Il ruolo delle circostanze e l’art. 131 bis del codice penale
Uno degli aspetti basilari dell’ordinamento giuridico italiano è la propria unitarietà, in virtù della quale le norme penali rappresentano le parti di un tutto necessariamente privo di contrasti. Per garantire questa peculiarità, è necessario scomodare il principio di non contraddizione, fondamentale per la coordinazione tra i vari settori dell’ordinamento. Attraverso il principio di non contraddizione, infatti, non possono essere adottate norme che al contempo autorizzino e puniscano una medesima condotta; in altre parole, non può accadere che un comportamento sia lecito per una norma e illecito per un’altra, anche perché il diritto necessita di certezza, dovendo tutelare il favor libertatis e quindi l’autodeterminazione del singolo il quale deve poter aver chiare le azioni consentite e non consentite dall’ordinamento e poter orientare conseguentemente la propria condotta.
In materia penale, il principio di non contraddizione risulta estremamente rilevante, in quanto impone una valutazione del fatto criminoso in termini di antigiuridicità: la norma penale di riferimento, quindi, dovrà essere messa in relazione al complesso delle altre norme, poiché l’esistenza di una qualsiasi legge che facoltizza o rende doveroso una determinata condotta è sufficiente per renderlo lecito in tutto l’ordinamento giuridico.
Un fatto, affinché sia considerato reato, oltre a dover essere previsto dalla legge come tale (principio di legalità), e oltre a dover essere idoneo a offendere un bene giuridicamente tutelato (principio di offensività), deve essere antigiuridico. Valutare l’antigiuridicità di un’azione o di un’omissione, significa analizzare la condotta o la mancata condotta del soggetto agente verificando la presenza o meno di determinate circostanze che possano escludere o mitigare la pena o il grado di colpevolezza del reo. Le circostanze, quindi, rappresentano gli elementi accidentali del fatto concreto tipizzato, il quale presenta tutti gli elementi previsti dal legislatore affinché lo si possa considerare reato.
Il codice penale, come si evince a partire dagli artt. 59 e 119 c.p., prende in considerazione le “circostanze che escludono la pena”. La dottrina, quindi, di fronte alla genericità dell’espressione usata dal legislatore, si è impegnata a suddividere le circostanze come segue: le cause di giustificazione in senso stretto, che eliminano il reato, come nel caso della legittima difesa o dell’adempimento di un dovere; le cause di esclusione della colpevolezza, le quali, seppur non eliminano l’antigiuridicità del fatto che rimane illecito, fanno venir meno la colpevolezza del reo, come nel caso della coazione morale esercitata da altri; le cause di non punibilità, con le quali non viene meno né l’antigiuridicità né la colpevolezza dell’autore, ma il legislatore decide di non applicare la pena.
Anche dal punto di vista della loro essenza, le circostanze sono state oggetto di classificazione. Primariamente si suddividono in attenuanti e aggravanti, se determinano una minore gravità del reato comportando una diminuzione della pena o se invece determinano una maggiore gravità del reato e, conseguentemente, un aumento della pena.
Possono essere comuni o speciali, se, rispettivamente, sono applicabili potenzialmente a tutti i reati o se sono previste solo per determinati tipi di reato.
Ancora, sono soggettive o oggettive: le prime riguardano il soggetto agente e cioè l’intensità del dolo o della colpa, le condizioni e le qualità personali del colpevole, i rapporti tra la persona colpevole e l’offeso e quelle inerenti la persona del colpevole (l’imputabilità e la recidiva); le seconde riguardano la natura, la specie, i mezzi, l’oggetto, il tempo, ogni altra modalità dell’azione, la gravità del danno o del pericolo ovvero le condizioni o le qualità personali dell’offeso.
Esistono circostanze tipiche, quelle oggetto di un grado alto di tipizzazione da parte del legislatore, e atipiche o generiche, quelle descritte in maniera più imprecisa e che conferiscono al giudice il dovere di determinarne un contenuto più specifico, motivo per cui le circostanze aggravanti generiche sono accusate da alcuni autori di incostituzionalità ex art. 25 della Costituzione.
