Il ruolo del teatro e della cultura nel percorso di reinserimento sociale

Il ruolo del teatro e della cultura nel percorso di reinserimento sociale

Il teatro in carcere si è sviluppato a partire dagli anni 80. Difatti, a partire da questo periodo l’Amministrazione Penitenziaria si è impegnata a garantire l’apertura di nuovi spazi e lo sviluppo di progetti di sperimentazione e formazione tramite il coinvolgimento degli enti locali e culturali. Alcune esperienze hanno assunto una dimensione europea, tanto che dal 2014, il 27 marzo si festeggia ogni anno la Giornata nazionale del teatro in carcere, in concomitanza con la Giornata mondiale del teatro, indetta a livello internazionale dalla sede Unesco di Parigi. Il valore del teatro nel contesto carcerario si ricollega all’art 27 della Cost., ossia rientra negli strumenti trattamentali, utili a favorire la rieducazione e la risocializzazione del detenuto. Il teatro infatti, esplica una doppia funzione: una terapeutica-catartica ed un’altra pedagogica. Entrambe sono indispensabili, nell’ottica di favorire un miglioramento dei partecipanti, poiché evitano il consolidarsi di comportamenti criminali e riescono a fornire una prospettiva futura, tramite gli spettacoli finali, percepiti spesso come possibile e futuro collegamento tra realtà carceraria e società esterna[1].

La formazione in carcere, dunque, ha l’obiettivo non solo di offrire ai detenuti la possibilità di analizzare tutte quelle possibilità mancate che li avrebbero potuti portare a fare  scelte di vita diverse, ma anche di facilitare interventi di progettazione educativa, passando dalla funzione compensatoria della detenzione alla visione del carcere come ambiente volto a facilitare l’ apprendimento, necessario ai fini del reinserimento sociale. Un carcere quindi che, attraverso le occasioni culturali e formative, si pone come “comunità educante” per il miglioramento della condizione attuale di ogni soggetto recluso.

Il teatro in carcere, garantendo ai detenuti uno spazio esterno in cui possono, tramite la rappresentazione scenica diventare ciò che vogliono, spesso anche riscattandosi, attraverso il risultato finale, si configura come un valido strumento utile per rafforzare la desistenza alla condotta criminale. Questo obiettivo si può perseguire nel lungo periodo solo attraverso la valorizzazione del capitale sociale, perché da questo derivano le concrete possibilità di reinserimento socio-lavorativo a disposizione della persona condannata alla pena carceraria. Tra gli effetti negativi della carcerazione vi è difatti il decremento del capitale sociale fruibile da parte del recluso e «la creazione di una vera e propria “identità criminale” attraverso la quale egli comincia a percepirsi, ed ovviamente viene percepito dagli alter ego, come dedito professionalmente al crimine»[2]. L’attività teatrale può agire per contrastare entrambi questi effetti negativi, a patto che riesca a sottrarsi alle dinamiche dell’istituzione totale.

In primo luogo, attraverso il teatro i detenuti possono fare esperienza di sé, delle proprie emozioni, delle proprie paure, riuscendo a prendere le distanze dalla propria identità criminale, tramite l’esplorazione di aree della propria esistenza che erano rimaste nascoste per ignoranza o per timore di non corrispondere alle aspettative del contesto sociale in si cui trovavano a vivere. Inoltre è importante in tale ambiente mantenere alta anche la formazione degli operatori, che devono essere in grado di mostrare un atteggiamento pragmatico, evitando di alimentare false speranze di successo all’esterno ed allo stesso tempo evitare di considerare tale attività, solo come un mezzo per far passare il tempo ai detenuti, screditandone il valore. Altro punto importante è il mantenimento delle relazioni con altri, ovvero la valorizzazione del capitale sociale, che viene garantita con il teatro, perché con questo i detenuti hanno maggiori probabilità di sviluppare o preservare tale capacità di relazione, interagendo all’interno del carcere con figure positive e non istituzionalmente legate ai percorsi trattamentali.

 

 

 

 

 

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[1] BENELLI C., Il teatro come strumento formativo in carcere, in Revista Internacional de Culturas & Literaturas, 2016, Messina, pp.1-10, cit., passim
[2] SARTOZZI C., Il teatro in carcere tra cerimonie istituzionali e strumento di riabilitazione: appunti per una riflessione teorica, in https://www.antigone.it/quindicesimo-rapporto-sulle-condizioni-di-detenzione/wp- content/uploads/2019/06/39.-ANTIGONE_XVrapporto_Teatro.pdf

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Chiara Ottaviano

Dottoressa in giurisprudenza. Ho conseguito la laurea presso il dipartimento di Roma tre, ad ottobre 2022, con una tesi in diritto missionario, analizzando gli Acta Apostalicae Sedis dal 1918 al 1963. Attualmente, praticante avvocato in diritto civile, con attenzione al diritto di famiglia ed al diritto fallimentare. A settembre 2023 ho conseguito un Master di II livello in diritto penitenziario e Costituzione, presso il dipartimento di Roma tre, discutendo una tesi sulla condizione delle recluse transgender all'interno dell'amministrazione penitenziaria e sviluppando un grande interesse per la normativa concernente la comunità LGBTQAI+. Ho da poco terminato, presso il dipartimento di Giurisprudenza di Roma tre il corso in materia diritti umani e ONG curato in collaborazione con CILD. Attualmente collaboro come volontaria presso Antigone nell'ufficio del Difensore civico.

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