Il ruolo della Corte dei Conti nella prevenzione e repressione della corruzione

Il ruolo della Corte dei Conti nella prevenzione e repressione della corruzione

Sommario: 1. Introduzione al fenomeno corruttivo – 2. Evoluzione della normativa sulla corruzione fino alla legge n. 190 del 2012 – 3. provvedimenti normativi di rilievo nella lotta alla corruzione successivi alla legge anticorruzione del 2012 – 4. ANAC e le sue funzioni – 5. La Corte dei conti – 5.1. Evoluzione del fenomeno corruttivo attraverso l’occhio vigile della Corte dei conti – 5.2. Nascita della Corte dei conti. Premesse storiche (articolo giudizi di conto) – 5.3. Le riforme della Corte dei conti post anni 70 – 5.4. Le funzioni di controllo della Corte dei conti – 5.4.1. Le Sezioni riunite in sede di controllo – 5.4.2. Controllo preventivo di legittimità – 5.4.3. Controllo successivo sulla gestione delle amministrazioni dello Stato – 5.4.4. Controllo sulla gestione finanziaria degli enti – 5.4.5. I controlli sul sistema delle autonomie – 5.4.6. I controlli sulla finanza territoriale – 5.5.  La responsabilità amministrativo-contabile della Corte dei conti – 5.5.1. Giudizi di conto – 5.5.2. Giudizio in materia di responsabilità amministrativa per danno erariale – 5.6. Il sistema sanitario – 5.7. La Corte dei conti a livello internazionale (relazione inaugurazione anno giudiziario 2021) – 6. Conclusioni

1. Introduzione al fenomeno corruttivo

Il fenomeno della corruzione consiste in un fenomeno antico quanto attuale e attraverso i secoli ha continuato inesorabilmente la sua corsa, assumendo le forme più disparate e adattandosi ai costumi dell’epoca sui quali andava ad impattare. Di corruzione se ne parlava già ai tempi di Cicerone: emblematica fu la grande inchiesta condotta nel 70 a.c. dal grande oratore Marco Tullio Cicerone, il quale in un processo spettacolare infiammò il popolo romano con una requisitoria volta ad accusare Gaio Verre, ex governatore della Sicilia, imputato per concussione, peculato, appropriazione indebita, furto, vendita di sentenze, manipolazione di appalti, corruzione elettorale, sequestro di persona, frode, intimidazione, tortura e omicidio, affinché fosse inflitta allo stesso una condanna esemplare, che scoraggiasse e stigmatizzasse ogni forma di corruzione.

Dal punto di vista socio-antropologico, il fenomeno corruttivo, inteso in senso lato come patto criminoso finalizzato al reciproco scambio di utilità, affonda le sue radici sin dalle prime forme di organizzazioni sociali dell’umanità.

Nei secoli precedenti fenomeni di corruzione erano già presenti in forme embrionali, con connotazioni certamente più sfumate rispetto a quelle che caratterizzano oggi tale fenomeno, legate al reciproco scambio di utilità e scevre da sofisticate tecniche criminologiche. Difatti, andando ad esaminare l’etimologia del termine “corruzione”, ne deriva che lo stesso deriva dal latino “corrumpĕre”, nel senso di guastare, disfare, in cui viene enfatizzato l’elemento di dannosità e di stigma sociale[1].

La corruzione acquisisce una dimensione giuridica più rilevante sulla scorta del processo di burocratizzazione e centralizzazione del potere amministrativo e organizzativo degli Stati, che raggiunge la sua massima espressione nel XIX secolo, con l’affermazione dello “stato-nazione”.

Nell’epoca più recente, con il superamento del concetto di stato-nazione, la corruzione risulta inquadrata principalmente in una dimensione economica, nel cui ambito il perseguimento costante del profitto economico espone i vari operatori del settore a comportamenti che si concretizzano in reati corruttivi.

La globalizzazione nella sfera economica, unitamente alla rapida movimentazione di capitali ad opera della digitalizzazione delle attività finanziarie e l’extraterritorialità delle transazioni, rappresentano quei fattori esogeni che hanno acuito maggiormente i fenomeni corruttivi.

La storia della corruzione nel nostro Paese sin dalla sua unione è densa di episodi corruttivi, che hanno messo in evidenza un atteggiamento passivo delle classi dirigenti nell’azione di contrasto a tale fenomeno, affiancato da una sorta di assuefazione da parte dell’opinione pubblica, ormai spettatrice impotente.

In tale contesto, vale la pena menzionare uno scritto di Benedetto Croce – Storia d’Italia dal 1871 al 1915 – in cui “nel commentare lo scandalo più grave che abbia investito la classe politica dell’Italia liberale, quello della Banca Romana, scrisse che l’effetto più dannoso si ha quando la corruzione “si addensa ma non scoppia”, cioè quando, piuttosto che indurre a mettere in opera rimedi, essa viene fatalisticamente accettata come una ineliminabile”[2].

Gli anni 90, invece, furono caratterizzati da un approccio rivoluzionario nell’ambito dell’azione di contrasto alla corruzione in tutte le sue sfumature. L’Italia attraversava un periodo di degenerazione generale, dove la classe politica continuava ad operare in violazione delle norme del Codice penale, macchiandosi dei reati più disparati e innescando un pericoloso circolo vizioso dell’illegalità sempre più difficile da arrestare.

In questo arco temporale, in particolare, si sono registrati comportamenti viziosi concernenti il campo dei contratti di appalto e fornitura, l’attribuzione di concessioni edilizie e urbanistiche, l’erogazione di finanziamenti pubblici alle aziende, nonché l’assunzione clientelare di personale e la redazione non veritiera di bilanci delle imprese.

Tale sistema fraudolento ovvero corrotto che caratterizzò la politica in collusione con l’imprenditoria italiana venne smascherato, come è noto, da una serie di invasive indagini giudiziarie (non esenti da critiche per le modalità utilizzate) condotte a livello nazionale nei confronti di esponenti della politica, dell’economia e delle istituzioni italiane, inaugurando così l’era di Tangentopoli. Tali indagini presero corpo con l’inchiesta c.d. “mani pulite”, la quale portò alla luce un sistema di corruzione, concussione e finanziamento illecito ai partiti, sviamento a fini personali di somme destinate ai partiti, giungendo ai livelli più alti del mondo politico e finanziario italiano.

Una volta archiviata l’epoca della “prima Repubblica” nulla fu più come prima e tramontata l’illusione iniziale di vedere debellata la corruzione in Italia a seguito delle note vicende giudiziarie degli anni 90, diverse forme di corruzione emersero adattandosi ai nuovi sistemi pubblici ed economici. La corruzione sistemica, più frastagliata e policentrica, “si sviluppa oggi attraverso una varietà di meccanismi di regolazione dove centri di potere autonomi – supervisionati contestualmente da alti funzionari, politici, faccendieri, manager, professionisti, boss mafiosi, etc. – assicurano prevedibilità e stabilità a condotte e relazioni tra i suoi protagonisti”[3].

Nonostante la maggiore attenzione rivolta negli ultimi anni al fenomeno generale della “malamministrazione” da parte delle Istituzioni, le quali attraverso una serie di interventi nomativi hanno cercato di attenuare il diffondersi di comportamenti corruttivi, si sono registrati, tuttavia, “rilevanti effetti distorsivi, irregolarità e illeciti penali, proprio nei settori in cui più alto è il livello della spesa: quelli della sanità, della realizzazione di opere pubbliche e della prestazione di servizi”, così come denunciato dal Procuratore Generale della Corte dei conti nella sua Relazione nel giudizio di parificazione del rendiconto generale dello Stato per l’anno 2017.

Nel corso degli anni, dunque, i fenomeni corruttivi hanno consolidato la loro presa sul tessuto economico, sociale e politico del nostro Paese, registrando un incremento notevole di gravi episodi di illegalità nell’ambito della pubblica amministrazione, alterando così il regolare meccanismo di trasparenza nelle scelte decisionali delle amministrazioni pubbliche.

Tale stato di cose ha ingenerato certamente un sentimento di sfiducia da parte dei cittadini nelle Istituzioni e nei meccanismi di legittimazione democratica, poiché la sfiducia stimola la perpetuazione di pratiche corruttive, determinando una bassa percezione degli effetti distorsivi del fenomeno con conseguente assuefazione agli stessi.

Altro effetto ad alto livello di pericolosità legato al diffondersi di comportamenti corrotti si rinviene nell’alterazione del principio di uguaglianza, in quanto i cittadini vengono privati di quelle opportunità, che permettano agli stessi di partecipare alle stesse condizioni alla vita economica e sociale di una comunità secondo un sistema di regole certe, scevro da condizionamenti esterni.

In Italia negli ultimi anni abbiamo assistito al diffondersi di pratiche contrarie al principio di uguaglianza e che hanno portato al radicamento di un sistema clientelare molto difficile da scardinare, in quanto accettato passivamente dalla società stessa, incapace di reagire e di biasimare in modo netto quegli atteggiamenti di sottomissione e di scambio di favori, che rappresentano la negazione stessa di quei valori sociali, civici, di cittadinanza e di trasparenza.

L’avvento della pandemia causata dal virus Covid-19 ha aggravato tale stato di cose; il virus non solo ha generato una crisi mondiale della civiltà in vari ambiti tra loro interdipendenti (economia, sanità, demografia, società…), ma ha provocato, parimenti, un conflitto profondo tra diritti e doveri sociali. Il ciclo economico internazionale ha inevitabilmente risentito dei riflessi drammatici causati dalla pandemia da Covid-19, che ha portato ad una recessione progressiva di portata globale e di intensità tale da creare uno shock economico, compromettendo seriamente anche le economie di quei Paesi più solidi e strutturati.

In Italia la crisi pandemica, innestandosi in un quadro economico caratterizzato da deficienze strutturali e da ritardi, ha pertanto amplificato e messo a nudo con prepotenza la vulnerabilità e le disuguaglianze tra ceti sociali, nel cui ambito le categorie più deboli (come i malati, gli anziani, i bambini, i precari, i lavoratori irregolari…) sono state messe in grave difficoltà a causa della fragilità del sistema socioeconomico italiano.

Tale stato di cose ha obbligato le istituzioni a riconsiderare assetti ormai consolidati e a mettere in campo risorse straordinarie, procedendo a riorganizzare la spesa pubblica e a individuare le priorità ritenute fondamentali al fine di poter rispondere in modo efficace ai bisogni della collettività.

Anche la Commissione europea nel suo rapporto sullo stato di diritto del 2021 aveva lanciato un monito sul rischio di infiltrazioni criminali causato della crisi da Covid-19, sottolineando come tale pandemia abbia aumentato in modo significativo il pericolo di corruzione e di reati connessi alla corruzione insinuandosi nel tessuto socioeconomico italiano[4].

Allo scopo di porre rimedio ai danni economici e sociali causati dall’emergenza sanitaria da coronavirus e di contribuire a gettare le basi per rendere le economie e le società dei Paesi europei più sostenibili, resilienti e preparate alle sfide e alle opportunità della transizione ecologica e digitale, con l’avvio del periodo di programmazione 2021-2027 e il potenziamento mirato del bilancio a lungo termine dell’UE, la Commissione europea, il Parlamento europeo e i leader dell’UE, hanno concordato un piano di ripresa basato su uno strumento finanziario da 750 miliardi di euro (il più grande pacchetto per supportare l’economia mai finanziato dall’UE) denominato Next Generation EU, strumento pensato per stimolare una “…ripresa sostenibile, uniforme, inclusiva ed equa”.

Nell’intento di garantire la possibilità di far fronte ad esigenze impreviste, l’iniziativa della Commissione europea si presenta strutturata, fondamentalmente, su tre pilastri: 1) Sostegno agli Stati membri per investimenti e riforme; 2) Rilanciare l’economia dell’UE incentivando l’investimento privato; 3) Trarre insegnamento dalla crisi.

Per accedere alle risorse del Next Generation EU ciascun Stato membro è stato chiamato a predisporre articolati Piani con indicazione delle relative strategie nei vari settori economici d’intervento e il dettaglio dei progetti e investimenti necessari per darvi attuazione. In questo contesto si è inserito Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), strumento che traccia obiettivi, riforme ed investimenti che l’Italia intende realizzare grazie all’utilizzo di tali fondi comunitari, al fine di attenuare l’impatto economico e sociale della pandemia e migliorare, pertanto, l’economia del Paese cercando di renderla maggiormente competitiva, dinamica ed innovativa.

In merito al rischio della corruzione causato dalla crisi pandemica, si deve ricordare che già nel Regolamento 2021/241 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 febbraio 2021, istitutivo del dispositivo per la ripresa e la resilienza, tra le priorità che gli Stati membri devono perseguire nella redazione e nell’attuazione del Piano sono inseriti la prevenzione e il contrasto nei casi di frode e corruzione.

A tal proposito è stato prescritto agli Stati membri di illustrare nel piano nazionale per la ripresa e la resilienza il sistema predisposto per prevenire, individuare e reprimere la corruzione, la frode e i conflitti di interessi nell’utilizzo dei fondi (art. 18), in ossequio al principio della sana gestione finanziaria delle risorse; è stato previsto, altresì, che la Commissione debba valutare tale sistema quale indice dell’efficienza del piano (art. 19), richiedendo, infine, agli Stati membri, a tutela degli interessi finanziari dell’Unione, di adottare tutte le opportune misure per garantire che l’utilizzo dei fondi sia conforme al diritto dell’Unione e nazionale applicabile. Ciò, al fine di assicurare la prevenzione, l’individuazione e il contrasto di frodi, casi di corruzione e conflitti di interessi, prevedendo un sistema di controllo interno efficace ed efficiente nonché provvedendo al recupero degli importi indebitamente versati o utilizzati in modo improprio (art. 22).[5]

Ai fini dell’attuazione del citato Reg. UE 2021/241, nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza italiano è stato inoltre previsto che ciascuna Amministrazione sia responsabile, nell’ambito degli interventi di competenza, dell’effettuazione dei controlli sulla regolarità delle procedure e delle spese, nonché dell’adozione delle misure necessarie per prevenire, individuare e sanzionare le irregolarità e gli indebiti utilizzi delle risorse stanziate. Il coordinamento e il monitoraggio a livello centrale sono invece di competenza della Ragioneria Generale dello Stato, cui competono altresì attività di controllo e di audit.

Si rileva, inoltre, che nel decreto-legge n. 77 del 2021 (convertito con modificazioni con legge n. 108 del 2021)[6], che ha provveduto a delineare il sistema di governance del PNRR, è stato previsto nello specifico che ai fini del rafforzamento delle attività di controllo, volte anche a prevenire e contrastare i fenomeni corruttivi e delle frodi – e ferme restando le competenze in materia dell’Autorità nazionale anticorruzione – le amministrazioni centrali possono stipulare d’intesa con la Guardia di Finanza specifici protocolli. In tal senso è stato stipulato il protocollo tra il Ministero dell’economia e delle finanze e la Guardia di finanza, con l’obiettivo di implementare la reciproca collaborazione e garantire un adeguato presidio di legalità a tutela delle risorse del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza.

Con il decreto-legge n. 13 del 2022[7] il legislatore ha inoltre introdotto (all’art. 2) «misure sanzionatorie contro le frodi in materia di erogazioni pubbliche», estendendo l’ambito applicativo di alcuni delitti contro la Pubblica Amministrazione e contro il patrimonio. Sebbene tale intervento risponda all’esigenza contingente di prevenire e contrastare frodi nel settore dei bonus edilizi e delle energie rinnovabili, le modifiche normative introdotte hanno portata generale.

Ulteriori controlli sull’utilizzo dei fondi PNRR, con finalità antifrode e anticorruzione, vengono svolti a livello europeo da OLAF (Ufficio Europeo Antifrode), istituito con Decisione della Commissione n. 1999/352[8], che indaga stabilmente su casi di frode o corruzione riguardanti i fondi dell’UE, a tutela degli interessi finanziari dell’Unione, ed è altresì responsabile di elaborare la politica antifrode dell’Unione europea.

In tale contesto a livello nazionale si innesta l’occhio vigile della Corte dei conti, che attraverso l’esercizio delle sue funzioni di controllo esterno nei confronti delle varie articolazioni delle amministrazioni attive garantisce il corretto e razionale utilizzo delle risorse pubbliche, nella consapevolezza di dover necessariamente operare attraverso strumenti il più possibile rapidi e innovativi, ai fini dell’attuazione degli interventi previsti nel PNRR.

Gli impegni assunti con il Piano nazionale di ripresa e resilienza coinvolgono direttamente le pubbliche amministrazioni, incidendo in modo significativo sull’innovazione e l’organizzazione e riguardano, in modo peculiare, il settore dei contratti pubblici.

Orbene, al fine di fornire un valido supporto alle amministrazioni pubbliche per affrontare le sfide connesse alla realizzazione degli impegni assunti dall’Italia con il Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) e al fine di dare attuazione alla riforma introdotta dal decreto-legge 9 giugno 2021, n. 80[9] (che ha previsto il Piano integrato di attività e organizzazione (PIAO) di cui la pianificazione della prevenzione della corruzione e della trasparenza è parte integrante), è stato elaborato il Piano Nazionale Anticorruzione 2022-2024.

Tale strumento fornisce indicazioni volte a rafforzare l’integrità pubblica e una programmazione che possa garantire efficaci presidi ai fini della prevenzione della corruzione, in quanto il delicato momento storico che il nostro Paese sta vivendo richiede necessariamente comportamenti rigorosi onde evitare che i risultati attesi con l’attuazione del PNRR siano vanificati da eventi corruttivi.

2. Evoluzione della normativa sulla corruzione fino alla legge n. 190 del 2012

Il fenomeno della corruzione in seno alla pubblica amministrazione concerne infrazioni commesse contro l’etica professionale dei pubblici ufficiali. I valori dell’etica pubblica, che si esplicano nelle regole dell’agire umano generalmente condivise e riconosciute spesso in norme cogenti, vengono così disattesi. Ma i parametri volti a determinare se un comportamento possa giudicarsi corrotto o meno variano in relazione ai singoli Paesi.

La corruzione, fenomeno ormai dilagante in ogni dove, è un concetto caratterizzato da relativismo culturale, in quanto non esiste una definizione di corruzione unica ed universalmente accettata, ma sono presenti fattispecie diverse di corruzione che rendono poco agevole l’individuazione e l’accertamento di attività corruttive di rilievo penale.

Si può serenamente asserire che la corruzione è pratica diffusa laddove, in particolare, il potere legislativo o il potere giudiziario siano caratterizzati da una certa fragilità e quando le regole dello Stato di diritto non vengano osservate e l’amministrazione statale venga privata della necessaria indipendenza e professionalità che non le consentono di agire secondo i fondamentali principi di legalità e di buon andamento.

Nella consapevolezza che il fenomeno corruttivo rappresenta una seria minaccia per la tenuta del nostro sistema democratico, il legislatore nella sua opera riformatrice ha cercato di individuare e di valorizzare quelle regole etiche capaci di contrastare il fenomeno, attraverso una normativa anticorruzione adottata con legge n. 190, del 6 novembre 2012.

La ratio sottesa alla legge anticorruzione del 2012 consiste nella prevenzione e nella repressione del fenomeno della corruzione attraverso un approccio multidisciplinare, in cui operano una serie di misure preventive e repressive contro la corruzione e l’illegalità nella pubblica amministrazione. In tale contesto gli strumenti sanzionatori rappresentano solamente alcuni dei fattori per la lotta alla corruzione e all’illegalità nell’azione amministrativa.

Difatti, nella legge in esame la trasparenza amministrativa viene individuata quale principale strumento preventivo contro fenomeni corruttivi, la cui attuazione si realizza attraverso gli strumenti della pubblicità – individuando in modo specifico i soggetti che ne sono responsabili e le conseguenze per il mancato adempimento di tali obblighi – e dell’accesso agli atti, che viene svincolato da qualsiasi interesse qualificato.

Con l’azione riformatrice della legge n. 190/2012 si compie un’evoluzione degli strumenti giuridici volti a contrastare la corruzione, attraverso il netto passaggio da un modello basato essenzialmente sulla predisposizione di figure repressive di carattere penale, che sanzionano a posteriori le condotte corruttive, ad un assetto normativo incentrato su quegli strumenti tipici del diritto amministrativo tesi a scoraggiare, in primis, il malcostume politico e amministrativo nella gestione dei pubblici poteri.

Prima di descrivere compiutamente la nozione di “corruzione” nella legge in esame, si deve necessariamente richiamare la normativa pregressa che ha dato impulso alla riforma degli strumenti giuridici idonei a combattere la corruzione.

A tal proposito, si deve menzionare quanto disposto dalla Convenzione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite contro la corruzione, adottata dall’Assemblea generale dell’ONU il 31 ottobre 2003 e ratificata ai sensi della legge 3 agosto 2009, n. 116, con la quale vengono imposti una serie di obblighi agli Stati Parte ai fini dell’adozione di efficaci politiche di prevenzione della corruzione.

La Convenzione nasce a fronte delle preoccupazioni percepite dagli Stati Parte in ordine ai gravi problemi generati dalla corruzione in termini di stabilità e di sicurezza delle società, con pesanti ricadute sui valori democratici, sui valori etici e sulla giustizia delle stesse.

In particolare, l’art. 6 della succitata Convenzione prevede che ciascuno Stato Parte assicuri, conformemente ai principi fondamentali del proprio ordinamento giuridico, un sistema di prevenzione della corruzione; difatti, nella disposizione in esame si legge che “Ciascuno Stato Parte assicura, conformemente ai principi fondamentali del proprio sistema giuridico, l’esistenza di uno o più organi, secondo quanto necessario, incaricati di prevenire la corruzione mediante mezzi quali: a) l’applicazione delle politiche di cui all’articolo 5 della presente Convenzione e, se necessario, la supervisione ed il coordinamento di tale applicazione; b) l’accrescimento e la diffusione delle conoscenze concernenti la prevenzione della corruzione”.

Prima ancora della Convenzione del 2003, si devono necessariamente rievocare altri strumenti di diritto internazionale di notevole rilievo, quali la Convenzione Penale di Strasburgo del 1999 sulla corruzione, che impegna gli Stati a prevedere l’incriminazione di fatti di corruzione attiva e passiva sia di funzionari nazionali che stranieri, di corruzione attiva e passiva nel settore privato, del c.d. traffico di influenze e dell’autoriciclaggio, nonché la Convenzione civile sulla corruzione di Strasburgo del 1999 volta in particolare ad assicurare che negli Stati che hanno provveduto alla ratifica della stessa vengano garantiti rimedi giudiziali efficaci in favore delle persone che hanno subito un danno strettamente connesso ad attività corruttiva.

Altro strumento di fondamentale importanza nella lotta alla corruzione è rappresentato dal GRECO (Il Gruppo di Stati contro la corruzione), quale organismo istituito nel 1999 dal Consiglio d’Europa per monitorare il rispetto da parte degli Stati degli standard anticorruzione dell’organizzazione[10].

Obiettivo primario di tale organismo si rinviene nell’intento da parte degli Stati membri di combattere la corruzione, monitorando la loro conformità agli standard anticorruzione fissati dal Consiglio d’Europa, attraverso un processo dinamico di valutazione reciproca e pressione tra pari. Tale approccio costituisce un valido supporto per i Paesi membri nella loro attività volta a identificare carenze e criticità nelle politiche nazionali anticorruzione, stimolando in tal modo necessarie e puntuali riforme legislative, istituzionali e pratiche[11].

Per quanto concerne il meccanismo di controllo, lo stesso si fonda sulla reciproca valutazione e sulla pressione fra pari tra i vari Stati partecipanti e si articola in due distinti momenti:

a) nella prima fase orizzontale, tutti i Paesi membri sono sottoposti ad un Ciclo di Valutazione (Evaluation Round) che si conclude con la formulazione di raccomandazioni volte ad indirizzare il singolo Stato in ordine all’individuazione delle misure da adottare per adeguare la propria legislazione alla normativa del Consiglio d’Europa;

b) la successiva fase ha ad oggetto la verifica dell’idoneità delle suddette misure tese a raggiungere gli obiettivi indicati nelle raccomandazioni.

In merito ai documenti che riassumono le due fasi, si specifica che le considerazioni sviluppate nella prima fase sono riassunte nell’Evaluation Report, mentre i giudizi conseguenti alla seconda sono sintetizzati nel Compliance Report. [12]

Interessante rilevare come l’Italia, in quanto Paese aderente al GRECO dal 2007 (45° membro) è stata sottoposta a valutazione da parte dello stesso per la prima volta nel 2009.

A tal proposito, nelle sue conclusioni finali il primo rapporto rileva che nonostante i costanti sforzi da parte della magistratura inquirente e giudicante nel fronteggiare i fenomeni corruttivi nel nostro Paese, gli stessi interessano numerosi settori di attività: l’urbanistica, lo smaltimento rifiuti, gli appalti pubblici, la sanità e la pubblica amministrazione. Di talché in quell’occasione il Rapporto ha rivolto all’Italia 22 raccomandazioni suddivise tra il settore della repressione e quello della prevenzione della corruzione, evidenziando che la lotta alla corruzione deve diventare una questione di cultura e non solo di rispetto delle leggi. In tale sede viene, altresì, raccomandato di procedere ad un riordino della normativa sulla corruzione, sulla scorta di talune considerazioni che rilevavano la facilità con cui in Italia i reati di corruzione cadevano facilmente in prescrizione ed esprimendo, parimenti, perplessità in ordine al c.d. Lodo Alfano.

Il rapporto di conformità dell’Italia, adottato dal GRECO il 27 maggio 2011, invece, ha concluso che alcune raccomandazioni sono state attuate in modo soddisfacente, altre sono state attuate parzialmente ed alcune sono state ignorate. Il GRECO, in tale ambito ha poi richiesto informazioni supplementari sulla loro attuazione, che sono state poi fornite in data 17 dicembre 2012 e completate il 29 aprile 2013[13].

Nel Rapporto di conformità del GRECO del 2011, dunque, era stata evidenziata una scarsa adesione da parte del nostro Paese alle precedenti raccomandazioni, non rinvenendo ancora nella legislazione italiana alcun strumento tra quelli consigliati dal Consiglio d’Europa in materia di lotta alla corruzione (vale a dire la Convenzione penale sulla corruzione e il suo protocollo addizionale, come pure la Convenzione civile sulla corruzione).

Nel documento in esame, inoltre, viene sottolineato lo scarso livello di attenzione verso questioni rilevanti come, ad esempio, la previsione dei conflitti d’interessi, la protezione degli informatori e il rafforzamento delle disposizioni di lotta alla corruzione nel settore privato. Il Rapporto del 2011, dunque, ammonisce l’Italia comunicandole che non sarà concessa alcuna tolleranza in materia di impunità nei reati di corruzione.

Orbene, è proprio all’esito di importanti momenti di analisi, critica, e di studio svolti dal GRECO nel suddetto periodo e sulla scorta di quanto disposto dall’art. 6 della Convenzione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite contro la corruzione, nonché in attuazione degli artt. 20 e 21 della Convenzione penale sulla corruzione, che si inserisce la legge 6 novembre 2012, n. 190, contenente, come detto in precedenza, una serie di misure rilevanti tese a prevenire i fenomeni corruttivi nell’ambito delle pubbliche amministrazioni nazionali e locali.

Con tale provvedimento normativo è stato introdotto anche nell’ordinamento italiano un sistema organico di prevenzione della corruzione, il cui tratto fondamentale consiste nell’articolazione del processo di formulazione e attuazione delle strategie di prevenzione della corruzione, strutturato su due livelli.

