Il segreto professionale del difensore
Sommario: 1. Il difensore e il segreto – 2. La natura soggettiva del segreto professionale – 3. La fonte del segreto professionale – 4. La nozione oggettiva di segreto – 5. La tutela penale del segreto – 6. Il consenso del titolare del segreto
1. Il difensore e il segreto
Il segreto professionale assolve l’importante funzione di tutela delle comunicazioni tra un avvocato difensore e il suo cliente e di garanzia della loro confidenzialità. 1 Nel panorama normativo attuale, oltre a trovare riconoscimento nell’art. 24 comma 2 Cost., che sancisce l’inviolabilità del diritto di difesa in ogni stato e grado del procedimento, può essere desunto anche dall’art. 8, n. 1 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo (CEDU) in combinato disposto con l’art. 6 nn. 1 e 3, lett.c), vale a dire il diritto a un processo equo, codificando in tal modo il segreto professionale come diritto fondamentale del cittadino, come pure dall’art. 7 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (la c.d. Carta di Nizza) che sancisce il rispetto delle comunicazioni. Sembra opportuno richiamare anche l’art. 47 comma 2 della summenzionata Carta che, dopo aver affermato il diritto di ciascuno a un processo equo e davanti a un giudice indipendente, imparziale e precostituito per legge, sancisce poi che <<ogni persona ha la facoltà di farsi consigliare, difendere e rappresentare>>. 2 Il segreto professionale costituisce, pertanto, un perfezionamento del diritto di difesa del cliente e poggia anche sulla funzione dell’avvocato quale collaboratore nell’amministrazione della giustizia: egli non sarebbe in grado di svolgere in modo adeguato l’incarico di difesa, consulenza e rappresentanza del suo cliente, e questo sarebbe anche privato dei diritti riconosciuti dall’art. 6 della C.e.d.u. e 47 e 48 della Carta di Nizza, se lo stesso avvocato fosse tenuto a collaborare con i pubblici poteri trasmettendo loro le informazioni ottenute durante l’espletamento dell’incarico difensivo. 3 A livello di normativa interna, invece, la tutela del segreto professionale, trova riconoscimento nell’art. 200 c.p.p. Al fine di delimitare l’ambito di operatività del segreto professionale, occorre poi anche tener conto del Codice Deontologico Forense 4. L’art. 28 del Codice deontologico forense rappresenta uno dei capisaldi alla base della professione forense, rispondendo dunque a principi tutelati sia in ambito deontologico che dal diritto positivo. 5 Sarebbe però troppo riduttivo considerare la difesa del segreto professionale solo nell’interesse di colui il quale ha fatto affidamento sull’avvocato. 6 L’art. 2 comma 1 del codice deontologico stabilisce che << è nella natura stessa della missione dell’avvocato che egli sia depositario dei segreti del suo cliente e destinatario di comunicazioni confidenziali>> e lo stesso codice europeo riconosce il segreto professionale come <<un diritto e un dovere primordiale dell’avvocato >> estendendolo a tutta l’attività dell’avvocato, alle informazioni che il cliente gli ha fornito e quelle alle quali l’avvocato ha conosciuto in dipendenza del mandato. Pertanto, la norma impone il rispetto di questo principio sia nei confronti di clienti che nei confronti anche degli ex clienti e verso coloro i quali, anche se si sono rivolti al professionista, non gli abbiano però poi conferito il mandato 7. L’esigenza di tutela del diritto inviolabile di difesa e della libertà di poter confidare all’avvocato notizie essendo certi sicuramente che queste non saranno rivelate, non sorge solo dopo l’accettazione dell’incarico difensivo, ma fin da quando il soggetto si rivolge al professionista esponendogli le ragioni per le quali intende chiedergli assistenza e consulenza, essendo il segreto non solo circoscritto alle notizie comunicate dalla persona all’avvocato, ma anche quelle in un colloquio preliminare in vista di un futuro conferimento dell’incarico, poi eventualmente non conferito oppure non accettato dallo stesso avvocato. 8 Infatti, si desume dal secondo comma dell’art. 28 del Codice deontologico che il rispetto di detto principio non è delimitato solamente alla durata dell’incarico conferitogli ma va mantenuto anche una volta concluso il mandato e anche se dopo l’avvocato vi abbia rinunciato o anche qualora non lo abbia accettato. L’analisi del quarto comma del summenzionato articolo evidenzia come vi sono alcune ipotesi, però, in cui il riserbo e segreto professionale possano essere derogati, prospettandosi delle circostanze nelle quali la notizia segreta possa poi essere oggetto di divulgazione sottolineando come i depositari del segreto possano diffondere quanto è stato loro riferito: laddove la divulgazione risulti necessaria per lo svolgimento dell’attività di difesa, laddove sia necessaria per impedire che venga commesso un reato, in costanza di una procedura disciplinare e infine per allegare circostanze di fatto in una controversia tra avvocato e parte assistita, anche se la divulgazione è consentita ma nel limite di non divulgare più di quanto strettamente necessario per il fine che si intende tutelare9 . Dunque, al fine di far fronte a eventuali difficoltà a cui l’avvocato potrebbe andare incontro, il codice deontologico permette di derogare al rispetto di tali obblighi, essendo la ratio di questa deroga colta nel garantire un bilanciamento tra valori costituzionalmente garantiti. 10 L’art. 13 rubricato <<Dovere di segretezza e riservatezza>>, recita che <<l’avvocato è tenuto, nell’interesse del cliente e della parte assistita, alla rigorosa osservanza del segreto professionale e al massimo riserbo su fatti e circostanze in qualsiasi modo apprese nell’attività di rappresentanza e assistenza in giudizio, nonché nello svolgimento dell’attività di consulenza legale e di assistenza stragiudiziale e comunque per ragioni professionali>>. La norma, invece, a cui fare riferimento sul punto dell’obbligo di segretezza, è l’art. 51 comma 1 in ordine al quale << L’avvocato deve astenersi, salvo casi eccezionali, dal deporre, come persona informata sui fatti o come testimone, su circostanze apprese nell’esercizio della propria attività professionale e ad essa inerenti>>. Suddetta disposizione sembra ricomprendere nell’ambito di operatività del segreto professionale anche tutte quelle informazioni che il cliente ha rivelato al professionista in un momento anteriore al conferimento del mandato professionale. La ratio di siffatta previsione deriva dal fatto che l’avvocato, nel momento in cui riceve informazioni volte poi a consigli o suggerimenti, si ritiene stia comunque svolgendo attività professionale. Con riferimento all’art. 58 del Codice Deontologico Forense secondo il quale <<per quanto possibile l’avvocato deve astenersi del deporre su circostanze apprese nell’esercizio della professione e inerenti al mandato>>11 si delinea un mutamento in ordine al dovere di astensione in quanto la formulazione precedente di tale articolo, in mancanza di un formale mandato, non riteneva sussistente alcun segreto professionale da dover tutelare, con la necessaria conseguenza che il giudice imponeva al teste di deporre sulle domande che riguardavano l’oggetto di imputazione, mentre successivamente,12 l’interesse del cliente a che il professionista mantenga la segretezza dei fatti di cui viene a conoscenza vede una tutela rafforzata anche a tutte quelle informazioni che sono state rivelate all’avvocato al di fuori delle ipotesi di formale conferimento del mandato professionale. << Se ne potrebbe dedurre che il diritto di astenersi dal deporre sul piano processuale si estenda a tutti coloro che sono obbligati al segreto dal diritto sostanziale>>. 13 Da ultimo, occorre precisare che riserbo e segreto professionale assumono rilievo anche in ambito sostanziale penale all’art. 622 c.p. e processual-civilistico all’art. 249 c.p.c., coprendo dunque uno spazio molto ampio rispetto a quello deontologico, interessando ad esempio, ambiti quali la tutela della privacy (d.lgs. 196/2003) o la normativa antiriciclaggio. 14 Il concetto di “dovere” dell’avvocato, la cui violazione è sanzionata dall’art. 622 c.p., è volto a tutelare il cliente o la parte assistita la quale deve poter affidare liberamente al professionista tutte le informazioni che la riguardano senza il timore che queste ultime possano essere diffuse o rivelate, intendendo con il termine “informazioni” sia quelle che il cliente comunica direttamente al soggetto qualificato che quelle il cui professionista sia venuto a conoscenza durante lo svolgimento del mandato. 