Il ricorso alla clausola generale della buona fede nella sentenza delle Sezioni Unite 28314/2019
La recente sentenza delle Sezioni Unite in materia di nullità di protezione ex art.23 TUF pone agli operatori del diritto il compito di indagare il ruolo che occupa la buona fede e, in particolare, l’exceptio doli generalis nell’attuale sistema contrattuale. La dottrina ha evidenziato come il principio di intangibilità dell’autonomia contrattuale risulti sempre più compromesso di fronte a interventi giurisdizionali guidati da istanze di giustizia contrattuale di dubbia compatibilità con l’art.1322 c.c.. La situazione emergenziale e la crisi economica in atto con ogni probabilità incideranno sul dibattito che deve essere declinato diversamente a seconda del modello contrattuale di riferimento.
La buona fede nel sistema negoziale del codice civile. Il codice del 1942, a differenza di quello di stampo napoleonico, attribuisce maggior rilievo alla buona fede che da mera clausola di stile diviene uno strumento di chiusura e coerenza del sistema.
Il codice del 1865 faceva riferimento, infatti, alla bona fides solo in relazione al momento esecutivo del contratto, senza che la stessa, tuttavia, ricoprisse un ruolo sostanziale. Si trattava di una mera clausola di stile, inidonea e incapace di inserire limiti od obblighi per le parti, in linea con la libertà negoziale e l’essenza liberale del codice.
Nell’attuale sistema codicistico, al contrario, la buona fede viene richiamata in via espressa non solo nella fase esecutiva del negozio (art.1375 c.c.) ma anche in quella interpretativa (art.1366 c.c.) e in quella delle trattative (art.1337 c.c.). Da rilevare inoltre il riferimento all’equità nell’art.1374 c.c. quale fonte di integrazione del contratto. La giurisprudenza, inoltre, ricorre sempre più spesso alla clausola generale per porre rimedio a squilibri contrattuali.
Deve rilevarsi come l’istituto possegga una duplice natura, soggettiva od oggettiva, legata a settori diversi del diritto civile.
La buona fede soggettiva riguarda infatti una situazione di ignoranza rispetto alla lesione di un diritto altrui. In tale nozione rileva dunque il foro interno del soggetto, la sua volontà e intenzione. La scienza giuridica oggi esclude che una simile ermeneusi possa attribuirsi all’istituto in materia contrattuale, in cui è irrilevante la mera volontà delle parti rispetto alla lesione dell’altrui interesse1. La tesi soggettiva si applica, invece, in altri settori dell’ordinamento quali il libro III sulla proprietà. L’art. 1147 c.c. espressamente definisce il possesso di buona fede in siffatti termini, inserendo altresì una presunzione relativa. L’acquisto del possesso si presume avvenuto nell’ignoranza di ledere un diritto altrui e, dunque, in buona fede.
Al contrario la fattispecie viene interpretata in senso oggettivo nel sistema del libro IV del codice. A rilevare qui non è dunque l’ignoranza o la volontà del soggetto ma il comportamento posto in essere dallo stesso all’interno del rapporto contrattuale. Si fa riferimento dunque a uno standard di correttezza delle parti, oggettivamente intesa e legata al principio solidaristico. Inizialmente la tesi oggettiva veniva utilizzata per valutare ex post il comportamento delle parti, oggi la stessa ha invece una funzione anche precettiva in quanto la buona fede è fonte di obbligazioni che si aggiungono al regolamento negoziale integrandolo.
Attualmente la buona fede trova il suo fondamento costituzionale nell’art.2 cost. e rappresenta una clausola generale nell’ordinamento, idonea a creare obbligazioni. La certezza del diritto e la tutela dei traffici commerciali, dunque, depongono a favore della nozione oggettiva della buona fede in sede negoziale in quanto è necessario che le parti possano valutare in modo obiettivo quanto richiesto dalla clausola generale.
Nell’ultimo decennio la giurisprudenza, inoltre, ha ampliato sempre più il peso della fattispecie rispetto alla ratio storica. Il diritto vivente fa spesso ricorso alla clausola generale per colmare vuoti di tutela, attribuire strumenti processuali o rendere il contratto più equo, con ricadute sul sindacato del giudice nonché sul rapporto che lo stesso dovrebbe avere con l’autonomia negoziale.
Appare allora interessante descrivere brevemente l’evoluzione della buona fede nel sistema negoziale.
