Il risarcimento del danno esistenziale da privazione della figura genitoriale

Il risarcimento del danno esistenziale da privazione della figura genitoriale

Introduzione. La condotta di un genitore che limita fortemente la possibilità per l’altro genitore di instaurare con il figlio un legame parentale cagiona un pregiudizio da inquadrarsi nell’alveo del “danno esistenziale”, trattandosi, nella fattispecie, del danno da privazione del rapporto parentale[1].

Secondo la giurisprudenza di legittimità, tale danno è da intendersi quale forma di danno non patrimoniale e rientra in una “nozione unitaria che comprende il danno da lesione di diritti fondamentali della persona costituzionalmente tutelati, tra i quali è primario il diritto all’esplicazione della propria personalità mediante lo sviluppo dei propri legami affettivi e familiari, quale bene fondamentale della vita, protetto dal combinato disposto dagli artt. 2, 29 e 30 della Costituzione[2].

Il danno da privazione del rapporto parentale. La Corte di Cassazione ha osservato che sussiste un “diritto alla identità personale”, di cui agli artt. 2[3], 29[4] e 30[5] Cost., che impone l’obbligo di garantire «l’esplicazione della personalità dell’essere umano, nelle formazioni sociali in cui opera, anche attraverso la filiazione, sia sotto il profilo della trasmissione del proprio patrimonio genetico, sia sotto l’aspetto maggiormente qualificante più propriamente relazionale»[6].

A riguardo, i giudici di merito[7] hanno ricondotto nell’alveo del danno endofamiliare la lesione cagionata ad un genitore, che – a causa del comportamento ostativo dell’altro, in violazione del dovere morale e giuridico di non ostacolare, ma al contrario di favorire, la partecipazione dell’altra figura genitoriale alla crescita ed alla vita affettiva del figlio – è stato privato della partecipazione alla crescita ed allo sviluppo del figlio.

Trattasi di illecito endofamiliare cosiddetto da privazione del rapporto genitoriale.

Tale fattispecie integra la lesione del diritto personale alla genitorialità, giacché provoca nella figura genitoriale una sofferenza per non aver potuto assolvere, non per sua volontà, agli stringenti doveri verso il minore, né soddisfare i suoi legittimi diritti di genitore, con significativi riflessi anche sulla propria vita di relazione. Si tratta di menomazioni fortemente incidenti sulla salute psico-fisica di un individuo, per le quali può essere fatta valere l’aspettativa riparatrice, essendo stato il genitore privato della possibilità di esercitare il suo ruolo ed essendo venuta meno la possibilità di assistere alla crescita e ad importanti cambiamenti del minore.

Ebbene, come osservato dai giudici di legittimità[8], l’aver privato il figlio della figura genitoriale paterna, punto di riferimento fondamentale nella fase della crescita del minore, integra un fatto generatore di responsabilità aquiliana. In forza di tale conclusione, responsabile di ciò deve ritenersi la figura genitoriale, che, «con il suo ostinato, caparbio e reiterato comportamento, cosciente e volontario, è venuta meno al fondamentale dovere, morale e giuridico, di non ostacolare, ma anzi di favorire la partecipazione dell’altro genitore alla crescita ed alla vita affettiva del figlio», causando all’altra «un danno non patrimoniale da intendersi nella sua accezione più ampia di danno determinato dalla lesione di interessi inerenti la persona non connotati da rilevanza economica»[9].

La quantificazione del danno esistenziale da privazione del rapporto parentale. Il genitore che viene meno al fondamentale dovere, morale e giuridico, di non ostacolare, ma contrario di favorire, la partecipazione dell’altro genitore alla crescita ed alla vita affettiva del figlio è da ritenersi responsabile per il grave pregiudizio arrecato al diritto personale del genitore non affidatario alla piena realizzazione del rapporto parentale.