A livello “nazionale”, il Dipartimento della funzione pubblica predispone, sulla base di linee di indirizzo adottate da un Comitato interministeriale, il Piano nazionale anticorruzione, il quale viene poi approvato dalla C.I.V.I.T., individuata dalla legge quale Autorità nazionale anticorruzione. A livello “decentrato”, ogni amministrazione pubblica definisce Piano Triennale di Prevenzione della Corruzione, che, sulla base delle indicazioni presenti nello stesso Piano, effettua l’analisi e la valutazione dei rischi specifici di corruzione e conseguentemente indica gli interventi organizzativi volti a prevenirli.

Dal 2013 al 2018 sono stati adottati due PNA e tre Aggiornamenti ai PNA. In relazione al PNA 2019-2021 il Consiglio dell’Autorità (ANAC) ha deciso di dedicare un’attenzione particolare alle indicazioni relative alla parte generale del PNA, rivedendo e consolidando in un unico atto di indirizzo tutte le indicazioni date in precedenza, integrandole con orientamenti maturati nel corso del tempo e che sono anche stati oggetto di appositi atti regolatori. Tale è il motivo per cui il PNA contiene rinvii continui a delibere dell’Autorità che, ove richiamate, si intendono parte integrante del PNA.[14][15]

Nella disamina della nozione “amministrativistica” di corruzione, è stato chiarito nel Piano Nazionale Anticorruzione 2013 che la stessa non coincide con quella “penalistica”. La legge 190/2012, con cui è stata data attuazione nel nostro ordinamento alla Convenzione di Merida, difatti, non contiene una definizione di “corruzione”, ciononostante dalle disposizioni normative dell’impianto complessivo della legge di cui trattasi si desume un significato più esteso di corruzione, a cui è possibile ricondurre gli strumenti e le misure previsti dal Legislatore.

Anche l’ANAC, in linea con l’orientamento accolto a livello internazionale, propende per una nozione più ampia di “corruzione”, visto che la legge 190 del 2012 si pone come fine quello della prevenzione, ossia una tutela anticipatoria che mira a prevenire tutte quelle situazioni in cui nel corso dell’attività amministrativa si rilevi l’abuso da parte di un soggetto del potere a lui conferito, al fine di ottenere vantaggi privati.

In dottrina, pertanto, è stato evidenziato come nella nozione di “corruzione” non convergono solamente quelle fattispecie strettamente connesse ai reati disciplinati negli artt. 318, 319 e 319-ter del codice penale (ipotesi di corruzione per l’esercizio della funzione, corruzione per atto contrario ai doveri d’ufficio e corruzione in atti giudiziari), in cui viene ricompreso il novero dei delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione disciplinati nel Titolo II, Capo I, del codice penale.

Nel concetto di corruzione, infatti, trovano perfetta allocazione anche tutte quelle situazioni in cui, a prescindere dalla rilevanza penale, venga in evidenza un malfunzionamento dell’amministrazione a causa dell’uso a fini privati delle funzioni loro attribuite ovvero l’inquinamento dell’azione amministrativa ab externo, sia nel caso in cui l’abuso si concreti in un vantaggio o che rimanga a livello di tentativo.

Le disposizioni contenenti le misure in materia di prevenzione della corruzione e trasparenza si applicano a diverse categorie di soggetti pubblici e privati, come individuati nell’art. 1, comma 2-bis, della legge 190/2012 e nell’art. 2-bis del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33. Le disposizioni richiamate, vista la differente natura giuridica delle relative categorie di soggetti, prevedono regimi parzialmente differenziati. Inoltre, il decreto legislativo 25 maggio 2016, n. 97 ha apportato delle rilevanti modifiche alla legge 190/2012 e al d.lgs. 33 del 2013, introducendo una correlazione incisiva tra l’ambito di applicazione della disciplina in materia di prevenzione della corruzione e quella della trasparenza.

Si rilevi come l’art. 2 e 2-bis del citato d.lgs. 33/2013 abbiano individuato l’ambito soggettivo di applicazione della disciplina della trasparenza. A tale disciplina si fa cenno nell’art. 1, comma 2-bis, della legge 190/2012, al fine di identificare le pubbliche amministrazioni e gli altri soggetti tenuti all’adozione del PTPCT (Piano triennale di prevenzione della corruzione e della trasparenza) o di misure di prevenzione della corruzione integrative rispetto a quella dettate ai sensi del d.lgs. 8 giugno 2001, n. 23 recante «Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica, a norma dell’articolo 11 della legge 29 settembre 2000, n. 300».

Appare utile ricordare che in merito all’individuazione dell’ambito soggettivo, l’ANAC ha provveduto a fornire indicazioni generali sia nella delibera n. 1310 del 28 dicembre 2016, «Prime linee guida recanti indicazioni sull’attuazione degli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni contenute nel d.lgs. 33/2013 come modificato dal d.lgs. 97/2016», che nella delibera n. 1134 dell’8 novembre 2017, recante «Nuove linee guida per l’attuazione della normativa in materia di prevenzione della corruzione e trasparenza da parte delle società e degli enti di diritto privato controllati e partecipati dalle pubbliche amministrazioni e degli enti pubblici economici».

Nei due documenti citati sono state affrontate diverse tematiche volte sia ad approfondire i profili strettamente connessi all’ambito soggettivo, che ad evidenziare il contenuto degli obblighi di pubblicazione, la nomina del Responsabile per la prevenzione della corruzione e la trasparenza (RPCT), nonché la predisposizione dei PTPCT (Piano triennale di prevenzione della corruzione e della trasparenza), in conformità alle modifiche apportate dal d.lgs. 97/2016, ovvero all’adozione di misure di prevenzione della corruzione integrative del modello 231 per gli enti di diritto privato.

Sulla scorta dei diversi interventi normativi e dei chiarimenti forniti nelle delibere ANAC, si può asserire che i soggetti tenuti all’applicazione della disciplina sulla prevenzione della corruzione e sulla trasparenza sono le pubbliche amministrazioni di cui all’art. 1, comma 2, del d.lgs. 165/2001, le quali sono tenute ad adottare il PTPCT, a nominare il RPCT e a pubblicare i dati, i documenti e le informazioni concernenti l’organizzazione e l’attività, assicurando altresì libertà di accesso di chiunque ai dati e documenti detenuti dalle stesse (accesso civico generalizzato, cd. FOIA), ai sensi di quanto disposto nel d.lgs. 33/2013.[16]

Dal corpo normativo della legge n. 190 del 2012 si evince, dunque, che le intenzioni del legislatore sono volte a contrastare il fenomeno della corruzione attraverso il potenziamento della trasparenza nelle attività e nei processi decisionali delle pubbliche amministrazioni, in cui si esplica l’obbligo di trasparenza dell’attività amministrativa, ai sensi dell’art. 1, comma 15, della legge n. 190/2012, (poi chiarito dal d.lgs. 14 marzo 2013, n. 33).

Altro strumento per combattere la corruzione si rinviene nel favorire maggiormente la formazione dei funzionari sui temi dell’etica e della legalità (ai sensi dell’art.1, comma 11, legge n. 190/2012), prevenendo i conflitti di interessi in capo ai decisori pubblici, nonché attraverso il rafforzamento dei doveri deontologici dei pubblici dipendenti, i cui codici di comportamento sono stati poi disciplinati con il D.P.R. 16 aprile 2013, n. 62.

Nella sua funzione repressiva la legge anticorruzione si è occupata di inasprire le pene per i reati contro la pubblica amministrazione previsti dal Libro II, Titolo II, Capo I, del Codice penale, cui si è aggiunto l’ulteriore aggravamento del trattamento sanzionatorio per effetto della legge 27 maggio 2015, n. 69 (recante “Disposizioni in materia di delitti contro la pubblica amministrazione, di associazioni di tipo mafioso e di falso in bilancio”).

3. Provvedimenti normativi di rilievo nella lotta alla corruzione successivi alla legge anticorruzione del 2012

Dal principale provvedimento legislativo nazionale in materia di corruzione (legge n. 190 del 2012) derivano, come abbiamo visto in precedenza, in capo alle Amministrazioni una serie di obblighi e compiti, rimessi anche ad una serie di atti normativi specifici, che verranno trattati in modo succinto qui di seguito.

Funzionale alla prevenzione del fenomeno corruttivo è sicuramente la previsione dell’incandidabilità dei politici che abbiano riportato condanne definitive per gravi delitti non colposi, ai sensi del d.lgs. 31 dicembre 2012, n. 235, recante “Testo unico delle disposizioni in materia di incandidabilità e di divieto di ricoprire cariche elettive e di Governo conseguenti a sentenze definitive di condanna per delitti non colposi”. Tale provvedimento individua le fattispecie che precludono la candidabilità alle cariche istituzionali e di governo per le persone che abbiano riportato delle condanne a seguito di sentenze passate in giudicato per determinati reati.

Il citato d.lgs. n. 33 del 2013, invece, recante il “Riordino della disciplina riguardante gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni”, contiene disposizioni tese ad assicurare l’accesso da parte dei cittadini alle informazioni concernenti l’operato delle pubbliche amministrazioni.

Altro provvedimento normativo che ha impattato in modo rilevante sulla disciplina volta a contrastare la corruzione è rappresentato dal d.lgs. 8 aprile 2013, n. 39, il quale contiene la normazione in materia di inconferibilità di incarichi pubblici ai soggetti condannati per reati contro la pubblica amministrazione o che si trovino in situazioni di reale o potenziale conflitto di interessi.

Di indubbia importanza anche il D.P.R. n. 62, del 16 aprile 2013 “Regolamento recante codice di comportamento dei dipendenti pubblici”, il quale introduce quelle regole a cui i dipendenti delle pubbliche amministrazioni devono conformarsi onde garantire la qualità dei servizi, la prevenzione dei fenomeni di corruzione ed il rispetto dei doveri di diligenza.

Sempre in un’ottica riformatrice volta a contrastare il fenomeno corruttivo si inserisce il d.lgs. n. 50, del 18 aprile del 2016 “Codice dei contratti pubblici” che disciplina la delicatissima materia dei contratti di appalto e di concessione delle amministrazioni aggiudicatrici e degli enti aggiudicatori aventi ad oggetto l’acquisizione di servizi, forniture, lavori e opere, nonché i concorsi pubblici di progettazione. Il Codice dei contratti pubblici è stato successivamente modificato dal decreto legislativo n. 56, del 19 aprile 2017.

Il corpo normativo del codice dei contratti pubblici è stato diffusamente modificato nel corso degli ultimi anni, in maniera non sempre ordinata e sistematica. L’esigenza di una riforma organica, a pochi anni dall’entrata in vigore del decreto legislativo n. 50 del 2016, oltre a derivare dalla necessità di dare piena e corretta attuazione ai dettami del PNRR, è strettamente legata al bisogno, reale ed impellente, di ridurre drasticamente tutte quelle norme nazionali, incrementate anche dai provvedimenti d’urgenza che sono stati emanati per fronteggiare la pandemia da covid-19, cercando così di uniformarle al diritto euro-unitario.

È stato sostenuto da più parti che tale coacervo[17] di norme, a dispetto delle dichiarate ragioni ispiratrici di semplificazione amministrativa e normativa, rischia concretamente di aumentare il diffondersi di fenomeni corruttivi nel settore dei contratti pubblici.

Tale esigenza riformatrice, in una materia che più delle altre risulta esposta alle insidie di attività corruttive, ha prodotto un nuovo intervento legislativo, la legge 21 giugno 2022, n. 78, il cui principale obiettivo è quello di razionalizzare, riordinare e semplificare la disciplina vigente in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture.

L’intento del nuovo apparato normativo è quello, in primis, di offrire un valido supporto agli operatori del settore che devono districarsi nel groviglio normativo generato in particolare dal decreto-legge 31 maggio 2021, n. 77, recante: “Governance del Piano nazionale di ripresa e resilienza e prime misure di rafforzamento delle strutture amministrative e di accelerazione e snellimento delle procedure”, il quale intervenendo sul regime derogatorio già previsto dai decreti-legge n. 76, del 16 luglio 2020 e n. 32, dell’8 aprile 2019, ha reso maggiormente macchinosa e complessa una disciplina di per sé già di non facile applicazione.

Si deve, infine, citare una misura molto interessante ai fini della tutela del pubblico dipendente che decida di segnalare la perpetrazione di un illecito; si tratta dell’istituto giuridico del Whistleblowing, che nel nostro Paese è stato introdotto dalla legge 6 novembre 2012, n. 190 «Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione», adottata in ottemperanza a raccomandazioni e obblighi convenzionali che promanano dal contesto ONU, OCSE, Consiglio d’Europa e Unione europea. In particolare, l’art. 1, comma 51, della succitata legge ha inserito l’art. 54-bis all’interno del d.lgs. 30 marzo 2001 n. 165 «Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche». La norma prevede e tutela il dipendente pubblico che segnala illeciti di interesse generale e non di interesse individuale, di cui sia venuto a conoscenza in ragione del rapporto di lavoro.[18]La disciplina in esame è stata successivamente integrata dal decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, convertito nella legge 11 agosto 2014, n. 114, «Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l’efficienza degli uffici giudiziari», il cui art. 31 ha modificato l’art. 54-bis, introducendo anche l’ANAC tra i soggetti destinatari delle segnalazioni di whistleblowing. L’Autorità, al fine di agevolare le pubbliche amministrazioni nell’attuazione della nuova disciplina, ha fornito specifiche indicazioni, anche tecniche, attraverso la determinazione n. 6 del 28 aprile 2015 recante «Linee guida in materia di tutela del dipendente pubblico che segnala illeciti (c.d. whistleblowing)».[19]

Da ricordare, infine, che la disciplina dell’istituto in parola è stata ulteriormente integrata con la legge 30 novembre 2017 n. 179, «Disposizioni per la tutela degli autori di segnalazioni di reati o irregolarità di cui siano venuti a conoscenza nell’ambito di un rapporto di lavoro pubblico o privato», entrata in vigore il 29 dicembre 2017 e strutturata in tre articoli.

Il primo articolo della legge di che trattasi procede a riscrivere integralmente l’art. 54-bis del d.lgs. 165/2001, «Modifica dell’articolo 54-bis del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, in materia di tutela del dipendente o collaboratore che segnala illeciti»; l’art. 2 «Tutela del dipendente o collaboratore che segnala illeciti nel settore privato» prevede, per la prima volta nel nostro ordinamento, specifiche misure a tutela dei whistleblowers nel settore privato, aggiungendo il comma 2-bis all’interno dell’art. 6 del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, «Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica, a norma dell’articolo 11 della legge 29 settembre 2000, n. 300». Il terzo articolo, in ultimo, «Integrazione della disciplina dell’obbligo di segreto d’ufficio, aziendale, professionale, scientifico e industriale», contiene una clausola di esonero dalla responsabilità (artt. 326, 622, 623 c.p.) nel caso in cui il segnalante riveli un segreto d’ufficio, aziendale, professionale, scientifico o industriale o violi il dovere di lealtà e fedeltà (art. 2105 c.c.).

In materia di whistleblowing si aggiunga, altresì, che la citata legge n. 179 ha intestato all’ANAC, nell’esercizio del suo potere regolatorio, il compito di adottare apposite linee guida relative alle procedure per la presentazione e la gestione delle segnalazioni, sentito il Garante per la protezione dei dati personali; l’Autorità risulta inoltre titolare di un autonomo potere sanzionatorio in specifici casi, tra i quali: il mancato svolgimento di attività di verifica e analisi delle segnalazioni ricevute; l’assenza o non conformità (rispetto alle modalità delineate nelle presenti linee guida) di procedure per l’inoltro e la gestione delle segnalazioni; l’adozione di misure discriminatorie nei confronti del segnalante. A tal proposito, l’ANAC ha emanato la delibera n. 690 del 1° luglio 2020, recante «Regolamento per la gestione delle segnalazioni e per l’esercizio del potere sanzionatorio in materia di tutela degli autori di segnalazioni di illeciti o irregolarità di cui siano venuti a conoscenza nell’ambito di un rapporto di lavoro di cui all’articolo 54-bis del decreto legislativo n. 165/2001» entrata in vigore il 29 dicembre 2017, strutturata in tre articoli.

4. ANAC e le sue funzioni

Tra i soggetti che rivestono un ruolo primario nel nostro Paese nella delicata missione della garanzia della trasparenza e della prevenzione della corruzione nelle pubbliche amministrazioni si deve annoverare l’Autorità nazionale anticorruzione (ANAC), già citata in precedenza. L’Autorità nasce dalla trasformazione di un altro organismo pubblico, ossia la Commissione per la valutazione, la trasparenza e l’integrità delle amministrazioni pubbliche (CIVIT), creata per effetto dell’art. 13 del d.lgs. n. 150/2009[20], e con il compito di indirizzare, coordinare e sovrintendere all’esercizio indipendente delle funzioni di misurazione e valutazione della performance organizzativa e individuale dei dirigenti delle pubbliche amministrazioni. A tali attribuzioni si affiancava il compito di garantire la trasparenza totale delle amministrazioni, cioè l’accessibilità dei dati inerenti al loro funzionamento e, altresì, quello di determinazione degli standard dei servizi pubblici.

La legge anticorruzione poi, analizzata in precedenza, nel suo intento di dare attuazione alle Convenzioni internazionali in materia di lotta alla corruzione, ha individuato la CIVIT quale autorità nazionale competente a coordinare l’attività di contrasto alla corruzione nella pubblica amministrazione (ANAC). Difatti, l’art. 1, comma 2 della succitata legge n. 190 del 2012 sancisce che “La Commissione per la valutazione, la trasparenza e l’integrità delle amministrazioni pubbliche, di cui all’articolo 13  del  decreto legislativo 27 ottobre 2009, n.150, e successive modificazioni, di seguito denominata «Commissione», opera quale Autorità nazionale anticorruzione, ai sensi del comma 1 del presente articolo”.

Al cambiamento operato dalla legge anticorruzione del 2012, ha fatto seguito una nuova ridefinizione delle funzioni di tale organismo per effetto del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, il quale all’art. 19, comma 1 e 2 così dispone “L’Autorità di vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, di cui all’articolo 6 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 e successive modificazioni, è soppressa ed i relativi organi decadono a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto. 2. I compiti e le funzioni svolti dall’ Autorità di vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture sono trasferiti all’ Autorità nazionale anticorruzione e per la valutazione e la trasparenza (ANAC), di cui all’articolo 13 del decreto legislativo 27 ottobre  2009,  n.  150, che è ridenominata Autorità nazionale anticorruzione.”

A fronte dell’attribuzioni di nuove funzioni, l’ANAC ha perso le attribuzioni originarie in materia di misurazione e valutazione della performance, che sono state invece assegnate al Dipartimento della funzione pubblica, il quale ha contestualmente ceduto in favore dell’ANAC le competenze in materia di trasparenza e anticorruzione. Ai fini dell’attuazione dell’art. 19, comma 10 del decreto-legge n. 90/2014, tali funzioni sono state riordinate successivamente con il regolamento adottato con D.P.R. del 9 maggio 2016, n. 105.

A tal proposito la nuova missione istituzionale dell’ANAC è individuata nella “prevenzione della corruzione nell’ambito delle amministrazioni pubbliche, nelle società partecipate e controllate anche mediante l’attuazione della trasparenza in tutti gli aspetti gestionali, nonché mediante l’attività di vigilanza nell’ambito dei contratti pubblici, degli incarichi e comunque in ogni settore della pubblica amministrazione che potenzialmente possa sviluppare fenomeni corruttivi, evitando nel contempo di aggravare i procedimenti con ricadute negative sui cittadini e sulle imprese, orientando i comportamenti e le attività degli impiegati pubblici, con interventi in sede consultiva e di regolazione”.

Rilevanti modifiche in ordine alla composizione dell’ANAC sono state poi apportate ad opera del decreto-legge n. 101, del 31 agosto del 2013. Il relativo articolo 5 ha previsto sia l’aumento da 3 a 5 del numero dei componenti, con la conferma della durata del mandato (pari a sei anni), ma con contestuale divieto di rinnovo dell’incarico per tutti i componenti, sia la modifica dei criteri di nomina, per cui sia il Presidente che gli altri componenti dell’Autorità sono scelti tra esperti di notoria indipendenza e comprovata esperienza in materia di contrasto alla corruzione, oltre che nei settori di management, misurazione della performance, nonché di gestione e valutazione del personale.[21]

Con dpcm 1 febbraio 2016, inoltre, è stato approvato dal Consiglio dei ministri il piano di riordino della nuova Autorità nazionale anticorruzione, il quale ha trasferito in via definitiva all’ANAC le risorse umane, strumentali e finanziarie della soppressa Autorità di vigilanza dei contratti pubblici ed ha istituito il ruolo del personale dipendente dell’ANAC.

Tale processo è continuato poi con l’esplicito riconoscimento del potere di definire con propri regolamenti l’organizzazione, il funzionamento e l’ordinamento giuridico (art. 52-quater, decreto-legge n. 50 del 2017, conv. con legge n. 96/2017) ed economico del proprio personale (art. 1, comma 298, legge n. 205/2017), sulla base dei principi della legge n. 481 del 1995, istitutiva delle Autorità di regolazione dei servizi di pubblica utilità.

I poteri dell’Autorità sono stati, poi, ulteriormente arricchiti per effetto del decreto-legge n. 50/2016 per quanto concerne i contratti pubblici. In tale materia, si deve necessariamente premettere che per effetto di quanto disposto dall’art. 213, comma 2, del d.lgs. n. 50/2013, l’ANAC ha emanato le linee guida in materia di affidamento dei servizi di architettura e ingegneria, di offerta economicamente più vantaggiosa, di responsabile unico del procedimento, di affidamenti sottosoglia, di commissari di gara, di gravi illeciti professionali. Queste linee guida sono state qualificate dal Consiglio di Stato come atti amministrativi generali, privi di efficacia regolamentare. Ma il legislatore inserendo nel corpo dell’art. 216 del d.lgs. n. 50/2016 il comma 27-octies (aggiunto dall’art. 1, comma 20, lett. g, n. 4, decreto-legge 18 aprile 2019, n. 32, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 giugno 2019, n. 55) ha espresso precisa volontà di disciplinare la materia attraverso un regolamento unico di esecuzione.

In materia di appalti, si può affermare che l’Autorità ha svolto sin dalla sua istituzione una incisiva e profonda attività di indirizzo e di natura regolatoria, anche per effetto dell’espresso rinvio del nuovo codice approvato con d.lgs. n. 50/2016 alle linee guida dell’ANAC.

Per quanto concerne gli strumenti, le competenze ed i poteri conferiti all’ANAC dalla legge al fine di poter perseguire le proprie finalità istituzionali, l’Autorità usufruisce di una serie di funzioni consultive, programmatorie, gestionali, di controllo e informative, nonché di poteri ispettivi e sanzionatori. Tra queste in estrema sintesi si devono annoverare:

  • La promozione dell’efficientamento dell’attività delle stazioni appaltanti, nonché il costante scambio di informazioni con il Governo e con il Parlamento, unitamente alla collaborazione con gli organi della giustizia penale, amministrativa e contabile in ordine alle principali fattispecie anomale, criminose o comunque sintomatiche di condotte illecite imputabili alle stazioni appaltanti;

  • Il potere di consulenza giuridica e amministrativa che si esplica tramite la formulazione di linee guida, bandi-tipo, capitolati-tipo, oltre ad un potere di consulenza economica, aziendale gestionale a beneficio delle stazioni appaltanti anche in ordine all’elaborazione dei costi standard e alla tracciabilità dei flussi finanziari;

  • La gestione del sistema di qualificazione delle stazioni appaltanti e delle centrali di committenza, così come la gestione della banca dati nazionale dei contratti pubblici e del casellario informatico dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture;

  • Gestione e aggiornamento dell’Albo nazionale obbligatorio dei componenti delle commissioni giudicatrici, nonché la gestione dell’elenco delle stazioni appaltanti che operano attraverso affidamenti diretti nei confronti di proprie società in house;

  • Attività di controllo sui contratti pubblici di ogni tipologia e portata, così come il potere di assicurare l’economicità della loro esecuzione e di proporre al Governo modifiche alle disposizioni di settore;

  • Attività di vigilanza sul sistema di qualificazione degli esecutori dei contratti pubblici di lavori e potere di sindacare sul divieto di affidamento attraverso procedure diverse rispetto a quelle ordinarie, inclusi i casi di deroghe dovute ad ipotesi di somma urgenza e di protezione civile;

  • Poteri ispettivi e di controllo e poteri sanzionatori nei confronti dei soggetti che rifiutano od omettono, senza giustificato motivo, di fornire le informazioni o di esibire i documenti richiesti.[22]

Nel corso degli anni, così, il progressivo incremento di poteri che l’ANAC si è vista attribuire ha generato delle criticità, in quanto l’attività di contrasto alla corruzione è stata spesso vista più come un ostacolo al rapido svolgimento delle opere pubbliche che come una tutela contro il malaffare.[23]Difatti, una parte autorevole della dottrina ha ritenuto che la volontà della classe politica e dirigenziale di conferire all‘Autorità il compito di assicurare la buona amministrazione della cosa pubblica con il ruolo di paladino della lotta alla corruzione possa in realtà contribuire ad una stagnazione delle opere pubbliche, con conseguente dilatazione dei tempi delle decisioni, unitamente all‘imposizioni di obblighi amministrativi, sovente troppo complessi, anche a carico di piccolissime amministrazioni.

Sotto il profilo della trasparenza e della prevenzione della corruzione nelle pubbliche amministrazioni, si deve ricordare che la più volte citata legge n. 190 del 2012, anche alla luce delle previsioni del decreto-legge n. 90/2014, ha individuato nell’ANAC l’organo deputato ad adottare il già citato Piano nazionale anticorruzione, che rappresenta un atto di indirizzo per le amministrazioni ai fini dell’adozione dei propri piani triennali di prevenzione della corruzione. Il PNA si occupa, altresì, di individuare, per quanto riguarda le dimensioni e i diversi settori di attività degli enti, i principali rischi di corruzione e i relativi rimedi e contiene l’indicazione di obiettivi, tempi e modalità di adozione e attuazione delle misure di contrasto alla corruzione.

Questo documento ha una durata triennale e viene aggiornato ogni anno; la mancata adozione dei Piani triennali di prevenzione della corruzione e sulla trasparenza comporta l’irrogazione da parte dell’Autorità (ANAC) di sanzioni alle pubbliche amministrazioni.

In qualità di organismo nazionale anticorruzione l’ANAC può, altresì, collaborare con i paritetici organismi stranieri, con le organizzazioni regionali ed internazionali competenti: in questa prospettiva l’ANAC partecipa attivamente alle attività svolte nelle sedi internazionali quali l’ONU, il G20, l’OCSE, il Consiglio d’Europa e l’Unione europea da cui emergono, a fianco dell’azione repressiva, importanti orientamenti e leve di tipo preventivo della corruzione.

5. La Corte dei Conti

5.1. Evoluzione del fenomeno corruttivo attraverso l’occhio vigile della Corte dei conti

Nell’ambito del fenomeno corruttivo, come accennato in precedenza, la Corte dei conti riveste un ruolo di primo piano nella deterrenza e nell’azione di contrasto alla corruzione nelle sue varie forme, tanto da assurgere a soggetto protettore della legalità e della buona gestione delle risorse pubbliche attraverso una stretta sinergia fra l’attività di controllo e quella giurisdizionale che caratterizzano l’operato della Corte stessa.

Questo fondamentale organo di rilievo costituzionale, dunque, è volto, attraverso l’esercizio combinato delle funzioni di controllo e giurisdizionali, a verificare l’operato di coloro che maneggiano denaro pubblico al fine di accertare eventuali danni erariali arrecati alla comunità, che spesso si concretizzano nei danni all’immagine e di disservizio, con pesanti ricadute sulla collettività sia in termini economici che di etica pubblica.

