Il riconoscimento e l’obbligazione di rimozione dei vizi nel contratto di vendita

Il riconoscimento e l’obbligazione di rimozione dei vizi nel contratto di vendita

La compravendita, ai sensi dell’art. 1470 c.c., è il contratto avente per oggetto il trasferimento del diritto di proprietà o di un altro diritto verso un corrispettivo in denaro.

Si tratta di un contratto consensuale (in quanto il trasferimento del diritto si perfeziona con il raggiungimento del consenso tra le parti e non, invece, con la consegna del bene) avente sia effetti reali (in quanto comporta il trasferimento della proprietà o di altro diritto in capo al compratore) sia effetti obbligatori (che consistono nella sussistenza di obbligazioni in capo sia al venditore che al compratore).

Tra le obbligazioni che insorgono in capo al venditore, ai sensi dell’art. 1476 c.c., vi è quella di garantire il compratore dai vizi della cosa.

I vizi consistono nei difetti e nelle alterazioni del bene dovute alla sua produzione e alla sua conservazione.

Ai sensi dell’art. 1490 c.c. il venditore è tenuto a garantire solo i vizi che rendano il bene inidoneo all’uso suo proprio o diminuiscano in modo apprezzabile il suo valore di mercato.

Si tratta, dunque, di vizi rilevanti in quanto le mere imperfezioni non sono sufficiente per fare valere tale garanzia. Tali vizi devono essere preesistenti ed occulti cioè non conosciuti né conoscibili da parte del compratore. Diversamente la garanzia non è dovuta salvo che il venditore abbia dichiarato che la cosa è esente da vizi. Invero, i vizi sopravvenuti, secondo il principio res perit domino, restano a carico dell’acquirente qualora non siano imputabili all’alienante.

Non vi è unanimità di consensi in dottrina circa la natura giuridica della garanzia dei vizi.

Una tesi minoritaria inquadra la garanzia dei vizi nella disciplina dell’errore. Si tratterebbe, infatti, di un errore del compratore in merito all’effettiva consistenza del bene.

Una parte della dottrina ha criticato tale posizione affermando che la sussistenza del vizio non configura un errore del compratore ma una violazione del venditore che non ha consegnato il bene promesso.

Secondo un’altra posizione dottrinaria la garanzia dei vizi configurerebbe un’ipotesi di responsabilità precontrattuale in quanto il venditore avrebbe mancato di comunicare il difetto o le anomalie del bene.

Anche tale tesi è stata oggetto di critiche in quanto la ratio dell’art. 1490 c.c. non è volta a sanzionare la mancata comunicazione dei vizi ma a fare valere la sussistenza degli stessi.

L’opinione dottrinale maggioritaria ricostruisce la garanzia dei vizi come conseguenza della responsabilità del venditore per la violazione del contratto. Tale violazione secondo una parte della dottrina sarebbe qualificabile come inadempimento per la non esatta esecuzione del contratto. Diversamente, secondo un’altra posizione dottrinale non si tratterebbe di inadempimento ma di irregolarità nella attribuzione traslativa.

Il presupposto necessario per l’espletamento della garanzia dei vizi è la denuncia degli stessi.

Invero, il compratore ha l’onere di denunziare l’esistenza del vizio nel termine di decadenza di otto giorni che decorrono o dalla consegna del bene (nel caso di vizi apparenti ovvero difetti che con un esame diretto della cosa il compratore diligente possa venirne a conoscenza) o dalla scoperta (nell’ipotesi di vizi occulti cioè di vizi non conoscibili dal compratore con la normale diligenza a seguito di un esame diretto della cosa). La denunzia non è necessaria laddove il venditore abbia riconosciuto il vizio o l’abbia occultato.

A fronte della tempestiva denuncia dei vizi, l’acquirente può esperire, nel termine di prescrizione di un anno una delle azioni edilizie (la cui scelta diviene irrevocabile con l’espletamento della domanda giudiziale) e, in ogni caso, l’azione di risarcimento del danno.

Sono qualificate azioni edilizie l’actio redhibitoria (tesa alla risoluzione del contratto, alla restituzione del bene e dell’eventuale prezzo pagato) e l’actio quanti minoris (che consiste nella richiesta di riduzione del prezzo pattuito).

