Il risarcimento del danno da emotrasfusione (note a margine di Cass. 6 maggio, n. 8532/2020)
La sent. n. 8532/2020 della Corte di Cassazione si occupa molto sinteticamente della responsabilità derivante da morte del paziente che abbia subito una trasfusione di sangue.
Anticipiamo le conclusioni della pronuncia del 6 maggio: agli eredi va riconosciuto il diritto al risarcimento per la morte del familiare dovuta a contagio da emotrasfusione; il risarcimento del danno non patrimoniale è determinato in via equitativa; nella determinazione, va tenuto conto dell’aspettativa di vita del de cuius, in modo che tanto maggiore sarà il risarcimento quanto più alta era l’aspettativa al tempo della morte; dal risarcimento così determinato va sottratto quanto percepito già a titolo di indennizzo.
Il tema non è affatto semplice e la pronuncia non esplicita i passaggi che hanno condotto i giudici alla decisione. La sentenza rappresenta l’occasione, quindi, per chiarire ed esaminare gli istituti e i temi che ne stanno alla base.
In primo luogo, occorre ricordare che nel nostro ordinamento il danno risarcibile è sempre un danno conseguenza. Tra l’illecito (la trasfusione difettosa) e la morte o lesione, dovrà esistere, perciò, un rapporto di causa-effetto; inoltre, dall’evento mortale devono discendere, in modo diretto e immediato, conseguenze negative, di tipo patrimoniale e non patrimoniale. Per “danno” risarcibile deve intendersi, infatti, solo tale conseguenza. Come è noto, l’evoluzione giurisprudenziale ha stabilito da tempo che la lesione della salute o di qualsiasi diritto costituzionalmente protetto può rappresentare di per sé una “diminuzione del patrimonio personale” (c.d. danno biologico) ed è, pertanto, risarcibile. A questo, va aggiunto il danno – anch’esso non patrimoniale e risarcibile – consistente nella perdita delle abitudini di vita e/o delle relazioni in conseguenza della lesione subita (c.d. danno esistenziale), manche il danno identificabile con la sofferenza fisica e psicologica patita dal soggetto leso (c.d. danno morale).
Tali danni, avendo natura non patrimoniale, non possono essere determinati nel loro esatto ammontare; per queste ragioni il giudice dovrà fare riferimento al criterio equitativo (art. 1226 c.c.), al quale soccorrono le Tabelle elaborate dal Tribunale di Milano e il Codice delle Assicurazioni (art. 138).
In caso di morte del paziente, occorre tener presente il diritto spettante agli eredi. Accade infatti che in capo al paziente deceduto sorge un diritto al risarcimento; tale diritto, alla morte del de cuius, entra in successione e si trasferisce agli eredi. Pertanto, questi ultimi vanteranno un diritto di credito iure successionis verso il sanitario che ha effettuato la trasfusione letale (intendendo con “iure successionis” il fatto che tale diritto nasce nel patrimonio del paziente e si trasferisce in quello degli eredi, i quali acquistano il credito per via ereditaria). Questo diritto al risarcimento spettante agli eredi va distinto da un diritto che nasce già nel patrimonio dei parenti della vittima; essi vantano, infatti, un diritto loro proprio sin dal principio, ossia il diritto al risarcimento del danno provocato dalla perdita del caro defunto. Dalla morte può derivare, invero, una sofferenza psicologica ed emotiva che si ripercuote, anche, sullo stile e le abitudini di vita (danno non patrimoniale da perdita parentale); può derivare, inoltre, una perdita di natura economica, laddove il parente defunto costituisse per la famiglia superstite una fonte di reddito (danno patrimoniale).
Il risarcimento del danno da emotrasfusione pone, infine, un problema di compatibilità fra il risarcimento spettante alla vittima (o ai parenti) e il diritto all’indennizzo previsto dalla legge n. 210/1992. Tale legge prevede la corresponsione di una somma a carico del Ministero della Salute e in favore della vittima di emotrasfusione negativa (in particolare, in caso di contagio da emotrasfusione di sangue infetto). Sul punto va richiamato il discusso istituto della compensatio lucri cum danno, come di recente rimodulato dalla Corte di Cassazione (sentt. nn. 12564, 12565, 12566, 12567 del 2018). In breve, laddove la vittima abbia già ottenuto l’indennizzo dal Ministero, tale somma dovrà scomputarsi dal risarcimento a cui è tenuto il medico “trasfusore” responsabile. Diversamente – se, cioè si riconoscesse alla vittima o ai suoi eredi sia l’indennizzo sia il risarcimento per intero – il danneggiato ne uscirebbe indebitamente arricchito; va ricordato, infatti, che la funzione del risarcimento è riparativa; esso mira a riparare la perdita subita rispetto alla situazione iniziale, ossia a rimuovere le conseguenze negative dell’illecito, senza assicurare alla vittima nulla di più o di meno (principio di indifferenza).
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Simone Risoli
Gennaio 1991, Avvocato, laureato nel 2015 presso l'Università degli Studi di Milano, già tirocinante presso le sezioni civili e penali del Tribunale di Milano e la Prima Corte di Assise, cultore della materia presso il Dipartimento Beccaria dell'Università degli studi di Milano, già collaboratore presso la Commissione Tributaria Regionale della Lombardia.
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