Di talché una presenza costante della Corte dei conti sul territorio nazionale rappresenta una garanzia nella lotta alla diffusione di attività corruttive, consentendo una maggiore vicinanza ai bisogni dei cittadini. In questo senso l’Istituto ha assunto nel corso degli anni un ruolo importante di affiancamento alle Amministrazioni nello svolgimento delle loro delicate attività.

Il potenziamento delle attività di controllo di cui la Corte dei conti risulta depositaria, pertanto, unitamente ad una maggiore attenzione all’analisi economica finanziaria sono tese a promuovere una cultura della buona amministrazione ed una sana gestione amministrativa onde evitare sperperi di denaro pubblico.

A tal riguardo come sapientemente osservato dal Presidente della Corte dei conti, Guido Carlino, nella sua Intervista a Economy Purtroppo, del 4 febbraio 2021[24] “…se la corruzione in senso lato configura la violazione del principio di economicità nell’azione amministrativa, conseguentemente l’anticorruzione diviene l’insieme dei presìdi per il contrasto, preventivo e repressivo, di tutti i fenomeni di spreco delle risorse pubbliche”. In tale sede è stato anche asserito come l’Italia paga un prezzo altissimo sia in termini di costi economici che sociale, in quanto la corruzione compromette “la resa dei servizi e l’erogazione dei beni dovuti ai cittadini, l’efficienza del sistema complessivo e l’allocazione delle risorse, ostacolando la crescita dell’economia del Paese.

Appare doveroso sottolineare che l’allarme lanciato dalla Corte dei conti in merito al dilagare del fenomeno corruttivo in tutte le pieghe del tessuto economico-sociale del nostro Paese risale già al 2008, quando in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario l’allora Presidente della Corte dei conti, unitamente al Procuratore generale della magistratura contabile, evidenziarono nella relativa relazione dati preoccupanti in ordine ai danni arrecati alla P.A., dichiarando che “su un totale di 1.905 sentenze di condanna emesse in primo grado nel 2007 dalle sezioni regionali della Corte dei Conti, per un totale di oltre 92 milioni di euro, tra gli altri, l’11,4 % riguardava condotte di corruzione, tangenti, concussione e reati simili. Tra i primi danneggiati comparivano i Ministeri (35,4%), i Comuni (32%), seguivano le ASL (11,3%) e le Regioni (5,8%) e le altre amministrazioni a seguire”.[25]

Nel preambolo del suo discorso il Presidente Lazzaro dichiarava espressamente che “l’organizzazione della Repubblica vive un momento di diffuso malessere ed incertezza» e per questo «è compito prioritario e urgente della classe dirigente del Paese fare un bilancio ed eventualmente riconsiderare le scelte recenti e meno recenti, con il preciso scopo di ridare sistematicità all’insieme degli organismi amministrativi a tutti i livelli, nell’interesse finale della comunità nazionale». Il Presidente della Corte, in particolare, lamentava che «assistiamo per tanti aspetti al crescere confuso di strutture, di modelli amministrativi, di sovrapposizioni di competenze tra amministrazioni centrali ed enti locali, di disarmonicitá e di conflitti irrisolti».[26]

Il Presidente della Corte dei conti a conclusione del suo solenne discorso, dunque, nella sede delle Sezioni riunite ammoniva: “A rischio non sono solo i conti pubblici, ma la vita stessa della democrazia. Il cittadino percepisce la funzione pubblica come un qualcosa di estraneo, di diverso da sé e dal proprio mondo, da qui la disaffezione verso le istituzioni e anche verso i centri della politica”.

La drammatica esperienza di tangentopoli non aveva sortito l’effetto sperato nel fungere da deterrente contro la perpetrazione di reati corruttivi, e, a partire dal 2009, si è assistito ad una vera e propria escalation del fenomeno, così come attestato dalle successive relazioni elaborate dalla stessa Corte dei conti.

Situazione resa ancora più delicata a causa della grave crisi finanziaria avviata nel 2008 a livello mondiale, con la caduta della banca statunitense di investimenti “Lehman Brothers”, che fallì il 15 settembre 2008, causando milioni di licenziamenti, sfratti, fallimenti, e la paralisi dell’economia mondiale collegata alla crisi dei mutui subprime e del mercato immobiliare.

Nel corso della cerimonia di parificazione del rendiconto generale dello Stato relativo all’esercizio finanziario 2008, tenutasi il 25 giugno 2009, rilevanti infatti le parole del Procuratore generale della magistratura contabile, che nell’affermare che “il primo effetto di ogni attività di controllo della Corte è, e deve essere, l’assicurare trasparenza e chiarezza dell’azione della Pubblica Amministrazione”, ribadiva anche che “Là dove manca la trasparenza si genera il cono d’ombra entro cui possono trovare spazio quei fatti di corruzione o di concussione che rendono poi indispensabile l’intervento del giudice penale: intervento che a sua volta, prima ancora del definitivo accertamento dei fatti, può avere anche l’effetto, non voluto, di generare un clima di sospetto, una nebbia mefitica che sembra tutto avvolgere e genera sfiducia da parte dei cittadini onesti”.

Nell’anno successivo le cose non migliorarono, tanto che la Corte dei conti ha dovuto constatare, in occasione della cerimonia di inaugurazione dell’anno giudiziario 2010, che il fenomeno corruttivo rappresentava ormai una patologia grave, sottolineando che contro queste condotte illecite individuali, le pubbliche amministrazioni “troppo spesso” non attivavano i necessari “anticorpi interni”.

Sotto la guida del Presidente Giampaolino alla Corte dei conti grande attenzione è stata riservata al dilagare del cancro della corruzione nell’ambito dell’azione amministrativa, sottolineando che il problema avrebbe meritato un approccio sistemico nelle riforme da adottare volte al contenimento del fenomeno stesso, piuttosto che interventi chirurgici, poco idonei alla risoluzione delle varie criticità che si annidavano all’interno di quella complessa macchina rappresentata dalla pubblica amministrazione. Secondo la Corte, infatti, “Bisognerebbe uscire dall’ottica di affrontare il problema solo in sede penale, con aumenti di pena o costruzione di nuove fattispecie di reati bensì fare quello che è stato fatto per la mafia, ricostruire un momento di lotta”.[27]

Da notare che l’auspicio della Corte dei conti nel veder realizzata una grande riforma della pubblica amministrazione, con relativo intervento normativo teso ad affrontare con serietà la piaga della corruzione, ha trovato soddisfazione con la nota legge anticorruzione, n. 190 del 2012 (esaminata in precedenza), ideata per prevenire e contrastare i fenomeni corruttivi.

A tal proposito, corre l’obbligo di riportare le parole del Procuratore generale Salvatore Nottola, che nella sua relazione scritta, elaborata in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario 2013, esprimeva apprezzamento per le disposizioni contenute nella legge n. 190 del 2012, in quanto “Essa configura una prima concreta presa di coscienza del fenomeno corruzione dopo tanti anni spesi in quello che è stato considerato un incomprensibile attendismo, determinato da contrastanti interessi di natura prevalentemente politica e privata”. Punto fondante della riforma in parola consisteva nel porre al centro dell’attenzione il valore etico della legalità e dell’integrità, inteso come principio cardine dell’intera azione amministrativa.

La Corte dei conti nella sua missione di garante imparziale della finanza pubblica ha sempre posto l’accento sull’incidenza negativa che la corruzione esercita sul bilancio dello Stato che si esplica attraverso maggiori costi e minori entrate, tali da influenzare negativamente gli investimenti e la crescita dell’economia, oltre a minare “alla radice la fiducia dei mercati e delle imprese, con conseguente perdita di competitività del Paese e si ripercuotono sulla sua ripresa economica”.

Tale concetto è stato ripreso con grande enfasi anche dal Presidente della Corte dei conti Squitieri nel suo discorso in sede di inaugurazione dell’anno giudiziario 2014, quando nel rimarcare il fondamentale lavoro che la Corte stessa svolge attraverso tutti i suoi uffici giudiziari e di controllo ha asserito che “in prima linea a garanzia e tutela del corretto utilizzo delle risorse pubbliche e degli equilibri di bilancio di tutte le Amministrazioni”, la Corte stessa “è fortemente sensibile all’allarme sulla corruzione sollevato anche in sede europea, trattandosi di una tematica che, incidendo direttamente sulla finanza pubblica, tocca il “core business” dell’Istituto, nel complesso delle proprie funzioni”. Si ribadiva, altresì, la necessità e “l’importanza di una strategia di prevenzione generale che renda residuale, anche se necessario, il momento sanzionatorio dei comportamenti illeciti. La prevenzione deve svilupparsi attraverso il monitoraggio costante dell’attività sia delle pubbliche gestioni che del mercato in generale, impiegando strumenti e procedure tali da garantire la massima trasparenza nell’attività della pubblica amministrazione. Parimenti, ribadisco quanto ho già avuto modo di affermare in altre occasioni: che è anche grazie a norme organiche, chiare e semplici che si può ostacolare la corruzione, eliminando margini di incertezza e ambiguità, entro i quali più facilmente attecchisce il fenomeno”.[28]

Si deve ricordare che nel 2016 il nostro Paese è stato interessato da una importante riforma concernente il sistema di bilancio: la legge 4 agosto 2016, n. 163, recante “Modifiche alla legge 31 dicembre 2009, n. 196, concernenti il contenuto della legge di bilancio, in attuazione dell’art. 15 della legge 24 dicembre 2012, n. 243”, con il quale è stato completato il processo di revisione del sistema normativo-contabile avviato con la riforma costituzionale del 2012, e proseguito pochi mesi dopo con l’approvazione della legge di attuazione n. 243.

Di talché le modifiche intervenute ad opera della nuova legge di contabilità e finanza, che hanno introdotto importanti elementi di novità nell’impianto dei documenti di bilancio e nei compiti di controllo propri della Corte dei conti, individuata anche dal Giudice delle leggi come il custode e il garante dell’equilibrio economico-finanziario del settore pubblico e della corretta gestione delle risorse collettive, sono state oggetto di analisi nella relazione elaborata a conclusione dell’attività consuntiva che la Corte dei conti ha svolto sulla regolarità della gestione del bilancio statale, per l’anno 2016.[29]

In tale sede è stato osservato che con tali modifiche ne è risultata potenziata la funzione di controllo successivo e concomitante sulla gestione delle pubbliche Amministrazioni, intestata dall’art. 100, comma 2, della Costituzione alla Corte dei conti e disciplinata dalla legge n. 20 del 1994. Funzione finalizzata ad analizzare e riferire agli Organi a ciò deputati circa il modo in cui le Amministrazioni hanno attuato i programmi che, con valore prescrittivo, sono contenuti nella legge di bilancio e, in tal modo, a verificare e rendere trasparente il rapporto fra risorse e obiettivi, fra obiettivi e risultati.

Nella sua requisitoria durante il giudizio sul rendiconto generale dello stato 2016, tenutasi nell’aula delle Sezioni riunite il 27 giugno 2017, il Procuratore generale ha ribadito espressamente l’assoluta necessità di “un ripensamento globale e senza pregiudizi di tutti i meccanismi di controllo, per semplificare il quadro normativo, eliminando interferenze e parziali sovrapposizioni, ed innescare quindi tra i rinnovati meccanismi nuove e più proficue sinergie, anche con la previsione di strumenti di raccordo, e con una particolare attenzione ad escludere le pur frequenti situazioni di conflitto di interessi, soprattutto a livello locale. In questo modo sarebbe più facile raggiungere un duplice obiettivo: dare una spinta all’efficienza della spesa, con positivi effetti anche sul mercato, e contribuire ad aumentare concretamente il livello del contrasto a fenomeni di illecito e di corruzione”.

Nel suo discorso, infatti, il Procuratore generale, ha provveduto a rimarcare l’importanza per il nostro ordinamento di procedere con modalità tali da affrontare il fenomeno della corruzione in una logica sistematica che tenga in adeguata considerazione la diffusività del fenomeno e l’insufficienza delle misure fino a quel momento utilizzate. A tal fine, e in particolar modo nell’ottica di un miglioramento della funzionalità delle strutture pubbliche, “il necessario recupero dell’etica nell’amministrare non può essere lasciato alla coscienza dei singoli, ma deve essere accompagnato e favorito da un sistema costruito su una più intensa formazione ed un giusto riconoscimento del merito, anche e soprattutto ai livelli più elevati”.

Negli anni successivi dai vari studi effettuati sia dalla Corte dei conti che dall’ANAC è emerso non solo che il settore che più di tutti in Italia cede alle lusinghe e ai facili guadagli delle attività corruttive è quello della contrattualistica pubblica, ma che la corruzione è divenuta “un fenomeno endemico”, che va combattuto con ogni mezzo, in quanto è devastante per la crescita ed aggrava la crisi economica.

Emblematici, a tal proposito, i dati registrati nel documento afferente “L’Indice di Percezione della Corruzione 2019 (CPI)” pubblicato da Transparency International, che vede l’Italia al 51° posto nel mondo con un punteggio di 53 punti su 100, migliore di un punto rispetto all’anno precedente.[30]

Un esempio di attestazione di quanto il legislatore sia divenuto particolarmente sensibile in ordine alle tematiche legate alla prevenzione e repressione dei fenomeni di corruzione si riscontra dall’introduzione di nuove fattispecie di reato, dall’inasprimento delle pene per i reati già previsti e dalla regolamentazione di modelli organizzativi per prevenire il fenomeno corruttivo. In particolare, si deve segnalare l’introduzione della legge n. 3, del 9 gennaio 2019 (c.d. spazzacorrotti), che ha introdotto misure in materia di contrasto ai reati contro la pubblica amministrazione, di prescrizione e di trasparenza dei partiti e dei movimenti politici e delle fondazioni, con particolare riferimento al loro finanziamento.[31]

La nuova legge sembra privilegiare nuovamente – e per maggiore ampiezza – le misure di tipo repressivo e le penalizzazioni ex post; in merito alle modifiche apportate ai reati commessi contro la Pubblica Amministrazione uno specifico riferimento è previsto per la nuova figura di traffico di influenze illecite, con alcune novità di carattere giuridico assolutamente rilevanti e di cui si tratterà diffusamente in seguito.

La recente crisi pandemica legata al diffondersi del virus Covid-19 ha indotto il legislatore a varare disposizioni normative volte ad incentivare il rilancio economico del Paese. Nello specifico, con riferimento agli appalti pubblici, sono stati approvati due decreti semplificazioni.

Il primo provvedimento è il decreto-legge (Semplificazioni,) n. 76, del 16 luglio 2020, il quale rappresenta un intervento organico volto alla semplificazione dei procedimenti amministrativi, all’eliminazione e alla velocizzazione di adempimenti burocratici, alla digitalizzazione della pubblica amministrazione, al sostegno all’economia verde e all’attività di impresa. In particolare, ha introdotto disposizioni volte ad accelerare l’iter procedimentale degli appalti pubblici con una serie di norme a validità temporanea, operative per appalti avviati entro il 30 giugno 2023.

Il secondo decreto, invece, il decreto-legge n. 77, del 31 maggio 2021, ha introdotto specifiche disposizioni riferite agli appalti finanziati con il PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza), Piano che prevede investimenti concordati con l’Unione europea in risposta alla crisi pandemica, nonché al PNC (Piano nazionale per gli investimenti complementari al medesimo PNRR).

In ordine al decreto Semplificazione, n. 76 del 2020, poi convertito con modificazioni dalla legge 11 settembre 2020, n. 120[32], si devono necessariamente richiamare le modifiche sostanziali che lo stesso decreto ha apportato alla disciplina della responsabilità per danno erariale. Nello specifico, l’art. 21 del decreto in esame ha prodotto mutamenti nella definizione dell’elemento psicologico della responsabilità amministrativa, con particolare riguardo alla qualificazione del dolo in chiave penalistica e non più civilistica, e nella limitazione della colpa grave alle sole condotte omissive. Difatti, nella norma è richiesto che per la sussistenza del “dolo” viene ora richiesta la più stringente previsione della “dimostrazione della volontà dell’evento dannoso”, aderendo alla nozione di dolo c.d. penalistico, di cui all’art. 43 c.p. Inoltre, è stabilito che la responsabilità per “colpa grave” non si applica temporaneamente fino al 31 dicembre 2021, salvo che per i comportamenti omissivi (termine poi prorogato).

La ratio di tale normativa che impatta in modo significativo sull’operato della Corte dei conti, si rinviene nella volontà del legislatore di accelerare, con tale scudo normativo, la “ripartenza” del Paese, ritenendo in tal modo di superare il fenomeno della c.d. “burocrazia difensiva”, ossia quell’atteggiamento passivo da parte dei funzionari pubblici che decidono di non adottare i provvedimenti per il “timore della firma”. Tale timore, è stato detto, ingenera enormi ritardi nell’azione della pubblica amministrazione, rallentando la stipula di contratti o altre attività, specie in materia di opere pubbliche, per il diffuso timore di incorrere in futuri giudizi di responsabilità per danno erariale.

Tale disposizione, in verità, ha destato molte perplessità tra i magistrati contabili e la volontà del legislatore di arginare gli effetti nefasti della c.d. “paura della firma”, che impedirebbe la realizzazione dei programmi e dei lavori pubblici, sembrerebbe piuttosto portare a garantire una sorta di immunità a chi assume comportamenti caratterizzati da imperizia, negligenza e imprudenza, a scapito della buona amministrazione e lasciando ancor di più ampio spazio a pressioni politiche nell’adozione di provvedimenti d’urgenza.

La disposizione che comprime la responsabilità amministrativa è stata ulteriormente prorogata ad opera del decreto-legge n. 77 del 31 maggio 2021 afferente la “Governance del Piano nazionale di ripresa e resilienza e prime misure di rafforzamento delle strutture amministrative e di accelerazione e snellimento delle procedure”, il cui art. 51, lett. h) sostituisce il precedente termine con quello del 30 giugno 2023.

Lo stesso Presidente della Corte dei conti, nel suo discorso di inaugurazione dell’anno giudiziario 2021, ha osservato che tale disposizione di natura temporanea porterà di fatto “al rischio concreto di un complessivo abbassamento della soglia di “attenzione amministrativa” per una gestione oculata delle risorse pubbliche”.

È stato, altresì, sostenuto dal Presidente della Corte dei conti che il citato disposto di cui all’art. 21 del decreto-legge n. 76, del 2020, sembrerebbe privo di coerenza rispetto al quadro disegnato dall’art. 22 del regolamento comunitario, che istituisce il dispositivo per la ripresa e la resilienza (UE 2021/241), rubricato “Tutela degli interessi finanziari dell’Unione”. Dal regolamento, infatti, si evince che, nell’attuare il dispositivo, gli Stati membri, in qualità di beneficiari, sono tenuti ad adottare tutte le opportune misure per la tutela degli interessi finanziari comunitari e per garantire un utilizzo dei fondi conforme al diritto dell’Unione e a quello nazionale applicabile. Nella disciplina in esame assumono rilevanza due aspetti correlati: quello della legalità finanziaria e quello di un sistema di controllo efficace ed efficiente, non disgiunto dai sistemi nazionali di gestione del bilancio, che assicurino strumenti che consentano la prevenzione, l’individuazione e la repressione delle frodi, dei casi di corruzione e dei conflitti di interesse.

Dunque, secondo quanto espresso dallo stesso Presidente della Corte in occasione della cerimonia di inaugurazione dell’anno giudiziario 2022 “la limitazione della colpa grave alle sole condotte omissive, quale presupposto per la responsabilità erariale, non risulta coerente con il diritto dell’Unione europea e con i valori espressi dalla Carta costituzionale, agli articoli 3, 28, 81, 97, e comporta il rischio concreto di un complessivo abbassamento della soglia di “attenzione amministrativa” per l’oculata gestione delle risorse pubbliche.” È stato, altresì, sostenuto dalla magistratura contabile che con la proroga di tale disposizione in materia di contratti pubblici, si rischia, pertanto, di minare l’efficace azione di controllo sulla gestione dei fondi europei, fondamentali per la rinascita del Paese, deresponsabilizzando ulteriormente i funzionari pubblici e contravvenendo anche ai precetti contenuti nel Regolamento (UE, Euratom).[33]

5.2. Nascita della Corte dei conti. Premesse storiche (articolo giudizi di conto)

La necessità e l’importanza della presenza di una istituzione quale strumento essenziale di garanzia della legalità finanziaria e della trasparenza contabile è stata avvertita sin dalla nascita della Corte dei conti, che avvenne ad opera della mente illuminata del grande statista piemontese, il conte Camillo Benso di Cavour, che sin dal 1852 intuì la necessità di organizzare una Corte dei conti italiana che rispondesse ai concetti costituzionali del Nuovo Regno.

La storia insegna che l’organizzazione del sindacato finanziario sull’attività statale ha origini remote, in quanto l’esigenza di un supremo organismo deputato alla vigilanza, nonché al controllo sulle entrate e spese pubbliche è intimamente connaturata ad ogni ordinamento.

La nascita della Corte dei conti risale al 1862, per mezzo della legge n. 800, del 14 agosto del 1862. A tal proposito, all’atto del solenne insediamento avvenuto il 1° ottobre del 1862 a Torino, l’illustre esponente della destra storica Quintino Sella affermò che la Corte dei conti “estendeva la sua giurisdizione in tutto il Regno” e che costituiva “una delle più provvide e sapienti deliberazioni che la Nazione dovesse al Parlamento”, aggiungendo la speranza che “dalla istituzione di questa Corte l’Italia avesse tratto il più lieto auspicio per la sua unità amministrativa e legislativa”.

Il nuovo organo, deputato ad assumere le vesti di vigile custode delle leggi di spesa e di giudice dei conti soggetto solamente alla legge, rappresentava il risultato della trasformazione della Camera dei Conti del Piemonte con contestuale abolizione delle magistrature di controllo degli Stati preunitari esistenti ed attive nelle sedi di Torino, Firenze, Napoli e Palermo.

L’istituto della Corte dei conti fu fortemente voluto dal Cavour, il quale tracciò le sue linee fondamentali in una storica relazione caratterizzata dal celebre monito secondo cui “è assoluta necessità di concentrare il controllo preventivo e consuntivo in un magistrato inamovibile”.

Si devono rievocare le connotazioni fortemente distintive proprie della legge istitutiva, la quale presentava una notevole estensione, andando a toccare tutti gli atti del potere esecutivo, inclusivi anche dei decreti reali, per poi arrivare ad annettere i conti consuntivi dei Ministri, sui quali la Corte dei conti riferiva ogni anno in modo esauriente al Parlamento nazionale. Per lungo tempo tale legge ebbe, dunque, il merito di aver rappresentato in modo pieno e soddisfacente i bisogni della Pubblica Amministrazione senza la necessità di apportare alla stessa sostanziali e radicali modifiche. Venne, pertanto, considerata come una delle più perfette ed armoniche di tutto il nuovo Regno.

In ordine alle sue funzioni, la legge istitutiva presentava, altresì, un corpus di controlli, così come ideato dal Cavour, che trovava la sua declinazione in due rami fondamentali operativi, uno afferente al controllo in senso stretto, comprensivo sia del controllo preventivo di legittimità ai sensi dell’art. 13 della legge di cui trattasi, sia del controllo consuntivo sulla gestione disciplinato dagli artt. 28 e seguenti. Il secondo contenitore di controlli concerneva il genus del controllo giurisdizionale, volto all’accertamento della responsabilità contabile e regolato dall’art. 33 secondo cui : “La Corte giudica, con giurisdizione contenziosa, sui conti dei tesorieri, dei ricevitori, dei cassieri e degli agenti incaricati di riscuotere, di pagare, di conservare e di maneggiare danaro pubblico o di tenere in custodia valori e materie di proprietà dello stato, e di coloro che si ingeriscono anche senza legale autorizzazione negli incarichi attribuiti ai detti agenti. La Corte giudica pure sui conti dei tesorieri ed agenti di altre pubbliche amministrazioni per quanto le spetti a termini di leggi speciali”.

I primi cinquanta anni di attività della Corte dei conti dell’Italia liberale furono caratterizzati sia da una certa stabilità connessa al consolidamento nei regimi politici delle istituzioni liberali, unitamente ad una graduale evoluzione verso un sistema democratico, mentre con l’avvento del regime fascista l’Istituto fu costretto ad operare in un contesto fortemente caratterizzato da notevoli difficoltà legate allo svolgersi di numerosi conflitti bellici e fu investito da un processo di restaurazione voluto proprio dal Duce, il quale manifestò un’altissima considerazione per la delicata missione che tale Istituto era chiamato ad assolvere nella compagine dell’organismo statale ricostituito dal Regime.

In seguito, la Corte dei conti venne inserita all’interno della Carta costituzionale agli artt. 100 e 103, fra gli organismi a rilevanza costituzionale, in ossequio alle tradizionali funzioni dell’Istituto, confermando in capo alla Corte stessa la titolarità congiunta del controllo e della giurisdizione. Oltre a lasciare immutate le preesistenti competenze giurisdizionali, nella Costituzione venne lasciata libertà di manovra in ordine alla possibilità di includere nell’ambito della giurisdizione contabile nuove materie, con particolare riguardo a quelle afferenti alla contabilità pubblica.

In relazione alla formula utilizzata dal Costituente nel definire la Corte dei conti come organo “ausiliare del Governo”, è stato dedotto che:

a) La Corte è Organo a rilevanza costituzionale e non Organo costituzionale, in quanto le mancano alcune fra quelle caratteristiche che, per comune ed indiscussa dottrina, sono richieste per poter classificare un organo come costituzionale, quali la capacità di manifestare una volontà primaria dello Stato, l’esercizio con indipendenza di potere sovrano, con i soliti limiti posti dall’ordinamento giuridico, ed infine la parità formale con gli altri organi costituzionali[34];

b) La Corte opera ed agisce quale magistratura (è tale per precetto costituzionale), cui sono riservate necessariamente le stesse guarentigie e la stessa indipendenza degli altri organi della magistratura, sia quando pronuncia in sede giurisdizionale, sia quando pronuncia in sede di controllo;

c) Nell’esercizio del controllo, quindi, la Corte non esercita funzioni di amministrazione attiva e non è organo della pubblica amministrazione, né del Governo in senso tecnico;

d) La Corte è organo ausiliare del Governo. Ne consegue che la Corte e gli altri organi ausiliari risultano in posizione di equiordinanza, ossia sullo stesso piano dei maggiori organi dell’Esecutivo come cooperatori diretti dei supremi poteri dello Stato.[35]

e) La Corte, dunque, non è ascrivibile nell’ambito di un unico potere, ma è piuttosto un “Organo bivalente” che realizza la “cerniera di garanzia tra il Parlamento ed il Governo”; è in posizione dialettica nei confronti del Governo, a tutela dell’osservanza della legalità obiettiva e, quindi, a garanzia del corretto svolgimento dell’azione del Governo stesso.

f) Stante l’eterogeneità delle funzioni attribuite alla Corte dei conti dalla Carta costituzionale, parte della dottrina ha cercato di ricondurre queste ad un concetto unitario ritenendo che, come massimo organo di controllo, la Corte rientrasse nella sfera del potere legislativo, quale longa manus del Parlamento. La dottrina più recente, invece, riteneva che il potere legislativo sia in verità deputato alla creazione di una forma primaria di diritto, dettando norme agli altri poteri, diversamente dalla Corte dei conti, alla quale non compete, invece, la creazione di norme giuridiche[36].

5.3. Le riforme della Corte dei conti post anni 70

Nel periodo successivo alla Seconda guerra mondiale, la Corte dei conti risultava organizzata in dieci sezioni, con un assetto complessivo delle funzioni ad essa intestate rimasto invariato, nonostante il vivace dibattito dottrinario sulle funzioni di controllo esercitate dall’Istituto spingeva per una revisione della natura dei controlli. A tal proposito, è stata sostenuta la necessità di limitare il raggio di azione del controllo preventivo sugli atti e affidare alla Corte un controllo di efficienza, svincolato dall’analisi dei singoli atti e diretto piuttosto a verificare il buon andamento e la produttività dell’attività amministrativa, nonché l’adeguatezza dell’organizzazione e della pubblica amministrazione[37].