In primo luogo, proprio il riferimento a tale fattispecie ha modificato l’ambito di operatività della responsabilità precontrattuale, tipicamente legata al recesso dalla trattative o alla conclusione di un negozio invalido. Oggi l’art.1337 c.c. rileva anche in caso dei c.d. vizi incompleti del contratto; in particolare si ritiene che il comportamento scorretto di una delle parti nella fase delle trattative assuma la qualità di un inadempimento rispetto agli obblighi di buona fede e possa essere causa di un risarcimento del danno da contratto valido ma sconveniente. In tal caso la scorrettezza di una delle parti incide negativamente sul regolamento negoziale, pur non inficiandone la validità, rendendo il negozio meno conveniente di quello che sarebbe altrimenti stato2.
La buona fede è fonte di obbligazioni anche nella fase esecutiva del contratto, richiedendo un canone di correttezza per entrambe le parti. Emblematico in tal senso è il recente caso Renault, in cui i giudici hanno riconosciuto il diritto a un risarcimento del danno a fronte di un recesso ad nutum, esercitabile, ma posto in essere in violazione della buona fede3. La valutazione sul contegno delle parti e sull’eventuale legittimità del recesso ad nutum è svolta dal giudice che deve tener conto dell’intero regolamento negoziale e dei successivi comportamenti delle parti, alla luce dei generali parametri dell’obbligo di buona fede e del divieto dell’abuso del diritto, in un ottica di proporzione ed equilibrio di interessi contrapposti.
È evidente che il ricorrere a tale clausola generale incida sul sindacato del giudice ampliandone la cognizione e toccando l’equilibrio degli interessi contrapposti. Di recente si è posto il problema di valutare l’esistenza di un obbligo di rinegoziazione del canone ex art.2cost. all’interno di una situazione pandemica e di crisi generale.
La stessa opera ermeneutica del negozio deve essere espletata in ossequio a tale principio, ai sensi dell’art.1366, richiamando così ad una forma di quasi “solidarietà contrattuale”. L’interpretatio ex bona fides osterebbe a interpretazioni cavillose, non rispondenti alle intese raggiunte e/o deponenti per un significato in contrasto con la ragione pratica o causa concreta dell’accordo negoziale. Alcuni autori hanno sottolineato come il diritto vivente abbia “promosso” la buona fede da criterio sussidiario di interpretazione oggettiva a “primario criterio di interpretazione soggettiva”, al pari di quelli letterale, sistematico e funzionale4.
L’utilizzo della clausola generale in tutte le suddette fasi risponde all’esigenza di rendere il contratto o il rapporto negoziale più rispondente ai canoni di solidarietà propri dell’art.2 cost., con il rischio di mortificare l’autonomia negoziale.
La recente sentenza delle Sezioni Unite offre un riferimento alla buona fede interessante, necessario a delimitare i poteri delle parti nel processo in materia di nullità di protezione.
Ratio e disciplina delle nullità di protezione. La nullità costituisce la patologia primaria del contratto, atta a tutelare interessi di carattere generale. La natura sovraindividuale degli interessi così tutelati giustificano la legittimazione assoluta del vizio e la rilevabilità d’ufficio. Sotto il profilo processuale la nullità, come di recente sottolineato dal diritto vivente, costituisce una pregiudiziale logica in tutti i giudizi relativi al contratto, sia che riguardino richieste di adempimento che giudizi caducatori. In ogni caso il vizio del contratto porterebbe al rigetto della domanda in quanto in entrambi i casi la patologia del negozio compromette il rimedio dell’adempimento come quelli caducatori (risoluzione, rescissione, risarcimento)5.
Le nullità di protezione, al contrario, sono caratterizzate da una legittimazione relativa in quanto il giudice può rilevare d’ufficio il vizio ma può dichiararlo solo a favore del soggetto debole. L’art 36, comma III, d.lgs. 206/2005 in via espressa definisce tale regime, oggi esteso anche al risparmiatore e alle nullità relative previste dal TUF. L’interpretazione costituzionalmente orientata e le pronunce sovranazionali hanno portato gli interpreti infatti ad estendere la disciplina delle clausole vessatorie anche all’art. 23, comma 3, TUF che al contrario prevede solo che la nullità possa essere rilevata solo dal cliente senza alcun riferimento alla distinzione tra rilevabilità e dichiarazione prevista nel cod. cons.
