzione nella successione di appalti quale strumento di governance per un mercato concorrenziale e socialmente responsabile, in Mancini M. – Paciello A. – Santoro V. – Valensise P. (a cura di), Regole e mercato, Tomo I, Torino, 2016, 139 ss.
26 L’art. 4 del CCNL Pulizie e Multiservizi 2011 precisa: «In ogni caso di cessazione di appalto, l’Azienda cessante ne darà preventiva comunicazione, ove possibile nei 15 giorni precedenti, alle strutture sindacali aziendali e territoriali competenti, fornendo altresì informazioni sulla consistenza numerica degli addetti interessati, sul rispettivo orario settimanale, indicando quelli impiegati nell’appalto in questione da almeno 4 mesi; l’azienda subentrante, con la massima tempestività, preventivamente all’inizio della nuova gestione e, ove oggettivamente ciò non sia possibile, in tempi utili e comunque su richiesta delle Organizzazioni sindacali territoriali firmatarie del c.c.n.l. darà comunicazione a queste ultime del subentro nell’appalto». Alla scadenza del contratto di appalto sono possibili due diverse situazioni: a) cessazione a parità di termini, modalità e prestazioni contrattuali, con l’impegno per il subentrante a garantire l’assunzione senza periodo di prova per coloro che risulteranno esistenti in organico secondo documentazione probante; b) cessazione dell’appalto, con modificazione dei termini, delle modalità e delle prestazioni contrattuali, con conseguente convocazione dell’impresa subentrante al tavolo sindacale al fine di valutare l’adozione delle possibili misure di conservazione degli originari livelli occupazionali. Analoga procedura è prevista per il CCNL Telecomunicazioni (art. 53 bis).
27 Artt. 332 e ss.
28 Ai sensi dell’art. 58 è prevista l’attivazione di specifiche procedure di confronto sindacale, su richiesta dell’Azienda uscente, con il coinvolgimento della DPL, destinate al raggiungimento di una possibile intesa circa il riassorbimento delle guardie giurate impegnate sulla commessa appaltata.
29 Trib. Marsala 18/11/2004, in Giur. di merito, 2005, 532, richiamata da Brino V., Successione di appalti e tutela della continuità dell’occupazione, cit., 135, con riguardo alla previsione dell’art. 330 del CCNL nella parte in cui impone l’assunzione del personale del precedente appaltatore, salvo mutamenti organizzativi e delle modalità di servizio connesse alle richieste dell’utenza (e non anche a ragioni datoriali o dell’ente appaltatore). Sull’argomento, di recente, Corte di Appello di Milano, 20/2/2019, n. 72, con nota di G. Marchi G., Clausole sociali di riassunzione e impugnazione del licenziamento, in Riv. it. dir. lav., 2019, 3, 428 ss. Per la Corte meneghina anche nell’ipotesi in cui l’appalto prosegue senza mutamento dei termini, delle modalità e delle prestazioni contrattuali, «il diritto dei lavoratori alla riassunzione è tutt’altro che perfetto e, in concreto, sovente di difficile applicabilità», sia per l’operatività delle clausole sociali che dipende dall’efficacia soggettiva dei contratti collettivi, sia per il fatto che il diritto all’assunzione da parte del soggetto subentrante sorge solo nel momento in cui i lavoratori beneficiari risultano determinati o determinabili. Contra Trib. Milano 31/7/2007, in DL Riv. critica dir. lav. 2007, 4, 1084 con nota di Pini che, proprio con riferimento all’art. 4 del CCNL Pulizie Multiservizi, ha statuito che «la disposizione va interpretata nel senso che, in caso di subingresso nell’appalto, l’impresa subentrante deve comunque procedere all’assunzione del personale già addetto all’appalto ceduto e ciò a prescindere dal fatto che si sia verificata oppure no una modifica nelle modalità di esecuzione delle prestazioni contrattuali dell’appalto (l’unica differenza essendo, in caso positivo, l’insorgere dell’ulteriore obbligo, in capo all’impresa subentrante, di esperire un esame congiunto con le oo.ss. e le r.s.a) e senza che possa assumere rilevanza la circostanza che sia stato modificato il soggetto appaltatore (giacché questa è proprio la condizione cui la norma contrattuale subordina l’obbligo di assunzione)».