All’inizio degli anni Settanta qualcosa muta, in quanto la relazione al Parlamento sul rendiconto del bilancio dello Stato, che rappresentava l’attività più rilevante del controllo-referto deputata alla Corte dei conti, acquisì una connotazione differente, volta ad assumere la veste di un documento di portata consistente e di sintesi dei risultati della gestione della finanza pubblica, con cui si riferiva al Parlamento. Pertanto, tale attività non si limitava più alla mera elencazione dei provvedimenti registrati con riserva e nel corso del tempo vari provvedimenti normativi conferirono alla Corte la predisposizione di specifiche relazione su interi comparti di finanza e di amministrazione.

In tale ambito, novità rilevante è rappresentata dal decreto-legge 22 dicembre 1981, n. 786, il cui art. 13 ha attribuito alla magistratura contabile il controllo sulla gestione degli enti locali di maggiori dimensioni, istituendo parimenti la Sezione enti locali. L’innovazione rispondeva all’esigenza di porre un freno nell’ambito della finanza locale all’aumento del disavanzo pubblico. In tale ottica va vista anche la previsione del nuovo referto periodico al Parlamento sull’andamento della gestione finanziaria degli enti locali.

Nella materia di cui trattasi giova rievocare la sentenza della Corte costituzionale del 24 marzo 1988, n. 422, con la quale veniva riconosciuta legittimità costituzionale alla succitata norma, sottolineando che “l’attuazione di un’indagine globale coinvolgente tutti i settori interessanti per gli scopi di coordinamento e accertamento della buona gestione nell’area della finanza pubblica appare fine eminentemente sistematico, nell’interesse della collettività nazionale, quando il rispetto stesso delle autonomie cui peraltro non contraddice”.

Sempre nella sfera di competenza degli enti locali, si ricorda anche il decreto-legge 31 agosto 1987, n. 359, il cui art. 28, rubricato “competenze della Corte dei conti – Sezione enti locali”, arricchiva le competenze della Corte, prevedendo un sindacato sulla “gestione di tutti gli enti i cui consuntivi si chiudano in disavanzo, ovvero rechino la indicazione di debiti fuori bilancio”.

Le note vicende di corruzione e di cattiva amministrazione che caratterizzarono gli anni 90 (Tangentopoli), impattarono anche sul relativo sistema dei controlli, ritenuti del tutto inefficaci e quindi bisognosi di essere totalmente rivisti e riformati. Stesso discorso venne fatto per le funzioni giurisdizionali, alle quali serviva una decisa riorganizzazione, al fine di potenziarne l’effettività.

L’urgenza di una riforma complessiva delle funzioni della Corte dei conti ebbe l’effetto di produrre le leggi n. 19 e 20 del 1994, con le quali sono stati istituiti organi decentrati della giurisdizione contabile, quali sezioni e procure regionali, procedendo ad una semplificazione dello stesso processo. Per quanto concerne le funzioni di controllo la novella operò una considerevole riduzione degli atti amministrativi da sottoporre al controllo preventivo di legittimità ed al conseguente visto della Magistratura contabile. Allo stesso tempo sono state previste nuove forme di controllo “di gestione” e “sulle” gestioni pubbliche, a carattere essenzialmente collaborativo.

In particolare, l’art. 4 della legge n. 20/1994 dispone che la Corte dei conti delibera con regolamento le norme concernenti l’organizzazione, il funzionamento, la struttura dei bilanci e la gestione delle spese.

La normativa in esame è stata successivamente integrata da una serie di decreti-legge via via reiterati e convertiti, in ultimo, attraverso la legge n. 639, del 20 dicembre del 1996, la quale ha dato vita ad una terza sezione giurisdizionale d’appello, prevedendo, altresì, la possibilità di appellare anche in materia pensionistica in relazioni alle sole questioni di diritto.

A fronte di tali innovazioni, le funzioni giurisdizionali hanno assunto una connotazione diversa rispetto al passato, andando a delineare una responsabilità amministrativa sempre più caratterizzata da una natura sanzionatoria e meno ancorata a profili meramente risarcitori. Orientamento confermato anche da vari provvedimenti normativi intervenuti negli anni successivi.

In ordine alle funzioni di controllo della Corte dei conti, si deve citare, in particolare, la riforma afferente alla nascita della Sezione di controllo per gli affari comunitari e internazionali, ad opera del regolamento di cui alla deliberazione delle Sezioni riunite n. 1 del 13 giugno del 1997[38], e competente a riferire in Parlamento in materia di controllo sulla gestione dei fondi strutturali comunitari, nonché in ordine al rispetto dei principi fissati dall’Unione europea e con le altre istituzioni superiori di controllo a livello internazionale.

In materia di regolamenti adottati dalla Corte, si deve riportare quello afferente all’organizzazione ed al funzionamento degli uffici amministrativi e degli altri uffici con compiti strumentali e di supporto alle attribuzioni della Corte stessa, deliberato dalle Sezioni Riunite nell’adunanza del 5 marzo 1998, successivamente modificato con deliberazione n. 22 del 2001 e con deliberazione n. 1 del 2010.[39]

Nell’ambito delle funzioni di controllo la Corte dei conti è organizzata e opera attraverso collegi e sezioni. Il Decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 286, recante “Riordino e potenziamento dei meccanismi e strumenti di monitoraggio e valutazione dei costi, dei rendimenti e dei risultati dell’attività svolta dalle amministrazioni pubbliche, a norma dell’articolo 11 della legge 15 marzo 1997, n. 59”, ha conferito alla Corte dei conti un potere di autorganizzazione, in virtù del quale la stessa ha approvato un regolamento, con deliberazione del 16 giugno 2000, e successive modificazioni, teso a delineare l’assetto organizzativo del sistema dei controlli.

Un provvedimento normativo di fondamentale importanza nell’ambito delle attribuzioni di cui la Corte dei conti risulta depositaria è rappresentato dal decreto-legge 10 ottobre 2012, n. 174, convertito con modificazioni dalla legge 7 dicembre 2012, n. 213, recante “Disposizioni urgenti in materia di finanza e funzionamento degli enti territoriali, nonché ulteriori disposizioni in favore delle zone terremotate nel maggio 2012”, il quale ha rafforzato e dato nuova linfa alle funzioni della Corte stessa impattando sulle autonomie territoriali (Regioni e d enti locali).

Tale strumento di decretazione d’urgenza ha avuto come effetto quello di potenziare il sistema dei controlli e dei presidi della gestione delle risorse finanziare da parte degli enti di cui sopra, operando una sorta di bilanciamento rispetto alla valorizzazione dell’autonomia, anche finanziaria, dei livelli di governo territoriale realizzata attraverso la riforma del titolo V, parte II della Costituzione.

La riforma del 2012 ha inserito, altresì, nel novero delle funzioni intestate alla Corte una funzione giurisdizionale nuova, assegnata alle Sezioni riunite in speciale composizione, nell’ambito delle procedure di riequilibrio finanziario degli enti locali. Alle Sezioni riunite in speciale composizione, poi, è stata conferita dalla legge di stabilità n. 228, del 24 dicembre 2012, una nuova competenza relativa ai ricorsi presentati avverso gli atti di ricognizione delle amministrazioni pubbliche operata annualmente dall’ISTAT.

In tale sede si deve richiamare nuovamente il Codice di giustizia contabile, entrato in vigore con decreto legislativo 26 agosto 2016, n. 174, il quale contiene una disciplina organica dei giudizi che si svolgono innanzi alla magistratura contabile.

A fronte di quanto detto, si può asserire che la Corte dei conti in relazione alla riforma che ha interessato le sue funzioni “è inserita appieno nel circuito istituzionale del regime democratico-parlamentare”. [40]

L’espandersi dell’intervento pubblico dell’economia, inoltre, ha determinato un’evoluzione anche dell’altra funzione fondamentale di cui la Corte risulta titolare, ossia quella della giurisdizione, nell’ambito della quale lo strumento della responsabilità amministrativa ha assunto primaria importanza, quale istituto di garanzia di valori costituzionalmente tutelati, di cui agli artt. 81, 97, 119 della Costituzione.

5.4. Le funzioni di controllo della Corte dei conti

Dal complesso sistema di compiti e funzioni conferite alla Corte dei conti sin dalla sua istituzione, appare incontrovertibile che tale Istituto costituisce il perno dell’intero sistema dei controlli esterni sull’azione amministrativa e sulla finanza pubblica.

A tal proposito, in linea generale si deve evidenziare che la Corte risulta intestataria sia di una serie di attribuzioni ad essa conferite in via diretta dalla stessa Costituzione, all’art. 100 (il controllo preventivo di legittimità sugli atti del Governo, il controllo successivo sulla gestione del bilancio dello Stato, il controllo sulla gestione finanziaria degli enti cui lo Stato contribuisce in via ordinaria), che di funzioni che si sono aggiunte nel corso del tempo e che discendono direttamente dalle leggi ordinarie. Quest’ultime trovano il loro fondamento costituzionale nell’art. 97 della Costituzione, in cui viene esaltato il principio del buon andamento degli uffici pubblici[41].

Nell’ambito delle funzioni principali di controllo esterno esercitate dai magistrati contabili si espone in modo succinto l’operato dei vari uffici competenti:

5.4.1. Sezioni riunite in sede di controllo

Le Sezioni riunite in sede di controllo definiscono, entro il 30 ottobre di ciascun anno, il quadro di riferimento programmatico, anche pluriennale, delle indagini di finanza pubblica e dei controlli sulla gestione e i relativi indirizzi di coordinamento e criteri metodologici di massima; programmano, inoltre, entro il 15 novembre indagini relative a più Sezioni, tenendo conto delle eventuali richieste formulate dal Parlamento e determinano, secondo criteri di prevalenza, la Sezione competente, ovvero definiscono le modalità della collaborazione operativa tra le Sezioni interessate. I programmi di indagine intersettoriale relativi ad analisi generali di finanza pubblica possono essere svolti direttamente dalle Sezioni riunite anche in collaborazione con le Sezioni del controllo.

L’articolo 6 del regolamento per l’organizzazione delle funzioni di controllo della Corte dei conti, adottato dalla citata deliberazione delle Sezioni riunite n. 14/ DEL/ 2000, successivamente modificato, descrive le competenze delle Sezioni riunite in sede di controllo, le quali, ferme restando le attribuzioni ad esse demandate da norme di legge o di regolamento e sulla base degli indirizzi formulati dal Presidente, provvedono:

–  innanzitutto, a deliberare sul rendiconto generale dello Stato e a riferire annualmente al Parlamento ai sensi degli articoli 39, 40 e 41 del regio decreto 12 luglio 1934, n. 1214 “ferme restando le norme vigenti per le Regioni a statuto speciale e le Province autonome di Trento e Bolzano”. Trattasi di una delle funzioni più antiche e tradizionali esercitata dalla Corte, il cui giudizio è teso ad accertare la conformità dei risultati del rendiconto dello Stato alla legge di bilancio attraverso il raffronto tra le risultanze del conto consuntivo con la legge di bilancio e le scritture tenute dalla Corte.

Nel corso degli anni tale documento ha subito delle modifiche, orientando il contenuto verso analisi di carattere generale sui conti dello Stato e sulle tematiche di maggiore interesse a carattere trasversale sulla gestione delle entrate e sull’andamento delle spese, focalizzando l’attenzione in particolare sulla valutazione delle criticità o del best practices nelle amministrazioni, emergenti dall’analisi dei principali programmi d’intervento ad essa assegnati[42].

–  a svolgere le funzioni di cui all’art. 47 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni ed integrazioni, in materia di certificazione dei contratti collettivi di lavoro del pubblico impiego;

– a esercitare le funzioni di cui all’art. 11-ter della legge 5 agosto 1978, n. 468, e successive modificazioni ed integrazioni, in materia di copertura finanziaria delle leggi;

– a riferire al Parlamento in tema di costo del lavoro pubblico, su analisi di finanza pubblica relative a specifici temi intersettoriali e su ogni altra materia per la quale la legge prevede uno specifico referto della Corte al Parlamento;

– a deliberare ai sensi dell’art. 25 del Regio decreto del 12 luglio del 1934, n.1214; si tratta del caso in cui la Corte è chiamata a deliberare a Sezioni riunite qualora la deliberazione di ricusazione del visto sugli atti o decreti presentati alla Corte venga esaminata in Consiglio dei ministri, il quale decide comunque che il provvedimento debba avere corso in quanto l’atto risponde ad interessi pubblici superiori. A questo punto le Sezioni riunite in sede di controllo, se ritengono non venute meno le cause del rifiuto del visto da parte della sezione di controllo di legittimità, si pronunciano ordinando la registrazione dell’atto, apponendo il visto con riserva.

5.4.2. Controllo preventivo di legittimità

Il controllo preventivo di legittimità incarna la funzione più tradizionale della Corte dei conti. Emblematiche, a tal riguardo, le parole del Ministro delle finanze dello Stato unitario, Quintino Sella, secondo il quale compete alla Corte dei conti “tutelare la pubblica fortuna, il curare l’osservanza della legge da parte di chi le debba la maggiore riverenza, cioè del Potere esecutivo”.[43]Il controllo preventivo è disciplinato in primis dal regio decreto 12 luglio 1934, n. 1214, il cui art. 24 dispone in ordine all’instaurazione del contraddittorio con l’amministrazione. L’art. 3 della legge di riforma n. 20 del 1994, invece, si occupa di individuare gli atti assoggettati al controllo. Fa seguito la legge del 24 novembre del 2000, n. 340 “Disposizioni per la delegificazione di norme e per la semplificazione di procedimenti amministrativi” che detta delle regole in merito alla tempistica. Nel corso del tempo sono intervenute altre disposizioni che hanno inciso sul novero degli atti sottoposti a controllo, provvedendo a differenziare sia le procedure che le tempistiche per talune categorie di atti.[44]La riforma del sistema dei controlli operata grazie alla citata legge n. 20 del 1994 ha apportato una serie di modifiche, favorendo anche per ragioni di speditezza dell’azione amministrativa il controllo successivo sulle gestioni rispetto al controllo preventivo di legittimità di tipo impeditivo, la cui previgente disciplina si estendeva a tutti gli atti della pubblica amministrazione, compresi quelli di scarsa rilevanza. La novella del 1994, invece, ha limitato il controllo preventivo di legittimità a una serie circoscritta di atti di Governo e di atti amministrativi di eccezionale rilevanza.Più in generale, tale tipo di controllo è volto ad accertare la conformità a legge dei provvedimenti ad essa sottoposti. L’ufficio competente che riceve l’atto ove lo ritenga legittimo lo ammette al visto e alla registrazione, dopodiché l’atto acquista efficacia e inizia a produrre i suoi effetti. Ove l’ufficio dubiti della legittimità dell’atto sottoposto a controllo, inizia una fase procedimentale in cui la Sezione di controllo deve esprimersi entro il termine perentorio di 60 giorni, salvo eccezionali ipotesi di sospensioni. Trascorso infruttuosamente tale termine senza che la Sezione di controllo si sia espressa gli atti divengono in ogni caso esecutivi, a meno che in tale periodo la Corte non abbia sollevato una questione di legittimità costituzionale, per violazione dell’art. 81 della Costituzione, delle norme aventi forza di legge che costituiscono il presupposto dell’atto, ovvero abbia sollevato, in relazione all’atto, conflitto di attribuzione.Sul piano organizzativo appare utile evidenziare che il controllo preventivo di legittimità risulta oggi disciplinato dal già citato “Regolamento per l’organizzazione delle funzioni di controllo della Corte dei conti” (deliberazione n. 14/del/2020 delle Sezioni riunite in data 16 giugno 2000), in forza dell’art. 3, comma 2 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 286, il quale sancisce espressamente che “Al fine anche di adeguare l’organizzazione delle  strutture di controllo della Corte dei conti al sistema dei controlli  interni disciplinato dalle disposizioni del presente decreto, il numero, la composizione e la sede degli organi della Corte dei conti  adibiti  a compiti di controllo preventivo su atti o successivo  su  pubbliche gestioni e degli organi di supporto sono determinati dalla Corte stessa, anche in deroga a previgenti disposizioni di legge”, nell’esercizio dei poteri ad essa conferiti dall’art. 4 della legge n. 20 del 1994.Dallo stesso art. 1 del regolamento in esame si evince, inoltre, che il controllo preventivo di legittimità su atti è esercitato dalle Sezioni riunite in sede di controllo ai sensi dell’art. 25 del regio decreto n. 1214 del 1934 (come già sopra esaminato), ovviamente dalla Sezione di controllo di legittimità sugli atti del governo e delle amministrazioni dello Stato, nonché dagli uffici centrali di controllo di cui all’art. 4 dello stesso regolamento[45], oltre che dalle Sezioni regionali di controllo.In ultimo, si deve necessariamente citare l’influenza della responsabilità amministrativo-contabile sul controllo preventivo di legittimità per effetto dell’art. 17, comma 30-quater del decreto-legge n. 78 del 2009, il quale dispone che “In ogni caso è esclusa la gravità della colpa quando il fatto dannoso tragga origine dall’emanazione di un atto vistato e registrato in sede di controllo preventivo di legittimità, limitatamente ai profili presi in considerazione nell’esercizio del controllo”. Tale norma è volta, dunque, ad escludere la colpa grave di una condotta dannosa compiuta in un momento successivo all’adozione dell’atto dopo la sua registrazione, facendo leva sull’esito favorevole del controllo di legittimità esercitato dalla Corte. [46]Un breve cenno deve essere rivolto al controllo successivo di legittimità, esercitato sempre dalla Sezione centrale di controllo di legittimità di cui sopra, dai vari uffici in cui è articolata la sezione stessa e dalle Sezioni regionali di controllo. A tal proposito l’art. 10, comma 1 del decreto legislativo n. 123 del 2011 sancisce che gli atti di spesa per i quali il dirigente responsabile decida di dare ugualmente seguito, sotto la propria responsabilità, nonostante le osservazioni del competente ufficio di controllo (Ufficio centrale di bilancio – UCB), devono essere trasmessi al competente ufficio di controllo della Corte dei conti, corredati delle osservazioni e della relativa documentazione. Il procedimento che si instaura può avere esito positivo, oppure concludersi con una dichiarazione di non conformità a legge, per effetto della quale l‘amministrazione dovrà adottare le conseguenziali misure di competenza, anche in relazione agli eventuali profili di responsabilità del dirigente.[47]

5.4.3. Controllo successivo sulla gestione delle amministrazioni dello Stato

Un’altra funzione di notevole importanza conferita alla Corte dei conti, e che nel corso del tempo ha assunto sempre più rilievo centrale nell’ambito dell’azione dei controlli, concerne il controllo sulla gestione delle amministrazioni pubbliche, la cui competenza spetta alla Sezione di controllo sulla gestione delle amministrazioni dello Stato, in conformità ai principi dettati dall’art. 3, comma 4 e 5, della legge 14 gennaio 1994, n. 20.Con tale attribuzione la Corte è chiamata a verificare la legittimità e la regolarità delle gestioni, nonché il funzionamento dei controlli interni a ciascuna amministrazione; verifica, altresì la rispondenza dei risultati conseguiti dalle stesse amministrazioni rispetto agli obiettivi stabiliti dalla legge, al fine di stimolare i processi di autocorrezione.La deliberazione n. 12/2018/G disciplina in modo dettagliato tali principi, enfatizzando il valore sia della programmazione che dei rapporti tra la Sezione e gli organismi di controllo interno, così come del confronto diretto e costante con le Amministrazioni coinvolte nelle indagini, oggetto di attenzione della Sezione stessa.L’esito del controllo sulla gestione trova la sua realizzazione nella predisposizione di relazioni e osservazioni dettagliate destinate alle Amministrazioni interessate, che rappresenta il frutto di analisi analitiche compiute dalla Sezione tese a mettere in evidenza gli elementi sintomatici delle criticità di gestione (ritardi nell’attuazione dei programmi, mancata utilizzazione di fondi, scostamenti tra risultati e obiettivi). Tale controllo, inoltre, è volto ad accertare il rispetto dei canoni di efficienza, di efficacia e di economicità della gestione, nonché l’effettività e la funzionalità dei controlli interni e delle misure di prevenzione della corruzione.Nella sua azione di controllo la Sezione si prefigge l’obiettivo di far emergere in modo tempestivo ritardi e anomalie nelle attività delle amministrazioni e in un’ottica collaborativa di consentire l’adozione di provvedimenti idonei a rimuovere le disfunzioni accertate.Un aspetto di tale controllo che recentemente ha assunto una importanza notevole concerne il principio della concomitanza, in cui l’elemento della tempestività nell’addivenire a pronunce sulle irregolarità gestionali o deviazioni da obiettivi, procedure e tempi di attuazione degli interventi assume un ruolo significativo. Ciò, in particolar modo a seguito dell’emanazione del decreto-legge n. 76 del 2020, convertito dalla legge n. 120 del 2020, che, nell’ottica di agevolare il sostegno e il rilancio dell’economia nazionale, ha previsto all’art. 22[48] il rafforzamento degli effetti del controllo sulla gestione, nell’intento di contrastare “gravi irregolarità gestionali, ovvero rilevanti e ingiustificati ritardi nell’erogazione di contributi nell’attuazione”. A tal proposito, è stato recentemente istituito l’ufficio del controllo concomitante, incardinato all’interno della Sezione controllo sulla gestione e dotato di un proprio Presidente e di proprio personale amministrativo, chiamati ad adempiere ai compiti imposti dal PNRR.

5.4.4. Controllo sulla gestione finanziaria degli enti

Ai sensi dell’art. 100, secondo comma della Costituzione e della legge 21 marzo 1958, n. 259, la Corte dei conti esercita il controllo sulla gestione finanziaria degli enti cui lo Stato contribuisce in via ordinaria, esclusi gli enti “d’interesse esclusivamente locale”, quelli per i quali l’interesse per lo Stato sia di particolare tenuità, nonché quelli ai quali la contribuzione dello Stato sia stata concessa in applicazione di provvedimenti legislativi di carattere generale.Tale tipologia di controllo viene esercitato dalla Sezione di controllo sugli enti, e si risolve nella disamina della gestione finanziaria ed economica-patrimoniale degli enti controllati, con esito di referto al Parlamento. Tale documento contiene i principali profili gestionali, concernenti in particolare quelli relativi all’organizzazione strutturale, alla consistenza ed ai costi del personale, alle partecipazioni societarie e all’attività negoziale.

5.4.5. I controlli sul sistema delle autonomie

Tale controllo fornisce una sintesi dei risultati della gestione e dei dati di bilancio della finanza regionale e locale e l’attività si conclude con un referto al Parlamento, in cui si dà evidenza anche delle criticità riscontrate nell’osservazione di alcuni aspetti di rilievo.La Sezione delle autonomie rappresenta un validissimo strumento di supporto istituzionale per il corretto funzionamento del sistema di finanza pubblica ed opera attraverso l’elaborazione di referti, linee-guida, deliberazioni d’indirizzo ed orientamento sulle problematiche più significative della finanza regionale e locale.La sezione delle autonomie si pone, altresì, come organo di raccordo tra diversi livelli di controllo, dialogando sia con le Sezioni riunite che con le Sezioni regionali di controllo.Appare necessario, infine, sottolineare che la Sezione delle autonomie costituisce espressione delle Sezioni regionali di controllo ai fini del coordinamento della finanza pubblica e svolge la sua distintiva azione di coordinamento sia attraverso l’attività nomofilattica che con la predisposizione di linee di indirizzo, con la quale si tende a garantire l’uniforme attuazione della legge e salvaguardare la tendenziale omogeneità delle pronunce in sede regionale di controllo.Con il decreto-legge n. 174 del 2012 (art. 6, comma 4) la Sezione ha ricoperto un ruolo primario nell’ambito della nomofilachia del controllo, in quanto esercita tale funzione sia nella fase di prevenzione sia in quella volta alla risoluzione dei contrasti interpretativi, ferma restando la competenza delle Sezioni riunite in sede di controllo nei casi di eccezionale rilevanza ai fini del coordinamento della finanza pubblica ovvero di applicazione di norme che coinvolgono l’attività delle Sezioni centrali di controllo.[49]

5.4.6. I controlli sulla finanza territoriale

Il sistema dei controlli degli enti territoriali si fonda sul principio costituzionale dell’autonomia dell’ente nella sua capacità di verifica e di giudizio interno della propria attività.

Nell’ambito di una pluralità di livelli di governo territoriali, ciascuno dotato sia di una propria autonomia finanziaria che della titolarità della gestione di risorse finanziarie pubbliche, la Corte dei conti, attraverso le Sezioni regionali di controllo, svolge un ruolo primario nella sua veste di garante dell’equilibrio complessivo dei bilanci e della sostenibilità dell’indebitamento e di garante del rispetto degli obiettivi programmatici concordati in sede europea.

Prima della riforma del sistema dei controlli avviata con il decreto legislativo n. 150, del 27 ottobre 2009 (c.d. decreto Brunetta), il ruolo della Corte dei conti in tale contesto aveva subito un ridimensionamento sia attraverso l’eliminazione di parte dei controlli preventivi di legittimità, che con il mantenimento delle sue funzioni di controllore esterno operando tramite un rapporto di tipo collaborativo.

Il decreto Brunetta ha dato il via ad un processo di rinnovamento del sistema dei controlli e reca una riforma organica della disciplina del rapporto di lavoro dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche, di cui all’articolo 2, comma 2, del d.lgs. 165/2001.

Il provvedimento[50] in parola ha introdotto il concetto di valutazione delle strutture e del personale delle amministrazioni pubbliche da esercitarsi attraversi Organismi indipendenti di valutazione, concetto che si è evoluto sulla scorta dell’entrata in vigore del decreto legislativo n. 123, del 30 giugno 2011, il quale ha introdotto la riforma dei controlli di regolarità amministrativa e contabile e del potenziamento dell’attività di analisi e di valutazione della spesa.

In un quadro generale che vede le Regioni e gli enti locali chiamati a concorrere agli obiettivi di finanza pubblica, al consolidamento dei conti e al rispetto del principio del pareggio di bilancio, è intervenuto il decreto-legge n. 174, del 10 ottobre del 2012, il quale ha determinato un rafforzamento e un ampliamento delle funzioni assegnate alle Sezioni regionali di controllo della Corte dei conti. In tale ambito nuova veste assumono i controlli di regolarità e di legittimità sui bilanci degli enti territoriali, già esercitati con l’attuazione della riforma del titolo V della Costituzione, nelle forme e modalità di cui alle leggi n. 131, del 5 giugno 2003, e n. 266, del 23 dicembre 2005.

La ratio sottesa alla riforma in esame si rinviene dell’intento di potenziare il controllo sulla gestione finanziaria delle Regioni attraverso l’introduzione dell’obiettivo della garanzia del rispetto dei vincoli finanziari, derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea, oltre quella già prevista del rafforzamento del coordinamento della finanza pubblica. Nello specifico, è stato previsto un modello di controllo sui bilanci preventivi e sui rendiconti consuntivi, che comporta l’esame da parte delle Sezioni regionali di controllo della Corte dei conti del complesso dei documenti di bilancio regionali sotto il profilo del rispetto degli obiettivi annuali posti dal patto di stabilità interno, dell’osservanza dei vincoli costituzionali, della sostenibilità dell’indebitamento, dell’assenza di irregolarità, suscettibili di pregiudicare gli equilibri economico finanziari degli enti.

Occorre, altresì, evidenziare che i rendiconti regionali dovranno necessariamente tener conto anche degli effetti finanziari derivanti da partecipazioni societarie nei soggetti che gestiscono servizi pubblici regionali (o servizi strumentali alla regione) nonché dei risultati della gestione degli enti del settore sanitario.