L’interesse tutelato da questa forma particolare di nullità, da alcuni definita superannullabilità, è di tipo particolare; il codice del consumo presta una protezione al consumatore, soggetto debole, come il TUF tutela il risparmiatore. In entrambi i casi si è in presenza di un’asimmetria informativa che si vuole controbilanciare offrendo al soggetto debole un potere di selezione e disposizione della nullità. La tutela dell’interesse del singolo è, tuttavia, strumentale a interessi di carattere generale, in quanto l’asimmetria informativa incide negativamente sul buon funzionamento dei mercati e sulla concorrenza. Tutelare il risparmiatore è necessario e funzionale alla protezione dei mercati finanziari, compromessi dalle esternalità prodotte dalla disparità informativa.
La nozione di nullità, seppur relativa, appare allora corretta alla luce dell’interesse finale a cui tende l’istituto.
A detta delle recenti Sezioni Unite “il tratto unificante del regime giuridico delle nullità di protezione è la legittimazione esclusiva del cliente ad agire in giudizio”6. Si rintraccia un legame tra la tutela del soggetto debole e la legittimazione relativa delle nullità in questione. La forma scritta del contratto, richiesta a pena di nullità, tutela il solo soggetto debole, colmando quel gap informativo tipico del rapporto cliente-intermediario. È ragionevole dunque ritenere che solo il cliente possa avvalersi dell’effetto caducatorio derivante dalla nullità testuale. L’art.23 TUF rappresenta uno strumento tipico del c.d. neoformalismo negoziale che superando il principio della libertà delle forme attribuisce alla forma scritta una funzione di tutela.
La deroga alla libertà delle forma è tipica del secondo contratto e distingue lo stesso dal modello codicistico.
Il giudice può dunque rilevare la nullità di protezione all’interno del processo ma potrà poi dichiararla solo con il favore del risparmiatore, detentore di un potere di disposizione dell’effetto caducatorio.
Le Sezioni Unite 28314/2019. La Cassazione chiamata di recente a pronunciarsi a Sezioni Unite ha statuito il seguente principio di diritto: “La nullità per difetto di forma scritta, contenuta nel d.lgs. n. 58 del 1998, art. 23, comma 3, può essere fatta valere esclusivamente dall’investitore con la conseguenza che gli effetti processuali e sostanziali dell’accertamento operano soltanto a suo vantaggio. L’intermediario, tuttavia, ove la domanda sia diretta a colpire soltanto alcuni ordini di acquisto, può opporre l’eccezione di buona fede, se la selezione della nullità determini un ingiustificato sacrificio economico a suo danno, alla luce della complessiva esecuzione degli ordini, conseguiti alla conclusione del contratto quadro”.
La giurisprudenza offriva tesi contrastanti rispetto agli effetti restitutori derivanti dalla nullità di protezione. Secondo un orientamento l’art.23 TUF si limiterebbe ad attribuire al solo risparmiatore il potere di scegliere se rilevare la nullità o meno. Una volta effettuata la scelta gli effetti restitutori derivanti dalla dichiarazione di nullità potrebbero essere utilizzati anche dall’intermediario. Nello specifico lo stesso, a seguito della dichiarazione di nullità del contratto quadro, potrebbe presentare un’eccezione o domanda riconvenzionale relativa alla ripetizione delle somme sorte a vantaggio del cliente. In tal modo si avrebbe un effetto compensativo tra le poste richieste dal cliente, dannose per lo stesso, e quelle a suo vantaggio, oggetto di domanda o eccezione da parte della banca.
Al contrario diversa tesi ritiene che la pretesa restitutoria sia azionabile dal solo risparmiatore. La teoria, accolta dalla Sezioni Unite, sarebbe coerente con la ratio della nullità di protezione. Il legislatore attribuisce al cliente la scelta di utilizzare lo strumento caducatorio proprio per bilanciare la sua originaria posizione di subalternità informativa. Sarebbe allora irragionevole da un lato escludere l’azione di nullità per l’intermediario e dall’altro ammettere che lo stesso possa giovare della nullità di protezione tramite domanda riconvenzionale7. Del resto la funzione della nullità in simili casi riguarda proprio la possibilità di ottenere la restituzione delle somme investite in operazioni non andate a buon fine e indebite perché legate a un contratto quadro nullo.