30 Il mutamento dell’organizzazione di lavoro e della gestione della commessa, dipeso dalle mere scelte imprenditoriali, costituisce elemento discretivo per la configurazione tipologica dell’operazione successoria, con la previsione aprioristica dell’obbligo di reimpiego del personale addetto alla commessa a salvaguardia dei livelli occupazionali. È pur vero però che modifiche di tal fatta sono generalmente conseguenti all’opportunità di gestire il servizio in vista di nuove esigenze dell’utenza, per cui, se a monte, costituiscono variazioni tecnico-organizzative dell’appalto configuranti la fattispecie successoria realizzata, a valle ben possono assurgere a condizioni escludenti l’applicazione e l’operatività della clausola di riassorbimento
31 Costantini S., Limiti all’iniziativa economica privata e tutela del lavoratore subordinato: il ruolo delle c.d. “clausole sociali”, in Rivista Ianus, 5/2011, 255-256 che richiama Ballestrero M.V., Il valore e il costo della stabilità, in Ballestrero M.V. (a cura di), La stabilità come valore e come problema, Torino, 2007, 10., nonché Giubboni S., Il primo dei diritti sociali. Riflessioni sul diritto al lavoro tra Costituzione italiana e ordinamento europeo, WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”.INT – 46/2006.
32 Sul punto, si consideri, la precedente disciplina della clausola sociale contenuta nell’art. 42 bis del CCNL Logista, Trasporto Merci e Spedizioni del 2013 che testualmente prescriveva: «1. In caso di cambio di gestione nell’appalto, l’azienda appaltante darà comunicazione alle OO.SS. competenti di tale operazione con un preavviso di almeno 15 giorni. (….). 3. L’azienda appaltante farà includere nel contratto di appalto con l’impresa subentrante l’impegno di questa, nel rispetto dell’autonomia imprenditoriale, a parità di condizioni di appalto e a fronte di obiettive necessità operative e produttive dell’impresa subentrante, a dare preferenza, a parità di condizioni, ai lavoratori della gestione uscente». Attualmente, l’art. 42 del rinnovato CCNL impone l’obbligo per l’impresa subentrante al reimpiego di tutto il personale originariamente addetto alla commessa, prevedendo in tal senso una sorta di passaggio diretto dei lavoratori, con conservazione dell’anzianità di servizio e della normativa applicabile. L’unico riferimento alla libertà di iniziativa economica privata del subentrante è contenuta nel comma 9 dell’art. 42 là dove si legge: «Quanto sopra nel rispetto dell’autonomia organizzativa apicale dell’azienda subentrante e delle innovazioni tecnologiche, informatiche e di automazione intervenute» che, ad ogni buon conto non sembrano scalfire la portata precettiva della norma che impone l’obbligatorietà della clausola sociale.
33 Trib. Milano 6/09/2018, n. 2032, in Iusexplorer che, peraltro, precisa che, qualora la volontà del datore alle nuove assunzioni parifichi, in termini quantitativi e qualitativi, il personale già presente sull’appalto, essa non potrà che risultare appannaggio dei lavoratori dell’impresa uscente
34 Consiglio di Stato 16/6/ 2009, n. 3900; Consiglio di Stato 11/5/2013, n. 2533, peraltro richiamate da Corte di Appello dell’Aquila 3/7/2020, n. 318, tutte in Iusexplorer. Negli stessi termini, anche l’ANAC (parere AVCP, 13 marzo 2013. n. AG 19/13, nonché AG n. 44/2010, AG 41/2012 e delibera Avcp n. 97/2012) secondo la quale «la clausola sociale non può alterare o forzare la valutazione dell’aggiudicatario in ordine al dimensionamento dell’impresa e, in tal senso, non può imporre un obbligo di integrale riassorbimento dei lavoratori del pregresso appalto, senza adeguata considerazione delle mutate condizioni del nuovo appalto, del contesto sociale e di mercato o del contesto imprenditoriale in cui dette maestranze si inseriscono»
35 Corte di Appello dell’Aquila, 2/07/2020, n. 318, cit.; nonché, Consiglio di Stato 11/10/2021, n. 6784, per il quale l’obbligo sotteso alla clausola sociale” – richiedendo “un bilanciamento tra valori antagonisti” – “non può mai essere assoluto, tale cioè da comprimere le esigenze organizzative dell’impresa e da impedire una efficiente ed efficace combinazione dei fattori produttivi, dovendo essere pertanto interpretata conformemente ai principi nazionali e comunitari in materia di libertà di iniziativa imprenditoriale e di concorrenza, così che detto obbligo di riassorbimento dei lavoratori alle dipendenze dell’appaltatore uscente, nello stesso posto di lavoro e nel contesto dello stesso appalto, deve essere armonizzato e reso compatibile con l’organizzazione di impresa dell’aggiudicatario”.