15 A questo “dovere” dell’avvocato, dunque, corrisponde, di conseguenza, il diritto del cliente riconducibile al generale diritto di difesa, in quanto se venisse meno il dovere dell’avvocato di osservare la segretezza su tali informazioni verrebbe leso il diritto di difesa, oltre che si profilerebbe anche lesione del diritto al giusto processo. 16 La Corte Costituzionale17 ha chiarito che la tutela del segreto <<risponde all’esigenza di assicurare una difesa tecnica basata sulla conoscenza di fatti e situazioni, non condizionata dall’obbligatoria trasferibilità di tale conoscenza in giudizio, attraverso la testimonianza di chi svolge l’attività difensiva>>. Per quanto riguarda le categorie di soggetti tenuti a non rivelare i segreti appresi nell’esercizio delle proprie professioni,18 il primo comma, lett. a) dell’art. 200 c.p.p., racchiude i ministri delle confessioni religiose il cui dovere di mantenere il segreto deriva dagli statuti di tali confessioni: in tal caso, il principale obiettivo è proprio quello di consentire un libero esercizio della libertà di culto. Le lettere b), c)19 e d) del primo comma, prevedono una seconda categoria: quella degli avvocati20, degli investigatori privati autorizzati21, dei consulenti tecnici e dei notai, trovando il loro riconoscimento nell’art. 24 Cost. <<Sarebbe eccessivo ricollegare la facoltà in questione ad ogni ipotesi in cui le leggi professionali sanciscono genericamente l’obbligo del segreto>>. 22 Un limite è però previsto nei casi in cui tali soggetti hanno l’obbligo di riferire all’autorità giudiziaria le notizie apprese nell’ambito del loro ministero, ufficio o professione e fermo restando il potere del giudice di ordinare che il testimone deponga tutte le volte in cui si convinca dell’infondatezza del segreto opposto. 23 Si deve, del resto, evidenziare come numerose disposizioni del codice di procedura penale, come ad esempio l’art. 103 c.p.p., proteggono lo spazio destinato alla difesa considerandolo inaccessibile rispetto alle attività d’indagine. Mentre, infatti, il segreto imposto sulle notizie conosciute a causa dell’esercizio della professione è finalizzato a garantire la libertà del rapporto difensore-cliente, la previsione, invece, di un’area inaccessibile agli organi inquirenti, si configura come strumentale al conseguimento del risultato finale del processo. 24 <<Sebbene, infatti, le regole che consentono di opporre il segreto professionale, “quando operano verso chi esercita una professione forense” manifestino una tutela per certi versi contigua a quanto dispone il complesso positivo riassunto nell’art. 103 c.p.p., i due gruppi di disposizioni operano su piani differenti>>. 25 L’art. 103 c.p.p. definisce tutta una serie di garanzie sostanziali di libertà nell’esercizio dell’attività di difesa e di limiti nel poter effettuare ispezioni e perquisizioni negli uffici dei difensori, con la possibilità di procedere al sequestro di carte e documenti, <<salvo che costituiscano corpo del reato>>. La ratio della norma è quella di tutelare la funzione difensiva” a garanzia <<del libero dispiegamento dell’attività difensiva e del segreto professionale”, che trovano diretto supporto nell’art. 24 Cost., il quale sancisce l’inviolabilità della difesa, come diritto fondamentale della persona>>26 ma soprattutto di proteggere la <<necessaria riservatezza dell’attività difensiva>>. 27 Mentre in dottrina28 alcuni autori hanno ravvisato nell’art. 24 Cost. la norma di riferimento della tutela dell’attività difensiva contro ogni forma di intromissione e di lesione della sfera di libertà dell’individuo, altri invece hanno fatto riferimento alla <<“tutela dei diritti alla riservatezza e alla segretezza dei clienti del professionista, specie di quelli non coinvolti nel procedimento nel corso del quale vengono compiuti gli atti di indagine”>>29, mentre altri ancora identificano come presupposto la tutela del segreto professionale30. Di conseguenza, punto di partenza per l’esistenza del segreto difensivo è che sia stato nominato un difensore, che questi sia investito di un mandato difensivo per un determinato procedimento e che, nell’ambito della funzione difensiva, provveda allo svolgimento di tutte le attività riconducibili alla difesa tecnica del suo assistito. 31 Quanto appena prospettato solleva però degli interrogativi: si potrebbe anche dire però che affinché si abbia segreto non sia semplicemente sufficiente l’esistenza di un mandato difensivo, ma è soprattutto necessario che tale mandato sia conferito per un determinato procedimento. 32 La prima questione che si prospetta è se <<ai fini dell’applicabilità dell’art. 103 c.p.p., la qualifica del difensore operi solo all’interno dello stesso procedimento in cui si svolge la sua attività, oppure valga per chi è nominato difensore indipendentemente dal procedimento in cui egli sia impegnato, vale a dire in tutti i procedimenti che coinvolgono il suo assistito. Si tratta, cioè, di esplorare i limiti funzionali del segreto difensivo>>. 33 Tale questione è stata risolta dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione34 le quale hanno chiarito che l’applicabilità dell’art. 103 c.p.p. non si limita solo al procedimento per cui il difensore è nominato, ma si estende anche a chi ha assunto la difesa al di fuori di quel procedimento. 35 Ecco perché conviene partire proprio da questa pronuncia, che aiuta a definire la nozione di difensore, intesa lato sensu <<tale cioè da ricomprendere gli esercenti la professione forense, cioè gli avvocati, che in concreto espletano o hanno espletato la funzione difensiva in sede penale, a prescindere dal procedimento>>. 36 La seconda questione riguarda invece la durata del segreto, vale a dire la sussistenza dei limiti temporali al di fuori dei quali il segreto difensivo non può essere fatto valere. 37 Detto altrimenti, è necessario chiarire quale sia il momento entro il quale il difensore dispone di un proprio segreto da contrapporre a quello dell’accusatore. 38 <<L’attuale codice lascia aperto il problema, perché l’art. 103 c.p.p. non contiene, da un canto, elementi tali da far coincidere la durata del segreto difensivo con quello del procedimento, e, dall’altro, neppure fornisce dati testuali analoghi, ad esempio, a quelli che, per il segreto professionale, appaiono evolutivi. L’art. 200 c.p.p., infatti, non menziona il procedimento, ma addirittura, ne prescinde; se ne deduce che per il segreto professionale non si pongono problemi di durata>>39, apparendo così svincolato da dati temporali e richiedendo soltanto che la notizia sia conosciuta per ragione della professione. <<Il concetto di segreto difensivo rimanda invece (…) al procedimento, per cui si potrebbe affermare che prima di esso non può esservi segreto; vale a dire che l’inizio del procedimento sarebbe configurabile come limite cronologico prima del quale, non esistendo il segreto difensivo, opera soltanto il segreto professionale>>. 40 In ogni caso l’art. 103 c.p.p. non presuppone l’attualità del mandato difensivo, vale a dire che << la notizia in possesso del difensore potrebbe mantenere inalterate le sue potenzialità lesive nei confronti dell’imputato anche a procedimento concluso, in vista di una possibile ripresa dello stesso (riapertura delle indagini o revoca della sentenza di non luogo a procedere) o dell’inizio di altri. Bisogna dunque ritenere che il segreto difensivo sia destinato ad operare anche oltre la conclusione del procedimento in corso>>. 