La Cassazione accoglie tale tesi perché maggiormente conforme e coerente con la natura protettiva della nullità ex art.23 TUF. La possibilità di selezionare gli ordini sui quali dirigere la nullità discenderebbe ex lege in capo al risparmiatore, quale conseguenza dell’esercizio di un diritto predisposto solo in suo favore.
Simile argomento è stato già espresso in più occasioni dalla giurisprudenza nell’affrontare il problema della nullità c.d. selettiva. “Una diversa interpretazione del sistema delle nullità di protezione condurrebbe all’effetto, certamente non voluto dal legislatore, della sostanziale abrogazione dello speciale regime d’intangibilità ed impermeabilità proprio delle nullità di protezione”8.
Le Sezioni Unite nell’accogliere tale tesi, tuttavia, palesano il rischio di forme abusive di selezione della nullità, contrarie alla buona fede e definibili secondo un criterio quasi aritmetico9.
In particolare, a seguito dell’azione del cliente, sarebbe necessario verificare l’esito degli ordini non colpiti dall’azione di nullità e, ove sia stato vantaggioso per l’investitore, porlo in correlazione con il petitum azionato in conseguenza della proposta azione di nullità. Si configurerebbe una forma di abuso nel caso in cui gli ordini non colpiti dall’azione di nullità abbiano prodotto un rendimento economico superiore al pregiudizio confluito nella domanda di restituzione.
In tali situazioni l’intermediario potrebbe eccepire l’eccezione di dolo, ossia il comportamento contrario alla buona fede del cliente, e paralizzare gli effetti della dichiarazione di nullità parzialmente o via totale. L’azione verrà paralizzata completamente nel caso in cui il cliente abbia ottenuto vantaggi economici complessivamente superiori rispetto alle perdite degli ordini selezionati.
L’eccezione avrebbe il solo effetto di rendere inefficace l’azione del cliente, al fine di non determinare un ingiustificato sacrificio economico in capo all’intermediario stesso, restando comunque preclusa la via dell’indebito ex art.2033 c.c..
La buona fede, così utilizzata, diviene uno strumento con cui non solo valutare il comportamento del risparmiatore ma depotenzionarne gli effetti.
L’exceptio doli e il sindacato del giudice. L’eccezione di dolo è un precipitato della clausola generale di buona fede e viene utilizzata per paralizzare azioni abusive, contrastanti con le regole di condotta ex art.2 cost. e così colmare possibili vuoti di tutela. Emblematico in tal senso è l’utilizzo che se ne fa in materia di contratto autonomo di garanzia. Il prestatore di garanzia autonoma, a differenza del fideiussore, non può infatti eccepire le azioni proprie del garantito e potrebbe essere chiamato ad adempiere abusivamente10. Di fronte ad un comportamento ictu oculi abusivo del creditore, che per esempio escute la garanzia dopo aver già ricevuto l’adempimento, si riconosce al garante la possibilità di sollevare l’eccezione di dolo per rendere inefficace l’azione dell’accipiens. L’eccezione è subordinata oltre che a una condotta abusiva e fraudolenta anche all’evidenza della prova, non dovendo essere necessari particolari accertamenti.
È evidente come simile strumento venga utilizzato dalle recenti Sezioni Unite nel caso di specie a tutela del soggetto forte del rapporto, l’intermediario. Tale profilo è stato valorizzato da una parte della dottrina che ha criticato il riconoscimento dell’exceptio doli rispetto alla nullità di protezione in quanto lo stesso colliderebbe con la ratio protettiva della disciplina. L’eccezione di dolo nasce per contrastare il fenomeno dell’abuso del diritto, in cui la parte esercita un diritto ad essa riconosciuto snaturandone la ratio. Si tratta di una deviazione del contenuto teleologico del singolo istituto.
La condotta del creditore che escute la garanzia è assolutamente legittima, rientra nell’abuso del diritto laddove la stesa avvenga a seguito dell’adempimento del garantito sfruttando l’autonomia del contratto a danno del garante.
L’eccezione di matrice giurisprudenziale si basa dunque su una condotta abusiva di un soggetto che sfrutta un proprio diritto deviandone il fine. Nel caso commentato alcuni autori hanno sottolineato la difficoltà di valutare il comportamento abusivo del cliente nella selezione delle nullità, non essendo sempre facile verificare il rapporto tra gli ordini andati a buon fine e quelli svantaggiosi.