La relativa procedura di competenza della Corte dei conti consente alle Sezioni regionali di controllo di emettere una procedura di accertamento qualora emergano squilibri economico-finanziari o altre rilevanti irregolarità, che le Regioni interessate dovranno cercare di rimuovere con provvedimenti idonei entro i successivi 60 giorni. In caso di inerzia o di inidoneità da parte delle medesime Regioni viene preclusa l’attuazione dei programmi di spesa per i quali è stata accertata la mancata copertura o l’insussistenza della relativa sostenibilità finanziaria.

Altre novità rilevanti introdotte dalla riforma di cui sopra concernono sia l’obbligo per il Presidente della Regione di trasmettere ogni anno alla Corte una relazione sulla regolarità della gestione e sul sistema dei controlli interni, nonché l’inserimento del giudizio di parificazione attraverso la disamina da parte delle Sezioni regionali di controllo dei rendiconti regionali.

Si aggiunga, infine, che il decreto del 2012 ha conferito alla Corte anche il compito di predisporre una relazione semestrale sulla tipologia delle coperture finanziarie sulle tecniche di quantificazione degli oneri adottate per i provvedimenti approvati dalle Regioni in ciascun semestre. La riforma in esame ha investito anche i gruppi consiliari del Consiglio regionale, i quali devono approvare un rendiconto di esercizio annuale da trasmettere al Presidente del Consiglio regionale e da questi al Presidente della Regione, il quale lo deve inviare alla Corte dei conti nei successivi 60 giorni. Una volta esaminati i rendiconti da parte della Corte dei conti, qualora questa ravvisi la presenza di irregolarità, non sanate successivamente dai gruppi consiliari, gli stessi decadono dal diritto di erogazione di risorse da parte del Consiglio regionale, con contestuale obbligo di restituzione delle risorse nel frattempo ricevute e non rendicontate.

L’intervento riformatore di cui trattasi impatta anche sulle attività degli enti locali; a tal proposito occorre osservare come venga rafforzata la funzione di controllo della Corte dei conti sugli enti locali, che coinvolge, anche in corso di esercizio, la regolarità della gestione finanziaria, gli atti di programmazione e la verifica del funzionamento del sistema di controllo interno di ciascun ente. La Corte dovrà inoltre provvedere alla disamina dei bilanci preventivi e consuntivi dell’ente locale, comprensivi delle risultanze delle partecipazioni in società controllate.

Anche in questo caso, le risultanze del controllo potranno condurre ad una pronuncia di accertamento dalla quale deriva l’obbligo per l’ente di conformarsi a tale pronunciamento, adottando provvedimenti correttivi che, se ritenuti inidonei dalla Corte stessa, comportano la preclusione, per l’ente, dei programmi di spesa per i quali è emersa la non sostenibilità finanziaria. “Specifiche norme sono poi volte a rafforzare le sanzioni per gli amministratori che abbiano cagionato il dissesto finanziario degli enti locali: si sopprime il limite temporale dei cinque anni precedenti il dissesto accertato dalla magistratura contabile; si inserisce l’espresso richiamo alle condotte omissive rilevanti ai fini delle cause ostative a ricoprire determinati incarichi ivi previste; si introduce una sanzione pecuniaria da irrogare nei confronti degli amministratori giudicati responsabili; misure sanzionatorie sono anche introdotte per i componenti del collegio dei revisori degli enti locali di cui la Corte abbia accertato le responsabilità”.[51]

5.5. La responsabilità amministrativo-contabile della Corte dei conti

Nell’ambito delle funzioni giurisdizionali della Corte dei conti, il citato articolo 103 della Costituzione conferisce alla Corte stessa la competenza nelle materie di contabilità pubblica ovvero in materia di responsabilità amministrativa e contabile. La Corte dei conti esercita, altresì, la sua giurisdizione anche in materia di pensioni.

Quanto alle funzioni giurisdizionali, inoltre, la Corte è “giurisdizione speciale” (unitamente al Consiglio di Stato e ai Tribunali militari), come tale sottratta alla necessaria revisione di cui alla VI disposizione transitoria della Costituzione.

La Corte è anche una “giurisdizione superiore”, in base all’art. 111, comma 8, Cost., posto che le sue decisioni sono ricorribili in Cassazione solo “per motivi inerenti alla giurisdizione”. In detta qualità, tra l’altro, secondo quanto previsto dall’art. 135, comma 2, Cost., concorre all’elezione dei giudici della Corte costituzionale.

Giova evidenziare che in ordine alla veste di giudice speciale ricoperta dalla Corte dei conti, di cui all’art. 103, comma 2 della Costituzione, la Corte costituzionale ha contribuito a chiarire nella sentenza n. 641 del 1987 il rapporto tra la giurisdizione speciale attribuita alla Corte e la giurisdizione ordinaria, nonché le problematiche legate all’apparente antinomia tra la tendenziale generalità della giurisdizione e la necessità della interpositio legislatoris. A tal riguardo nella sentenza in parola è stato espressamente sancito che Il secondo comma dell’art. 103 Cost. è stato più volte interpretato da questa Corte (sentt. nn. 17/85; 189/84; 241/84; 102/77), nel senso che alla Corte dei Conti è riservata la giurisdizione sulle materie di contabilità pubblica, la quale va intesa nel senso tradizionalmente accolto dalla giurisprudenza e dalla legislazione, cioè come comprensiva sia dei giudizi di conto che di responsabilità a carico degli impiegati e degli agenti contabili dello Stato e degli enti pubblici non economici che hanno il maneggio del pubblico denaro; che la materia di contabilità pubblica non è definibile oggettivamente ma occorrono apposite qualificazioni legislative e puntuali specificazioni non solo rispetto all’oggetto ma anche rispetto ai soggetti; che, comunque, essa appare sufficientemente individuata nell’elemento soggettivo che attiene alla natura pubblica dell’ente (Stato, Regioni, altri enti locali e amministrazione pubblica in genere) e nell’elemento oggettivo che riguarda la qualificazione pubblica del denaro e del bene oggetto della gestione. Si è anche affermato che la giurisdizione della Corte dei Conti, nelle dette materie, è solo tendenzialmente generale (tanto che nell’ordinamento precostituzionale la si qualificava giurisdizione speciale) e che sono possibili deroghe con apposite disposizioni legislative, specie nella materia della responsabilità amministrativa non di gestione e che la cognizione delle cause attinenti alla responsabilità patrimoniale per danni cagionati agli enti pubblici da pubblici funzionari, nell’esercizio delle loro funzioni, siccome involge questioni relative a diritti soggettivi, sarebbe spettata al giudice ordinario se non vi fosse stata la previsione legislativa derogatoria la quale sancisce una diversa ripartizione giurisdizionale. La richiamata giurisprudenza non è in contrasto con l’altra di questa stessa Corte (sentt. nn. 110/70; 68/71; 211/72; 102/77; 241/84; 53/85) che ha affermato la espansione tendenziale della giurisdizione della Corte dei Conti, ove sussista identità di materia e di interesse tutelato, in carenza di regolamentazione specifica da parte del legislatore che potrebbe anche prevedere la giurisdizione ed attribuirla ad un giudice diverso (per es. in tema di responsabilità amministrativa dei funzionari regionali in fattispecie di gestione di interessi patrimoniali pubblici). A parte la rilevata necessità della carenza di una diversa disciplina legislativa si rimane sempre nel campo della giurisdizione contabile, come sopra specificata. Trattasi sempre di un limite funzionale alla giurisdizione del giudice ordinario che nell’ordinamento è il giudice dei diritti soggettivi, tranne le eccezioni legislativamente stabilite. Proprio in applicazione dell’art. 103, secondo comma, Cost., e nei limiti ad esso imposti, spetta al legislatore la determinazione della sfera di giurisdizione dei giudici (ordinario, amministrativo, contabile, militare ecc…). E nella interpositio del legislatore deve individuarsi il limite funzionale delle attribuzioni giudicanti della Corte dei conti”.

Nell’ambito della giurisdizione contabile, inoltre, la riforma del 1994 (leggi n. 19 e 20 del 1994) ha avuto il merito di provvedere al riordino di tutta la normativa afferente alle fattispecie di responsabilità amministrativo-contabile. Tale processo ha trovato piena realizzazione con il successivo decreto legislativo 26 agosto 2016, n. 174,[52]il quale non solo ha codificato tutte le norme in materia in un solo testo, ma ha anche apportato elementi di novità in particolar modo sul piano procedurale.

Alla luce delle novità intervenute, dunque, si può asserire che il perimetro della giurisdizione contabile esercitata dalla Corte dei conti racchiude i seguenti giudizi:

  • Giudizi di conto;

  • Giudizi di responsabilità amministrativa per danno all’erario;

  • Altri giudizi in materia di contabilità pubblica;

  • Giudizi in materia pensionistica;

  • Giudizi aventi ad oggetto l’irrogazione di sanzioni pecuniarie;

  • Altri giudizi nelle materie specificate dalla legge.

5.5.1. Giudizi di conto

Il giudizio di conto, nonostante l’entrata in vigore del Codice di giustizia contabile, è disciplinato sia dall’art. 44 e seguenti del testo unico delle leggi sulla Corte dei conti, approvato con regio decreto n. 1214 del 1934, che dall’art. 74 della legge di contabilità generale dello Stato n. 2440/1923, e dagli artt. 178 e 610 del regio decreto n. 827 del 1924, recante il Regolamento per l’amministrazione del patrimonio e per la contabilità generale dello Stato. Le norme appena richiamate, pertanto, sono tuttora vigenti (sono oggetto di abrogazione gli artt. da 67 a 97).

Il citato art. 44 attiene all’ambito di operatività nella sua giurisdizione contenziosa, mentre il successivo art. 45 descrive la presentazione del conto giudiziale. L’art. 74 della legge di contabilità generale dello Stato n. 2440/1923, unitamente all’art. 610 del summenzionato regio decreto n. 827 del 1924, invece, forniscono una descrizione dei soggetti che vengono considerati agenti contabili. L’esatta elencazione degli agenti contabili la ritroviamo, infine, nella norma di cui all’art. 178 del citato Regolamento contabile.

Nel Codice di giustizia contabile il giudizio di conto è normato dagli artt. 137-150. L’art. 137, in particolare, attribuisce alla Corte dei conti la competenza a giudicare degli agenti contabili dello Stato e delle altre pubbliche amministrazioni, secondo quanto stabilito in termini di legge.

Occorre rilevare che i succitati articoli 137-150 c.g.c., afferenti all’ambito di operatività del giudizio di conto devono necessariamente essere letti in stretta connessione con i principi generali e fondanti della giurisdizione contabile, che si rinvengono nei principi di effettività e di concentrazione (articoli 2 e 3 del c.g.c.), unitamente a quelli del giusto processo (art. 4 c.g.c.), dell’obbligo di motivazione e di sinteticità degli atti (art. 5 c.g.c.).

Per quanto concerne la figura degli agenti contabili dello Stato, si può affermare che gli stessi possono suddividersi in tre categorie: agenti della riscossione o esattori, il cui compito risulta essere quello di riscuotere le entrate e di versarne il relativo ammontare; gli agenti pagatori o tesorieri, incaricati della custodia del denaro e dell’esecuzione dei pagamenti; gli agenti consegnatari, addetti alla conservazione di generi, oggetti e materie di pertinenza della pubblica amministrazione.

In ordine alla figura degli agenti contabili, inoltre, si suole distinguere tra contabili di diritto e contabili di fatto; i primi corrispondono a quei soggetti sui quali è posto l’obbligo strumentale della custodia e della corretta gestione dei valori loro assegnati per ufficio o per contratto, mentre nell’ambito della seconda categoria rientrano tutti quei soggetti che di fatto hanno realizzato la materiale ingerenza nella gestione dei beni pubblici.

Si osserva poi che affinché un soggetto venga qualificato agente contabile non è necessaria la presenza di un rapporto di pubblica dipendenza nella gestione dei beni pubblici, essendo coinvolti anche soggetti privati legati alla pubblica amministrazione da peculiari relazioni (ad es. un rapporto di concessione che lega la banca tesoriere all’amministrazione).

Il conto giudiziale, in adesione al principio generale del nostro ordinamento per cui il pubblico denaro proveniente dalla fiscalità generale deve essere assoggettato alla garanzia costituzionale della correttezza della sua gestione, in quanto volto al soddisfacimento dei bisogni pubblici, deve essere “obbligatoriamente reso da ogni gestore di mezzi di provenienza pubblica e da ogni agente contabile che abbia comunque il maneggio di denaro e di valori di proprietà dell’amministrazione”.

A tal proposito, appare utile rievocare la sentenza della Corte costituzionale n. 292, del 12-25 luglio 2001 con la quale è stato precisato che l’attività contabile ha come suo naturale esito il giudizio di conto, che “si configura essenzialmente come una procedura giudiziale, a carattere necessario, volta a verificare se chi ha avuto maneggio di denaro pubblico, e dunque ha avuto in carico risorse finanziarie provenienti da bilanci pubblici, è in grado di rendere conto del modo legale in cui lo ha speso, e dunque non risulta gravato da obbligazioni di restituzione (in ciò consiste la pronuncia di discarico). In quanto tale, il giudizio di conto ha come destinatari non già gli ordinatori della spesa, bensì gli agenti contabili che riscuotono le entrate ed eseguono le spese”.

Alla Corte dei conti, come già detto in precedenza, è intestata la competenza a sindacare sui conti degli agenti contabili dello Stato e delle altre pubbliche amministrazioni ai sensi dell’art. 137 c.g.c., e l’agente contabile risponde della relativa gestione dal momento in cui ne diviene titolare, ossia con quella che viene definita resa del conto giudiziale.

La presentazione del conto è disciplinata all’art. 139 del c.g.c., il cui contenuto prevede che il conto giudiziale deve essere presentato all’amministrazione di appartenenza da parte degli agenti che vi sono tenuti, entro il termine di 60 giorni dalla chiusura dell’esercizio finanziario, o comunque dalla cessazione della gestione, salvo il diverso termine previsto dalla legge.

L’amministrazione, a sua volta, provvede ad individuare un responsabile del procedimento (art. 139 c.g.c.) che, espletata la fase di verifica o di controllo amministrativo prevista dalla vigente normativa, procede, entro 30 giorni dalla sua approvazione, al deposito del conto, previa parificazione dello stesso, unitamente alla relazione degli organi di controllo interno, presso la sezione giurisdizionale della Corte dei conti territorialmente competente, così come prescritto dall’art. 140 c.g.c.

La sezione giurisdizionale, pertanto, trasmette il conto depositato e munito dell’attestazione di verifica al giudice designato quale relatore dal Presidente della sezione medesima e la competente Procura regionale acquisisce la notizia dell’avvenuto deposito mediante accesso all’apposito sistema informativo relativo ai conti degli agenti contabili.

L’attività appena descritta connessa al deposito del conto giudiziale di cui all’art. 140 del c.g.c. costituisce l’agente dell’amministrazione in giudizio, venendosi a determinare il presupposto per l’esercizio della giurisdizione.

In tema di presentazione dei conti giudiziali da parte degli agenti contabili alle amministrazioni di appartenenza, appare utile riportare le conclusioni contenute nel citato parere delle SS.RR. in sede consultiva, n. 4 del 2020, fornite in risposta ad alcuni quesiti posti dal Mef-Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato. In tale sede i giudici contabili, oltre a risolvere alcune problematiche afferenti al deposito dei conti giudiziali a seguito dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 174 del 2016, hanno approfondito, dirimendoli, i dubbi esistenti circa la natura e la funzione della “parificazione del conto”.

Nel documento in esame viene innanzitutto evidenziato che la “parificazione” del conto assume un notevole rilievo nell’ambito del giudizio di conto. Trattasi di un procedimento complesso, che si risolve in “una dichiarazione certificativa, quale risultante procedimentale, della concordanza dei conti (appositamente riveduti) con le scritture detenute dall’Amministrazione, che per quelle locali viene fatta coincidere con il visto di regolarità amministrativo-contabile rilasciato all’esito della fase di verifica o controllo amministrativo”.

Come già accennato in precedenza, una volta depositato il conto dall’amministrazione presso la segreteria della sezione giurisdizionale territorialmente competente, il medesimo conto viene assegnato ai sensi dell’art. 145 c.g.c. ad un magistrato designato quale relatore. Tale assegnazione viene effettuata per mezzo di un provvedimento del Presidente della sezione giurisdizionale (decreto), il quale all’inizio di ciascun anno provvede a fissare, sulla base di criteri oggettivi e predeterminati, le priorità a cui i magistrati relatori dovranno attenersi nella pianificazione dell’esame dei conti.

Il magistrato relatore designato dal Presidente procede all’esame dei conti depositati, previo accertamento della parificazione effettuata dall’amministrazione di appartenenza dell’agente contabile. L’attività istruttoria del giudice relatore si conclude con una relazione sul conto giudiziario, che può essere di due tipologie: di discarico o di condanna.

Si deve necessariamente premettere che nella sua attività di accertamento della regolarità delle operazioni di gestione svolte dall’agente contabile, il giudice non si limita al semplice riscontro formale della regolarità delle scritture, ma procede parimenti alla verifica dell’effettivo adempimento degli obblighi concernenti la funzione di agente contabile, andando ad investire in tal modo i rapporti finanziari tra l’ente e lo stesso agente contabile.

Si deve, altresì, aggiungere che qualora un conto giudiziale non venga regolarmente presentato e adeguatamente istruito, il giudice deve disporre il rinvio in istruttoria, non potendo addivenire alla definizione del giudizio con una mera dichiarazione di non regolarità o negando il discarico; di talché, qualora l’ulteriore esame istruttorio non si concluda con esito positivo, permanendo dunque l’impossibilità di procedere, il giudice deve dichiarare l’improcedibilità del relativo giudizio, fermo restando la possibilità di esercitare l‘eventuale azione di responsabilità.

Terminata la sua attività volta, in estrema sintesi, a verificare l’esistenza o meno di irregolarità nel conto, il magistrato relatore provvede a predisporre una relazione che contenga l’esposizione dei risultati dell’esame svolto, nonché la proposta in ordine alla definizione del giudizio. Cosicché, ove il conto chiuda in pareggio e risulti privo di irregolarità, il giudice designato deposita la relazione proponendo il discarico del contabile.

La relazione viene poi trasmessa su ordine del Presidente, qualora non decida per il dissenso, al pubblico ministero, il quale deve esprimere il proprio avviso entro il termine perentorio di 30 giorni.

Nel caso in cui non vi sia nulla da obiettare il giudizio si conclude con l’approvazione del conto e con la conseguente adozione da parte del Presidente della sezione giurisdizionale del decreto di discarico, il quale viene successivamente comunicato a cura della segreteria della sezione sia all’agente contabile per il tramite dell’amministrazione di appartenenza, sia al pubblico ministero.

Nell’ipotesi in cui non si possa provvedere con il decreto di discarico, ai sensi dell’art. 146 del c.g.c., il Presidente fissa con decreto l’udienza per la discussione del giudizio, alla quale possono comparire sia l’agente contabile che l’amministrazione interessata. L’udienza viene sempre fissata dal Presidente non solo quando è scaduto il termine stabilito dal magistrato relatore per la presentazione dei documenti essenziali ai fini dell’esame della gestione, ma anche in determinate ipotesi espressamente contemplate dal comma 3 dell’art. 147 del c.g.c.

Il giudizio di conto che si svolge davanti al Collegio può terminare il suo esame con una pronuncia di discarico dell’agente contabile, nel caso in cui venga riconosciuto che i conti sono stati saldati o si bilanciano in favore dell’agente dell’amministrazione (comma 2 dell’art. 149 del c.g.c.). Viceversa, qualora il Collegio opti per diversa soluzione, non provvedendo con pronuncia di discarico, lo stesso procede con la liquidazione del debito dell’agente contabile, disponendo, nel caso lo ritenga opportuno, la rettifica dei resti da riprendersi nel conto successivo, ovvero dichiara la irregolarità della gestione contabile (comma 3 dell’art. 149 del c.g.c.).

5.5.2. Giudizio in materia di responsabilità amministrativa per danno erariale

Con l’espressione “responsabilità amministrativa” si intende fare riferimento a quel giudizio che si instaura in costanza di una condotta, attiva o omissiva, dolosa o gravemente colposa, connessa ad un rapporto di servizio (anche non di impiego) con la pubblica amministrazione, produttiva di un danno pubblico valutabile economicamente e in quanto tale risarcibile (si consideri a esempio la fattispecie come il danno all’immagine della pubblica amministrazione  che si concretizza a seguito di condotte corruttive o concussive, nonché a seguito di fenomeni di assenteismo, anche in assenza di un danno patrimoniale in senso stretto).

L’art. 1, comma 1, della legge n. 20 del 1994 contiene la disciplina sostanziale della responsabilità dei pubblici funzionari che cagionino un danno all’Erario, che poggia le sue fondamenta sulla clausola generale di cui all’art. 52 del testo unico della Corte dei conti[53].

Con la novella apportata dall’art. 3 del decreto-legge n. 543 del 1996 si è generalizzata la limitazione della responsabilità a condotte connotate da dolo o colpa grave, modificando il citato art. 1 della legge 14 gennaio 1994, n, 20: “La responsabilità dei soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti in materia di contabilità pubblica è personale e limitata ai fatti ed alle omissioni commessi con dolo o con colpa grave, ferma restando l’insindacabilità nel merito delle scelte discrezionali…”.

Occorre sottolineare, poi, che in materia di responsabilità erariale si ritiene consolidato l’indirizzo secondo il quale la giurisdizione civile e quella penale da un lato e la giurisdizione contabile dall’altro sono reciprocamente indipendenti nei loro profili istituzionali, anche quando riguardano lo stesso fatto materiale.

In tale contesto, l’eventuale interferenza che può̀ determinarsi tra i relativi giudizi pone esclusivamente un problema di proponibilità dell’azione di responsabilità da far valere davanti alla Corte dei conti, senza dar luogo ad una questione di giurisdizione.

A tal riguardo, si consideri che nella sentenza della Cassazione (Cassazione civ. S.U., n. 10578 del 2020, è stato affermato che l’azione civilistica fallimentare e quella contabile sono fra di esse parallele ed hanno natura, fini ed effetti autonomi, con conseguente legittimazione ad agire del p.m. contabile e relativa giurisdizione della Corte dei conti, nei confronti degli amministratori di una società in house, già esercitante il servizio di trasporto pubblico, anche nel caso in cui la medesima fosse fallita e, quindi, le azioni a tutela della stessa spettassero al solo curatore fallimentare.

Si aggiunga, altresì, che con sentenza SU in Cassazione n. 14203 del 2020, “con riferimento ai rapporti tra l’azione di responsabilità per danno erariale e quella di responsabilità civile, è stato affermato che tale assetto si fonda sul rilievo che la prima di tali azioni è volta alla tutela dell’interesse pubblico generale, al buon andamento della p.a. e al corretto impiego delle risorse, con funzione prevalentemente sanzionatoria, mentre la seconda è finalizzata al pieno ristoro del danno, con funzione riparatoria ed integralmente compensativa, a protezione dell’interesse particolare dell’amministrazione attrice; in applicazione di tali principi, che configurano il sistema del c.d. doppio binario, in particolare è stato escluso il ricorrere della violazione del principio del “ne bis in idem” tra il giudizio civile introdotto dalla p.a., avente ad oggetto l’accertamento del danno derivante dalla lesione di un suo diritto soggettivo conseguente alla violazione di un’obbligazione civile, contrattuale o legale, o della clausola generale di danno aquiliano, da parte di soggetto investito di rapporto di servizio con essa, ed il giudizio promosso per i medesimi fatti innanzi alla Corte dei conti dal procuratore contabile, nell’esercizio dell’azione obbligatoria che gli compete.”[54].

L’art. 51 del decreto legislativo n. 174 del 2016 dispone che il pubblico ministero inizia l’attività istruttoria, ai fini dell’adozione delle determinazioni concernenti l’esercizio dell’azione erariale, sulla base di specifica e concreta notizia di danno, fatte salve le fattispecie direttamente sanzionate dalla legge. Il comma 2 del medesimo articolo aggiunge che la notizia di danno, comunque acquisita, è specifica e concreta quando consiste in informazioni circostanziate e non riferibili a fatti ipotetici o indifferenziati.

Da ciò si evince che una notizia dettagliata e concreta possa provenire da qualsiasi fonte, compresa quella anonima, così come sancito dalla giurisprudenza delle Sezioni riunite della Corte dei conti, le quali nella sentenza n. 12/2011/QM del 3 agosto 2011 chiariscono il significato da attribuire all’espressione “specifica e concreta notizia di danno” contenuta nell’art. 17, comma 30-ter del decreto-legge n. 78 del 2009.

L’art. 53 del Codice di contabilità si occupa di delineare il contenuto della denuncia di danno, la quale deve contenere una precisa e documentata esposizione dei fatti e delle violazioni commesse, nonché l’indicazione ed eventualmente la quantificazione del danno, oltre, ove possibile, l’individuazione dei presunti responsabili, con l’indicazione delle loro generalità e del loro domicilio.

A fronte di tale notizia, il procuratore regionale valuta se le informazioni ricevute siano prive di fondamento o meno. Nel primo caso procede all’immediata archiviazione, altrimenti procede all’apertura del relativo fascicolo istruttorio, ed assegna la sua trattazione al pubblico ministero.

Assegnato il fascicolo istruttorio, si avvia l’attività istruttoria, in cui il pubblico ministero presso la Corte dei conti svolge tutte quelle attività utili ai fini dell’acquisizione degli elementi necessari all’esercizio dell’azione erariale, per i quali lo stesso pubblico ministero può richiedere documenti e informazioni, disporre l’esibizione di documenti e informazioni, audizioni personali, ispezioni e accertamenti diretti presso le pubbliche amministrazioni e i terzi contraenti o beneficiari di provvidenze finanziarie a carico dei bilanci pubblici. L’attività istruttoria consente, altresì, di disporre il sequestro degli atti e documenti non esibiti e consulenze tecniche, oltre alla possibilità di delegare alla Guardia di finanza, alle forze di polizia e alle prefetture, accertamenti istruttori.

Conclusa l’attività istruttoria il pubblico ministero deve notificare al responsabile del danno l’invito a dedurre, che consiste in un atto contenente l’invito a fornire deduzioni nel quale sono esplicitati gli elementi essenziali del fatto, della condotta contestata e del suo contributo che ha provocato il danno contestato. Una volta ricevuto l’invito a dedurre il responsabile ha 45 giorni di tempo per depositare le sue deduzioni, corredate da eventuali documenti, oltre alla possibilità di chiedere al pubblico ministero di essere audito.

Il pubblico ministero può chiedere, anche dopo l’invito a dedurre, che il procedimento si concluda con l’archiviazione del fascicolo istruttorio quando la notizia di danno risulta infondata o non vi sono elementi sufficienti a sostenere in giudizio la contestazione di responsabilità. Ove il procuratore regionale non condivida le motivazioni dell’archiviazione, lo comunica tempestivamente al pubblico ministero e se il dissenso permanga, il primo può avocare a sé il fascicolo istruttorio ai fini dell’espletamento dell’azione erariale.

Nel caso in cui il pubblico ministero non decida per l’archiviazione, il procuratore regionale può disporre il deposito dell’atto di citazione in giudizio, che deve avvenire entro 120 giorni dalla scadenza del termine previsto per la presentazione delle deduzioni da parte del presunto responsabile.

L’adozione dell’atto di citazione spoglia il soggetto agente del relativo potere di agire che passa interamente nelle mani del Collegio giudicante.

Una volta terminata l’udienza di discussione, il collegio giudicante assume la sua decisione in Camera di consiglio, che viene depositata entro 60 giorni nella segreteria della sezione giurisdizionale.