36 Si tratta di clausole che per il loro contenuto preciso e concordante possono essere ricondotte all’ipotesi del contratto a favore di terzi ex art. 1411c.c. Cfr. CCNL Turismo Confcommercio (2018) che, impone, preliminarmente, nell’ipotesi di cambio di gestione dell’appalto e sempre che non si rilevino modifiche organizzative e tecnologiche determinanti, l’obbligo per il subentrante ad assumere tutto il personale addetto alla commessa qualora: a) risulti iscritto da almeno sei mesi al LUL e riferiti all’unità produttiva, con esclusione del solo personale direttivo e di concetto/specializzati provetti; b) ovvero, nell’ipotesi di un appalto precedente di durata inferiore a sei mesi, risulti occupato da almeno 6 mesi nell’unità considerata. In via gradata, per i lavoratori esclusi dal reimpiego per assenza delle indicate condizioni, è prevista la garanzia di ricorso ad ulteriori forme di assunzione, alternative al “passaggio diretto”, individuabili in sede concertata. Si v., altresì, art. 6, CCNL Servizi Ambientali (2016)
37 Cfr. CCNL Pulizie e Multiservizi (2011) e CCNL Multiservizi (2019) che individuano solo un mero impegno all’assunzione in capo alla gestione subentrante, al verificarsi di specifiche condizioni e sempre che il cambio di appalto risulti a parità di termini, modalità e prestazioni contrattuali. A differenza del CCNL Turismo, ogni scelta decisionale in termini di assunzione è definita in sede negoziata.
38 L’art. 43 CCNL Pulizia Imprese Artigiane (2014) individua due diverse procedure di consultazione sindacale a seconda che il numero di addetti coinvolti, full time, superi o meno le cinque unità.
39 V. Artt. 24 ss. CCNL Vigilanza privata e art. 42-bis CCNL Logistica. Per una compita disamina in dottrina, Pettinelli R., La tutela dei lavoratori nella successione tra imprenditori nel contratto di appalto, cit.
40 Cfr CCNL Vigilanza Privata (2013), nonché CCNL Turismo (2018). Anche nei recenti rinnovi contrattuali, per le ipotesi di cambio di appalto, si individua l’onere specifico a carico dell’impresa uscente a comunicare tempestivamente alle OO.SS. e all’impresa subentrante, oltre ai dati anagrafici e quelli correlati alla posizione lavorativa, anche la data di assunzione nel settore e quella di assunzione nell’impresa uscente dei lavoratori potenzialmente coinvolti nel passaggio; notizie che evidentemente supportano la tesi della conservazione dei diritti maturati dal lavoratore ereditato in ragione della propria anzianità di servizio nel settore. In giurisprudenza, v. Cass. 5/6/2012, n. 9011 che, in materia di superminimo individuale ex art. 13 del CCNL Pulizie (1993), ha ritenuto che, tale beneficio, una volta concesso e stabilizzatosi, perde l’originario carattere discrezionale per assumere connotato di voce retributiva e come tale da riconoscersi anche a seguito del subentro in appalto. L’argomento è confermato da Corte di Appello di Genova 24/03/2021, in Ilgiuslavorista.it, 17 maggio 2021.