Il controllo viene affidato al giudice che sulla base dei vantaggi acquisiti o meno dal risparmiatore deve valutarne la buona fede. Vi è il rischio di un ritorno verso un’accezione della buona fede soggettiva lontana da standart predefiniti nel concetto di correttezza obiettiva e che guarda alla volontà di lucrare del cliente.
La funzione di riequilibrio propria della legittimazione relativa ex art.23 TUF rischierebbe allora di essere compromessa dall’attribuzione all’intermediario di un potere mutatis mutandis simile a quello che si voleva evitare.
La Suprema Corte ha accolto una soluzione mediana atta a tutelare il cliente, escludendo la possibilità per l’intermediario di richiedere l’indebito, in conformità con il principio di buona fede. Gli effetti di tale pronuncia potranno essere valutati solo nel tempo.
La sentenza pone luce tuttavia sul ruolo che oggi ricopre la buona fede e sul suo rapporto con il sindacato del giudice nei contratti asimmetrici11. Il modello codicistico, improntato sull’insindacabilità dell’autonomia negoziale e sulla libertà delle forme, si basa sulla parità delle parti. Al contrario la disciplina del secondo contratto, modello caratterizzato dall’asimmetria informativa, deve essere disegnata in modo differente. Alla
libertà delle forme si contrappone il neoformalismo negoziale, si attribuisce al singolo un potere di disporre delle nullità di protezione e si attribuisce al giudice il compito di valutare e, in parte, ridisegnare l’equilibrio tra le parti. L’utilizzo della clausola generale in tale contesto rischia di avere effetti rivoluzionari che capovolgono il rapporto tra i contraenti e l’organo giudicante, nonché tra quest’ultimo e il potere legislativo.
In materia di nullità di protezione sarebbe auspicabile allora un intervento del legislatore teso a definire i poteri del cliente e l’esperibilità dell’eventuale exceptio doli, con i suoi limiti, oggi di appannaggio del solo diritto vivente.
1La nozione di negozio giuridico oggi accolta è quella di tipo oggettivo che attribuisce valore alla dichiarazione delle parti, al contrario della tesi volontaristica, tipica dell’800, per cui centrale era la volontà delle parti. La contrapposizione tra la teoria della dichiarazione e quella volontaristica rilevano in materia di interpretazione contrattuale.
2Cass.Civ., Sez. Un., 26724-26725/2007 nel distinguere tra regole di condotta e di comportamento hanno riconosciuto che alla violazione degli obblighi ex bona fide consegue il risarcimento del danno derivante da responsabilità precontrattuale.
Il ristoro non potrà consistere nell’interesse positivo, ma nemmeno nell’interesse negativo (a non essere coinvolti in trattative o stipulazioni inutili). Dovrà piuttosto essere ragguagliato al minor vantaggio o al maggior aggravio economico determinato dal contegno sleale, ovvero nel c.d. interesse positivo virtuale o interesse differenziale al ripristino della situazione economica che sarebbe stata virtualmente ottenuta in assenza del comportamento scorretto dell’altro paciscente.
3Con la sentenza n. 691/2018 pubblicata il 5 febbraio 2018, la Corte d’Appello di Roma, in applicazione dei principi di diritto enunciati dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 20106 del 18 settembre 2009, ha condannato la Renault Italia Spa al risarcimento di circa 2 milioni di euro complessivi per danni da illegittimo recesso dai contratti di concessione di vendita in danno dei suoi ex concessionari.
4C. GRANELLI, Autonomia privata e intervento del giudice, in pubblicazioni dall’ intervento svolto dall’A. nell’ambito del seminario di studi organizzato dal CSM in Roma il 12 ottobre 2017 sul tema «Autonomia privata e giurisdizione nella tradizione civilistica continentale» . In tema di interpretazione contrattuale si veda A.GENTILI, Senso e consenso, 2015, Torino.
5Cass. Civ., Sez. Un., 26242 e 26243 del 2014.