Secondo un orientamento previgente della giurisprudenza di legittimità la sussistenza dei vizi configura un’ipotesi di inadempimento contrattuale. Di conseguenza, secondo il principio enunciato dalle Sezioni Unite del 2001, il compratore è tenuto a provare il titolo d’acquisto e ad allegare la sussistenza del vizio, mentre il venditore è onerato nel provare di aver consegnato il bene immune da vizi.

Le Sezioni Unite del 2019 hanno escluso che la sussistenza di vizi configuri un’ipotesi di adempimento in quanto, in primo luogo, non è esperibile l’azione di responsabilità per inadempimento dell’art. 1218 c.c. ma le azioni edilizie e l’azione di risarcimento del danno ai sensi dell’art. 1490 c.c. Inoltre, la Suprema Corte ha affermato che l’onere di provare la sussistenza dei vizi è in capo al compratore secondo il generale principio dell’art. 2697 c.c. per cui il compratore che agisce in giudizio al fine di fare valere la garanzia dei vizi deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento.

A fronte della denuncia dei vizi, il venditore può assumersi l’obbligazione di eliminarli.

La dottrina e la giurisprudenza si sono interrogate se l’obbligazione di eliminare i vizi possa o meno configurare una novazione oggettiva ai sensi dell’art. 1230 c.c. Tale fattispecie si realizza laddove le parti abbiano inteso assumere una nuova obbligazione, con titolo od oggetto diverso, con l’intento non equivoco di estinguere l’obbligazione originaria.

La giurisprudenza si è divisa in due orientamenti contrastanti. Secondo il primo orientamento il riconoscimento dei vizi e l’assunzione dell’obbligo di eliminarli comporta la nascita di una nuova obbligazione a cui consegue l’estinzione di quella originaria. Un’altra parte della giurisprudenza ha, diversamente, sostenuto la tesi della non automatica realizzazione di una novazione oggettiva la quale richiede in capo alle parti il così detto animus novandi ovvero la volontà non equivoca di estinguere l’obbligazione. Da ciò ne consegue che qualora non risulti l’espressa volontà di estinguere l’obbligazione originaria non possa configurarsi una novazione oggettiva.

Le Sezioni Unite del 2005 sono intervenute a dirimere il contrasto giurisprudenziale e hanno aderito alla tesi dell’esclusione dell’automatico effetto novativo. Secondo la Corte, infatti, la previsione di un effetto novativo nell’assunzione di una nuova obbligazione richiede un’espressa manifestazione di volontà ai sensi dell’art. 1230 c.c. Inoltre, il riconoscimento del venditore dell’esistenza del vizio è configurabile quale riconoscimento del debito e, dunque, comporta la caducazione del termine di decadenza e l’interruzione del termine di prescrizione al fine dell’esperibilità delle azioni edilizie. Il termine prescrizionale previsto in tale ipotesi avrebbe la misura ordinaria decennale in quanto, secondo tale giurisprudenza, è necessario evitare che il compratore possa subire dei pregiudizi dall’eventuale mancato intervento del venditore nel termine annuale.

Le Sezioni Unite sono intervenute sul punto nuovamente nel 2012, ribadendo la tesi della non automatica novazione oggettiva. La Corte, a differenza della precedente decisione, ha, tuttavia, sostenuto che il termine di prescrizione decennale non possa trovare applicazione in tale ipotesi posto che la disciplina della prescrizione è insuscettibile di modificazioni convenzionali ai sensi dell’art. 2936 c.c. Troverebbe, dunque, applicazione il termine di prescrizione annuale previsto ai sensi dell’art. 1495 c.c. Inoltre, secondo la Corte, al fine di superare eventuali pregiudizi in capo al compratore, sarebbero sufficiente il compimento di atti interruttivi della prescrizione qualora il venditore si astenga dall’eliminazione dei vizi.


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Valentina Piralli

Nata nel 1994, si è laureata in Giurisprudenza presso l'Università del Piemonte Orientale con il massimo dei voti e la dignità di stampa. E' Istruttore direttivo amministrativo presso un Ente locale dal 2020 ed è abilitata all'esercizio della professione di Avvocato dal 2021.

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