41 Cfr. art. 4 CCNL Imprese di Pulizia e Servizi Integrati; in giurisprudenza v. Cass., sezione penale, 13/04/2010, n. 16733, nonché Trib. Torino 6/05/2011, entrambe in Iusexplorer
42 Cfr. Cass. 30/10/2019, n. 27913, in Iusexplorer, secondo la quale si tratta pur sempre di due discipline convergenti, pur se ciò non toglie che le stesse siano alternative, perché o vi è trasferimento d’azienda o di una sua parte ex art. 2112 c.c. e, quindi, prosecuzione ex lege del rapporto di lavoro, oppure c’è subentro nell’appalto, con applicazione dello statuto speciale dettato da un insieme di norme di fonte collettiva e legale.
43 v. Cass. 20/11/2018, n. 29922 e Cass. 2/09/2010, n. 19842, in Iusexplorer.
44 v. Corte Appello di Milano, 20/02/2019, n. 72, in Riv. it. dir. lav., 2019, III, 428 ss. con nota di Marchi G., Clausole sociali di riassunzione e impugnazione di licenziamento, cit., che richiama Cass. 20/11/2018, n. 29922 cit. e Cass. 22/11/2016, n. 23732. In dottrina, Vallebona A., Successione nell’appalto e tutela dei posti di lavoro, in Riv. it. dir. lav., 1999, II, 219 ss. secondo il quale l’accettazione della nuova occupazione costituisce espressione della volontà di accettazione anche del licenziamento, con rinuncia qualsiasi contestazione circa la sua validità.
45 v. art. 42 CCNL Logistica Trasporto merci e spedizioni; art. 16 bis CCNL Mobilità; art. 4 CCNL Smaltimento Rifiuti e art. 6 CCNL Igiene Ambientale; art. 335 CCNL Turismo.
46 Cfr. Buoncristiani D., Le forme di tutela del lavoratore “ereditato” nel cambio di gestione di appalti labour intensive, cit. 179, che considera il licenziamento presupposto per l’operatività della clausola sociale e, dunque, «l’assunzione presso il nuovo appaltatore, presupponendo ima valida interruzione del precedente rapporto e facendosi apprezzare come prosecuzione del rapporto di lavoro, si pone come fatto impeditivo del diritto alla reintegrazione».
47 v. Art. 25 CCNL Vigilanza privata (2014). Per una compiuta disamina v. Mutarelli M.M., La clausola sociale per il cambio di appalto nel c.c.n.l. Vigilanza Privata, in Il diritto dei lavori, 2014, 1, 59 ss..
48 Va tenuto presente che ben potrebbero verificarsi situazioni particolari in cui l’azienda uscente ometta di avviare la procedura di consultazione e informazione sindacale o perché inadempiente o perché ritiene di poter comunque garantire il reimpiego della manodopera addetta alla commessa attraverso soluzioni differenti dal transito al new comer; e in tali casi, nessun obbligo può ritenersi insorto in capoal nuovo soggetto e nessuna responsabilità gli può essere addebitata per la mancata assunzione del personale addetto alla commessa ceduta.
49 Art. 7, comma 4 bis, d.l. n. 248/2007: «Nelle more della completa attuazione della normativa in materia di tutela dei lavoratori impiegati in imprese che svolgono attività di servizi in appalto e al fine di favorire la piena occupazione e di garantire l’invarianza del trattamento economico complessivo del lavoratori, l’acquisizione del personale già impiegato nel medesimo appalto, a seguito del subentro di un nuovo appaltatore, non comporta l’applicazione delle disposizioni di cui all’art. 24 della legge 223/1991 e successive modificazioni, in materia di licenziamenti collettivi, nei confronti dei lavoratori riassunti dall’azienda subentrante a parità di condizioni economiche e normative, previste dai contratti collettivi nazionali di lavoro stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative».