6Secondo Cass. Civ., Sez. Un., n. 28314, 4 novembre 2019 “il rilievo officioso delle nullità di protezione deve ritenersi generalmente applicabile a tutte le tipologie di contratti nei quali è previsto in favore del cliente tale regime di protezione in considerazione dei principi stabiliti nella sentenza delle S.U. n. 26642 del 2014 così massimati: “La rilevabilità officiosa delle nullità negoziali deve estendersi anche a quelle cosiddette di protezione, da configurarsi, alla stregua delle indicazioni provenienti dalla Corte di giustizia, come una “species” del più ampio “genus” rappresentato dalle prime, tutelando le stesse interessi e Pagina 10 di 23 valori fondamentali – quali il corretto funzionamento del mercato (art. 41 Cost.) e l’uguaglianza almeno formale tra contraenti forti e deboli (art. 3 Cost.) – che trascendono quelli del singolo”,(cfr. anche la più recente Cass. 26614 del 2018, nella quale si precisa che il rilievo d’ufficio è, tuttavia, subordinato ad una manifestazione d’interesse del legittimato)”.
7Cass. Civ., Sez. Un., n. 28314, 4 novembre 2019 espressamente afferma “Il contraente privo della legittimazione a far valere le nullità di protezione può, di conseguenza, subire soltanto gli effetti della dichiarazione di nullità selettivamente definiti nell’azione proposta dalla parte esclusiva legittimata, non potendo far valere qualsiasi effetto “vantaggioso” che consegua a tale declaratoria. L’indebito, così come previsto nell’art. 1422 c.c., può operare solo ove la legge non limiti con norma inderogabile la facoltà di far valere la nullità ed i suoi effetti in capo ad uno dei contraenti, essendo direttamente inciso dallo “statuto” speciale della nullità cui si riferisce”.
8 Cass. Civ., Sez. I, n. 8395, 27 aprile 2016 sul punto afferma “l’investitore ex art. 99 e 100 c.p.c. può selezionare il rilievo della nullità e rivolgerlo agli acquisti (o più correttamente i contratti attuativi del contratto quadro) di prodotti finanziari dai quali si è ritenuto illegittimamente pregiudicato, essendo gli altri estranei al giudizio. La rilevabilità d’ufficio, peraltro non incondizionata, delle nullità di protezione, affermata di recente dalle S.U. nella sentenza n. 26242 del 2014, si limita a configurare la possibilità di estendere l’accertamento giudiziale anche a cause di nullità protettive non dedotte dalle parti senza tuttavia consentirne il rilievo anche ad atti diversi da quelli verso i quali la censura è rivolta.”
9D. MAFFEIS, Nullità selettiva ? Le Sezioni Unite e la buona fede dell’investitore nel processo, in dirittobancario.it definisce la regola delineata dalle Sezioni Unite come una sottrazione aritmetica.
10La Corte di Cassazione con ordinanza n. 31956/18 ha sottolineato la differenza tra ilcontrattoautonomo di garanzia e la fideiussione: “in tema di contratto autonomo di garanzia,in ragione dell’assenza dell’accessorietà propria della fideiussione, il garante non può opporre eccezioni riguardanti il rapporto principale, salva l’esperibilità del rimedio generale dell’exceptio doli, potendo però sollevare nei confronti del creditore eccezioni fondate sul contratto di garanzia”.
11Sull’estensione del giudicato e sui poteri conformativi da buona fede si veda la C.Cost. 248/2013 che rispetto alla caparra confirmatoria eccessiva ammette la nullità parziale della caparra per la parte eccessiva. Nello specifico si legge “ E ciò in ragione della rilevabilità, ex officio, della nullità (totale o parziale) ex articolo 1418 cod. civ., della clausola stessa, per contrasto con il precetto dell’articolo 2 Cost., (per il profilo dell’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà) che entra direttamente nel contratto, in combinato contesto con il canone della buona fede, cui attribuisce vis normativa, «funzionalizzando così il rapporto obbligatorio alla tutela anche dell’interesse del partner negoziale nella misura in cui non collida con l’interesse proprio dell’obbligato» (Corte di cassazione n. 10511 del 1999; ma già n. 3775 del 1994 e, in prosieguo, a sezioni unite, n. 18128 del 2005 e n. 20106 del 2009).
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Sonia Sasso
Dottoressa Sonia Sasso. Laureata con lode in Giurisprudenza nel 2016 con una tesi in diritto penale commerciale dal titolo “Asimmetria informativa e criminalità economica nell’Insider Trading”. Nel 2018 ha conseguito il diploma presso la Scuola di Specializzazione per le Professioni Legali dell'Università degli Studi Roma Tre. Ha svolto, inoltre, il tirocinio formativo presso la Procura di Roma occupandosi in particolare di reati fallimentari. Dal 2020 abilitata all'esercizio della professione forense.