41 Con l’art. 103 c.p.p., dunque, il legislatore ha voluto delineare un quadro di regole e di modalità operative in modo da garantire l’effettivo svolgimento della funzione difensiva prevedendo innanzitutto, al primo comma, <<il divieto di ispezioni e perquisizioni consentite però solo in due ipotesi eccezionali, rappresentate dalle lettere a) e b), vale a dire quando il difensore << o altre persone che svolgono stabilmente attività nello stesso ufficio sono imputati, limitatamente ai fini dell’accertamento del reato loro attribuito>>; e <<per rilevare tracce o altri effetti materiali del reato o per ricercare cose o persone specificamente predeterminate>>. Il secondo comma prevede che in ogni caso <<presso i difensori e gli investigatori privati autorizzati e incaricati in relazione al procedimento, nonché presso i consulenti tecnici non si può procedere a sequestro di carte o documenti relativi all’oggetto della difesa, salvo che costituiscano corpo del reato>>. Il terzo comma prevede che <<nell’accingersi a eseguire un’ispezione, una perquisizione o un sequestro nell’ufficio di un difensore, l’autorità giudiziaria a pena di nullità avvisa il Consiglio dell’Ordine Forense del luogo perché il Presidente o un consigliere da questo delegato possa assistere alle operazioni. Allo stesso, se interviene e ne fa richiesta, è consegnata copia del provvedimento>>. Al quarto comma si prevede che << alle ispezioni, alle perquisizioni e ai sequestri negli uffici dei difensori procede personalmente il giudice ovvero, nel corso delle indagini preliminari, il pubblico ministero in forza di motivato decreto di autorizzazione del giudice>>. Mentre il quinto comma recita che <<non è consentita l’intercettazione relativa a conversazioni o comunicazioni dei difensori, degli investigatori privati autorizzati e incaricati in relazione al procedimento, dei consulenti tecnici e loro ausiliari, né a quelle tra i medesimi e le persone da loro assistite>>42. Al sesto comma è previsto che <<sono vietati il sequestro e ogni forma di controllo della corrispondenza tra l’imputato e il proprio difensore in quanto riconoscibile dalle prescritte indicazioni, salvo che l’autorità giudiziaria abbia fondato motivo di ritenere che si tratti di corpo del reato>>. All’ultimo comma si sancisce con l’inutilizzabilità <<i risultati delle ispezioni, perquisizioni, sequestri, intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, eseguiti in violazione delle disposizioni precedenti>>. Secondo la dottrina,43 il rapporto tra i due tipi di segreti viene visto come caratterizzato dalla specialità di quello difensivo rispetto al segreto professionale. <<Nel concorso tra le due norme, quindi, è l’art. 103 a prevalere; mentre l’art. 200, che ha un’estensione maggiore, non scompare, ma rimane sullo sfondo come tutela sussidiaria per cui, in linea di massima, dove non arriva il segreto difensivo subentra quello professionale>>. 44
2. La natura soggettiva del segreto professionale
Il segreto professionale assume allora un significato quasi sacro per l’avvocato che svolga il suo mandato nell’assistenza e nella rappresentanza in giudizio del suo cliente, ma anche in quella di consulenza.45 Infatti la Costituzione, affermando l’inviolabilità del diritto di difesa, ha garantito l’operatività di tale principio non solo nell’ambito del procedimento e in vista di una futura decisione, ma anche fuori e prima ancora del procedimento, tutelando la difesa come attività di consulenza stragiudiziale e come attività preparatoria al procedimento stesso.46 Non solo l’esercizio di questo diritto verrebbe ostacolato o addirittura annullato qualora il difensore fosse obbligato a rivelare nel processo segreti a lui confidati dall’assistito, ma soprattutto quest’ultimo non confiderebbe al difensore notizie, pur utili alla difesa, la cui rivelazione potrebbe gravemente comprometterne i suoi interessi47. Infatti è soltanto la certezza che tutte le informazioni scambiate con il proprio difensore manterranno il carattere della segretezza e non andranno a costituire in futuro un mezzo di prova contra sé, a garantire l’effettivo svolgimento della funzione difensiva.48 <<L’essenza del segreto professionale risiede nella condizione che la notizia sia conosciuta soltanto da determinati soggetti per ragione della loro professione ed è da tali condizioni che, dunque, per definire le norme sul segreto, occorre fare riferimento. La disciplina del segreto professionale, infatti, per espressa previsione è, dal punto di vista soggettivo, definita attraverso la enucleazione di alcune categorie soggettive la cui estensione, costituendo un esonero dal generale dovere della testimonianza, ha carattere tassativo ed è frutto di scelte ampiamente discrezionali del legislatore che si basano su un bilanciamento di interessi>>.49 Del resto, <<come si è avuto modo di notare in dottrina, l’indagine sul segreto professionale è (…) complessa e la sua fattispecie “involge una problematica fra le più interessanti e ricche di vivo significato pratico” in quanto diviene arduo intendere quali siano i fatti che possono essere considerati oggetto di segreto. Inoltre, di fronte ad essi non è nemmeno agevole stabilire come si debba atteggiare l’autorità giudiziaria allorquando, nel corso dell’attività di acquisizione delle “prove”, si imbatta nell’eccezione di segretezza>>.50 Ebbene, bisogna sottolineare come il soggetto depositario di una confidenza, in virtù di una particolare relazione giuridica basata sulla fiducia, gode della facoltà di decidere se rivelare o no il segreto in base a una valutazione operata rispettando innanzitutto l’etica professionale ma soprattutto secondo coscienza.51 I segreti in generale, e particolarmente quello professionale, rispondono a determinate esigenze: anzitutto quello di perseguire interessi ritenuti meritevoli di tutela giustificando molte volte anche la compressione della tutela dell’amministrazione della giustizia. In secondo luogo, quello di proteggere il riserbo di quei rapporti fondati sull’intuitu personae e, infine, l’esigenza di tutela dell’autonomia ordinamentale di determinati organismi al fine di regolamentarne determinate attività.52 <<Nel rapporto che lega l’interessato al professionista, ad esempio, la norma prende in considerazione il fatto che esso è caratterizzato da un impegno obbligatorio a mantenere discrezione su quanto confidato e che quell’impegno è posto sia nell’interesse del soggetto che ha la necessità di rivolgersi al professionista ma anche per la tutela della libertà di esercizio della professione che sarebbe fortemente compromessa se non si assicurasse l’inaccessibilità delle notizie riferite nel corso di quella relazione>>53. D’altro canto, <<l’attività del legale possiede una caratteristica del tutto peculiare che la rende unica nel suo genere>>54 visto che non solo è legato ad una parte i cui interessi si trovano diametralmente opposti a quelli della controparte processuale, ma il difensore svolge anche una funzione essenziale per le istituzioni giudiziarie:55 del resto sarebbe vano parlare di giusto processo se non venisse riconosciuta la libera esplicazione del rapporto tra professionista e cliente.56 L’art. 200 c.p.p., dopo aver definito le classi dei soggetti legittimati all’astensione dalla testimonianza, cioè << i ministri di culto, esercenti professioni legali, compresi i consulenti tecnici, o sanitarie >>, ne prevede una quarta residuale, aperta agli << esercenti di ogni professione ai quali la legge riconosce tale facoltà>>57. In tal modo viene introdotta <<una norma processuale in bianco che, rinviando ai singoli ordinamenti professionali, amplia la gamma dei soggetti legittimati al segreto soddisfacendo, nel contempo, esigenze di tassatività della disciplina>>.58 L’art. 200 c.p.p. richiede che sia la legge professionale ad attribuire la facoltà di astenersi dal deporre in virtù del segreto professionale: questo vuol dire che il segreto in sé o la qualità del soggetto non sono sufficienti per impedire al giudice di ordinare un’eventuale deposizione, essendo piuttosto necessario che il contenuto del segreto attenga all’esercizio della professione.59 <<Il divieto è, perciò, fissato in considerazione di una particolare qualità del soggetto. Di conseguenza, la finalità della tutela processuale si manifesta attraverso una garanzia a carattere soggettivo, nel senso che evita la violazione del segreto da parte di persone che, per la particolare natura della loro professione, sono in condizione privilegiata quanto all’apprendimento di notizie alla cui segretezza altri sono interessati>>.60 Di conseguenza, <<l’individuazione dei possibili soggetti attivi non è effettuata attraverso una elencazione casistica, che mai potrebbe essere esaustiva, delle categorie di soggetti tenuti al segreto, bensì mediante la esplicazione delle situazioni professionali e personali in presenza delle quali ricorre l’obbligo del segreto su tutte le notizie rivelate o rese accessibili proprio in ragione del rapporto professionale o della situazione personale. Si pone quindi il problema, per l’interprete, di delineare i caratteri generali di tutte le situazioni riconducibili ad un concetto unitario di professione: concetto che, attualmente, si estende ben oltre le tradizionali professioni liberali ed è necessariamente elastico, prestandosi a ricomprendere tutte le attività che implicano l’accesso a notizie rispetto alle quali il destinatario del servizio reso possa vantare un diritto alla riservatezza>>.61