Attraverso il d.lgs 28/2015 il legislatore ha introdotto un articolo innovativo rispetto alle circostanze che il giudice deve tenere in considerazione: l’art 131 bis c.p. Esso, infatti, esclude la punibilità di un soggetto nel caso in cui abbia commesso un fatto caratterizzato da “particolare tenuità”.
Come poter classificare l’art. 131 bis c.p.?
Innanzitutto, la natura dell’art. 131 bis c.p. è quella della causa di non punibilità, così come dichiarato dalla giurisprudenza di legittimità che ne ha affermato la natura sostanziale. È stata definita atipica, in considerazione del fatto che esige un contraddittorio e produce effetti pregiudizievoli per l’imputato, il quale viene inserito comunque nel casellario giudiziario. Come si evince direttamente dalla norma, i presupposti di applicazione sono sia soggettivi che oggettivi. Questi ultimi sono rappresentati dai limiti edittali: l’esclusione della punibilità riguarda i reati per i quali è prevista la pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni, ovvero la pena pecuniaria, sola o congiunta alla predetta pena. Altro limite oggettivo è rappresentato dal comma IV dell’art 131 bis c.p., per cui non può dirsi esclusa la punibilità per i delitti, puniti con una pena superiore nel massimo a due anni e sei mesi di reclusione, commessi in occasione o a causa di manifestazioni sportive, ovvero nei casi di cui agli articoli 336, 337 e 341 bis, quando il reato è commesso nei confronti di un pubblico ufficiale nell’esercizio delle proprie funzioni. I presupposti oggettivi devono tenere in considerazione anche la recentissima pronuncia della Corte Costituzionale (sentenza 21 luglio 2020, n. 156) la quale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 131 bis c.p. nella parte in cui non prevede l’applicazione dell’esimente per i reati per i quali non è previsto il minimo edittale di pena detentiva (15 giorni di reclusione).
I presupposti soggettivi, invece, hanno a che fare con la non abitualità del comportamento (l’autore non deve essere stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza ovvero non deve aver commesso più reati della stessa indole) e con un’offesa particolarmente lieve. A tale ultimo proposito, la giurisprudenza di legittimità ha chiarito l’oggetto di valutazione per definire la “particolare tenuità del fatto”: un’equilibrata considerazione di tutte le peculiarità del fatto storicamente compiuto che facciano emergere il ridottissimo grado di offensività non solo dell’aggressione al bene giuridico, ma anche del disvalore complessivo del fatto.
Inoltre, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, affermando che non vi è reato per il quale non sia possibile considerare le modalità della condotta, chiariscono che l’art. 131 bis c.p. può essere applicato per le diverse tipologie di reato; si può dire, quindi, che la “particolare tenuità del fatto” sia un’esimente comune, pur sempre limitata dai criteri oggettivi e soggettivi indicati dalla norma.
In via conclusiva, possiamo, carpire la ratio sottostante l’art. 131 bis c.p. che rappresenta un’applicazione globale dei principi fondamentali del diritto penale: infatti, in linea con l’art. 27 della Costituzione, secondo cui la responsabilità penale è solo personale, permette ancor di più di effettuare un giudizio ad hoc sull’ipotesi di reato e sulle circostanze che la caratterizzano. Inoltre, trova marcata connessione con il principio dell’offensività, ponendo un accento ancor più evidente sulla necessaria lesione del bene giuridicamente tutelato ai fini dell’applicazione della pena. Infine, sorretto dai principi di proporzionalità e di sussidiarietà, riesce, in ottemperanza al dettato costituzionale, a garantire la caratteristica dominante di extrema ratio del diritto penale.
Dal punto di vista pratico, saranno il tempo e le pronunce giudiziarie a dimostrare l’efficacia applicativa della norma in questione e della sua effettiva incidenza sulla deflazione processuale e sull’accelerazione dei tempi della giustizia, considerando che l’onerosità del processo penale ha sicuramente orientato il legislatore verso l’introduzione di tale esimente.
Bibliografia
Mantovani F., Diritto penale, CEDAM, 2017
Garofoli R., Manuale di diritto penale, Nel diritto editore, 2019
Marani S., Particolare tenuità del fatto, Altalex, diritto penale, 27/02/2020
Fiandaca G, Musco E., Diritto penale parte generale, Zanichelli, 2014
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Elide Saccone
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