50 Cfr. Interpello n. 22/2012, cit., che richiama la Circolare del Ministero del lavoro L/01 del 28/5/2001, secondo la quale i licenziamenti intimati per la perdita di un appalto vanno considerati licenziamenti plurimi per giustificato motivo oggetti in quanto la perdita dell’appalto non può essere ricondotta alle situazioni di sospensione del lavoro o di riduzione temporanea del mercato, né ad ipotesi diristrutturazione o crisi aziendale, ma ad un turn over fisiologica dell’impresa. Contra, in giurisprudenza, ex plurimis, Cass. 22/4/2002, n. 5828, in Iusexplorer, richiamata in nota Sitzia A. – Cordella C., I fenomeni di esternalizzazione e l’apparato sanzionatorio/dissuasivo, in Brollo M., Cester C., Menghini L. (a cura di), Legalità e rapporti di lavoro. Incentivi e sanzioni, Trieste, 2016, 393, con la precisazione che «la clausola sociale non può incidere sul tipo di licenziamento perché la legge n. 223/1991 non distingue tra riduzione stabile e non stabile di attività».
51 Cass. 18/10/2002, n. 14824, in Iusexplorer, nonché Cass. 13/10/2015 n. 20523, in Iusexplorer, secondo la quale «il passaggio del lavoratore alle dipendenze del nuovo appaltatore presuppone che al momento della pattuizione sia in atto il primo rapporto di lavoro ed esclude quindi un precedente licenziamento, realizzandosi tale istituto giuridico non in virtù di due distinti negozi, il primo unilaterale recettizio (licenziamento o eventualmente dimissioni) e il secondo bilaterale tra il nuovo datore di lavoro e lavoratore, ma attraverso l’incontro delle volontà dei tre soggetti interessati in un unico complesso negozio, il quale in funzione della nuova occupazione, contestualmente pattuita, prevede la risoluzione consensuale del primo contratto e l’avvio immediato del nuovo rapporto, indipendente e autonomo da quello cessato». In dottrina, Vallebona A, Successione nell’appalto e tutela dei posti di lavoro, cit., 219.
52 In questi termini, di recente, Corte di Appello di Roma, 16/09/2022, n. 3395 che, in riforma della sentenza Trib. Roma, n. 2766/2022, ha precisato che «la garanzia del passaggio dal datore originario all’impresa subentrante mira ad assicurare la stabilità e continuità dell’occupazione, ma lascia distinti rapporti lavorativi, sicché non solo una regola contrattuale non potrebbe mai escludere la tutela legale che sanziona il recesso illegittimo, ma neppure sarebbe invocabile qualsivoglia efficacia preclusiva all’impugnativa per effetto dell’operato “passaggio”, trattandosi di distinti rapporti contrattuali rispetto ai quali differenti sono le obbligazioni e responsabilità datoriali. Anche nelle ipotesi del passaggio da un appalto all’atro l’originario datore di lavoro sarà tenuto a dimostrare, ove necessario, le ragioni del recesso intimato e l’impossibilità di reimpiegare il lavoratore in altre posizioni lavorative compatibili».
53 Cass. 28/3/2022, n. 9932 che richiama i suoi precedenti Cass. 29/01/2020 n. 2014 e Cass. 20/11/2018, n. 29922); v. altresì Cass. 31/01/2020, n. 2315 e Cass. 2/11/2016, n. 22121, in Iusexplorer.
54 Corte di Appello di Milano 20/2/2019, n. 72, cit. Contra, in dottrina, Buoncristiani D., Le forme di tutela del lavoratore “ereditato” nel cambio di gestione di appalti labour intensive, 179, che considera il licenziamento presupposto per l’operatività della clausola sociale e, dunque, «l’assunzione presso il nuovo appaltatore, presupponendo ima valida interruzione del precedente rapporto e facendosi apprezzare come prosecuzione del rapporto di lavoro, si pone come fatto impeditivo del diritto alla reintegrazione».