3. La fonte del segreto professionale
Il legislatore consente all’imputato di scegliere il difensore ritenuto più idoneo a tutelare i propri interessi, quale manifestazione di libertà e soprattutto dell’effettività del diritto di difesa. L’art. 96 c.p.p. non prevede che l’atto di nomina osservi particolari formalità, potendo essere redatto in forma libera, né che affinché l’atto sia valido e produttivo di effetti giuridici la sottoscrizione del dichiarante debba essere autenticata dal difensore o da altri: la nomina, infatti, può avvenire in forma orale in udienza e in tal caso ne viene dato atto nel verbale, oppure potrebbe avvenire anche in forma scritta depositata all’autorità procedente personalmente o tramite raccomandata62. La giurisprudenza di legittimità63 ha chiarito che in caso di sussistenza di un mandato professionale con l’avvocato, questi deve astenersi, per quanto possibile, dal deporre come testimone su circostanze conosciute durante lo svolgimento della propria attività ed inerenti al mandato ricevuto.64 La norma però non esprime un dovere assoluto, prevedendo che nei casi in cui l’avvocato decida di rendere testimonianza debba necessariamente sussistere una rinuncia al mandato e un divieto di riassunzione di questo, mentre, al contrario, quando le informazioni siano conosciute sulla base di un comportamento informale e amichevole, in cui venga ad esempio chiesto un consiglio, in questo caso, l’avvocato potrebbe invece assumere la veste di testimone.65 Dal conferimento del mandato professionale scaturisce poi l’obbligo del rispetto del segreto professionale il quale grava non soltanto con riferimento alle notizie apprese nel corso dell’attività dello stesso avvocato, visto che questi deve anche e soprattutto garantire che i propri praticanti, dipendenti, collaboratori anche occasionali e consulenti osservino il massimo riserbo sui fatti apprese per via dell’attività svolta, rispondendo personalmente per violazione della segretezza anche se il fatto è commesso da terzi.66 Quindi, il legale deve adoperarsi affinché tutti i soggetti che collaborano alla difesa e che vengono a conoscenza delle informazioni riservate, debbano osservare il massimo riserbo e il segreto professionale, essendo presenti anche, in numerosi codici deontologici, delle clausole che gli impongono di far rispettare tale segreto ai propri dipendenti, a coloro che collaborano e cooperano nello svolgimento di tale attività qualificata.67 A tal proposito, la Corte Costituzionale68 ha ritenuto infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 249 c.p.c. in relazione all’art. 200 c.p.p. laddove non si prevedeva la possibilità anche per i praticanti dell’applicazione di tali norme. Per la precisione, il caso di specie aveva come protagonista una praticante dello studio legale che, chiamata a testimoniare, chiedeva di potersi avvalere della facoltà di astensione da tale obbligo. Si applicano, così, anche ai praticanti le ipotesi di astensione visto che questi ultimi sono anche a conoscenza di informazioni riservate la cui testimonianza potrebbe ledere il dovere di riserbo.69 Da quanto detto, è possibile rilevare come il tema dell’ambito soggettivo del segreto professionale è strettamente correlato con quello della testimonianza indiretta.70 Il regime di segretezza potrebbe infatti essere aggirato qualora fossero obbligate a testimoniare persone alle quali i soggetti qualificati si siano rivolti.71 Premettendo che il prestatore d’opera professionale può sempre avvalersi della collaborazione di sostituti e ausiliari ai fini dello svolgimento della propria attività, è indubbio che talvolta le difficoltà della prestazione possano addirittura richiedere la collaborazione di più persone che, laddove non fossero tenute al segreto, potrebbero essere obbligate a riferire quanto appreso nello svolgimento dell’incarico.72 La tutela del segreto professionale opera in modo indiretto in quanto, sulla base dell’art. 195 comma 6 c.p.p., <<i testimoni non possono essere esaminati su fatti comunque appresi dalle persone indicate negli articoli 200 e 201 in relazione alle circostanze previste dai medesimi articoli>>. Il legislatore ha voluto evitare che fossero introdotte nel processo, mediante testimonianza indiretta, l’esame sui fatti coperti dal segreto e, in violazione del divieto previsto agli artt. 200 c.p.p. e 201 c.p.p., informazioni che rientravano nella sfera di tutela del segreto, inserendo così un divieto assoluto per il giudice il quale non potrebbe ammetterne la prova indiretta.73 <<La ratio del divieto risponde chiaramente alla finalità che ispira la disciplina della testimonianza indiretta e cioè quella di consentire una verifica ed un controllo della fonte di conoscenza diretta che, nell’ipotesi di segreto, non potrebbe evidentemente essere escussa>>.74 Resta escluso però il caso in cui i soggetti qualificati depositari del segreto <<abbiano deposto o in altro modo divulgati>>. La prima ipotesi si spiega col fatto che non avrebbe senso mantenere il divieto di testimonianza indiretta se , il depositario del segreto, sulla base di una decisione secondo coscienza, abbia deciso di divulgarlo. La seconda ipotesi invece si giustifica dal fatto che la diffusione farebbe perdere il carattere di segretezza alla conoscenza che è stata acquisita in ragione dell’ufficio o della professione.75 <<Sempre a proposito della portata della clausola contenuta nella seconda parte del comma 6 dell’art. 195 c.p.p., si deve peraltro escludere che la diffusione di cui tratta possa essere collegata ad un comportamento negligente del depositario del segreto il quale, con atteggiamenti poco scrupolosi del dovere deontologico, abbia dato causa ad una conoscenza, non più ristretta al suo rapporto con il cliente, della notizia da questi ricevuta>>.76 Argomentando in tal senso <<non sarebbe neppure corretto sostenere che il titolare del segreto debba rimproverare se stesso per aver mal riposto fiducia nel professionista designato (…) perché, in ogni caso, il soggetto qualificato fa comunque parte di un sistema ad accesso controllato che presuppone, in linea di massima, una formazione e una preparazione, anche per quel che concerne i doveri deontologici, anzitutto a beneficio degli utenti>>.77 Rientrano, allora, nell’area della disposizione de qua, gli eventuali consulti tra colleghi e le conoscenze apprese in ragione dello svolgimento di un rapporto col soggetto qualificato tenuto al segreto (il caso, ad esempio, della segretaria del professionista).78 Per questo motivo, nella prassi si è posta la questione se l’art. 195 comma 6 c.p.p. dovesse essere operante anche nel caso in cui le notizie fossero apprese da ausiliari o dipendenti del professionista, visto che questi debbano ritenersi vincolati allo stesso segreto al quale i loro domini sono assoggettati.79 In ogni caso, la testimonianza indiretta dovrebbe essere vietata prescindendo dalla fonte dalla quale il soggetto abbia avuto cognizione della notizia.80 <<Anzitutto anche rispetto alla notizia di “terza mano”, non sarebbe comunque applicabile il meccanismo di cui all’art. 195, commi 2 e 3 c.p.p. di escussione dalla fonte diretta perché, se l’originario depositario della notizia segreta ha comunque l’obbligo di astenersi dal deporre, il sistema di verifica della fonte di conoscenza non potrebbe operare. In secondo luogo, come detto, l’art. 195 comma 6 c.p.p. esclude la testimonianza sui fatti “comunque” appresi dalle persone indicate negli articoli 200 e 201 c.p.p.>>.81 Sempre sulla base poi dell’art. 195 comma 6, occorre da ultimo, precisare che sono esclusi dal dovere di testimonianza gli eredi del professionista o coloro i quali abbiano avuto cognizione in virtù dello spoglio di carte ereditarie.82
4. La tutela penale del segreto
