Il rifiuto di sottoporsi all’alcoltest ed il nuovo art. 131-bis c.p.
La Corte di Cassazione ha recentemente chiarito che il conducente di un veicolo, il quale rifiuta di sottoporsi all’esame alcolemico, può essere mandato esente da responsabilità penale, laddove la sua condotta sia interpretata in termini di “particolare tenuità del fatto”, ex art. 131 bis c.p. (Cass. S.U. n. 13682/2016).
Il reato – profili generali
La fattispecie criminosa prevista dall’art. 186, co. VII, Codice della Strada, dapprima depenalizzata, è stata nuovamente qualificata come contravvenzione con il D.L. 23 maggio 2008, n. 92. Il Legislatore, nell’intento di prevenire le condotte impeditive delle attività di controllo poste a garanzia della sicurezza stradale, ha disposto che “Salvo che il fatto costituisca più grave reato, in caso di rifiuto dell’accertamento di cui ai commi 3, 4 o 5, il conducente è punito con le pene di cui al comma 2, lettera c)”, ovverosia “con l’ammenda da euro 1.500 a euro 6.000, l’arresto da sei mesi ad un anno, qualora sia stato accertato un valore corrispondente ad un tasso alcolemico superiore a 1,5 grammi per litro g/l. All’accertamento del reato consegue in ogni caso la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida da uno a due anni. Se il veicolo appartiene a persona estranea al reato, la durata della sospensione della patente è raddoppiata […]”.
La condotta tipica, delineante un reato istantaneo, consiste nella manifestazione di indisponibilità del soggetto agente a sottoporsi agli accertamenti legittimamente richiesti in presenza delle condizioni previste dai commi III, IV e V dell’articolo in esame. Secondo illustre giurisprudenza, il rifiuto può esplicarsi in un dissenso verbale ovvero essere dedotto da un comportamento elusivo del metodo idoneo a consentire l’esame.
A titolo esemplificativo, integra il reato de quo il caso in cui il soggetto agente, seppur correttamente edotto circa le modalità di esecuzione del test, continui ad aspirare invece di soffiare all’interno dell’etilometro (Cass. n. 5409/2015) oppure la condotta di colui che, pur essendosi sottoposto a più accertamenti preliminari per la verifica dello stato di alterazione psicofisica derivante dall’influenza dell’alcool, si rifiuti di procedere all’alcoltest nonostante l’ultimo di essi abbia dato esito positivo, in quanto l’art. 186, co. III, cod. str. non prevede limiti alla ripetizione delle prove preliminari, né pone condizioni alla facoltà degli agenti di procedervi, trattandosi di “accertamenti qualitativi non invasivi” (Cass. n. 51773/2014).
La nuova causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto – in breve
Con il D.Lgs. 16 marzo 2015, n. 28, è stato recentemente introdotto nell’ordinamento il nuovo istituto della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, il quale persegue una finalità connessa ai principi di proporzione ed extrema ratio, quale quella di ridimensionare il carico penale con l’eliminazione di fatti marginali.
In particolare, l’art. 131 bis c.p. prevede l’applicazione della nuova disciplina per tutti quei reati per i quali è prevista la sola pena pecuniaria o la pena detentiva non superiore a cinque anni, sia nelle ipotesi che le due tipologie di pena siano congiunte sia che siano previste in modo distinto. Per l’individuazione della cornice edittale non si tiene conto delle circostanze (co. IV), ad eccezione di quelle per le quali la legge prevede una pena diversa da quella ordinaria e le circostanze ad effetto speciale.
Ai fini della configurabilità della causa di cui all’art. 131 bis c.p., si richiede una valutazione complessa e congiunta di tutte le peculiarità della fattispecie concreta, tenendo conto della “particolare tenuità del fatto” e della “non abitualità del comportamento”.
Quanto al primo requisito, esso si sviluppa intorno a due indici, e cioè le modalità della condotta e l’esiguità del danno o del pericolo, da valutarsi sulla base dei criteri di cui all’art. 133 c.p. (natura, specie, mezzi, oggetto, tempo, luogo e ogni altra modalità dell’azione, intensità del dolo e grado della colpa).
Con riferimento alla “non abitualità del comportamento” (co. III), per cui è d’uopo considerare anche le condotte antecedenti e successive alla commissione del fatto, le S.U. hanno chiarito che si parla di abitualità quando l’autore, anche successivamente al reato per cui si procede, ha commesso almeno due illeciti, oltre quello preso in esame.