In ordine alle disposizioni relative alle deliberazioni, alla forma, e ai provvedimenti del collegio si seguono le corrispondenti norme del Codice civile. A tal proposito il collegio pronuncia con ordinanza quando provvede solo su questioni relative all’istruzione della causa, senza definire il giudizio, nonché quando decide solamente su questioni di competenza. Il collegio, invece, decide con sentenza nei seguenti casi: quando definisce il giudizio, decidendo questioni di giurisdizione o decidendo questioni pregiudiziali afferenti al processo o questioni preliminari di merito; quando il giudizio viene definito, decidendo totalmente il merito; quando nel decidere alcune delle questioni di cui alle ipotesi precedenti, non definisce il giudizio e impartisce con separata ordinanza provvedimenti differenti per l’ulteriore istruzione della causa.

Si deve necessariamente ricordare che ai fini dell’accertamento della sussistenza della responsabilità amministrativo-contabile, e quindi per giungere ad una ipotesi di condanna, nella sentenza devono coesistere i seguenti elementi:

– Elemento soggettivo: Appare utile in tale ambito richiamare l’art. 13 del più volte citato decreto legislativo n. 174 del 2016, secondo cui “La giurisdizione si determina con riguardo alla legge vigente e allo stato di fatto esistente al momento della proposizione della domanda, e non hanno rilevanza rispetto ad essa i successivi mutamenti della legge o dello stato medesimo”.

La norma seguente che reca “Questioni riguardanti lo stato e la capacità delle persone” ricorda che all’autorità giudiziaria ordinaria sono riservate le questioni pregiudiziali relative allo stato e alla capacità delle persone, salvo che si tratti della capacità di stare in giudizio, e la risoluzione dell’incidente di falso.

Ad ogni modo ai fini dell’esame dell’elemento soggettivo occorre considerare due questioni: a) l’affermazione della sussistenza della giurisdizione della Corte dei conti; b) l’aspetto relativo alla consistenza numerica, ossia se si tratta di un solo convenuto o di una pluralità di convenuti.

– Elemento psicologico: Una volta valutata la legittimazione del soggetto ad essere parte processuale occorre poi valutarne la condotta, ossia è necessario dimostrare se la condotta sia connotata da dolo o colpa grave. Al riguardo, si deve premettere quanto contenuto nell’art. 1, comma 1 della legge n. 20 del 1994, secondo cui “La responsabilità dei soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti in materia di contabilità pubblica è personale e limitata ai fatti e alle omissioni commessi con dolo o colpa grave, ferma restando l’insindacabilità nel merito delle scelte discrezionali.”

Il dolo consiste in un atteggiamento psicologico interiore del soggetto eventualmente responsabile, il quale agisce nella coscienza e nella volontà delle conseguenze dannose di una condotta. Tale atteggiamento interiore non può essere provato direttamente ma solamente attraverso la disamina di circostanze oggettive e della condotta in cui essa si concreta.

L’accertamento del dolo, pertanto, si basa su regole d’esperienza qualora le stesse trovino riscontro nelle circostanze oggettive.

Da tempo la giurisprudenza della Corte dei conti ha individuato e definito la categoria del “dolo contrattuale”, che concerne l’inadempimento di una speciale obbligazione preesistente, a prescinder dalla sua fonte e che consiste nella volontà di non adempiere l’obbligazione.

Tale categoria è stata differenziata da quella del “dolo penale” dalla stessa giurisprudenza della Corte, in quanto quest’ultimo sarebbe assimilabile al “dolo extracontrattuale”, produttivo di responsabilità aquiliana che viene in rilievo come diretta e cosciente intenzione di nuocere, ossia di agire ingiustamente a danno di altri, da parte di persona imputabile.

In base a questo indirizzo giurisprudenziale è stato sostenuto, altresì, che affinché ricorra il dolo contrattuale è sufficiente che i soggetti legati da un rapporto di servizio alla P.A. tengano scientemente un comportamento che violi un loro obbligo, senza che sia necessaria la diretta e cosciente intenzione di nuocere, cioè di agire ingiustamente a danno delle pubbliche finanze.

In ordine all’elemento della colpa, non risulta vigente una norma che determina i criteri di individuazione della “colpa grave”, la quale, dunque, può essere definita in astratto come grave negligenza, grave imperizia o grave impudenza, rimettendo al giudice la percezione volta ad individuare tale tipo di colpa.

Per parlare di colpa grave, quindi, occorre individuare un comportamento tenuto in contraddizione alla condotta a cui ci si doveva attenere alla stregua della regola di condotta violata (la gravità della colpa aumenta quanto maggiore risulta tale divario).

Si devono, altresì, considerare quei fattori individuali (come l’intelligenza, la cultura, stati emotivi, età, patologie…) che condizionano la capacità del soggetto di uniformarsi agli standards di diligenza richiesti (casi di colpa incosciente), così come quei comportamenti in cui sia presente la consapevolezza di violare una regola di condotta (colpa cosciente).

Si deve richiamare in materia il decreto-legge n. 78 del 2009, in forza del quale risulta esclusa la gravità della colpa quando il fatto dannoso tragga origine dall’emanazione di un atto vistato e registrato in sede di controllo preventivo di legittimità, limitatamente ai profili presi in considerazione nell’esercizio del controllo.

Come già esplicitato in precedenza, nell’ambito del dolo e della colpa grave si devono richiamare le novità normative legate al pacchetto di riforme della pubblica amministrazione contenute nel PNRR, finalizzate alla semplificazione burocratica e alla riduzione di costi e tempi attualmente gravanti su imprese e cittadini. Difatti, l’art. 21 del decreto-legge 16 luglio 2020, n. 76, ha inserito delle norme, con riferimento ai contratti pubblici, volte alla “limitazione della responsabilità per danno erariale ai casi in cui la produzione del danno è dolosamente voluta dal soggetto che ha agito, ad esclusione dei danni cagionati da omissione o inerzia”; disposizioni temporanee successivamente prorogate fino al 2023.

Con le norme appena richiamate, il legislatore ha, innanzitutto, novellato l’art. 1 della legge n. 20/94 prevedendo, ai fini della responsabilità amministrativa, che “la prova del dolo richiede la dimostrazione della volontà dell’evento dannoso”, così che, stando alla relazione illustrativa, il ‘dolo contabile’ sia riferito “all’evento dannoso in chiave penalistica e non in chiave civilistica”.

Il secondo comma, invece, ha introdotto una norma transitoria, con la quale ha disposto che: “Limitatamente ai fatti commessi dalla data di entrata in vigore del presente decreto e fino al 31 dicembre 2021, la responsabilità dei soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti in materia di contabilità pubblica per l’azione di responsabilità di cui all’articolo 1 della legge 14 gennaio 1994, n. 20, è limitata ai casi in cui la produzione del danno conseguente alla condotta del soggetto agente è da lui dolosamente voluta. La limitazione di responsabilità prevista dal primo periodo non si applica per i danni cagionati da omissione o inerzia del soggetto agente”.

La proroga dell’operatività di tale limitazione temporale, che aveva già destato forti perplessità sin dalla sua introduzione, come già detto muove dal suggestivo assunto della cd. “paura della firma”, che individua nel timore di incorrere in responsabilità amministrativa una perniciosa causa di rallentamento dei processi decisionali dei vertici amministrativi e dunque un fattore ostativo al buon andamento dell’azione amministrativa, di cui la responsabilità stessa sarebbe a presidio. Nell’intento di far sì che “i pubblici dipendenti abbiano maggiori rischi di incorrere in responsabilità amministrativa in caso di non fare (omissioni o inerzie) rispetto al fare, dove la responsabilità viene limitata al dolo”, il PNRR procrastina, almeno fino al 2023, la deresponsabilizzazione della stragrande maggioranza degli illeciti, ossia quelli sorretti da colpa grave commissiva. Sul punto, i primi commentatori hanno già sottolineato con efficacia le possibili problematiche applicative indotte dal labile confine esistente tra condotte commissive ed omissive nell’attività procedimentalizzata (in riferimento all’omissione di controlli, cautele, ecc.).[55]

– Nesso di casualità: Affinché sussista un’ipotesi di responsabilità fra la condotta tenuta dolosamente o in maniera gravemente colposa dal soggetto presunto responsabile e la fattispecie dannosa deve esistere un nesso di causalità.

– Danno risarcibile: una volta stabilita l’esistenza di una condotta caratterizzata da dolo o colpa grave posta in essere da un soggetto legittimato passivamente innanzi alla giurisdizione della Corte dei conti, occorre definire se da tale condotta sia derivato un danno per l’erario. La sfera del danno risarcibile racchiude diverse figure di danno, quali il danno patrimoniale, il danno non patrimoniale, il danno diretto e quello indiretto:

a)  In merito al danno patrimoniale, lo stesso si riferisce al pregiudizio effettivo patrimonialmente sofferto dal pubblico erario a causa del comportamento gravemente colposo o dannoso del soggetto responsabile, trattasi, pertanto di una vera e propria azione di risarcimento verso il soggetto responsabile. Si tenga presente, inoltre, che nella sentenza emessa dal Collegio non può essere mai quantificato un danno maggiore rispetto a quello determinato dalla Procura competente nell’atto di citazione.

b) In tema di danno non patrimoniale, si può asserire che lo stesso concerne una fattispecie introdotta recentemente dalla giurisprudenza e che la giurisdizione contabile associa al c.d. “danno all’immagine”; in presenza di tale danno viene riconosciuta la risarcibilità dell’immagine dell’ente pubblico compromessa dalla condotta del dipendente, il quale con il suo comportamento ha provocato una rottura del rapporto di fiducia esistente tra amministrazione ed amministrato.

c) Nell’ipotesi di danno non patrimoniale è stata riscontrata una certa difficoltà nel determinare l’entità del pregiudizio, in quanto il danno in esame deriva dalla necessità di ripristinare nella sua interezza il prestigio e la credibilità dell’Amministrazione, danneggiata dal discredito subito ed enfatizzato dai media. Pertanto, la quantificazione del relativo danno va collegata ad una serie di elementi oggettivamente riscontrabili, ancorché discrezionalmente individuati nella loro consistenza ed incidenza dallo stesso giudice nella fattispecie concreta. Spesso si è cercato di ovviare a tale problema ricorrendo al c.d. “apprezzamento equitativo”, di cui all’art. 1226 c.c.[56]

d) Danno diretto e danno indiretto: si parla di tale figura in caso di danno patrimoniale direttamente arrecato ad un soggetto pubblico, mentre si configura un danno indiretto nell’ipotesi in cui l’amministrazione è costretta a subire le conseguenze dannose di un danno civilmente risarcibile, causato a terzi da un proprio dipendente.

Giova specificare che la Corte dei conti, attraverso i propri uffici di Procura presso le Sezioni giurisdizionali regionali presenti in ogni capoluogo di regione, nonché mediante l’attività della Procura Generale (e naturalmente dei collegi giudicanti), contribuisce in maniera costante ed efficace, alla prevenzione ed alla repressione dei casi di cattiva amministrazione e corruzione, attraverso l’esercizio delle azioni di responsabilità amministrativa nei confronti dei dipendenti pubblici e, più in generale, dei soggetti cui è demandato il perseguimento di interessi pubblici e, come tali, avvinti alla P.A. da un rapporto denominato “di servizio”.

In particolare, si realizzano veri e propri reati di corruzione, qualora venga alterata la concorrenza negli appalti pubblici, con conseguente mancato risparmio di spesa per l’amministrazione aggiudicatrice (realizzando un danno alla concorrenza), quando sia stata ridotta l’efficacia dell’attività amministrativa (con conseguente danno da disservizio) o sia stata lesa l’immagine della P.A., nonché in caso di accertamento di quelle responsabilità erariali di natura sanzionatoria, previste dalla legge n. 190/2012 e dai decreti delegati (d.lgs. n. 33/2013 e d.lgs. n. 39/2013).

A tal riguardo, nel corso del 2021, nella relazione redatta dalla Procura generale, in occasione della cerimonia di inaugurazione dell’anno giudiziario 2022, viene evidenziato il ruolo svolto dalle Sezioni regionali della Corte dei conti nell’ambito di tale materia, le quali hanno pronunciato condanne per danni conseguenti a reati di corruzione per un totale di euro 13.901.955,68, di cui 277.551,73 determinati a seguito di giudizio abbreviato.

In estrema sintesi, dunque, si può asseverare che da un episodio di cattiva amministrazione o di abuso d’ufficio o di corruzione possono derivare diverse tipologie di danni e di connesse responsabilità erariali. Al fine di comprendere meglio la natura di tali tipologie di danni è opportuno procedere ad una descrizione sintetica delle stesse:

1) L’illegittima attribuzione di incarichi

Si tratta delle ipotesi in cui si registra uno scarso rendimento sul posto di lavoro, che può causare danni per le retribuzioni erogate a vuoto (c.d. “danno da interruzione del nesso sinallagmatico”) per il disservizio; anche il caso di attribuzione di un incarico di consulenza ad un soggetto privo dei requisiti di capacità necessari o in violazione dei limiti stabiliti dalla legge (art. 7, comma 6, d.lgs. n. 165/2001) può determinare tale tipo di danno (c.d. nepotismo). Di talché, la dolosa attribuzione di impieghi o incarichi illegittimi, per effetto di condotte corruttive, costituisce fonte di danno erariale, il cui ammontare è pari alle retribuzioni indebitamente corrisposte.

2) Il danno alla concorrenza o danno da tangente

Un danno alla “concorrenza” può derivare da un abuso d’ufficio o da un accordo illecito tra un agente pubblico ed un privato, volto a favorire l’aggiudicazione di un contratto pubblico in violazione delle norme sull’evidenza pubblica e sulla concorrenza, contenute nel codice degli appalti e nella legislazione speciale (integrante, a seconda dei casi, i reati di cui agli artt. 317, 318, 319 e 319-quater, 353 e 353-bis c.p.).

3)  Danno alla concorrenza

Dalla giurisprudenza della Corte dei conti si evince il concetto di danno alla concorrenza, quale danno subito dall’amministrazione allorché un contratto venga stipulato in violazione delle regole di evidenza pubblica, anche e soprattutto di livello eurounitario, da cui deriva l’imposizione dell’espletamento di una gara al fine di poter individuare, nell’ambito di un adeguato numero di imprese partecipanti, la migliore offerta conseguibile per l’acquisizione dei beni o i servizi oggetto della gara stessa. In tale ipotesi, pertanto si concretizza una forma di danno patrimoniale, strettamente connessa al nocumento subito dall’amministrazione, per non aver conseguito quel risparmio di spesa che sarebbe stato possibile attraverso il confronto concorrenziale tra più offerte.

Ne consegue pertanto, la diffusa nozione di danno alla concorrenza come danno “differenziale”, corrispondente cioè, alla “differenza tra la spesa effettivamente sostenuta dall’Amministrazione e quella (minore) che, invece, avrebbe potuto sostenere assolvendo l’obbligo della procedura concorsuale”.

Secondo un diverso significato, il danno alla concorrenza può essere inteso come quel danno legato all’ammontare dei pagamenti privi di causa, effettuati dall’amministrazione a seguito della stipulazione e dell’esecuzione di contratti nulli o inefficaci (perché contrari a norme inderogabili anche di matrice europea o, comunque, illeciti in quanto dolosamente procurati dal funzionario pubblico corrotto, in concorso con l’impresa corruttrice). Nell’ipotesi in parola, dunque, all’appaltatore, vista la nullità del contratto, non può essere riconosciuto altro che l’arricchimento della pubblica amministrazione.Secondo una terza accezione, il danno alla concorrenza viene accostato al “danno indiretto” subito dall’amministrazione, in seguito alla corresponsione del risarcimento alle imprese concorrenti illecitamente svantaggiate, a causa della violazione delle procedure sull’evidenza pubblica. Esiste, infine, un’ultima accezione, secondo la quale il danno alla concorrenza assume la veste di danno da “disservizio” o da “pregiudizio d’immagine” (di natura non patrimoniale, ma suscettibile di valutazione patrimoniale), derivanti dalla violazione delle norme di “buona amministrazione” (scaturenti, in primo luogo, dall’art. 97 Cost. e dai principi fondamentali, interni e dell’Unione europea, posti a tutela della concorrenza) ovvero dalla lesione dell’interesse “generale” all’effettiva imparzialità delle procedure pubbliche di gara.

Occorre specificare che il danno alla concorrenza non può ritenersi sussistente in re ipsa a causa del mancato confronto tra più offerte e spetta, infatti, al Procuratore dare la prova che, nel caso concreto, la violazione delle norme sulla scelta del contraente abbia determinato un maggior esborso di denaro pubblico. La dimostrazione di quanto detto potrà essere conseguita attraverso il ricorso ad ogni mezzo di prova (comparazione con i prezzi o i ribassi conseguiti a seguito di gara per lavori o servizi dello stesso genere, intercettazioni telefoniche da cui risulti un accordo tra agenti pubblici e i privati per scaricare sul prezzo il costo della tangente, ecc.).[57]

Dalla succitata relazione della Procura generale si registra che le Sezioni regionali della Corte dei conti hanno pronunciato, nel corso del 2021, condanne per danno qualificato alla concorrenza per un totale di euro 9.075,00 e per danno qualificato da tangente per un totale di euro 215.425,00, di cui euro 16.000,00 versati a seguito di rito abbreviato.

4) Il danno da disservizio

Integra un danno da disservizio quell’attività dei pubblici uffici caratterizzata da una ridotta funzionalità o efficacia per effetto della penetrante fenomeno corruttivo che impedisce, per un determinato periodo di tempo, il normale e corretto espletamento delle attività previste dalla legge o dai regolamenti dell’ente o il raggiungimento dello scopo dell’attività pubblica. Ciò avviene, in particolare, in quei casi in cui la condotta delittuosa sia tesa a favorire determinati soggetti, determinando un “disservizio in senso stretto” a danno della collettività, correlato alla mancata o inefficiente erogazione di un servizio pubblico ovvero una mera “apparenza del servizio”.

In materia di danno da disservizio, le Sezioni regionali della Corte dei conti hanno pronunciato, nel corso del 2021, condanne per un totale di euro 4.014.394,22, di cui 105.050,00 determinati a seguito di giudizio abbreviato.[58]

5) Il danno non patrimoniale all’immagine

Questa tipologia di lesione, frutto delle interferenze tra l’elaborazione civilistica relativa alla tutela del diritto allo sfruttamento economico dell’immagine e dell’identità personale e quella penalistica relativa alla tutela dell’onore, ha portato alla progressiva elaborazione dell’immagine come “veicolo di diffusione di quel complesso di connotati morali, intellettuali e sociali che caratterizzano la persona rappresentata” e all’affermazione della sua risarcibilità.

Il danno all’immagine sostanzialmente comporta il riconoscimento della risarcibilità dell’immagine dell’ente pubblico, che è stata compromessa dalla condotta del dipendente, idonea a creare una frattura nel rapporto di fiducia esistente tra amministrazione e amministrato.

Il danno non patrimoniale “all’immagine” nell’apparato amministrativo è venuto specificamente in considerazione con l’entrata in vigore della legge 7 giugno 2000, n. 150, recante la disciplina dell’attività di informazione e comunicazione delle pubbliche amministrazioni, che impone alle stesse di rappresentare all’esterno un’immagine positiva.

L’aspetto più delicato afferente tale tipologia di danno si rinviene nella sua quantificazione, che dovrebbe essere collegata ad una serie di elementi oggettivamente riscontrabili, nonché discrezionalmente individuati dallo stesso giudice nella fattispecie concreta, al fine di ricomporre il prestigio e la credibilità dell’Amministrazione compromessi, anche a causa del clamore provocato dai media che solitamente accompagna certe vicende giudiziarie.

Inizialmente, in merito alla natura del danno all’immagine, l’orientamento prevalente era quello emergente dalla sentenza delle Sezioni Riunite della Corte dei conti, n. 580/A del 1988, successivamente riconfermato dalla Corte di Cassazione (sent. 5668/1997), secondo cui ai giudici contabili spettava solo la determinazione del danno erariale inteso, come «nocumento patrimoniale effettivo subito dalla Pubblica Amministrazione» ex art. 2043 c.c ma non anche la determinazione del «danno morale» subito dalla stessa P.A. che, al contrario, essendo riconducibile alla disciplina di cui all’art. 2059 c.c, spettava alla cognizione del giudice ordinario.

La svolta si è avuta nel 2003, con la storica pronuncia n. 10 delle Sezioni Riunite della Corte dei conti. In tale sentenza, la magistratura contabile ha ritenuto di poter equiparare il «danno all’immagine» al «danno esistenziale». Inoltre, il danno al prestigio della PA diventava, in quel momento, una sottospecie del danno erariale poiché «il pregiudizio, anche se non comporta una deminutio patrimonii, è comunque suscettibile di valutazione economica sotto il profilo delle spese necessarie per il ripristino del bene giuridico leso, onde la qualificazione di danno patrimoniale indiretto».

Occorre specificare, poi, che la magistratura contabile con l’insorgere del fenomeno di tangentopoli ha iniziato a rivendicare la sua giurisdizione punendo tale tipo di danni, inizialmente qualificati quindi come danni non patrimoniali (art. 2059 c.c.), sofferti dall’amministrazione con conseguente rilevanza giornalistica e televisiva. La contestazione sistematica nel tempo sull’intero territorio nazionale da parte della Corte a fronte di illeciti con forte eco nella collettività ha portato all’adozione del c.d. “Lodo Bernardo”, di cui all’art. 17, comma 30-ter del decreto-legge n. 78, del 1° luglio 2009, il quale ha fortemente limitato la possibilità della Corte dei conti di contestare il danno all’immagine, limitandolo ai soli fatti che si traducono in reati contro la P.A. (quelli indicati nell’art. 7, della legge n. 97 del 2001), contestabili solamente a seguito di giudicato penale di condanna, contravvenendo in tal modo al fondamentale principio di autonomia vigente tra magistratura contabile e magistratura penale.

Tale intervento normativo ha suscitato non poche perplessità nell’ambito della magistratura contabile, in quanto escludeva la perseguibilità di gravissimi fatti che andavano a ledere l’immagine della pubblica amministrazione. La Corte dei conti ha dato immediata applicazione alla nuova normativa, confermata poi dalla sentenza delle Sezioni riunite n. 12, del 3 agosto 2011, estendendo la norma in parola anche a situazioni istruttorie e processuali maturate in costanza della previgente normativa.

Tale posizione normativa è stata sostenuta sia dalla Consulta, con sentenza n. 355, del 1° dicembre 2010, sia indirettamente dalle Sezioni unite della Cassazione, le quali hanno confermato tale orientamento limitativo della giurisdizione contabile nella sentenza n. 1091, del 18 gennaio 2017.

Nel corso del tempo, però, alcune sezioni regionali della Corte dei conti hanno cercato di orientare la normativa limitativa del lodo Bernardo verso un’estensione interpretativa, tanto che le Sezioni riunite sono dovute intervenire in sede nomofilattica, asserendo con decisione, nella sentenza n. 8, del 19 marzo 2015, il principio per cui l’art. 17, comma 30-ter, va inteso nel senso che le Procure della Corte dei conti possono esercitare l’azione per il risarcimento del danno all’immagine solo per i delitti di cui al Capo I del Titolo II del Libro Secondo del codice penale”, ossia i reati commessi dai pubblici ufficiali.

L’orientamento delle Sezioni riunite è stato recentemente ribadito, per i fatti antecedenti l’entrata in vigore del codice della giustizia contabile (d.lgs. 26 agosto 2016, n. 174) dalla pronuncia della Corte dei conti, assunta dalla Sezione III d’appello (del 31-3-2020, n. 66), ove il giudice ha valorizzato il rinvio recettizio dell’art. 7 della legge n. 97/2001, ai delitti contro la P.A. previsti dal libro II, titolo II, capo I, del Codice penale e, cioè, ai soli reati previsti dagli artt. 314-335 del codice penale.

Si deve, altresì, rilevare che in tale ambito spesso il legislatore è intervenuto in modo tutt’altro che coerente sul piano sistemico, visto che per alcune fattispecie ha ritenuto non applicabile la pregiudiziale penale del lodo Bernardo, come nel caso del danno all’immagine conseguente a fenomeni di assenteismo o dell’ipotesi di cui all’art. 1, comma 12, della legge n. 190 del 2012 (legge anticorruzione), che prevede la perseguibilità del dirigente “responsabile anticorruzione” per danno all’immagine “in caso di commissione, all’interno dell’amministrazione, di un reato di corruzione accertato con sentenza passata in  giudicato”, “salvo  che  provi   tutte   le   seguenti circostanze: a) di avere predisposto, prima della commissione  del  fatto,  il piano di cui al comma 5 e di aver osservato le prescrizioni di cui ai commi 9 e 10 del presente articolo; b) di aver  vigilato  sul  funzionamento  e  sull’osservanza  del piano.”

A fronte di tale contraddittorio quadro normativo, il legislatore interviene con la riforma operata dal codice del processo contabile (il citato d.lgs. n. 174 del 2016), eliminando i limiti connessi alla perseguibilità di tale danno fisati dal lodo Bernardo, con conseguente contestazione del danno all’immagine in caso di commissione di ogni forma di reato, non solo dunque per i reati contro la pubblica amministrazione di cui alla legge n. 97 del 2001. L’art. 51, comma 6 del Codice stesso, inoltre, determina la rilevabilità d’ufficio della nullità per violazione delle norme sui presupposti di proponibilità dell’azione per danno all’immagine.

In ultimo, appare utile evidenziare che nella sua azione di contrasto ai reati connessi a tale tipologia di danni. A tal proposito, nel corso del 2021, le Sezioni regionali della Corte dei conti hanno pronunciato condanne per danno all’immagine per un totale di euro 9.663.061,46, di cui 156.501,73 determinati a seguito di giudizio abbreviato62.

6) Il danno erariale per la corresponsione di compensi in presenza di atti di conferimento di incarichi pubblici nulli a soggetti che si trovano in situazioni di “inconferibilità” o “incompatibilità”

In materia di norme sulla inconferibilità e incompatibilità di incarichi presso le pubbliche amministrazioni e presso gli enti privati in controllo pubblico, la responsabilità erariale che ne deriva è disciplinata ai sensi del d.lgs. 8 aprile 2013, n. 39.

Il conferimento di un incarico pubblico ad un soggetto condannato per reati contro la pubblica amministrazione o proveniente da un ente di diritto privato regolato o finanziato da una P.A. ovvero componente di organi di indirizzo politico in presenza di un divieto legale determina non solo l’illegittimità dell’incarico, ma comporta anche la nullità dell’atto di conferimento e rende indebiti i compensi erogati, con conseguente responsabilità amministrativa di chi abbia conferito l’incarico stesso con dolo o colpa grave se omette i necessari controlli.

È pacifico nella giurisprudenza contabile, la derivazione di un danno erariale dal conferimento di incarichi a soggetti esterni all’amministrazione e le assunzioni in violazione dei divieti legali, con conseguente spesa per detti incarichi ed assunzioni, in contrasto con i dettami normativi che prevedono limiti alle stesse e in assenza di qualsiasi valutazione di utilità conseguito dall’ente locale a seguito della prestazione lavorativa contra legem. A tal fine, il legislatore ha imposto al responsabile della prevenzione della corruzione di assicurare, anche attraverso l’adeguata predisposizione del piano anticorruzione, che nell’amministrazione, ente pubblico ed ente di diritto privato in controllo pubblico, siano rispettate le disposizioni sulle inconferibilità e incompatibilità degli incarichi, contestando all’occorrenza all’interessato l’esistenza o l’insorgere delle situazioni di inconferibilità o le incompatibilità di cui al citato decreto.

