Il “retrogusto europeo” della riforma fallimentare

Il “retrogusto europeo” della riforma fallimentare

In data 11 ottobre 2017, il Senato della Repubblica ha approvato la legge n. 2681 contenete una “delega al governo per la riforma delle discipline della crisi d’impresa e dell’insolvenza”, approvata dalla Camera dei deputati in data 3 febbraio 2017. Inoltre, lo scorso 22 dicembre 2017, in tempi encomiabili, il Primo Presidente aggiunto presso la Suprema Corte di Cassazione Renato Rordorf ha consegnato al Ministro della Giustizia le bozze di due dei tre decreti legislativi prospettati per l’attuazione della delega di cui alla Legge n. 155 del 2017.

La legge «delega al governo di adottare entro 12 mesi, dall’entrata in vigore della stessa, uno o più decreti legislativi per la riforma organica delle procedure concorsuali». Nel farlo il governo dovrà tener conto di alcuni atti emanati dall’Unione Europea: in particolare del regolamento UE n. 2015/848 del Parlamento europeo e del Consiglio relativo alle procedure di insolvenza. In secondo luogo, la raccomandazione 2014/135/UE della Commissione del 12 marzo 2014 e dei principi della model law in materia di insolvenza elaborati dalla Commissione delle Nazioni Unite per il diritto commerciale internazionale (UNICITRAL). Per completezza di esposizione va segnalato, ulteriormente, che nel piano d’azione per l’Unione dei mercati dei capitali  del 30 settembre 2015 è stata annunciata la presentazione da parte della Commissione di una iniziativa legislativa «in materia di insolvenza delle imprese avente ad oggetto principalmente la ristrutturazione precoce e la seconda chance» da elaborare alla luce della raccomandazione 12 marzo 2014 e con riferimento ai sistemi nazionali più “virtuosi” in materia di diritto delle crisi d’impresa.

Ciò premesso, appare evidente come la materia delle crisi di impresa abbia assunto, nel tempo, una forte dimensione sovranazionale. Ciò tanto sul piano comunitario quanto su quello internazionale. La presenza di «quadri normativi ben funzionanti in materia d’insolvenza»[1], infatti, è un presupposto essenziale per un contesto imprenditoriale sano poiché «sostiene gli scambi commerciali e gli investimenti, contribuisce ad incrementare e mantenere posti di lavoro e ad assorbire più facilmente gli shock economici che generano livelli elevati di prestiti deteriorati e disoccupazione».

A livello europeo, dopo un sostanziale timido intervento in materia di crisi delle imprese si è assistiti, specie dopo il 2008, ad un interessamento sempre più importante in materia da parte degli organi comunitari. Proprio la crisi economica, che ha interessato l’Eurozona in tale periodo, ha richiesto interventi di armonizzazione e ravvicinamento tra le discipline degli Stati Membri sempre maggiore.

La Commissione è intervenuta allora nel 2012 con una comunicazione dal titolo «Un nuovo approccio europeo al fallimento delle imprese e dell’insolvenza»[2] in cui ha cercato di «porre le basi per un ambiente più favorevole alle imprese ad esempio incidendo sull’efficienza e sui tempi dei sistemi fallimentari dei vari stati membri».

Nello stesso ordine di idee ha promosso la modifica del regolamento sull’insolvenza transfrontaliera realizzata con il Reg.848/2015. Ha adottato, inoltre, una Raccomandazione, del 12 marzo 2014, in materia di “ristrutturazione e seconda opportunità” con l’obiettivo di garantire «alle imprese sane che versano in una situazione di difficoltà finanziaria l’accesso ad un quadro nazionale in materia di insolvenza che permetta loro di ristrutturarsi in una fase precoce in modo da evitare l’insolvenza, massimizzandone pertanto il valore totale per i creditori, dipendenti, proprietari e per l’economia in generale»[3].

In particolare, gli obiettivi della raccomandazione del 12 marzo 2014 sono stati, grosso modo, due: il primo, più ambizioso, è stato quello di «di istituire un quadro nazionale in materia di insolvenza che permetta alle imprese “sane in difficoltà finanziaria” di ristrutturarsi in un momento precedente all’insorgere dell’insolvenza e in modo da evitarla». Il secondo obiettivo è stato quello «dare una seconda opportunità agli imprenditori onesti che falliscono», garantendogli così quella che viene definita tra i professionisti una “fresh start” (ripartenza fresca).

Tanti sono i punti che la raccomandazione tocca nello specifico, tra cui il tema della tempestività dell’approccio alla risoluzione della crisi d’impresa”; fare in modo che l’imprenditore rimanga, ove possibile, nella gestione della sua impresa: dunque evitare o quantomeno attenuare il c.d. spossessamento dello stesso; il suo diritto a chiedere la sospensione delle azioni esecutive individuali; la possibilità per l’imprenditore di ottenere nuovi finanziamenti necessari alla sua ristrutturazione con annessa «esenzione di responsabilità, civile e penale, nei confronti di chi eroga un nuovo finanziamento».