Il presupposto per accordare al genitore ed al minore il diritto di ottenere il risarcimento del pregiudizio sofferto è il riconoscimento dei cosiddetti “diritti della famiglia” (artt. 2, 29 e 30 Cost.), da cui deriva non solo la tutela delle estrinsecazioni dell’individuo nell’ambito di quel nucleo familiare, ma anche delle modalità di realizzazione della sua vita alla stregua dei valori e dei sentimenti conseguenti al rapporto parentale.

Orbene, se il fatto ha profondamente alterato l’assetto familiare, provocando sia una dilatazione dei bisogni e dei doveri, sia una determinante riduzione delle positività che ne conseguono, il danno non patrimoniale trova ristoro nell’ambito della tutela apprestata dall’art. 2059 c.c.[10]. Ciò in quanto esso consegue alla violazione dei diritti inviolabili della famiglia, traducendosi nella lesione di interessi inerenti la persona non connotati da rilevanza economica. Infatti, in virtù del principio della tutela risarcitoria spettante ai diritti costituzionali inviolabili, la tutela si estende alle ipotesi di danno non patrimoniale determinato dalla lesione di diritti inviolabili della persona sanciti a livello costituzionale[11].

Quanto alla determinazione del quantum del risarcimento, occorre considerare il valore in termini economici che la perdita del figlio ha cagionato al genitore, con la precisazione che si tratta del ristoro del danno che dalla mancata o tardiva relazione con il medesimo è derivata al genitore illegittimamente privato, per fatto e colpa dell’altro, della relazione con il figlio. Tuttavia, tale voce di danno non è soggetta a precise quantificazioni monetarie, ragion per cui si impone la liquidazione in via equitativa, ex art. 1226 c.c.[12]. A tal proposito, il Tribunale di Milano, con una recente sentenza[13], ha aderito all’orientamento precedentemente adottato dalla Corte d’Appello di Brescia[14], che nel caso del danno endofamiliare da privazione del rapporto genitoriale applica, come riferimento liquidatorio, la voce prevista dalle Tabelle adottate dall’Osservatorio sulla Giustizia Civile di Milano, costituendo parametro vincolante, attesa la loro diffusione sul territorio nazionale e l’esigenza di garantire uguaglianza nel momento risarcitorio[15].

 

 

 


