Il riparto di giurisdizione in materia urbanistica ed edilizia, con particolare riguardo ai comportamenti della pubblica amministrazione

Il riparto di giurisdizione in materia urbanistica ed edilizia, con particolare riguardo ai comportamenti della pubblica amministrazione

La giustizia amministrativa italiana è organizzata secondo il sistema della doppia giurisdizione. Tale principio è enunciato dalla Costituzione (artt. 24, 103 e 113 Cost.), la quale fonda il riparto delle controversie tra g.o. e g.a. sulla cosiddetta causa pentendi, ovvero sulla natura della situazione giuridica soggettiva lesa (rispettivamente di diritto soggettivo o di interesse legittimo).

L’eccezione a tale regola generale si rinviene nei casi di casi di giurisdizione esclusiva, in cui al g.a. compete la cognizione anche dei diritti soggettivi (art. 103 Cost.).

Scendendo dal dato costituzionale e focalizzandosi sulle norme codicistiche, si nota come queste abbiano mantenute inalterate le caratteristiche proprie della giurisdizione amministrativa già tracciate dalla Costituzione. Invero, l’art. 7, comma 1, c.p.a. devolve alla giurisdizione amministrativa “le controversie nelle quali si faccia questione di interessi legittimi e nelle particolari materie indicate dalla legge di diritti soggettivi, concernenti l’esercizio o il mancato esercizio del potere amministrativo, riguardanti provvedimenti, atti, accordi o comportamenti riconducibili anche mediatamente all’esercizio di tale potere posti in essere da pubbliche amministrazioni”.

Da un esame complessivo delle norme è possibile, dunque, affermare che la giurisdizione amministrativa è connessa al potere delle pubbliche amministrazioni, nella quali il c.p.a. ricomprende “anche i soggetti ad esse equiparati o comunque tenuti al rispetto del procedimento amministrativo” (art. 7, comma 2, c.p.a.).

L’art. 133 c.p.a., invece, si occupa dei casi di giurisdizione esclusiva in cui il g.a. è competente a conoscere anche dei diritti soggettivi. L’esigenza di prevedere casi di giurisdizione esclusiva, dapprima con singole leggi di settore, poi riunificate sotto l’art. 133 c.p.a., risponde alla necessità di evitare il caso del cosiddetto concorso di giurisdizioni. Tale circostanza si verifica allorquando per la stessa materia sussiste la giurisdizione del g.o. e del g.a. perché in essa sono rintracciabili sia profili di diritti soggettivi, sia profili di interessi legittimi. Per evitare, dunque, questa duplicazione di giurisdizioni, il legislatore ha previsto la deroga alla regola secondo cui il g.a. è competente a conoscere solo degli interessi legittimi.

Tuttavia, la possibilità per questi di conoscere anche, nelle particolari materie indicate dalla legge (artt. 7 e 133 c.p.a.), dei diritti soggettivi è sottoposta a dei limiti individuati da una sentenza della Corte Costituzionale, la quale ha stabilito che la possibilità accordata al Legislatore di istituire casi di giurisdizione esclusiva deve giustificarsi dal fitto intreccio di posizioni di diritto soggettivo e di interesse legittimo che non consentono di scegliere verso la riconducibilità a favore dell’uno o dell’altro.

Mentre sarebbe da stigmatizzare la pregressa tendenza del Legislatore di istituire giurisdizioni esclusive basate sulla sola circostanza che vi era coinvolta una p.a. senza che questa esercitasse nella vicenda alcun potere autoritativo (si pensi al caso dei pubblici servizi e dell’edilizia ed urbanisitica). A giustificare detti casi di giurisdizione esclusiva, dunque, deve esservi sempre la circostanza che la p.a. coinvolta abbia esercitato un potere amministrativo.

Ciò posto in termini generali, si rileva che la materia dell’urbanistica ed edilizia oggi trova la sua disciplina sostanziale in leggi di settore (si pensi al D.P.R. n. 380/2001) e la sua regolamentazione processuale all’art. 133, comma 1, lett. F), secondo cui “le controversie aventi ad oggetto gli atti ed i provvedimenti delle pubbliche amministrazioni in materia di urbanistica ed edilizia, concernenti tutti gli aspetti del territorio sono devolute alla giurisdizione esclusiva del g.a.”.

Chiarito ciò, resta adesso da soffermarsi sui comportamenti della pubblica amministrazione.