55 v. Corte Appello Milano, 20/2/2019, n. 72, con nota di Marchi G. Clausole sociali di riassunzione e impugnazione del licenziamento, cit. che, in quest’ottica, giunge a considerare che «l’impugnazione di licenziamento illegittimo non ha alcuna efficacia escludente rispetto alla successiva proposizione dell’azione costitutiva, diretta ad ottenere l’assunzione da parte dell’impresa subentrante. Anzi è diretta ad accertare la continuità giuridica del rapporto originario e la sussistenza del presupposto di operatività della clausola sociale di riassunzione».
56 Il ricorso all’art. 2932 c.c. è stato di recente ulteriormente ampliato anche in assenza di predeterminazioni specifiche circa le mansioni e la sede di lavoro; così Cass. 14/12/2020, n. 28415 secondo la quale «Nel caso in cui le parti abbiano concordato, in sede di accordo sindacale, l’obbligo per il datore di lavoro di assumere personale in forza presso un’altra azienda, prevedendo il contratto collettivo applicabile ai nuovi dipendenti, la relativa categoria di inquadramento, nonché il riconoscimento dell’anzianità pregressa e del superminimo individuale, l’oggetto del contratto di lavoro deve ritenersi sufficientemente determinato. Ne consegue che il lavoratore, in caso di inadempimento, può richiedere, ai sensi dell’art. 2932 c.c., l’esecuzione in forma specifica dell’obbligo di concludere il contratto, senza che rilevi la mancata predeterminazione della concreta assegnazione della sede lavorativa e delle mansioni, che attiene alla fase di esecuzione del contratto». In senso conforme, Cass. 30/12/2009, n. 27841, nonché Corte di Appello di Roma 24/3/2021, n. 1146. Interessante anche quanto di recente statuito da Cass. 25/11/2021, n. 3674, in Iusexplorer, nella quale si legge che la regolamentazione in dettaglio dei CCNL dei nuovi rapporti di lavoro alle dipendenze del subentrante, non solo depone nel senso della previsione di un obbligo di assunzione, ma costituisce anche la base giuridica per l’applicazione della tutela costitutiva. Contra, Cass. 26/8/2003, n. 12516, in Riv. giur. lav., 2004, II, 607, con nota di Sgroi, che esclude l’esecuzione in forma specifica dell’accordo sindacale impositivo dell’obbligo di assunzione, quando non risultino compiutamente indicati in esso tutti gli elementi del contratto, quali, tra gli altri, le mansioni; «in difetto di siffatte indicazioni, se l’obbligo del datore di lavoro rimanga inadempiuto, il lavoratore non può esperire il rimedio dell’esecuzione in forma specifica, ai sensi dell’art. 2932 c.c., ma ha (soltanto) diritto all’integrale risarcimento dei danni, ossia al ristoro delle utilità perdute per tutto il periodo del protrarsi di detto inadempimento».
57 Per Pettinelli R., La tutela dei lavoratori nella successione tra imprenditori nel contratto di appalto, cit., 82, sottolinea non solo la limitatezza della richiesta risarcitoria in ragione della rara configurabilità nelle clausole di assorbimento di un automatico diritto alla riassunzione, ma anche il fatto che laperdita della chance non potrebbe essere automaticamente soddisfatta utilizzando tout court come parametro le retribuzioni perdute.
58 La scelta tra l’una o l’altra delle due azioni è in rapporto di reciproca esclusione. Per analogia di argomenti e prospettive, si veda la giurisprudenza in tema di assunzione dei centralinisti non vedenti, per i quali la Cassazione ha riconosciuto l’operatività del rimedio dell’esecuzione in forma specifica ex art. 2932 c.c., alla presenza del rifiuto, indebito, alla loro assunzione da parte dei soggetti obbligati; «il giudice, se richiestone, deve applicare l’art. 2932 c.c. e rendere tra le parti sentenza che produca in forma specifica gli effetti del contratto non concluso trattandosi di fattispecie possibile e non esclusa dal titolo, atteso che sono prestabiliti dalla legge n. 113 del 1985 (…) la qualifica, le mansioni, e il trattamento economico e normativo del lavoratore avviato, ivi compresa l’indennità legale della mansione, mentre assume carattere residuale il risarcimento economico (art. 1223 c.c. e seg.) destinato ad assicurare l’integrale soddisfazione del diritto del centralinista pretermesso dalla prestazione lavorativa per l’inadempimento del datore di lavoro del soggetto la cui assunzione, se indebitamente rifiutata dal destinatario dell’obbligo di assumerlo» (Cass. 14/08/2004, n. 15913, in Arg. dir. lav. 2005, 429)
59 Per orientamento giurisprudenziale costante la garanzia di trattamento apprestata dall’art. 7 comma 4 bis consiste nel preservare l’interesse di tutti i lavoratori coinvolti nell’appalto, espungendo dal novero delle tutele protette quelle che presidiano i singoli livelli economici individualmente raggiunti. Cfr. Corte Appello Milano, 7/6/2022, n. 1565, Iusexplorer.