La questione
Ebbene, secondo un primo orientamento, la natura istantanea del reato di cui all’art. 186, co VII, c.p., per cui esso viene integrato dal mero rifiuto del conducente a sottoporsi all’alcoltest, andrebbe a pregiudicare immediatamente i beni giuridici protetti, ovverosia la regolarità della circolazione e della sicurezza stradale, in palese violazione della ratio dell’istituto. Tale circostanza non consentirebbe, quindi, una graduazione di offensività ex art. 131 bis c.p. D’altronde, secondo i fautori di tale indirizzo, la valutazione di maggiore o minore pericolosità sarebbe già stata effettuata dal Legislatore, con la previsione del limite tra la rilevanza penale e quella amministrativa. Infine, non sarebbe neppure possibile avanzare un’analisi del co. VII senza dapprima porre l’attenzione sul co. II. Ed invero, quest’ultimo prevede la configurabilità di un illecito amministrativo nelle ipotesi di guida in stato di ebrezza con quantità di alcool nel sangue compresa tra gli 0,5 e gli 0,8 g/l, comportando una sicura applicazione della sanzione. Diversamente, coloro che fossero sorpresi alla guida con un tasso alcolemico inferiore, seppur penalmente rilevante, potrebbero godere della “non punibilità”, così evidenziando una disparità di trattamento, in violazione dell’art. 3 Cost.
In virtù di un differente filone giurisprudenziale, tuttavia, sarebbe possibile sostenere una pari applicabilità dell’art. 131 bis c.p. ai casi previsti dal comma II dell’art. 186 cod. str., argomentando l’assunto con una interpretazione sistematica della norma de qua, avente natura sostanziale. Infatti, la nuova causa di non punibilità trova la propria collocazione nella parte generale del codice penale, potendo così essere applicata a tutti i reati di parte speciale che rispettano i già chiari limiti previsti dal Legislatore.
La pronuncia delle Sezioni Unite
“La causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto di cui all’art. 131- bis c.p. può operare anche con riferimento al reato di rifiuto di sottoporsi al test di accertamento alcoolmetrico di cui all’art. 186, comma 7, cod. str. ed in generale con riferimento a qualsiasi illecito di pericolo astratto” (Cass. S.U. n.13682/2016).
Al fine di risolvere l’acceso dibattito giurisprudenziale, la Suprema Corte ha dapprima evidenziato il già citato carattere sostanziale dell’istituto, il quale ha lo scopo di espungere dal sistema penale quei “fatti storici” marginali.
Ha poi inteso valorizzare il profilo della “offensività” della condotta tenuta dal soggetto agente, accertando le modalità della stessa, l’esiguità del danno o del pericolo ed il grado di colpevolezza, ai sensi dell’art. 133 c.p. Ed è proprio in riferimento alla condotta tenuta dal reo che la Corte, alla luce di una interpretazione letterale dell’accezione di “comportamento”, contenuta nella disposizione di cui all’art. 186, co. VII, cod. str., ha precisato che ai fini dell’applicazione della nuova causa di non punibilità non deve aversi riguardo esclusivamente alla condotta tipica ma, altresì, alle sue forme di estrinsecazione nonché all’elemento soggettivo del reo.
Al fine di perfezionare la ratio della contravvenzione, quindi, deve tenersi conto del collegamento tra detto reato e quello di guida in stato di ebbrezza, atteso che il co. VII dell’art. 186 cod. str. non punisce una mera, astratta, disobbedienza ma un rifiuto connesso a condotte di guida indiziate di essere gravemente irregolari e tipicamente pericolose.
In aggiunta, rispetto ai reati che prevedono soglie di punibilità, non può escludersi a priori l’operatività del nuovo istituto per il solo fatto che si tratti di un’ipotesi in cui è lo stesso Legislatore ad aver effettuato una precisa scelta di politica criminale in relazione alla punibilità. Contrariamente, l’organo giudicante deve considerare attentamente il caso di specie. Del resto, la circostanza che il Legislatore abbia richiamato, quale indice di tenuità, anche il profilo dell’entità del danno o del pericolo, induce a ritenere che non ci si possa limitare ad un semplice giudizio circa l’avvenuta o meno messa in pericolo o lesione del bene giuridico protetto.
In definitiva, “Qualunque reato può essere offensivamente tenue. E’ la concreta manifestazione del reato che ne segna il disvalore”.
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Serena Savona
Nata a Erice (TP) nel 1990, ha conseguito la laurea magistrale in giurisprudenza nel marzo 2016 con pieni voti, presso l'Università degli Studi di Palermo.
Nel corso della formazione forense, ha collaborato con il Tribunale di Trapani, Sezione Penale, partecipando altresì alla redazione di provvedimenti giudiziari.
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