5.6. Il Sistema sanitario

Il sistema sanitario italiano rappresenta il settore che più di tutti in Italia è andato in sofferenza a causa della crisi pandemica da Covid-19, ritrovandosi ad affrontare un’emergenza devastante avendo a disposizione ben pochi strumenti, visti i tagli indiscriminati che il settore stesso ha subito ad opera dei governi che si sono susseguiti nel tempo, così come ben rappresentato dalla Corte dei conti nella relazione redatta in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario 2021.[59]

Le motivazioni per cui il settore sanitario è stato oggetto di persistenti e sostanziosi tagli si possono scorgere anche nella sua natura fragile, che nel corso degli anni ha reso la filiera sanitaria particolarmente esposta all’illegalità, in quanto in essa “si intrecciavano con grande facilità episodi di malaffare con aspetti di cattiva gestione talvolta favorite dalle carenze del sistema dei controlli”[60]

A tal proposito, si deve ricordare che la Corte dei conti ha sempre rivolto un’attenzione particolare al mondo sanitario, evidenziando e denunciando le numerose criticità che lo avvolgono, in cui si annidano casi eclatanti di malagestione e di sperpero di denaro pubblico, gravi condotte nella gestione da parte del personale, unitamente a mancate riscossioni di entrate dovute ed erogazioni di spesa ritenute irregolari. Tale stato di cose ha portato nel corso degli anni ad una notevole contrazione del finanziamento pubblico del servizio sanitario in virtù di scelte politiche condizionate dalla non più sostenibilità del Ssn e dalla grave crisi economica del 2011.

Anche se negli ultimi anni si sono registrati risultati importanti in merito all’azione di risanamento dei conti afferenti al mondo sanitario, ciononostante i fenomeni corruttivi continuano a dilagare, così come denunciato dall’associazione antimafia Libera che nel suo Rapporto sulla corruzione nella sanità del 2020[61] ha elaborato i dati pubblicati sul sito della dell’Autorità nazionale anticorruzione, evidenziando come il 13% degli episodi corruttivi scoperti negli ultimi 3 anni siano direttamente riconducibili al settore della sanità.

In virtù di tale fenomenologia, costituisce presupposto indefettibile per la tutela dell’erario pubblico garantire l’efficiente ed efficace utilizzo delle imponenti risorse provenienti dall’UE, in special modo nel settore sanitario, attraverso un controllo severo e rapido da parte di tutti gli organi deputati a vigilare, nell’ambito dei quali la Corte dei conti con le sue vaste funzioni può rivestire un ruolo particolarmente importante, nel delicato compito di controllore dell’azione amministrativa, valutando la corretta adozione da parte della pubblica amministrazione di quegli standard di diligenza necessari, onde evitare di di incorrere nella responsabilità amministrativa per comportamenti dolosi o gravemente colposi.

5.7. La Corte dei conti a livello internazionale (relazione inaugurazione anno giudiziario 2021)

La Corte dei conti assume un ruolo di primo piano nella lotta e nella prevenzione della corruzione anche in ambito internazionale. Si deve ricordare, difatti, che nel dicembre 2019, la Corte dei conti ha per la prima volta preso parte alla delegazione italiana presso la Conferenza degli Stati della Convenzione delle Nazioni Unite sulla Corruzione (VIII COSP) ed è entrata a far parte della “Task Force INTOSAI per rafforzare la collaborazione tra Istituzioni Superiori di Controllo e Autorità anticorruzione nella lotta alla corruzione”.

Tali attività che si sono sviluppate, poi, nel corso dell’anno successivo, sono volte, tra l’altro, a dare concretezza alla cooperazione tra le Istituzioni Superiori di Controllo e le autorità nazionali anticorruzione, nonché all’individuazione delle azioni da intraprendere per la promozione della trasparenza, l’individuazione delle potenziali aree di rischio, il monitoraggio dei controlli interni.

Ulteriore attività avviata a fine 2019 e che ha assunto intensità crescente nel corso dell’anno 2020, concerne quella legata alla Task Force G20 Anticorruption Working Group del Governo italiano, nell’ambito della quale la Corte dei conti è entrata a far parte e che vede come capofila il Ministero della Giustizia e il Ministero degli Affari Esteri.

Si aggiunga, altresì, che all’interno della “dichiarazione ministeriale” da far approvare al G20 nell’ambito della copresidenza tra l’Arabia Saudita e l’Italia e in vista della Presidenza italiana del 2021, è stato riconosciuto un ruolo di primo piano alle attività di controllo e al rapporto tra Istituzioni Superiori di Controllo e autorità anticorruzione per assicurare l’integrità del settore pubblico, con particolare attenzione alle azioni da mettere in campo per evitare che fenomeni corruttivi interessino le spese connesse alla pandemia da Covid-19.

Sempre in materia di lotta alla corruzione, l’OLACEFS (l’Organizzazione delle Istituzioni Superiori di Controllo del Centro e Sud America) ha designato la Corte dei conti quale unico referente ed esperto esterno del Gruppo di lavoro sulla lotta alla corruzione transnazionale.

In ultimo, si deve sottolineare il fondamentale ruolo ricoperto dalla Corte dei conti nell’ambito della gestione della crisi da Covid-19. La Corte, difatti, si è inserita in tutte le attività istituite sulla crisi derivante dalla pandemia da Covid-19, svolgendo un ruolo di primo piano nelle Istituzioni Superiori di Controllo, condividendo best practice e strategie per assicurare accountability e trasparenza nella fase emergenziale e post-emergenziale.

6. Conclusioni

I rischi di corruzione legati alla pandemia da Covid-19 rimangono molto elevati, causando un aumento delle attività corruttive utilizzate dalla criminalità organizzata che tenta di infiltrarsi nell’economia legale. Tale stato di cose ha colpito in particolare i settori economicamente più fragili, come le piccole e medie imprese, unitamente al settore degli appalti, degli aiuti di Stato e di quello delle sovvenzioni pubbliche.

Nel contesto internazionale appare utile menzionare la terza relazione annuale sullo Stato di diritto nell’Unione Europea, pubblicata dalla Commissione europea il 13 luglio 2022, che analizza gli sviluppi nell’Unione, nei quattro settori chiave: giustizia, anticorruzione, pluralismo e libertà dei media e bilanciamento dei poteri. In merito al capitolo dedicato alla corruzione è stato rilevato che l’UE si colloca tra le regioni meno corrotte al mondo. La maggior parte degli Stati membri, difatti, si è dotata di un’ampia legislazione in ambito penale, ed ha incrementato le risorse e la formazione delle Procure responsabili nella lotta alla corruzione.

Tuttavia, dallo studio commissionato dal Parlamento europeo sull’Eurobarometro 2022 emerge che il 68% dei cittadini percepisce ancora diffuso il fenomeno corruttivo nel proprio Paese. In alcuni Stati membri questa sfiducia dei cittadini è motivata dall’eccessiva lunghezza delle indagini e dei relativi processi. Le norme di trasparenza, che obbligano i funzionari pubblici a dichiarare la propria situazione patrimoniale, pur presenti ormai in tutti gli Stati, sono variabili da Paese a Paese in termini di portata, trasparenza ed accessibilità delle informazioni.

Quanto all’Italia, la Commissione esprime delle preoccupazioni in merito al pericolo della criminalità organizzata, che utilizza sempre di più modalità corruttive per infiltrarsi nell’economia legale, nonostante il nostro Paese sia dotato di un quadro legislativo solido.

Nel settore pubblico, in particolare, tra gli esperti e dirigenti aziendali la percezione del livello di corruzione rimane alta. A tal proposito, si riporta quanto esaminato nel Rapporto sull’Indice di percezione della corruzione (CPI) 2021, diffuso il 25 gennaio 2022, in cui rileva che l’Italia ha scalato dieci posizioni nella classifica di Transparency International, raggiungendo il 42° posto su scala globale, su una classifica di 180 paesi, mentre l’anno precedente l’Italia occupava il 52° posto; nell’ambito dei Paesi dell’Unione europea l’Italia si colloca, invece, al 13° posto.

Tale percezione, è stato osservato, è notevolmente aumentata negli ultimi anni anche a causa dei timori legati ai rischi connessi all’attuazione del PNRR, con particolare attenzione agli appalti pubblici e alle misure anticorruzione.

Nella relazione sullo stato di diritto, viene evidenziato anche che, sul piano della repressione, viene svolta un’azione efficace attraverso il coordinamento e la cooperazione tra le procure, la polizia finanziaria, l’unità di intelligence finanziaria e la procura presso la Corte dei conti. In tale contesto, le Procure Regionali e la Sezione per gli Affari comunitari ed internazionali rappresentano le strutture deputate e maggiormente impegnate nella lotta per le frodi comunitarie in collaborazione con l’Olaf (Ufficio Europeo per la lotta antifrode) e dal 1° giugno 2021 con l’Ufficio del Procuratore Europeo (EPPO) al fine di rafforzare scambi di informazione esperienze e buone pratiche.

All’esito della relazione, la Commissione ha dunque formulato specifiche raccomandazioni per il potenziamento dei quadri preventivi anticorruzione, sia in termini di maggiore efficacia dell’azione penale, che di rafforzamento della normativa in materia di lobbying e conflitto di interessi.

Nella sfera internazionale, si deve necessariamente citare anche la relazione annuale GRECO, pubblicata il 2 giugno 2022, relativa alla disamina delle misure prese nel 2021 per prevenire la corruzione e adottate negli Stati membri del GRECO, giunta al suo 5° ciclo di valutazione, che si concentra sui governi centrali degli stessi Stati membri, comprese le alte funzioni esecutive, e le agenzie preposte all’applicazione della legge. Il rapporto esamina inoltre le misure prese nel quadro del 4° ciclo di valutazione del GRECO, relativamente a parlamentari, giudici e pubblici ministeri.[62]

In tale ambito il presidente del GRECO, Marin Mrčela, ha dichiarato: “La fiducia del pubblico è stata messa a dura prova in alcuni casi negli ultimi tempi, poiché i media emergono regolarmente scandali di corruzione. Il pubblico ha il diritto di sapere chi sta influenzando le decisioni politiche. Ottenere l’accesso a questo tipo di informazioni dovrebbe essere semplice e veloce. I governi dovrebbero adottare regole dettagliate per prevenire i rischi di corruzione”. Il Presidente ha aggiunto, altresì, che “In termini generali, nel 2021 abbiamo assistito a progressi nell’attuazione delle raccomandazioni del GRECO, ma i miglioramenti dovrebbero essere ulteriormente accelerati, in particolare per quanto riguarda le misure anticorruzione nei confronti dei parlamentari e delle alte funzioni esecutive dei governi centrali. Inoltre, è fondamentale che, una volta adottate le riforme, le misure anticorruzione siano pienamente operative ed efficaci”.

Altro documento che rappresenta un valido strumento di supporto alle amministrazioni pubbliche, volto a fornire indicazioni per rafforzare l’integrità pubblica e la programmazione di efficaci presidi di prevenzione della corruzione, è costituito dal Piano Nazionale Anticorruzione.

L’ANAC ha posto in consultazione pubblica lo schema di Piano Nazionale Anticorruzione 2022-2024,[63] quale mezzo per affrontare le sfide connesse sia alla realizzazione degli impegni assunti dall’Italia con il Piano nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), che all’attuazione della riforma introdotta dal decreto-legge 9 giugno 2021, n. 80, in cui è stato previsto il Piano integrato di attività e organizzazione (PIAO) di cui la pianificazione della prevenzione della corruzione e della trasparenza è parte integrante.

L’emergenza pandemica da Covid-19 e, in particolare, quella sanitaria che ha investito in modo significativo il nostro Paese ha palesato la necessità di procedere ad una rivisitazione di tutta una serie di strumenti volti a contenere gli effetti della crisi socioeconomica, al fine di far fronte a tutte le sfide legate ad un sistema economico sempre più globalizzato.

Per tale motivo il nostro Paese, intestatario di uno delle quote più consistenti di risorse provenienti da Bruxelles, ha il dovere di attuare gli obiettivi del Piano nazionale di ripresa e resilienza armandosi di una serie di strumenti e regole orientate a supportare le pubbliche amministrazioni e gli operatori economici, cercando di prevenire in modo tempestivo ed efficace i fenomeni corruttivi che interessano anche il mondo sanitario.

Come evidenziato nella Relazione dell’ANAC 2021, difatti, “non basta contrastare la corruzione attraverso la repressione, ma occorre creare strumenti e regole in grado di prevenirla”, in quanto “La corruzione drena le risorse dalle persone che ne hanno bisogno, mina la fiducia nelle istituzioni, esacerba le vaste disuguaglianze esposte dal virus e ostacola una forte ripresa”.

In virtù di tale intendimento, pertanto, risulta essenziale dotarsi di sistemi più solidi che garantiscano i principi della trasparenza, della responsabilità e della integrità, affiancati da controlli e monitoraggio adeguati che siano in grado di prevenire e contrastare corruzione, frodi, nonché conflitti di interesse nell’utilizzo delle risorse messe a disposizione dall’Unione europea.

Uno sforzo corale, dunque, è richiesto al nostro sistema economico-sociale per ottimizzare la disponibilità imminente delle risorse proveniente dall’Unione europea e per non vanificare tutti quei processi di riforma avviati per superare le fasi più critiche dell’emergenza sanitaria e che richiedono un impegno straordinario da parte di tutti i soggetti coinvolti sia sul piano organizzativo che nel rilancio degli investimenti pubblici e privati a beneficio di tutti i settori dell’economia del Paese.

In tale visione, come abbiamo visto, un ruolo di primo piano è rivestito dalla Corte dei conti, la quale mediante l’esercizio delle funzioni di controllo e giurisdizionali sull’intero territorio nazionale costituisce, certamente, un efficace deterrente per le condotte illecite e favorisce la rilevazione dei fenomeni oggetto di controllo, che le consente di esprimere maggiore vicinanza ai bisogni della collettività.

La sua azione, infatti, attraverso le articolazioni delle amministrazioni attive garantisce il corretto e razionale utilizzo delle risorse pubbliche. Tale bisogno di gestire le risorse pubbliche in modo corretto e adeguato rispetto ai reali bisogni della collettività è di vitale importanza a fronte delle ingenti risorse che il nostro Paese[64] avrà a disposizione grazie ai fondi di provenienza europea legati al PNRR.

Si dovrà dunque procedere cercando innanzitutto di sburocratizzare la complessa macchina burocratica, che storicamente ha comportato ritardi nella spesa pubblica e nell’attuazione di riforme strutturali, operando con trasparenza e attivandosi per contrastare in ogni modo fenomeni quali la spesa improduttiva, lo sperpero di risorse pubbliche, la cattiva amministrazione, attraverso meccanismi di repressione, ma soprattutto con strumenti di carattere preventivo.

A tal riguardo si deve ricordare che il 13 aprile 2022 la Commissione europea ha versato al nostro Paese la prima rata da 21 miliardi (10 miliardi di sovvenzioni e 11 miliardi di prestiti), a seguito della valutazione positiva sugli obiettivi del PNRR che l’Italia doveva conseguire entro il 31 dicembre 2021.

Il 27 settembre 2022, invece, la Commissione europea ha espresso una valutazione preliminare positiva sul raggiungimento degli obiettivi e dei traguardi previsti per il primo semestre del 2022, ai fini dell’erogazione della seconda rata di 21 miliardi. Entro quattro settimane è previsto, al riguardo, il parere del Comitato economico e finanziario, all’interno del Consiglio dei ministri Ue delle Finanze. In caso di parere positivo, la Commissione erogherà all’Italia la rata di 21 miliardi di euro, entro un altro mese dal parere tecnico.

A fronte di quanto detto, è di tutta evidenza che la Corte dei conti svolge un ruolo fondamentale nell’ambito dell’attuazione del PNRR, in quanto, così come affermato dal Presidente della Corte dei conti nel suo discorso pronunciato in occasione della cerimonia di inaugurazione dell’anno giudiziario, celebratasi il 1° marzo 2022, “…oltre al controllo preventivo di legittimità, che ha trovato esplicita conferma nel decreto-legge n. 77 del 2021 (art. 9, c. 3) e nella giurisprudenza, assumono e assumeranno sempre più ampio rilievo i controlli sulla gestione e l’attività di referto al Parlamento, questi ultimi avvalorati dalla previsione di una relazione semestrale sullo stato di attuazione del PNRR (art. 7, c. 7, del citato decreto-legge n. 77 del 2021) e dal raccordo con la Corte dei conti europea, secondo quanto previsto dall’art. 287 del Trattato di funzionamento dell’Unione europea. La necessità di celerità e snellimento delle procedure ispiratrice di tali norme si concilia perfettamente con le esigenze di legalità a fondamento del controllo preventivo, che ha, tra l’altro, funzione conformativa dell’azione amministrativa e non la rallenta, ma può semmai ingenerare effetti positivi, attraverso la tempestiva individuazione delle illegittimità. L’intensificazione dei controlli successivi affidati alla magistratura contabile sull’uso delle risorse, sull’attuazione finanziaria e concreta dei programmi di spesa, sotto i profili della tempestività e della qualità dei risultati, ben si accorda con il carattere degli interventi che emergono dal PNRR, dichiaratamente rivolti a sostenere la rapida ripresa degli investimenti, agevolata da un contesto regolamentare più favorevole alla crescita del Paese. Il controllo sulla gestione risponde alle esigenze di “prossimità” rispetto all’azione amministrativa e, nel fornire elementi utili all’agire non necessariamente al termine della gestione, ma anche “in corso di esercizio”, pone le amministrazioni in condizione di rimuovere con sollecitudine le patologie riscontrate, per addivenire a una efficace utilizzazione delle risorse pubbliche. Più incisive forme di controllo concomitante, che accentuano il ruolo di ausilio e di sprone nei confronti delle pubbliche amministrazioni, sono ora a disposizione della Corte, nell’attività di verifica e di valutazione dell’attuazione dei programmi di spesa. La valorizzazione delle sinergie, apportate da una flessibile articolazione del controllo tra le diverse sezioni centrali e regionali, consente all’Istituto valutazioni a tutto tondo sulla gestione e sulla effettiva sostenibilità finanziaria del bilancio, per fornire una risposta unitaria alle esigenze di corretta spendita delle risorse pubbliche, in linea con le indicazioni dell’Unione europea.

Il ruolo di rilievo della magistratura contabile nell’ambito del sistema di legalità finanziaria emerge anche dalle parole recentemente pronunciate dal Presidente della Corte dei conti, in occasione dell’evento svoltosi a Torino l’11 ottobre, per i 160 anni della Corte dei conti, il quale nel ribadire il ruolo centrale della Corte come custode dell’equilibrio di bilancio, ma anche come presidio dei fondamentali principi fissati dalla Costituzione così come elaborati dalla giurisprudenza costituzionale, pone l’accento, altresì, sul delicato compito di istituzione preposta alla vigilanza sul corretto utilizzo delle ingenti risorse stanziate dall’Unione Europea per fronteggiare le ricadute economiche e sociali della pandemia, valutando l’impiego dei fondi che devono essere utilizzati in modo attento e responsabile.

Nel panorama europeo, dunque, il ruolo della Corte dei conti non solo investe le funzioni di controllo, ma incide pure sulla giurisdizione, allorché la violazione delle regole contabili si traduce nella mala gestio, che comporta un danno erariale, comprensivo anche del danno agli interessi finanziari dell’Unione.[65]

 