Successivamente, e preso atto del parziale fallimento della Raccomandazione, considerando anche il suo valore giuridico alla luce della giurisprudenza comunitaria sul punto (ex multis Sentenza CGUE 13 dicembre 1989 Grimaldi[4]), la Commissione ha ritenuto opportuno intervenire con uno strumento normativo vincolante, quale una direttiva, per istituire un quadro minimo armonizzato in materia di crisi d’impresa.

Si giunge così alla proposta di Direttiva, la quale si compone di tre parti principali: la parte prima dedicata ai quadri di ristrutturazione preventiva; la parte seconda è dedicata alla seconda opportunità per gli imprenditori; una parte terza sulle misure per aumentare l’efficacia delle procedure di ristrutturazione, insolvenza e seconda opportunità.

Come si evince dal considerando 1 della direttiva, essa tende a «eliminare gli ostacoli all’esercizio delle libertà fondamentali, quali la libera circolazione dei capitali e la libertà di stabilimento» nonché «mira a rimuovere gli ostacoli garantendo alle imprese economicamente sostenibili in difficoltà finanziarie la possibilità di accedere a quadri nazionali efficaci in materia di ristrutturazione preventiva che consentano loro di continuare ad operare, agli imprenditori onesti sovraindebitati una seconda opportunità dopo la liberazione integrale dei debiti e dopo un periodo di tempo ragionevole, e una maggiore efficacia delle procedure di ristrutturazione, insolvenza e liberazione dei debiti, in particolare una minore durata».

Al netto di questa, parziale e necessaria, panoramica internazionale e comunitaria, occorre esaminare ora gli aspetti della recentissima riforma Rordorf, nei passaggi che più richiamano i principi su esposti.

Intanto la prima grande novità, di livello puramente lessicale, consiste nell’abbandono del termine fallimento e la sua sostituzione con quello di «liquidazione giudiziale»: la riforma propone un nuovo approccio, prima di tutto culturale, al tema che qui ci occupa.

Grande importanza costituisce anche la previsione che consente l’assoggettamento, al procedimento di accertamento dello stato di crisi o di insolvenza, di ogni categoria di debitore: «persona fisica, giuridica, ente collettivo, consumatore, professionista, o imprenditore esercente attività commerciale, agricola o artigianale con la sola esclusione degli enti pubblici che però tenga conto delle diverse peculiarità soggettive e oggettive».

Altre novità interessanti concernono poi «la riduzione della durata e dei costi delle procedure concorsuali», ad esempio «attraverso misure di responsabilizzazione degli organi di gestione e di contenimento delle ipotesi di prededuzione proprio per evitare che il pagamento dei crediti prededucibili assorba in modo rilevante l’attivo delle procedure».

I richiami più diretti alle sollecitazioni europee si riscontrano, come accennato, in materia della «introduzione di procedure di allerta e di composizione assistita della crisi». In particolare, si prevede l’introduzione di procedure di allerta e di composizione assistita della crisi di natura “non giudiziale e confidenziale” che abbiano come obiettivo principe «l’emersione tempestiva della crisi agevolando di conseguenza le trattative tra debitore e creditore».

Sono poi previste misure premiali di carattere sia  patrimoniale che di responsabilità personale, nei riguardi dell’imprenditore che «tempestivamente propone l’istanza o l’omologazione di un accordo di ristrutturazione o proposto un concordato preventivo o proposto ricorso per l’apertura della liquidazione giudiziale»: misure premiali che attengono ad esempio ad alcune «cause di non punibilità per alcuni reati fallimentari o un’attenuante ad effetti speciali per altri reati, nonché una riduzione congrua degli interessi e delle sanzioni legate ai debiti fiscali dell’impresa».

Sono, infine, previste modifiche alle varie tipologie di finanziamenti erogabili alle imprese in crisi in modo da «riconoscere stabilità alla prededuzione dei finanziamenti autorizzati dal giudice in caso di successiva liquidazione giudiziale o amministrativa straordinaria salvo i casi di frode nei confronti dei creditori».

Riferimento evidente alla raccomandazione 2014/135/UE riguarda poi il tema dell’esdebitazione. Secondo la legge delega infatti, «il debitore deve poter presentare la domanda di liberazione dei debiti, subito dopo la chiusura della procedura e in ogni caso dopo tre anni dalla sua apertura e alla condizione che abbia collaborato con gli organi della procedura». Sono introdotte, al riguardo, particolari ipotesi di esdebitazione “di diritto” dunque automatiche per ciò che attiene alle insolvenze minori.


[1] Comunicazione Analisi annuale della crescita 2016 (COM (2015) 690 final, del 26.11.2015).

[2] COM (2012) 742 “Un nuovo approccio europeo all’insolvenza e al fallimento delle imprese”.

[3] Considerando 1 della Raccomandazione della Commissione del 12 marzo 2014, 2014/135/UE.

[4] Sent. Corte Giust. 13 dicembre 1989, C-322/88, in Riv.dir.internaz., 1990, 395 e in Riv. Dir. internaz. Privato e proc., 1991, 509. Successivamente il principio è stato ribadito dalla Corte, in relazione al trattato CECA, con la sentenza 2 maggio 1996, C-18/94, Hopkins c. National Power plc.


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