Il difensore nello svolgimento della propria attività è tenuto al rispetto del segreto professionale nei confronti del proprio cliente. Un problema molto delicato è quello della spontanea deposizione da parte del soggetto che, invece, si sarebbe dovuto astenere.83 Come rilevato dalla dottrina,84 la concezione oggettiva del segreto trova conferma nell’art. 622 c.p.85 che punisce chiunque, a querela della persona offesa, avendo avuto notizia di un segreto in virtù del proprio stato, ufficio, professione o arte86, lo rivela senza giusta causa o lo utilizza a proprio o altrui profitto, se dal fatto può derivare nocumento alla persona interessata.87 La violazione del segreto professionale dell’avvocato, dunque, oltre ad essere un illecito deontologico punibile dall’Ordine, può integrare una fattispecie di reato la cui pena applicata sarà quella della reclusione fino a un anno o della multa da 30 a 516 euro. La ratio della norma si rinviene oltre che nell’esigenza di salvaguardare i rapporti professionali anche nell’interesse pubblico a che il professionista mantenga la segretezza dei fatti di cui viene a conoscenza nell’esercizio del ruolo svolto.88 L’art. 622 c.p. e l’art. 200 c.p.p. sono strettamente connessi. Quest’ultima disposizione individua l’oggetto del segreto a quanto appreso <<in ragione della professione, ufficio o ministero>>, coincidendo così con l’art. 622 c.p. che si riferisce <<a chi ha notizia di un segreto per ragione del proprio stato, arte o professione>>. La norma fa riferimento allo stato, oppure alla condizione giuridica derivante dai rapporti di parentela o di coniugio, alla condizione in cui si trova il soggetto che va a espletare una particolare attività, quale ad esempio quella di un praticante o di una segretaria; all’ufficio, in riferimento all’esercizio di un’attività pubblica o privata da cui derivano diritti e doveri; all’arte e alla professione da intendersi come attività retribuita, intellettuale o manuale, svolta al servizio di altre persone.89 <<Siccome la deposizione dipende da una decisione del tutto insindacabile del professionista il quale deve interrogare la sua coscienza per stabilire se deporre o meno, parrebbe che non vi possa essere alcuno spazio per una valutazione in termini di violazione di legge per una prova acquisita in seguito alla libera determinazione del soggetto depositario del segreto>>90. Punto di partenza è che ai sensi dell’art. 622 c.p. il soggetto qualificato che non abbia rispettato l’obbligo di riservatezza debba incorrere in conseguenze di carattere penale, ma il problema è che gli elementi costitutivi del delitto di rivelazione del segreto dovrebbero essere oggetto di specifico accertamento da parte del giudice, il che significherebbe imporgli, nella valutazione della prova, lo svolgimento di delicati approfondimenti al fine di accertare se la condotta del professionista è un comportamento illecito o meno.91 L’art. 622 c.p. si rivolge infatti a <<chiunque, avendo notizia, per ragione (..) della propria professione (…) di un segreto, lo rivela, senza giusta causa, ovvero lo impiega a proprio o altrui profitto (…) se dal fatto può derivare nocumento>>. La finalità della norma è dunque quella di proteggere la sicurezza dei rapporti professionali, in quanto il divieto giuridico di provvedere da sé a un determinato bisogno, l’impossibilità materiale e via dicendo, pongono il soggetto nella necessità, imposta soprattutto dalle norme dell’ordinamento giuridico, di dover ricorrere alle prestazioni di altri soggetti.92 Occorre, dunque, garantire la fiducia e l’affidamento nella riservatezza del professionista cui il singolo si rivolge: <<se tale fiducia venisse meno, la libertà di ricorrere all’aiuto professionale rimarrebbe inevitabilmente sminuita, quando non annullata, della previsione della possibile discrezione>>.93 L’art. 200 c.p.p. prevede una facoltà e non un obbligo di astenersi dal deporre, essendo poi rimessa alla coscienza e al prudente apprezzamento del professionista, la scelta tra il rispetto del segreto professionale e il dovere di contribuire all’amministrazione della giustizia: il fondamento dunque della tutela penale sarebbe proprio il nocumento, attuale o potenziale,94 che ne potrebbe derivare dalla rivelazione, configurandosi reato esclusivamente se la rivelazione avviene senza giusta causa e se dal fatto potrebbe derivare un nocumento, altrimenti il professionista potrà/dovrà rinunciare alla facoltà di astenersi dal deporre, senza che ciò possa comportare alcuna responsabilità penale. Quindi, <<se l’interessato non oppone il segreto, la prova è ammissibile: a questi fini basta che lo abbia rivelato di sua spontanea volontà. Ma il suo comportamento resta penalmente sanzionabile alle condizioni di cui all’art. 622 c.p.: dal momento che la testimonianza non è obbligatoria, la norma penale non considera l’osservanza dell’ordine di testimoniare come giusta causa di rivelazione, mentre è ammesso, ad esempio, che si possa rivelare il segreto per salvare l’innocente>>.95 Per giusta causa deve intendersi un interesse che si può garantire soltanto attraverso la rivelazione del segreto oppure attraverso il consenso o la ratifica del titolare del suddetto segreto o ancora mediante l’esistenza di una norma giuridica che ne imponga la rivelazione in presenza di talune circostanze.96 Si configura la giusta causa solo laddove il professionista non possa difendere in altro modo l’interesse minacciato se non rivelando il segreto, essendo la rivelazione indispensabile.97 In dottrina98 si è osservato che tale formula avrebbe un significato autonomo potendosi riferire a situazioni atipiche ulteriori nelle quali un diritto o un obbligo prevalgono sul divieto di rivelare il segreto99. Per potenziale nocumento invece, la norma subordina la punibilità alla possibilità che questo nocumento si realizzi, perfezionandosi il reato sul luogo e quando sorge tale pericolo.100 <<Secondo la dottrina maggioritaria, il nocumento previsto dalla norma è da qualificarsi come elemento essenziale del reato. Ciò significa che il danno o il pericolo di danno dovrà essere, se non voluto, almeno previsto dall’agente come possibile conseguenza della sua condotta>>.101 Un’isolata giurisprudenza,102 invece, ritiene che ci sia una correlazione tra la giusta causa di rivelazione del segreto professionale e il nocumento, correlazione che, del resto, deriva dalla nozione di nocumento così come interpretato dalla Corte di Cassazione103 consistente nel fatto che esso non solo deve comportare un danno o un pericolo di danno per il soggetto, ma che questo danno deve essere ingiusto, vale a dire contrario al diritto. Si discute poi in dottrina104 se risponde del reato chi sia falsamente qualificato professionista. Ferma restando la punibilità per i reati di truffa ed abusivo esercizio di una professione, è da considerarsi punibile ex art. 622 c.p. anche il soggetto che agisce attribuendosi una qualifica che in realtà non possiede.105 Riferendosi l’art. 622 c.p. ai segreti appresi in ragione del proprio stato, ufficio, professione o arte, non sembra che vi siano dubbi sul fatto che esista un nesso di causalità tra la qualifica o l’attività del soggetto e la conoscenza del segreto:106 esso, allora, nonostante sia limitato a quanto comunicato confidenzialmente, si estende anche a ogni altra conoscenza appresa a causa o nell’esercizio della professione, rimanendo estraneo però quanto conosciuto in occasione dello svolgimento della prestazione professionale, mancando ogni attinenza con quest’ultima.107 Ci si è chiesti se il segreto concerna anche notizie riguardanti terze persone estranee al rapporto con il professionista. Una parte della dottrina108 si è espressa in senso positivo, chiarendo che il titolare del diritto a mantenere il segreto e della facoltà di querela continua ad essere il cliente, potendo il terzo invece essere soggetto passivo di altri reati, come ad esempio quello di diffamazione. Altra parte della dottrina109, limita il segreto alla sfera di riservatezza di colui il quale si rivolge al professionista e con questo instaura un rapporto fiduciario la cui violazione costituisce la ratio di tale disciplina. <<Naturalmente, invece, il reato non si configura laddove la rivelazione del segreto avvenga entro la sfera delle persone legittimate alla conoscenza della notizia in quanto partecipanti allo stesso rapporto fiduciario, come ad esempio i collaboratori del professionista che, come tali, sono vincolati anch’essi all’obbligo del segreto>>.110 Non si configura neanche se la notizia viene rivelata a chi già ne è a conoscenza.