60 V. art. 24 del CCNL Istituti di Vigilanza che impone l’effettivo e incondizionato subentro di un altro istituto di vigilanza nel medesimo appalto di servizi quale garanzia di certezza che il preesistente rapporto di lavoro sia destinato a rimanere immutato nelle originarie componenti retributive, classificatorie, logistiche e temporali, fatta salva la diversa imputabilità datoriale, e senza soluzioni di continuità con l’istituto di vigilanza subentrante.
61 Cfr. Cass. 28/01/2019, n. 2291, in Iusexplorer, secondo cui il doppio richiamo operato dalla legge 223/1991, art. 5, comma 1, alle esigenze tecnico produttive ed organizzative del complesso aziendale comporta che la riduzione del personale debba, in linea generale, investire l’intero ambito aziendale, potendo essere limitato a specifici rami di azienda soltanto se caratterizzati da autonomia e specificità delle professionalità utilizzate e l’infungibilità delle prestazioni costituisce onere probatorio a carico del datore di lavoro. Nello stesso senso, Corte di Appello di Roma, 19/12/2019, n. 4810, in Iusexplorer. Nello stesso senso Trib. Roma, ordinanza n. cron. 4167/2020 del 15/05/2020 (che richiama Cass. 14/3/2018, n. 6147 in Guida al dir., 2018, 16, 30, nonché Cass. 31/07/2012, n. 18190 in Dir. & Gius. 3/8/2012) che, proprio con riferimento all’ambito di riferimento per la scelta dei lavoratori da licenziare precisa che «Il datore di lavoro non può limitare la scelta dei lavoratori da porre in mobilità ai soli dipendenti addetti a tale reparto o settore se essi siano idonei – per il pregresso svolgimento della propria attività in altri reparti dell’azienda – ad occupare le posizioni lavorative di colleghi addetti ad altri reparti, con la conseguenza che non può essere ritenuta legittima la scelta dei lavoratori solo perché impiegati nel reparto operativo soppresso o ridotto, trascurando il possesso di professionalità equivalente a quella di addetti ad altre realtà organizzative».
62 Sitzia A. – Cordella C., I fenomeni di esternalizzazione e l’apparato sanzionatorio/dissuasivo, cit., 194.
63 In tal senso, Costantini S., La tutela della continuità occupazionale nel settore del trasporto pubblico su strada e su rotaia, in Rir. rel.ind., 3/2015, 800 ss.
64 Dorigatti L. – Mori A., L’impatto delle scelte datoriali sulle condizioni di lavoro e sulle diseguaglianze: disintegrazione verticale, esternalizzazioni e appalti, cit. che precisano come sia necessario porre al centro degli interventi normativi per combattere la proliferazione dei lavori precari, a basso reddito e di scarsa qualità che proliferano intorno ai fenomeni di outsourcing, politiche volte a chiudere gli spazi di elusione istituzionale lasciate alle imprese. Al riguardo, le autrici richiamano il pensiero di Appelbaum E. – Bernhardt A. – Murnane R.J., Low-wage Ameria: How Employers are Resshaping Opportunity in the Workplace, Russell Sage Fouindation: New York, 2003, 24, per i quali «c’è un ruolo chiaro per i governi nel sostenere scelte manageriali e strategie competitive che siano benefiche anche per i lavoratori».
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