L’agire dell’analisi comportamentale della p.a. impone preliminarmente di definire il termine “comportamento”. Esso, generalmente indica “l’atto materiale di agire in un certo modo o per un determinato fine”.

Tuttavia, non si deve ridurre la nozione di comportamento alle sole azioni positive, escludendo quelle omissive, perché anche le omissioni sono in grado di comportare delle modificazioni della realtà (si pensi alla categoria del reato omissivo di all’art. 40, comma 2, c.p. o al silenzio significativo ex artt. 20 e 25 legge n. 241/1990, ovvero ai comportamenti concludenti in ambito contrattuale).

Per quanto specificamente concerna il diritto amministrativo, esso costituisce ormai una delle forme in cui può agire la pubblica amministrazione e la riprova ne è la legislazione sostanziale (D.P.R. n. 380/2001 e art. 4 d.l. n. 90/2008) e processuale che la richiama (artt. 7, 31, 117 e 133 c.p.a.).

Da un’analisi delle norme sopra richiamate, è possibile individuare il diverso modo di atteggiarsi dei comportamenti a seconda che siano collegati direttamente o mediatamente col potere ovvero in assenza di connessione.

Come noto, il riparto di giurisdizione è dato dal collegamento o meno col potere amministrativo, tale criterio consente di distinguere la posizione giuridica vantata dal privato (rispettivamente di interesse legittimo o di diritto soggettivo) a seconda della circostanza che la p.a. abbia esercitato (anche se in maniera impropria) un potere che la legge le attribuisce, ovvero abbia agito in assenza di tale presupposto. Su tale regola (cattivo uso/carenza del potere) si basa oggi, ormai pacificamente, il problema dell’individuazione del giudice competente a fronte dell’agire amministrativo.

E’ necessario a questo punto, applicare tali coordinate ermeneutiche alle differenti tipologie di comportamenti amministrativi.

Questi possono distinguersi in tre tipologie: comportamenti direttamente collegati al potere, comportamenti mediatamente collegati al potere e comportamenti meri.

Per quanto concerne ai primi, essi sono quelli che danno diretta esecuzione ai provvedimenti amministrativi, senza i quali non sarebbe possibile sprigionare la forza autoritativa della p.a.

Quanto ai comportamenti mediatamente collegati all’esercizio del potere, si tratta di tutti quei casi in cui gli stessi non sono diretta esecuzione di un provvedimento amministrativo, ma presentano con questo un collegamento “mediato” col potere (art. 7, comma 1, c.p.a.). Infine, quanto ai comportamenti meri, essi stante, l’assenza di qualsivoglia legame col potere amministrativo (manca la norma attributiva del potere), sono devoluti alla giurisdizione del g.o.

Inquadrati in generali i comportamenti amministrativi, resta da soffermarsi sui comportamenti della pubblica amministrazione in materia di edilizia ed urbanistica.

Da un’analisi dell’art. 133, comma 1, lett. F), c.p.a. si nota come la disposizione, nel prevedere la giurisdizione esclusiva del g.a. in materia di urbanistica ed edilizia, non includa nella stessa anche i comportamenti.

Tuttavia, questo vuoto normativo, è stato colmato dalla prevalente giurisprudenza facendo rientrare anche i comportamenti in materia di urbanistica ed edilizia nell’ampia accezione del termine “atto” di cui all’art. 7, comma 1, c.p.a. Per cui è possibile sostenere che il g.a. è competente a conoscere anche dei comportamenti amministrativi in materia di urbanistica ed edilizia mediante il combinato disposto degli artt. 7, comma 1, e 133, comma 1, lett. F), c.p.a.


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Fabio Toto

Ha conseguito la laurea magistrale in Giurisprudenza nel 2010, con la votazione di 105/110, presso l’Università Lumsa di Palermo, discutendo una tesi in materia di Diritto Commerciale. Ottiene, nel 2012, il diploma di specializzazione per le professioni legali presso la Scuola di Specializzazione Lumsa di Palermo e parallelamente svolge il tirocinio presso gli Uffici Giudiziari del Palazzo di Giustizia di Palermo. Per la preparazione teorica, ha frequentato corsi di formazione giuridica avanzata, tenuti da Consiglieri di Stato, approfondendo, in particolare, il diritto civile, penale ed amministrativo. È iscritto all’albo del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Palermo dal 2016 (Tess. n. 224/16). In qualità di autore ha scritto per riviste scientifiche ed è cultore di istituzioni di diritto pubblico presso l’università degli studi di Palermo.

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