5. Il consenso del titolare del segreto
Un aspetto su cui occorre soffermare l’attenzione è quello della rilevanza della volontà del soggetto al fine di esonerare il professionista dal suo obbligo. Come del resto evidenziato precedentemente, la segretazione non può dipendere dalla volontà del soggetto portatore dell’interesse, dovendo, invece, derivare dalla natura del rapporto che ha portato alla conoscenza di una determinata notizia.111 <<Se la volontà, dunque, non potrebbe conferire segretezza a ciò che non risponde ad un interesse meritevole di tutela, cionondimeno – sempre secondo la dottrina penalistica – il bene protetto dalla disciplina apparterrebbe ai beni disponibili per cui il suo titolare avrebbe la possibilità, attraverso una manifestazione di volontà abdicativa, di determinare la desegretazione facendo venir meno l’antigiuridicità del fatto>>.112 Visto che ad essere tutelato è il rapporto di fiducia tra il professionista e il cliente, vale a dire quanto appreso nell’esercizio di attività professionali volte a soddisfare diritti costituzionalmente rilevanti, come ad esempio il diritto di difesa, sotto il profilo del rapporto di fiducia tra professionista e cliente, il segreto è posto soprattutto nell’interesse di quest’ultimo che ne potrebbe subire il pregiudizio maggiore qualora venisse trasformato in testimone colui il quale le notizie furono rivelate, anche se devono essere tenuti in considerazioni anche e soprattutto gli interessi di cui è portatore il professionista a non vedere trasformata la propria attività in quella di organo di prova che va a contribuire all’accertamento dei fatti processuali.113 E allora questa ricostruzione, che mette in risalto i diversi interessi che, nei due settori, le rispettive discipline tutelano, è la conseguenza della ricostruzione della nozione di segreto professionale diversamente da quella elaborata dal diritto sostanziale. Il differente presupposto su cui si fonda l’art. 622 c.p. rispetto all’art. 200 c.p.p. si evidenzia nella risoluzione del bilanciamento di interessi.114 <<Al fondo, infatti, si coglie l’esigenza del doveroso rispetto di un elemento fondamentale di credibilità della funzione esercitata che viene imposto al soggetto qualificato in relazione ad un interesse che prescinde completamente dalla regolamentazione negoziale che le parti hanno inteso dare al loro rapporto>>.115 Pertanto, trattandosi di un rapporto di natura bilaterale, nel quale però non è possibile attribuire soltanto a una delle parti facoltà dispositive, il codice deontologico europeo conferma il segreto non solo come un dovere ma anche come un diritto: tale rapporto di natura fiduciaria116 sarebbe svalutato << se il professionista, con una scelta orientata perché provocata unicamente dagli interessi del cliente, potesse incidere, in un modo o in altro, sul corso della causa>>.117 Secondo un orientamento118, la norma processuale ritiene prevalente il segreto professionale rispetto all’acquisizione probatoria, consentendo così a determinate categorie di persone, sulla base di quanto appreso in ragione della loro professione, di non rendere testimonianza: è questa una valutazione a cui non è possibile derogare neanche attraverso la volontà del titolare. Essendo riconosciuta al professionista la facoltà di astenersi dal deporre in virtù del segreto, spetterà solamente a questi valutare se esercitarla o meno, potendo eventualmente il consenso dell’interessato essere un elemento aggiuntivo per indurre il professionista a deporre volontariamente,119 ma <<la risposta preferibile è che il consenso non sia mai decisivo>>120 in quanto <<acconsentendo, il confidente non impone la rivelazione del segreto: autorizza il difensore a parlare, evitando che vada incontro a responsabilità penale se lo rivela, ma non rende obbligatoria la rivelazione. In un certo senso, dunque, lascia in vita il segreto perché non impedisce al difensore di conservarlo nei confronti di tutti: tuttavia per quanto riguarda il processo, lo fa cadere, perché, rimuovendo l’obbligo di tacere il segreto, fa si che chi lo detiene non possa esentarsi dal testimoniare>>.121 Di conseguenza <<possiamo limitarci ad affermare che, in ogni caso, il consenso dell’assistito non interferisce con la tutela processuale del segreto: non sarebbe sostenibile che il consenso dell’imputato autorizzi, ad esempio, a perquisire lo studio del difensore o sequestrarvi documenti; la protezione del segreto appare infatti più ampia, e tale da comprendere l’insieme dell’attività svolta del difensore che, consentendo alla difesa di interloquire con l’accusa, è da considerare patrimonio di interesse oggettivo del processo>>.122
1 In questo senso N. CANESTRINI, Segreto professionale, intercettazioni e l’illusione della riservatezza fra cliente e avvocato, articolo online, in https://www.canestrinlex.com . Secondo A. DIDDI, Testimonianza e segreti professionali, cit., p. 2 << Sebbene il legislatore abbia operato a monte un bilanciamento degli interessi che astrattamente possono contrapporsi a quello dell’accertamento giudiziale, in concreto resta aperto il problema di quanto esteso possa essere lo spazio inaccessibile alle intrusioni degli inquirenti. E’ evidente come l’area interessata dal fenomeno in questione può essere più o meno vasta a seconda della estensione che si intende dare alla nozione di “segreto” che torna, nelle sue varie eccezioni, negli artt. 200, 201, 201, 203 c.p.p. rispettivamente per il segreto professionale, quello di ufficio, di Stato e di polizia e, soprattutto, la sua “resistenza” agli eventuali controlli dell’autorità giudiziaria>>.
2 Così N. CANESTRINI, Segreto professionale, intercettazioni e l’illusione della riservatezza fra cliente e avvocato, articolo online, cit. Per una più approfondita disamina sul ruolo del difensore e sul diritto di difesa si veda G. ALPA, Il ruolo del difensore tra normativa interna e sovranazionale, cit., pp. 5 ss.
3 In questo senso N. CANESTRINI, Segreto professionale, intercettazioni e l’illusione della riservatezza fra cliente e avvocato, articolo online, cit.
4 Il Codice Deontologico Forense si compone di 60 principi la cui inosservanza comporta sanzioni disciplinari fino a giungere alla radiazione dall’albo. Il Codice rappresenta soprattutto una garanzia da eventuali errori posti sia dall’autorità giudiziaria che dallo stesso cliente e deriva dal bisogno di legalità tipico dell’attività dell’avvocato.
5 In questo senso M. A. TATO’, Riserbo e segreto professionale alla luce dell’art. 28 del codice deontologico forense, articolo online, in https://www.salvisjuribus.it. L’esercizio delle facoltà ora menzionate è subordinato all’osservanza delle prescrizioni previste, la cui violazione è fonte di responsabilità disciplinare. Si deve precisare che, le fonti dei doveri dell’avvocato non sono deducibili soltanto dal codice deontologico forense, ma sono scritti anche nel codice di procedura penale. Ai sensi dell’art. 97, comma 5 c.p.p. il difensore d’ufficio ha l’obbligo di prestare patrocinio; l’art. 105 rimette la competenza dell’irrogazione di sanzioni disciplinari al Consiglio dell’Ordine Forense, nel caso di rifiuto o abbandono della difesa o di violazione del dovere di probità e lealtà; l’art. 391- bis, che prevede la possibilità per il difensore di conferire o ricevere informazioni da persone che possono riferire circostanze o fatti, dovendo però osservare alcune prescrizioni, la cui violazione sarebbe fonte di responsabilità disciplinare.
6 A tal proposito A. DIDDI, Testimonianza e segreti professionali, cit., p. 53.
7 In questo senso M. A. TATO’, Riserbo e segreto professionale alla luce dell’art. 28 del codice deontologico forense, articolo online, cit. Un’ulteriore garanzia del riserbo è rappresentata dall’art. 68 comma 3 il quale impone il divieto di utilizzare notizie acquisite in ragione di un rapporto già esaurito.
8 In questi termini si rimanda a M. A. TATO’, Riserbo e segreto professionale alla luce dell’art. 28 del codice deontologico forense, articolo online, cit.
9 Recita testualmente l’art. 28 del Codice Deontologico <<e’ consentito all’avvocato derogare ai doveri di cui sopra qualora la divulgazione di quanto appreso sia necessaria a) per lo svolgimento dell’attività difensiva; b) per impedire la commissione di un reato di particolare gravità; c)allegare circostanze di fatto in una controversia tra avvocato e cliente o parte assistita nell’ambito della procedura disciplinare>>. Per un ulteriore approfondimento consultare il sito https://www.privacy.it 10 In questo senso M. A. TATO’, Riserbo e segreto professionale alla luce dell’art. 28 del codice deontologico forense, articolo online, cit.
11 Si segnala a tal proposito la decisione delle Cass., Sez. Un., 25 settembre 2017, n. 22253, in https://sentenze.laleggepertutti.it,. Nel caso di specie, la Corte ha annullato la sanzione disciplinare irrogata a un avvocato che aveva deposto come testimone nel processo penale per ingiurie e minacce del suo precedente cliente, riferendo quanto appreso dopo la cessazione del mandato. In tal modo la Corte ha chiarito che l’art. 58 del codice deontologico forense pone un dovere di astensione del difensore dal deporre come testimone su circostanze apprese nell’esercizio dell’attività professionale, mentre non opera però rispetto a opinioni e apprezzamenti riguardanti la personalità dell’imputato e non collegati al rapporto di mandato difensivo.
12 A partire dal 15 dicembre 2014, in virtù delle modifiche apportate con delibera del Consiglio Nazionale Forense del 31 gennaio 2014, pubblicate in Gazzetta Ufficiale il 16 ottobre 2014 ed efficaci a decorrere dal 15 dicembre.
13 Testualmente F. M. GRIFANTINI, Il segreto difensivo nel processo penale, cit., p. 12.
14 Si veda M. A. TATO’, Riserbo e segreto professionale alla luce dell’art. 28 del codice deontologico forense, articolo online, cit.
15 A tal proposito M. A. TATO’, Riserbo e segreto professionale alla luce dell’art. 28 del codice deontologico forense, articolo online, cit.
16 In questo senso M. A. TATO’, Riserbo e segreto professionale alla luce dell’art. 28 del codice deontologico forense, articolo online, cit.
17 Così, Corte Cost., 8 aprile 1997, n. 87, in https://www.cortestostituzionale.it
18 Con riferimento alle categorie ricomprese nell’art. 200 c.p.p. si veda G. SPANGHER, Commento all’art. 200, in Commento al nuovo c.p.p. (coord. da) M. Chiavario, vol. II, Utet, Torino, 1990, p. 462.
19 La lettera c) ricomprende anche i medici, chirurghi, farmacisti, ostetriche e ogni altro esercente la professione sanitaria, la cui radice la si rinviene nell’art. 32 Cost. Infine il codice estende l’applicabilità dell’art. 200 c.p.p. agli << esercenti altri uffici o professioni ai quali la legge riconosce facoltà di astenersi dal deporre determinata dal segreto professionale>>, sostanziandosi in un rinvio ad altra disposizione e dunque a “norma processuale in bianco”, secondo la definizione data da F. M. GRIFANTINI, Il segreto difensivo nel processo penale, cit., p. 12. Secondo Cass., Sez. I, 4 luglio 2007, n. 25755, in https://dirittoegiustizia.it.