[1] Prof. V. Varchetta, “Il sistema anticorruzione nella PA (parte generale)”, 25 settembre 2020, Eventi PA, in http://eventipa.formez.it/node/268780.
[2] Prof. G. Melis, “La lunga storia della corruzione italiana”, Lezione di sabato 25 febbraio 2017 alla Facoltà Giurisprudenza, Università di Roma “La Sapienza” – Master Università- ANAC, in https://www.eticapa.it/eticapa/wp-content/uploads/2017/02/La-lunga-storia-della-corruzione-italiana.pdf
[3] Prof. A. Vannucci, “Mani pulite trent’anni dopo”, 14 febbraio 2022, in https://lavialibera.it/it-schede-826 mani_pulite_tangentopoli_trenta_anni_corruzione.
[4] Si legge nel Rapporto: “Secondo la polizia, i criminali hanno beneficiato in particolare degli acquisti di piccole imprese private, come i ristoranti in difficoltà economiche a causa della pandemia, e di prodotti sanitari, compresi mascherine, dispositivi di protezione ed equipaggiamento medici, che possono servire come mezzo per facilitare altri reati legati alla corruzione, come il riciclaggio di denaro”, spiegano i tecnici di Bruxelles secondo cui “la mancanza di risorse, l’esperienza e le competenze legali limitate influiscono sulla capacità delle autorità di contrasto di perseguire e punire efficacemente la corruzione straniera”, in https://ec.europa.eu/info/policies/justice-and-fundamental-rights/upholding-rule-law/rule-law/rule-law-mechanism/2021-rule-law-report_it
[5] Deliberazione 14 luglio 2022, n. 31/2022/G, Relazione della sezione centrale di controllo sulla gestione delle amministrazioni dello Stato, “Agenzia della cybersecurity nazionale”.
[6] Vedi il testo del decreto-legge 31 maggio 2021, n. 77 (in Gazzetta Ufficiale – Serie generale – n. 129 del 31 maggio 2021 – Edizione straordinaria), coordinato con la legge di conversione 29 luglio 2021, n. 108 (in questo stesso S.O.), recante: «Governance del Piano nazionale di ripresa e resilienza e prime misure di rafforzamento delle strutture amministrative e di accelerazione e snellimento delle procedure.»
[7] Nella G.U. si legge Mancata conversione del decreto-legge 25 febbraio 2022, n. 13, recante: «Misure urgenti per il contrasto alle frodi e per la sicurezza nei luoghi di lavoro in materia edilizia, nonché’ sull’elettricità prodotta da impianti da fonti rinnovabili». Il decreto-legge del 25 febbraio 2022, n. 13, recante «Misure urgenti per il contrasto alle frodi e per la sicurezza nei luoghi di lavoro in materia edilizia, nonché sull’elettricità prodotta da impianti da fonti rinnovabili», pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana, Serie generale, n. 47 del 25 febbraio 2022, è stato abrogato dall’art. 1, comma 2, della  legge  28  marzo 2022, n. 25, recante: «Conversione in legge, con  modificazioni, del decreto-legge 27 gennaio  2022,  n.  4, recante misure urgenti in materia di sostegno alle imprese e agli operatori economici, di lavoro, salute e  servizi  territoriali,  connesse  all’emergenza da COVID-19, nonché’ per il contenimento degli effetti degli aumenti dei prezzi nel settore elettrico.». Si comunica altresì che, ai sensi del medesimo art. 1, comma 2, della legge 28 marzo 2022, n.  25, «Restano validi gli atti ed i provvedimenti adottati e sono fatti salvi gli effetti prodottisi ed i rapporti giuridici sorti sulla base del medesimo decreto-legge n.  13 del 2022.».
[8]Si deve specificare che l’OLAF nasce a seguito della Decisione della Commissione 1999/352/CE, CECA, Euratom del 28 aprile 1999 che istituisce appunto l’Ufficio europeo di lotta antifrode (OLAF). La decisione originaria (1999/352/CE, CECA, Euratom) ha creato l’OLAF nel 1999. Essa definiva i compiti, le responsabilità, la struttura e le modalità di funzionamento dell’OLAF. Una successiva revisione nel 2013 gli ha permesso di lavorare in modo più efficiente ed efficace, in particolare con le organizzazioni esterne.
[9] Si tratta del decreto-legge 9 giugno 2021, n. 80, recante “Misure urgenti per il rafforzamento della capacità amministrativa delle pubbliche amministrazioni funzionale all’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) e per l’efficienza della giustizia”
[10] Consiglio d’Europa, “Cos’è il GRECO”, in https://www.coe.int/en/web/greco/about-greco/what-is-greco.
[11] In ordine al funzionamento del GRECO, nel sito ad esso dedicato si legge che “Il funzionamento del GRECO è regolato dal suo Statuto e Regolamento interno. Ciascuno Stato membro nomina fino a due rappresentanti che partecipano alle riunioni plenarie del GRECO con diritto di voto; ogni membro fornisce inoltre al GRECO un elenco di esperti disponibili a partecipare alle valutazioni del GRECO. Anche altri organi del Consiglio d’Europa possono nominare rappresentanti (ad es. l’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa). Il GRECO ha concesso lo status di osservatore all’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico ( OCSE ) e alle Nazioni Unite, rappresentate dall’Ufficio delle Nazioni Unite contro la droga e il crimine ( UNODC). Il GRECO elegge il suo Presidente, il Vicepresidente ei membri del suo Ufficio di presidenza che svolgono un ruolo importante nella progettazione del programma di lavoro del GRECO e nella supervisione delle procedure di valutazione.Il Comitato Statutario del GRECO è composto da rappresentanti del Comitato dei Ministri degli Stati membri che hanno aderito al GRECO e da rappresentanti specificamente designati da altri membri del GRECO. È competente per l’adozione del  bilancio del GRECO . Ha inoltre il potere di rilasciare una dichiarazione pubblica se ritiene che un membro intraprenda un’azione insufficiente rispetto alle raccomandazioni che gli sono rivolte.Lo Statuto del GRECO definisce una  procedura di tipo master , che può essere adattata ai diversi strumenti giuridici in esame (vedi “ Come funziona il GRECO ”).Il GRECO, che ha sede a Strasburgo, è assistito da un  Segretariato , guidato da un Segretario Esecutivo, fornito dal Segretario Generale del Consiglio d’Europa. – in https://www.coe.int/en/web/greco/about-greco/what-is-greco.”
[12] Consiglio d’Europa, Gruppo di Stati contro la corruzioneA proposito di GRECO, in https://www.coe.int/en/web/greco/about-greco/how-does-greco-work. Il  processo di valutazione  segue una procedura ben definita, in cui un team di esperti è nominato dal GRECO per la valutazione di un particolare membro. L’analisi della situazione in ciascun Paese viene effettuata sulla base delle risposte scritte a un questionario e delle informazioni raccolte negli incontri con funzionari pubblici e rappresentanti della società civile nel corso di una visita in loco nel Paese. Dopo la visita in loco, il team di esperti redige un rapporto che viene comunicato al paese sotto esame per i commenti prima di essere finalmente presentato al GRECO per l’esame e l’adozione. Le conclusioni delle relazioni di valutazione possono affermare che la legislazione e la prassi sono conformi – o non conformi – alle disposizioni in esame. Le conclusioni possono portare a raccomandazioni che richiedono un intervento entro 18 mesi o a osservazioni di cui i membri dovrebbero tenere conto ma non sono formalmente tenuti a riferire nella successiva procedura di adempimento.
[13] Primo e secondo ciclo di valutazione congiunti Addendum al Rapporto di conformità sull’Itali, Adozione: 21 giugno 2013 Pubblico Pubblicazione: 1° luglio 2013, in https://rm.coe.int/16806c6951.
[14] PNA, ANAC, in https://www.anticorruzione.it/documents/91439/d9c6dd66-3b74-9871-ea33-5d34f3006e88.. Nel documento in esame si legge che tale meccanismo si è posto come obiettivo quello di rendere disponibile nel PNA uno strumento di lavoro utile per chi, ai diversi livelli di amministrazione, è chiamato a sviluppare ed attuare le misure di prevenzione della corruzione.
[15] PNA, ANAC, in https://www.anticorruzione.it/documents/91439/d9c6dd66-3b74-9871-ea33-5d34f3006e88. Nel PNA del 2019 si evidenzia che: “L’art. 1, co. 36, della l. 190/2012, laddove definisce i criteri di delega per il riordino della disciplina della trasparenza, si riferisce esplicitamente al fatto che gli obblighi di pubblicazione integrano livelli essenziali delle prestazioni che le pubbliche amministrazioni sono tenute ad erogare anche a fini di prevenzione e contrasto della “cattiva amministrazione” e non solo ai fini di trasparenza e prevenzione e contrasto della corruzione. Il collegamento tra le disposizioni della l. 190/2012 e l’innalzamento del livello di qualità dell’azione amministrativa, e quindi al contrasto di fenomeni di inefficiente e cattiva amministrazione, è evidenziato anche dai più recenti interventi del legislatore sulla l. 190/2012. In particolare, nell’art. 1, co 8-bis della legge suddetta, in cui è stato fatto un esplicito riferimento alla verifica da parte dell’organismo indipendente di valutazione alla coerenza fra gli obiettivi stabiliti nei documenti di programmazione strategico gestionale e i Piani triennali di prevenzione della corruzione e della trasparenza.”
[16]Piano Nazionale anticorruzione 2019 – ANAC – https://www.anticorruzione.it/documents/91439/d9c6dd66-3b74-9871-ea33-5d34f3006e88. Nella delibera n. 214 del 26 marzo 2019, recante «Obblighi di trasparenza del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33 applicabili all’Assemblea regionale siciliana» cui si rinvia, l’Autorità ha avuto modo di precisare la questione dell’applicabilità alle Regioni a statuto speciale e alle Province autonome di Trento e Bolzano della disciplina sulla trasparenza,
[17] F.M. Battista, G. Di Vito, Di Pasquale Eramo, “La semplificazione del codice dei contratti pubblici, in” in http://www.gazzettaamministrativa.it/assets/files/LA_SEMPLIFICAZIONE_DEL_CODICE_DEI_CONTRATTI_PUBBLICI_testo_del_6_luglio_2022.pd
[18] decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, “Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche”, Art. 54-bis. Comma 1:(Tutela del dipendente pubblico che segnala illeciti):Fuori dei  casi  di  responsabilità  a  titolo  di  calunnia  o diffamazione, ovvero per lo stesso titolo ai sensi dell’articolo 2043 del codice civile, il pubblico dipendente che denuncia  all’ autorità giudiziaria o alla  Corte  dei  conti,  ((o  all’Autorità  nazionale anticorruzione  (ANAC),))  ovvero  riferisce  al  proprio   superiore gerarchico condotte illecite  di  cui  sia  venuto  a  conoscenza  in ragione  del  rapporto  di  lavoro,  non  può   essere   sanzionato, licenziato o sottoposto ad  una  misura  discriminatoria,  diretta  o indiretta, avente effetti  sulle  condizioni  di  lavoro  per  motivi collegati direttamente o indirettamente alla denuncia.
[19] ANAC, relazione sulla “Schema di Linee guida in materia di tutela degli autori di segnalazioni di reati o irregolarità di cui siano venuti a conoscenza in ragione di un rapporto di lavoro, ai sensi dell’art. 54-bis, del d.lgs. 165/2001 (c.d. whistleblowing)”. Tale documento ha provveduto a sottolineare i vari gli ambiti che necessitano maggiormente di un nuovo intervento normativo, tra i quali l’ampliamento dell’istituto al dipendente che segnala condotte illecite negli enti di diritto privato in controllo pubblico e negli enti pubblici economici, nonché ai consulenti e ai collaboratori a qualsiasi titolo e, ancora, ai collaboratori di imprese fornitrici dell’amministrazione, in https://www.anticorruzione.it/documents/91439/e2f0d48b-4175-c5cb-b2e2-8a6740836375.
[20] Decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150, “Attuazione della legge 4 marzo 2009, n. 15, in materia di ottimizzazione della produttivita’ del lavoro pubblico e di efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni”, in https://www.normattiva.it/uri-res/N2Ls?urn:nir:stato:decreto.legislativo:2009-10-27;150!vig=.
[21]Camera dei deputati, “Il riordino dell’ANAC”, documenti, 14 febbraio 2018, in https://www.camera.it/leg17/465?tema=l_autorit__nazionale_anticorruzione#:~:text=L’Autorit%C3%A0%20nazionale%20anticorruzione%20(ANAC,n.
[22] A. Monorchio e L. Mottura, “Compendio di contabilità di Stato”, VIII ed., Cacucci ed., Bari, 2021, p. 371 e seg.
[23]Openpolis, “Che cos’è l’Anac, l’Autorità nazionale anticorruzione”, 14 gennaio 2021, in https://www.openpolis.it/parole/che-cose-lanac-autorita-nazionale-anticorruzione; Carlino, “La lunga battaglia della Corte dei conti contro corruzione e inefficienza”, Intervista del Presidente della Corte dei conti Guido Carlino a Economy [24] 4 febbraio 2021.
[25] Corte dei conti, Relazione scritta per l’inaugurazione dell’anno giudiziario 2008, esercizio finanziario 2007.
[26] Adunanza delle SS.RR. del 5 febbraio 2008, Relazione del Presidente della Corte dei conti Tullio Lazzaro per l’inaugurazione dell’anno giudiziario 2008, cerimonia di inaugurazione dell’anno giudiziario 2008, esercizio finanziario 2007.
[27] Corte dei conti, Presidente L. Giampaolino, Relazione per l’inaugurazione dell’anno giudiziario 2012, 16 febbraio 2012. Il dott. Giampaolino, nella sua relazione afferma anche che una sempre più completa “mappatura” dei fenomeni di corruzione, serve “per effettuare una ricognizione degli episodi più ricorrenti di gestione delle risorse pubbliche inadeguata, perché inefficace, inefficiente, diseconomica”, comportamenti che arrecano “un danno alle finanze pubbliche: dall’attività sanitaria, allo smaltimento dei rifiuti, per arrivare alla costituzione e gestione di società a partecipazione pubblica e alla stipula di contratti pubblici di lavori, servizi e forniture”, vedi La corruzione osservata speciale della Corte dei conti: minaccia per il sistema economico-produttivo con implicazioni sociali, etiche e culturali
[28] S. Quinzone, “La corruzione osservata speciale della Corte dei conti: minaccia per il sistema economico-produttivo con implicazioni sociali, etiche e culturali”, in Diritto e Economia, 11 agosto 2020.
[29] Corte dei conti, Relazione sul rendiconto generale dello stato 2016, introduzione del Presidente Arturo Martucci di Scarfizzi, 27 giugno 2017.
[30] L’indice di Percezione della Corruzione (CPI) di Transparency International misura la percezione della corruzione nel settore pubblico e nella politica in numerosi Paesi di tutto il mondo. Lo fa basandosi sull’opinione di esperti e assegnando una valutazione che va da 0, per i Paesi ritenuti molto corrotti, a 100, per quelli “puliti”. La metodologia cambia ogni anno per riuscire a dare uno spaccato sempre più attendibile delle realtà locali.
[31] Camera dei deputati, “Contrasto alla corruzione”, 2 maggio 2022, in https://temi.camera.it/leg18/temi/contrasto-alla-corruzione-e-trasparenza-dei-partiti.html
[32] Nel dettato dell’art. 21 della l. n. 120/2020 si legge che: «1. All’articolo 1, comma 1, della legge 14 gennaio 1994, n. 20, dopo il primo periodo è inserito il seguente: “La prova del dolo richiede la dimostrazione della volontà dell’evento dannoso”. – 2. Limitatamente ai fatti commessi dalla data di entrata in vigore del presente decreto e fino al 31 dicembre 2021, la responsabilità dei soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti in materia di contabilità pubblica per l’azione di responsabilità di cui all’articolo 1 della legge 14 gennaio 1994, n. 20, è limitata ai casi in cui la produzione del danno conseguente alla condotta del soggetto agente è da lui dolosamente voluta. La limitazione di responsabilità prevista dal primo periodo non si applica per i danni cagionati da omissione o inerzia del soggetto agente».
[33] Inaugurazione dell’anno giudiziario 2021 cerimonia di insediamento del presidente della Corte dei conti – Aula delle Sezioni riunite, Roma, 19 febbraio 2021, in www.corteconti.it, p. 9. Particolarmente significativo appare, in proposito, il recente Regolamento (UE, Euratom) 2020/2092 del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 dicembre 2020, relativo a un regime generale di condizionalità per la protezione del bilancio dell’Unione europea, laddove, in linea con le prescrizioni dell’art. 325 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea, chiarisce che gli Stati membri possono garantire una sana gestione finanziaria solo in presenza del contemporaneo ed effettivo rispetto di specifiche condizioni. È, infatti, ivi previsto che le autorità pubbliche devono agire in conformità della legge; che i casi di frode, di evasione fiscale, di corruzione, di conflitto di interessi o di altre violazioni del diritto, devono essere effettivamente perseguiti dai servizi responsabili delle indagini e dell’azione giudiziaria; che le decisioni arbitrarie o illegittime delle autorità pubbliche, comprese le autorità di contrasto, devono essere soggette a un effettivo controllo da parte di organi giurisdizionali indipendenti.
[34] O. Sepe e F.P. Pandolfo, “La struttura” cit., p.20. La rilevanza costituzionale, invece, è coeva alla stessa creazione dell’istituto e sussisterebbe anche se di essa non si facesse alcuna menzione nella Carta, ugualmente a quanto avveniva per lo Statuto del Regno: i compiti che la Corte dei conti esplica rientrano, infatti, nel meccanismo delle garanzie costituzionali.
[35] Con ciò, non deve intendersi, soltanto, che il Governo costituisce il motore volitivo e l’epicentro della P.A., ossia come “l’insieme del Presidente del Consiglio dei ministri ed i Ministri collegialmente riuniti”, ma deve intendersi nell’ampia accezione nella quale è usato dal Costituente stesso nell’intitolazione del titolo III, comprensiva, dunque, anche del Presidente della Repubblica. Ne consegue che la Corte e gli altri organi ausiliari risultano in posizione di equiordinanza, ossia sullo stesso piano dei maggiori organi dell’Esecutivo come cooperatori diretti dei supremi poteri dello Stato. Infatti, poiché la funzione di Governo non è limitata alla direzione politico-amministrativa dello Stato, ma deve, anche, coordinare l’espletamento di tutte le funzioni svolte nell’interesse di questo, può comprendersi come gli organi ausiliari del Governo siano, appunto, quelli che integrano l’attività dell’Esecutivo, senza farne parte od esserne dipendenti, esercitando funzioni che non sono necessariamente amministrative. A tal proposito si deve citare O. Sepe e F.P. Pandolfo, “La struttura e le attribuzioni della Corte dei conti”, Giuffrè, Milano, 1962, p.20.
[36] O. Sepe, “La Corte dei conti”, Giuffrè, Milano, 1956, p. 42 e ss.. In questa opera si dice che molti sostenevano che l’attività della Corte rientrasse nella sfera del potere legislativo, poiché, non avendo l’istituto un carattere amministrativo, e non esplicitando nell’esercizio del controllo funzioni che possano definirsi giurisdizionali, si dovrebbe concludere per la sua appartenenza al potere legislativo. In caso contrario, è scritto, si dovrebbe ammettere l’esistenza di un quarto potere, quello di controllo, cui sarebbe devoluto il sindacato sull’attività amministrativa del Governo.
[37] V. Tenore, “La Nuova Corte dei conti”, Giuffrè ed., Milano, 2018, p. 14.
[38] Corte dei conti, in https://www.corteconti.it/Home/ChiSiamo/Storia/RiformeCorte. Nell’esercizio della potestà regolamentare attribuita alla Corte dei conti dall’art. 4 della legge 14 gennaio 1994 n. 20, le Sezioni Riunite hanno approvato, con deliberazioni nn. 1/97 e 2/97 in data 13-6-1997, i regolamenti, pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale n. 145 del 24-6-1997, concernenti l’organizzazione dei Collegi regionali di controllo, di una Sezione di controllo della Corte per gli affari comunitari ed internazionali e l’organizzazione di un Seminario permanente dei controlli. L’assetto amministrativo della Corte comprende: la Presidenza, il Segretariato Generale, il Consiglio di Presidenza, per il governo del personale di magistratura ed il Consiglio di amministrazione, per il personale amministrativo.
[39] Corte dei conti, regolamento n. 21 del 1998, Regolamento per l’organizzazione delle funzioni di controllo della Corte dei conti – Deliberazione n. 22/01/DEL Regolamento per l’organizzazione ed il funzionamento degli uffici amministrativi e degli altri uffici con compiti strumentali e di supporto alle attribuzioni della Corte dei conti (Deliberazione n. 22/01/DEL) -26 gennaio 2010 – Sezioni riunite in sede deliberante – Delibera n. 1/2010 “Regolamento per l’organizzazione ed il funzionamento degli uffici amministrativi e degli altri uffici con compiti strumentali e di supporto alle attribuzioni della Corte dei conti” in https://www.corteconti.it/Home/ChiSiamo/Storia/RiformeCorte.
[40] V. Tenore, cit., p. 22.
[41] L’art. 97 della Costituzione sancisce che “Art. 97.  ((Le pubbliche amministrazioni, in coerenza con l’ordinamento dell’Unione europea, assicurano l’equilibrio dei bilanci e la sostenibilità del debito pubblico)). I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione. Nell’ordinamento degli uffici sono determinate le   sfere di competenza, le attribuzioni e le responsabilità proprie dei funzionari. Agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge.”
[42] M. Orefice. “Compendio di contabilità pubblica”, Neldiritto ed., I edizione 2021-2022, p. 292-293.
[43] Q. Sella, discorso in  “Celebrazione del primo centenario della Corte die conti nell’Unità d’Italia”, Milano, 1963, p. 42. – Vedi anche per la ricostruzione storica dell’Istituto M. Pane, “La Corte dei conti a 150 anni dalla sua nascita”, LexItalia.it, n. 5/2012
[44] V. Tenore, cit., p. 1444. A tal proposito si veda l’art. 2, comma 2-sexies della legge 26 febbraio 2011, n. 10 che ha inserito all’art. 3, comma 1 della legge n. 20 del 1994, la lettera c-bis), sottoponendo pertanto a controllo “i provvedimenti commissariali adottati in attuazione delle ordinanze del presidente del Consiglio dei Ministri, emanate ai sensi dell’art. 5, comma 2 della legge 24 febbraio 1992, n. 255. Segue l’art. 162 del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50 (Codice dei contratti), il quale ha sottoposto a controllo preventivo di legittimità anche i c.d.  “contratti secretati”, precedentemente sottoposti solo ad un controllo di regolarità, correttezza ed efficacia della gestione
[45] L’art. 4, comma 1 del Regolamento delle funzioni di controllo della Corte dei conti, n. 14/DEL/2000 è stato sostituito dall‘art. 1 della deliberazione delle Sezioni riunite in sede di controllo, n. 1/Del/2011. Il comma 3, del citato art. 4 è sostituito dall’art. 5 della delibera delle sezioni riunite n. 229 del 2008.
[46] M. Orefice, cit, p. 273. Si deve tenere in debita considerazione che i profili presi in considerazione nell’esercizio del controllo per i quali opera l’esimente, non sono solo quelli “estrinseci”, della legittimità formale, alla stregua dei quali il controllo stesso è stato storicamente esercitato. Essi ricomprendono ormai anche gli aspetti della “legittimità sostanziale”, correlati alla “efficacia, efficienza ed economicità dell’azione amministrativa (ex art. 1 della legge n. 241 del 1990)”, ai quali si aggiungono quelli della “legalità finanziaria”, coessenziali all’agire pubblico, costituiti dalla salvaguardia degli equilibri di bilancio e della sostenibilità del debito, oltre che dalla destinazione dei mutui alle sole spese di investimento.”
[47] Una volta trasmesso alla Corte dei conti l’atto non può più essere ritirato dall’Amministrazione, alla quale però è consentito annullarlo, agendo in autotutela.
[48] Art. 22 del decreto-legge n. 76, del 16 luglio del 2020. Controllo concomitante della Corte dei conti per accelerare gli interventi di sostegno e di rilancio dell’economia nazionale. 1. La Corte dei conti,  anche  a  richiesta  del  Governo  o  delle competenti Commissioni parlamentari, svolge il controllo concomitante di cui all’articolo 11, comma 2, della legge 4 marzo 2009, n. 15, sui principali piani, programmi e progetti relativi  agli  interventi  di sostegno  e  di   rilancio   dell’economia   nazionale.   L’eventuale accertamento di gravi irregolarità gestionali, ovvero di rilevanti e ingiustificati  ritardi  nell’erogazione  di  contributi  secondo  le vigenti  procedure  amministrative  e  contabili,  e’  immediatamente trasmesso    all’amministrazione    competente    ai    fini    della responsabilità dirigenziale ai sensi e per gli effetti dell’articolo 21, comma 1, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165.
[49] art. 17, comma 31 del decreto-legge, 1° luglio 2009, n. 78, convertito dalla legge 3 agosto 2009, n. 102.
[50]Altri elementi importanti introdotti dalla riforma in esame riguardano la valorizzazione del merito, sulla promozione delle pari opportunità, sulla dirigenza pubblica e sulla responsabilità disciplinare. Inoltre, vengono introdotte norme di raccordo al fine di armonizzare la nuova disciplina con i procedimenti negoziali, di contrattazione e concertazione relativi al personale in regime di diritto pubblico.
[51] Camera dei deputati, “Riduzione di costi, controlli e trasparenza negli enti territoriali”, Documenti , Temi dell’attività parlamentare, in www.camera.it
[52] Codice della giustizia contabile, adottato ai sensi dell’art. 20 della legge 7 agosto 201, n. 124.
[53]Art. 52 del regio decreto 12 luglio 1934, n. 1214, Approvazione del testo unico delle leggi sulla Corte dei conti.
[54] Per un approfondimento in materia vedi M. Orefice, cit., p. 477-484.
[55] F. Albo, “Limitazione della responsabilità amministrativa e anticorruzione: il PNRR è adeguatamente protetto?”, 24 maggio 2021, in https://dirittoeconti.it/limitazione-della-responsabilita-amministrativa-e-anticorruzione-il-pnrr-e-adeguatamente-protetto/
[56] Emanuele Fratto Rosi Grippaudo, “Danno erariale e riparazione pecuniaria: profili nazionali ed europei di un rapporto tra deterrenti alla corruzione”, Riv. Corte dei conti n. 4/2019. In questo articolo viene approfondito il concetto di danno all’immagine: “Il danno all’immagine è un pregiudizio non patrimoniale, ma suscettibile di valutazione economica, che si verifica quando l’agente pubblico, in situazioni legate da occasionalità necessaria con compiti di servizio, adotta una condotta lesiva delle disposizioni (in primis, l’art. 97 Cost.) poste a tutela delle competenze, delle funzioni e delle responsabilità dei funzionari pubblici, provocando la perdita del prestigio, del buon nome, dell’autorevolezza e della credibilità sociale della pubblica amministrazione nei riguardi dei cittadini o di una categoria di soggetti (fruitori o prestatori di servizi od opere) che nel corretto funzionamento di tale apparato, a tutti gli effetti una formazione sociale ex art. 2 Cost., presentano (o quantomeno dovrebbero presentare) un senso di affidamento e fiducia. La tutela dell’immagine, del buon nome, della reputazione e della credibilità non è una prerogativa delle sole persone fisiche, ma si estende anche alle persone giuridiche e, tra queste, a quelle di diritto pubblico, alle quali viene così permesso di operare in modo efficace, efficiente, imparziale e trasparente nei confronti dei propri dipendenti e dei propri amministrati, nel rispetto di quell’art. 97 della Costituzione che fa dell’imparzialità e del buon andamento i principi guida dell’azione amministrativa. Tuttavia, a differenza delle persone fisiche e delle persone giuridiche non pubbliche, la p.a. vede tutelata solo in parte la propria immagine, avendo il legislatore limitato la risarcibilità, anche in sede penale, con esclusivo riferimento ai delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione, accertati con sentenza penale di condanna (e di patteggiamento) passata in giudicato. Affinché si verifichi un danno all’immagine di una pubblica amministrazione è necessario che la condotta illecita abbia provocato clamore mediatico (c.d. clamor fori), attraverso la divulgazione, a mezzo della stampa o di un pubblico dibattimento o di altro mezzo di comunicazione, nella comunità amministrata di notizie riportanti comportamenti pregiudizievoli per il prestigio dell’amministrazione tenuti da un soggetto in rapporto di servizio con la stessa. Parte della giurisprudenza ritiene che la soglia di offensività sia superabile solo attraverso l’eco giornalistico; altra parte ritiene invece sufficiente una diffusione circoscritta ai soggetti che operano all’interno dell’amministrazione pubblica. Ad ogni modo, la lesione si concretizza, nel momento in cui determinati fatti vengono portati a conoscenza del pubblico, in quanto solamente in tale istante la notizia è in grado di ingenerare la distorta convinzione che il comportamento patologico sia una caratteristica usuale dell’ente pubblico. Di conseguenza, secondo la tesi propugnata dalle sezioni riunite, il pregiudizio trova collocazione sistematica, quanto a natura, nella categoria del danno esistenziale, riconducibile (rectius inglobato), alla luce dei più recenti indirizzi della Corte di legittimità e della Consulta nell’alveo del danno non patrimoniale ex art. 2059 c.c.. Inoltre, il danno all’immagine della p.a., inizialmente qualificato come “danno-evento”, è stato recentemente riqualificato come “danno-conseguenza”, richiedendo la giurisprudenza erariale per la sua integrazione, oltre all’esistenza del fatto-reato, la presenza di una lesione che sia conseguenza diretta dalla condotta infedele, a prescindere dalle spese necessarie al ripristino dell’immagine stessa”.
[57] F. Cerioni, Relazione della Procura generale della Corte dei conti, in occasione della cerimonia di inaugurazione dell’anno giudiziario 2022, p. 21. Secondo la giurisprudenza contabile, solo qualora il Procuratore della Corte dei conti fornisca la prova dell’esistenza del danno alla concorrenza, il giudice potrà fare ricorso alla sua quantificazione in via equitativa prevista dall’articolo 1226 c.c., proprio per sopperire all’impossibilità o, comunque, alla particolare difficoltà, di quantificare un danno di cui, però, sia certa l’esistenza. Sebbene i criteri di quantificazione, impiegati dalla giustizia amministrativa per la determinazione del danno alla concorrenza derivante dall’illegittima omissione della gara pubblica, abbiano costituito il punto di riferimento della giurisprudenza contabile, quest’ultima ha ritenuto di poter prescindere dalle soglie fissate dalla giustizia amministrativa, sia nel valore minimo (5 per cento) che in quello massimo (10 per cento), in relazione alla peculiarità del caso concreto. Talora, il danno alla concorrenza viene determinato in misura corrispondente all’ammontare delle tangenti corrisposte ai pubblici agenti (politici, dirigenti o impiegati della pubblica amministrazione), per conseguire l’aggiudicazione degli appalti pubblici, essendo notorio che i costi delle tangenti vengano traslati, di regola, direttamente o indirettamente (attraverso la proposta di varianti o clausole di revisione dei prezzi), sul prezzo di aggiudicazione dei contratti ad evidenza pubblica, al fine di evitare di cagionare una perdita all’impresa che abbia pagato la cosiddetta “tangente”. In questo caso il pregiudizio erariale è indicato come “danno da tangente”.
[58] F. Cerioni, cit., p. 22. In tale importo è stata inclusa la somma di euro 75.000, oggetto di una condanna pronunciata dalla Corte dei conti, Sezione giurisdizionale per la Sezione Umbria, con la sentenza 17 agosto 2021, n. 74, per un danno qualificato “da tangente” e commisurato all’ammontare delle somme illecitamente ricevute da un pubblico dipendente, ma considerato dal giudice corrispondente al nocumento subito dall’amministrazione per il mancato ottenimento dell’utilità ritraibile da una verifica tributaria, a seguito di un episodio di concussione (trattasi dunque, sostanzialmente, di un “danno da disservizio”).
[59] Emblematico, poi, quanto enunciato dalla Corte dei conti nel Rapporto 2020 sul coordinamento della finanza pubblica, in cui la magistratura contabile pone in evidenza come la crisi sanitaria abbia “messo in luce anche, e soprattutto, i rischi insiti nel ritardo con cui ci si è mossi per rafforzare le strutture territoriali, a fronte del forte sforzo operato per il recupero di più elevati livelli di efficienza e di appropriatezza nell’utilizzo delle strutture di ricovero”. Nel Rapporto, si legge, ancora, che è sempre più evidente che una adeguata rete di assistenza sul territorio non è solo una questione di civiltà a fronte delle difficoltà del singolo e delle persone con disabilità e cronicità, ma rappresenta l’unico strumento di difesa per affrontare e contenere con rapidità fenomeni come quello che stiamo combattendo.
[60] Relazione scritta del Procuratore generale (M. Ristuccia), in occasione della cerimonia di inaugurazione dell’anno giudiziario della Corte dei conti 2011 – 22 febbraio 2011.
[61] Report di Libera “In Sanità. L’impatto della corruzione sulla nostra salute”, 9 dicembre 2020, in https://www.libera.it/documenti/schede/insanita_web_2.pdf.
[62] Il Gruppo di Stati contro la corruzione (GRECO) è un organismo del Consiglio d’Europa volto a migliorare la capacità dei suoi membri di combattere la corruzione, assicurando il monitoraggio della loro conformità alle norme in materia. Aiuta gli Stati a individuare le lacune nelle politiche anticorruzione nazionali e li incoraggia a condurre le riforme legislative, istituzionali e pratiche necessarie.
[63] Il PNA è articolato in due Parti. La parte generale contiene indicazioni per la predisposizione della sezione del PIAO relativa alla prevenzione della corruzione e della trasparenza. Si è qui intervenuti con orientamenti finalizzati a supportare i RPCT nel duplice ruolo di coordinatori della strategia della prevenzione della corruzione e cardini del collegamento fra la prevenzione della corruzione e le altre sezioni di cui si compone il PIAO. Si è indicato su quali processi e attività è prioritario concentrarsi nell’individuare misure di prevenzione della corruzione; sono state fornite indicazioni per realizzare un buon monitoraggio e semplificazioni per gli enti con meno di 50 dipendenti (la principale è la previsione, salvo casi eccezionali, di un’unica programmazione per il triennio). La parte generale contiene un approfondimento dedicato al divieto di pantouflage, ipotesi di conflitto di interessi da inquadrare come incompatibilità successiva. La parte speciale è dedicata ai contratti pubblici, ambito in cui non solo l’Autorità riveste un ruolo di primario rilievo ma a cui lo stesso PNRR dedica cruciali riforme.  L’Autorità dà qui conto dei numerosi interventi legislativi che hanno inciso sulla disciplina dei contratti pubblici e offre alle stazioni appaltanti un aiuto nella individuazione di misure di prevenzione della corruzione e della trasparenza agili e al contempo utili ad evitare che l’urgenza degli interventi faciliti esperienze di cattiva amministrazione, propedeutiche a eventi corruttivi. La parte speciale contiene anche un approfondimento sulle gestioni commissariali cui è affidata la realizzazione delle grandi opere previste nel PNRR. Sia nella parte generale del PNA che in quella speciale l’Autorità si è posta nella logica di fornire un supporto alle amministrazioni, ai RPCT e a tutti coloro, organi di indirizzo compresi, che sono protagonisti delle strategie di prevenzione. Da qui anche la predisposizione di specifici allegati (n. 11) che vanno intesi come strumenti di ausilio per le amministrazioni.
[64] L. Motolose. “La Corte dei conti come strumento di contrasto alla corruzione a tutela della legalità delle Pubbliche Amministrazioni”, Associazione giuristi di amministrazione, 25 giugno 2021, in http://www.giuristidiamministrazione.com/wordpress/la-corte-dei-conti-come-strumento-di-contrasto-alla-corruzione-a-tutela-della-legalita-delle-pubbliche-amministrazioni/
[65] Corte dei conti,” Il ruolo della Corte dei conti al servizio della collettività nell’evoluzione delle sue funzioni”, in Torino, 11 ottobre 2022, in occasione dei 160 anni della Corte dei conti, https://www.corteconti.it/HOME/StampaMedia/Notizie/DettaglioNotizia

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