[1] In altri termini, si tratta di «quella lesione derivante dalla perdita, dalla privazione o dalla preclusione del rapporto con un congiunto e che si concretizza quindi nell’impossibilità di godere di quel sistema di vita basato sulla condivisione, affettività e rasserenante quotidianità del rapporto tra i congiunti» (Trib. Milano, Sez. IX, 05.10.2016).
[2] Cass. civ., SS. UU., 11.11.2008, n. 26972.
[3] Art. 2 Cost.: “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”.
[4] Art. 29 Cost.: “La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio. Il matrimonio è ordinato sull’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell’unità familiare”.
[5] Art. 30 Cost.: “È dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori del matrimonio. Nei casi di incapacità dei genitori, la legge provvede a che siano assolti i loro compiti. La legge assicura ai figli nati fuori del matrimonio ogni tutela giuridica e sociale, compatibile con i diritti dei membri della famiglia legittima. La legge detta le norme e i limiti per la ricerca della paternità”.
[6] Cass. civ., Sez. III, 05.05.2020, n. 8459.
Nella stessa occasione, i giudici di legittimità hanno osservato che «La omessa informazione dell’avvenuto concepimento da parte della donna, consapevole della paternità, pure in assenza di una specifica prescrizione normativa impositiva di tale obbligo di condotta […] può allora tradursi in una condotta “non jure” – ove non risulti giustificata da un oggettivo apprezzabile interesse del nascituro -, in quanto in astratto suscettibile di determinare un pregiudizio all’interesse del padre naturale ad affermare la propria identità genitoriale, qualificabile come “danno ingiusto”».
[7] Ex plurimis: Trib. Roma, 13.06.2000; Trib. Monza, 08.07.2004, n. 2994; Trib. Roma, Sez. I civ., 13.09.2011.
[8] Cass. civ., Sez. I, 22.07.2014, n. 16657.
[9] Trib. Roma, Sez. I civ., 13.09.2011.
[10] Art. 2059 c.c. (“Danni non patrimoniali”): “Il danno non patrimoniale deve essere risarcito solo nei casi determinati dalla legge”.
[11] L’art. 2059 c.c. è una norma deputata alla tutela risarcitoria del danno non patrimoniale inteso nella sua più ampia accezione; la risarcibilità del danno non patrimoniale postula, sul piano dell’ingiustizia del danno, la selezione degli interessi dalla cui lesione consegue il danno. Si tratta di una selezione che avviene a livello normativo, negli specifici casi individuati dalla legge o, in via interpretativa, da parte del giudice, chiamato ad individuare la sussistenza, alla stregua della Costituzione, di uno specifico diritto inviolabile della persona presidiato dalla minima tutela risarcitoria.
Fuori dai casi determinati dalla legge, è data tutela risarcitoria al danno non patrimoniale solo se sia accertata la lesione di un diritto inviolabile della persona: deve sussistere una ingiustizia costituzionalmente tutelata. In tali ipotesi, non emergono, nell’ambito della categoria generale del “danno non patrimoniale” distinte species, ma si concretizzano soltanto casi specifici determinati dalla legge, al massimo livello costituito dalla Costituzione, di riparazione del danno non patrimoniale. In tal senso, è a fini descrittivi che, nel caso di lesione di diritti della famiglia (artt. 2, 29 e 30 Cost.), si utilizza la definizione “danno da perdita del rapporto parentale”.
[12] Art. 1226 c.c. (“Valutazione equitativa del danno”): “Se il danno non può essere provato nel suo preciso ammontare, è liquidato dal giudice con valutazione equitativa”.
[13] Trib. Milano, 05.10.2016.
[14] Corte d’Appello di Brescia, 01.03.2012.
[15] Trib. Milano, 05.10.2016. Conformi ex plurimis: Cass. civ., Sez. I, 19.07.2012, n. 12549; Cass. civ., Sez. III, 30.06.2011, n. 14402; Cass. civ., Sez. III, 07.06.2011, n. 12408).
Le tabelle adottate dall’Osservatorio sulla Giustizia Civile di Milano prevedono, a favore di un figlio per la perdita di un genitore, un risarcimento ricompreso tra € 163.990,00 ed € 327.999,00. Poiché nel caso di specie non si verte in una ipotesi di morte del figlio, si deve prendere come valore di riferimento l’importo minimo indicato. A questa somma si devono apportare gli opportuni correttivi per arrivare alla corretta determinazione del risarcimento relativo alla fattispecie. Secondo il Tribunale di Milano, quindi, l’iter logico che deve essere seguito è relativo alla previa divisione del parametro dettato per la “perdita del figlio” per gli anni di vita media di una persona, al fine di calcolare il “valore” della perdita della relazione con il figlio, rapportato al singolo anno di vita del figlio di cui il genitore non ha potuto godere. A tale risultato dovranno, poi, essere apportati i correttivi, in aumentoo in diminuzione, al fine di adeguare un calcolo meramente matematico ad una realtà che non può essere valutata attraverso un mero calcolo aritmetico.

Salvis Juribus – Rivista di informazione giuridica
Direttore responsabile Avv. Giacomo Romano
Listed in ROAD, con patrocinio UNESCO
Copyrights © 2015 - ISSN 2464-9775
Ufficio Redazione: redazione@salvisjuribus.it
Ufficio Risorse Umane: recruitment@salvisjuribus.it
Ufficio Commerciale: info@salvisjuribus.it
***
Metti una stella e seguici anche su Google News
The following two tabs change content below.

Sara Ionà

- Laurea Magistrale in Giurisprudenza (LMG/01) presso l'Università degli Studi di Roma, "RomaTre", Dipartimento di Giurisprudenza, Corso di Laurea Magistrale, con tesi di laurea in diritto penale, "Le situazioni preclusive dei benefici penitenziari (art. 4-bis ord. penit.)". - Praticante Avvocato Abilitata al patrocinio.

Articoli inerenti