20 Secondo la Corte Cost., 8 aprile 1997, n. 87, cit., la facoltà di astensione riconosciuta all’avvocato si estende <<anche a chi, essendo iscritto nel registro dei praticanti a seguito della delibera del consiglio dell’ordine degli avvocati, adempie agli obblighi della pratica forense presso lo studio del professionista con il quale collabora.>>
21 Tale lettera è stata sostituita dalla legge 7 dicembre 2000, n. 397, che ha modificato tale elenco eliminando i procuratori legali e inserendovi invece gli investigatori privati autorizzati.
22 L’espressione è di V. GREVI, Prove, (a cura di) in Compendio di Procedura Penale, (diretto da) G. CONSO – V. GREVI – M. BARGIS, Cedam, Padova, 2010, p. 336.
23 Testualmente l’art. 200 c.p.p. al comma 1 << Non possono essere obbligati a deporre su quanto hanno conosciuto per ragione del proprio ministero, ufficio o professione, salvi i casi in cui hanno l’obbligo di riferirne all’autorità giudiziaria (…)>>.
24 In questo senso A. DIDDI, Testimonianza e segreti professionali, cit., pp. 52-53. Cfr. A. SCALFATI, Ricerca della prova e immunità difensive, cit., pp. 29 ss. ; F. M. GRIFANTINI, Il segreto difensivo nel processo penale, cit., p. 143; G. BELLANTONI, Sequestro probatorio e processo penale, cit., pp. 241 ss.
25 L’espressione è di A. DIDDI, Testimonianza e segreti professionali, cit., p. 52. Così. A. SCALFATI, Ricerca della
prova e immunità difensive, cit., p. 29 (corsivo dell’A.)
26 Così, Cass., Sez. VI, 27 ottobre 1992, in Cass. Pen.,1993, p. 2020.
27 Così, Cass., Sez. V, 18 febbraio 2003, n. 12944, in https://www.filodiritto.com
28 A tal proposito S. CIANI, Ancora qualche puntualizzazione sulle garanzie di libertà del difensore, in Cass. pen.,
1998, p. 840.
29 L’espressione è di G. DE PIETRO, Ispezioni, perquisizioni e sequestri negli uffici dei difensori secondo l’art 103 del
codice di procedura penale, in Arch. nuova proc. pen., 1993, p. 661.
30 A tal proposito A. CRESPI, La tutela penale del segreto, Priulla, Palermo, 1952, p. 41.
31 In questo senso F. M. GRIFANTINI, Il segreto difensivo nel processo penale, cit., p. 31.
32 A tal proposito F. M. GRIFANTINI, Il segreto difensivo nel processo penale, cit., pp. 31-32. Si rimanda anche a G. BELLAVISTA, voce Difesa giudiziaria penale, cit., p. 454 ss. ; A. CRISTIANI, voce Difensore, cit., p. 1087 ; A.A. DALIA – D. CIMADORO, voce Difensore, cit., p. 501.
33 Testualmente F. M. GRIFANTINI, Il segreto difensivo nel processo penale, cit., p. 32.
34 Così, Cass., Sez. Un., 12 novembre 1993, n. 505, in Cass. pen. 1994, p. 910.
35 In questo senso F. M. GRIFANTINI, Il segreto difensivo nel processo penale, cit., p. 33.
36 L’espressione è di F. M. GRIFANTINI, Il segreto difensivo nel processo penale, cit., p. 36.
37 In questo senso F. M. GRIFANTINI, Il segreto difensivo nel processo penale, cit., p. 32.
38 Sul punto F. M. GRIFANTINI, Il segreto difensivo nel processo penale, cit., p. 32.
39 L’espressione è di F. M. GRIFANTINI, Il segreto difensivo nel processo penale, cit., p. 37.
40 Testualmente F. M. GRIFANTINI, Il segreto difensivo nel processo penale, cit., p. 37.
41 Così F. M. GRIFANTINI, Il segreto difensivo nel processo penale, cit., pp. 43-44. Cfr. G. AZZOLINA, L’avvocatura nella giurisprudenza, Cedam, Padova, 1974, p. 607.
42 L’Unione delle Camere Penali è da sempre impegnata nel garantire l’effettività di tutte le garanzie al fine di garantire il corretto svolgimento della funzione difensiva proprio per evitare l’intrusione investigativa nel campo della difesa.
43 In questo senso si rimanda a F. M. GRIFANTINI, Il segreto difensivo nel processo penale, cit., p. 21 il quale ritiene che il segreto difensivo costituisca un “quid pluris” a garanzia del difensore, rappresentando un elemento imprescindibile al fine della piena operatività del principio del contraddittorio. Il segreto professionale, invece, previsto dall’art. 200 c.p.p., ha una disciplina più ampia, essendo applicabile nei casi in cui il segreto difensivo non può operare, e quindi si presenta con carattere sussidiario.
44 L’espressione è di F. M. GRIFANTINI, Il segreto difensivo nel processo penale, cit., p. 21.
45 A tal riguardo A. DIDDI, Testimonianza e segreti professionali, cit., p. 51.
46 In questo senso A. DIDDI, Testimonianza e segreti professionali, cit., p. 53. Cfr. M. PISANI, Testimonianza e segreti, in AA. VV., La testimonianza nel processo penale, Giuffrè, Milano, 1974, pp. 76-77 ; U. DE LEONE, Il segreto professionale: limiti e garanzie, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1978, pp. 684-685
47 Così A. DIDDI, Testimonianza e segreti professionali, cit., p. 51. Sul punto si veda anche A. CALAMANTI, Il diritto di difesa tra favoreggiamento e patrocinio infedele, Giuffrè, Milano, 1987, p. 30 ; L. CONCAS, Il segreto di ufficio e il segreto professionale con particolare riguardo al segreto dell’avvocato, cit., p. 88.
48 A tal proposito A. DIDDI, Testimonianza e segreti professionali, cit., p. 54.
49 L’espressione è di A. DIDDI, Testimonianza e segreti professionali, cit., p. 22. Secondo A. DIDDI, Testimonianza e segreti professionali, cit., p. 31 << E’ agevole osservare come, in linea di massima, le situazioni di esonero contemplate dall’art. 200 c.p.p. siano connesse a sfere di interessi pure di rango costituzionale che, nelle fattispecie considerate, il legislatore ritiene prevalenti, nel giudizio di bilanciamento, rispetto al contrapposto interesse della giustizia>>. Così si veda anche Corte Cost., 22 gennaio 1981, n. 1, in Giur. Cost., 1981, pp. 3 ss. con nota di G. CONSO, Il segreto giornalistico dopo la Corte Costituzionale ; F. CORDERO, Codice di procedura penale commentato, Utet, Torino, 1990, p. 247.
50 Testualmente A. DIDDI, Testimonianza e segreti professionali, cit., p. 103. Cfr. A. CRESPI, La tutela penale del segreto, cit., p. 28.
51 In questo senso A. DIDDI, Testimonianza e segreti professionali, cit., p. 25. Cfr. G. PAOLOZZI – N. G. SARACINO, voce Segreto. V) Tutela processuale del segreto, in Enc. Giur. Treccani, vol. XXVIII, Roma, 1990, p. 4.
52 Sul punto A. DIDDI, Testimonianza e segreti professionali, cit., pp. 26-27. Sul segreto come tutela della dignità di alcune professioni si veda E. FORTUNA – S. DRAGONE, Le prove, in E. FORTUNA – S. DRAGONE – R. GIUSTOZZI, Manuale pratico del processo penale, Cedam, Padova, 2007, p. 351; Contra L. CONCAS, Il segreto d’ufficio e il segreto professionale, cit., p. 90; U. DE LEONE, Il segreto professionale: limiti e garanzie, cit., p. 682 ; N. TRIGGIANI, Sub. Art. 200 c.p.p., in A. GIARDA – G. SPANGHER, Codice di procedura penale commentato, IV ed., Vol. I, Giuffrè, Milano, 2010, pp. 2039 ss.
53 L’espressione è di A. DIDDI, Testimonianza e segreti professionali, cit., pp. 107-108.
54 Testualmente A. DIDDI, Testimonianza e segreti professionali, cit., p. 51.
55 In questo senso A. DIDDI, Testimonianza e segreti professionali, cit., pp. 51-52. In questo senso si veda anche A. CALAMANTI, Il diritto di difesa, cit., p. 31.
56 A tal proposito A. DIDDI, Testimonianza e segreti professionali, cit., p. 52.
57 Si riferisce, innanzitutto, ai periti commerciali ai dottori commercialisti, e ai ragionieri. Con riferimento a questi ultimi, l’art. 4 e 5 del d.p.r. 27 ottobre 1953, n. 1068 e n. 1067 codice 1930, in www.commercialisticagliari.it, recante rispettivamente l’ordinamento della professione di ragioniere e perito commerciale e di dottore commercialista, prevedevano l’obbligo di astensione dalla testimonianza in presenza di segreto professionale. Secondo A. DIDDI, Testimonianza e segreti professionali, cit., pp. 76-77, col d.lgs. 28 giugno 2005, n. 139, art. 5 è stato costituito l’Ordine dei dottori commercialisti e degli esperti contabili, ponendo un’eccezione all’obbligo del segreto professionale nel caso di attività di revisione contabile, certificazione di bilanci, oltre che alla funzione di sindaco e revisore, individuandone la ratio di tale previsione nella finalità di tali attività le quali devono essere attendibili. Particolare riferimento può essere fatto anche ai consulenti del lavoro, agli appartenenti al servizio pubblico per le tossicodipendenze (art. 10, d.p.r. 9 ottobre 1990, n. 309) e agli assistenti sociali iscritti all’albo (art. 1, legge 3 aprile 2001, n. 119).
58 Testualmente F. M. GRIFANTINI, Il segreto difensivo nel processo penale, cit., p. 12.
59 In tal senso F. M. GRIFANTINI, Il segreto difensivo nel processo penale, cit., pp. 13-14.
60 L’espressione è di F. M. GRIFANTINI, Il segreto difensivo nel processo penale, cit., p. 15.
61 L’espressione è di P. MUTTI, voce Segreto professionale, cit., p. 126.
62 In molti settori del diritto si pone il problema se l’atto di conferimento debba rivestire la forma di scrittura privata o di atto pubblico. Qualora si tratti di una consulenza o di un’attività stragiudiziale, può essere conferito con qualsiasi forma idonea a manifestare il consenso delle parti. La Cass. Civ., Sez. VI., Ord. 3 ottobre 2017, n. 23104, in https://sentenze.laleggepertutti.it, accogliendo il ricorso di un avvocato il quale riteneva provato con data certa il conferimento dell’incarico professionale per l’assistenza in una transazione, ha ribadito che << il mandato professionale per l’espletamento di un’attività di consulenza e, comunque, di attività stragiudiziale non deve essere provato necessariamente con forma scritta “ad substantiam” ovvero “ad probationem”, poiché può essere conferito in qualsiasi forma idonea a manifestare il consenso delle parti e del giudice (…), tenuto conto della qualità delle parti, della natura del contratto e di ogni altra circostanza, può ammettere l’interessato a provare, anche con testimoni, sia il contratto che il contenuto (…)>>.
63 Così, Cass., Sez. VI, 2 aprile 2013, n. 15003, in https://www.giurisprudenzapenale.com
64 In questo senso S. LUPINACCI, Il segreto professionale: codice deontologico forense, sviluppi e prospettive, articolo online, in https://www.giurisprudenzapenale.com
65 A tal proposito S. LUPINACCI, Il segreto professionale: codice deontologico forense, sviluppi e prospettive, articolo online, cit.
66 Si veda M. A. TATO’, Riserbo e segreto professionale alla luce dell’art. 28 del codice deontologico forense, articolo online, cit.
67 Così A. DIDDI, Testimonianza e segreti professionali, cit., p. 96. Si veda anche l’art. 4 delle Regole di comportamento del penalista nelle investigazioni difensive, nel Testo approvato il 14 luglio 2001 dal Consiglio delle Camere Penali con le modifiche approvate il 19 gennaio 2007; l’art. 9 del Codice deontologico forense, gli artt. 2-3 e 4 del Codice deontologico europeo degli avvocati.
68 Così, Corte Cost., 8 aprile 1997, n. 87, cit.
69 In questo senso M. A. TATO’, Riserbo e segreto professionale alla luce dell’art. 28 del codice deontologico forense,
articolo online, cit.
70 Così A. DIDDI, Testimonianza e segreti professionali, cit., p. 91.
71 Si veda A. DIDDI, Testimonianza e segreti professionali, cit., p. 91.
72 Sul punto A. DIDDI, Testimonianza e segreti professionali, cit., p. 91. Nel codice del 1930, stante la mancanza di una statuizione che vietasse la testimonianza sui fatti oggetto di segreto professionale, il terzo non godeva della facoltà di astensione oggi, invece, riconosciuta.
73 A tal proposito A. DIDDI, Testimonianza e segreti professionali, cit., p. 92. Cfr. M. T. STURLA, voce Prova testimoniale, in Dig. Disc. Pen., vol. X., Torino, 1995, p. 411 ; F. M. GRIFANTINI, Il segreto difensivo nel processo penale, cit., p. 131. In argomento si veda anche M. T. STURLA, voce Prova testimoniale, cit., p. 411. Data la mancanza di un esplicito riferimento all’art. 202 c.p.p. in tema di segreto di Stato, sembrerebbe potersi escludere il divieto di testimonianza indiretta per i fatti coperti dal segreto di Stato.
74 In questo senso A. DIDDI, Testimonianza e segreti professionali, cit., p. 92. Cfr. I. CALAMANDREI, Sub. Art. 195 c.p.p., in M. Chiavario (a cura di) Commento al nuovo codice di procedura penale, vol. II, Utet, Torino, 1990 ,p. 434.
75 A tal proposito A. DIDDI, Testimonianza e segreti professionali, cit., pp. 95-96. Cfr. F. CORDERO, Procedura
penale, cit., p. 674.
76 L’espressione è di A. DIDDI, Testimonianza e segreti professionali, cit., pp. 96-97.
77Testualmente A. DIDDI, Testimonianza e segreti professionali, cit., p. 97.
78 In questo senso A. DIDDI, Testimonianza e segreti professionali, cit., p. 96. Cfr. F. CORDERO, Procedura penale, cit., p. 675.
79 Sul punto A. DIDDI, Testimonianza e segreti professionali, cit., p. 99.
80 In tal senso A. DIDDI, Testimonianza e segreti professionali, cit., p. 99.
81 L’espressione è di A. DIDDI, Testimonianza e segreti professionali, cit., p. 99. Secondo G. DI PAOLO, La testimonianza de relato nel processo penale, Università degli Studi di Trento, Quaderni Dip. Scienze Giuridiche, 2002, p. 295, la ratio del divieto di testimonianza indiretta deriva dal fatto che << altrimenti verrebbe vanificato l’interesse sotteso alla disciplina posta a protezione dei segreti: quello di garantire la riservatezza degli individui relativamente a certi delicati ambiti della propria persona e della propria vita, nonché di evitare la divulgazione di informazioni che potrebbero pregiudicare il corretto funzionamento dell’apparato statuale o attinenti a materie di vitale importanza per lo Stato>>.
82 A tal proposito A. DIDDI, Testimonianza e segreti professionali, cit., p. 100.
83 Si veda A. DIDDI, Testimonianza e segreti professionali, cit., p. 217. Secondo A. DIDDI, Testimonianza e segreti professionali, cit., p. 5 << le maggiori difficoltà che devono affrontarsi (…) si rinvengono allorquando ci si confronti con le conseguenze processuali derivanti non già dalla testimonianza coattivamente imposta al soggetto qualificato che eccepisca il segreto (…) bensì di quella liberamente e spontaneamente resa dal testimone nonostante egli avesse l’obbligo, penalmente sanzionato, di astenersi. Il tema è strettamente connesso a quello della inutilizzabilità della prova illecita (…) >>.
84 In questo senso A. CRESPI, La tutela penale del segreto, cit., p 41.
85 Secondo A. DIDDI, Testimonianza e segreti professionali, cit., p. 4 << (…) l’art. 622 c.p. appare dotato di una portata più estesa rispetto alla corrispondente norma processuale, comprendendo, ad esempio, coloro i quali hanno conosciuto notizie per ragione dell’arte esercitata>>. Con riferimento alle categorie rientranti nell’art. 622 c.p. si veda V. MANZINI, Trattato di diritto penale italiano, vol. VIII, Utet, Torino, 1964, pp. 955 ss.
86 Per “stato” si intende l’esercizio continuativo di un’attività a favore di determinati soggetti, l’”ufficio”, invece, indica l’esercizio di funzioni pubbliche o private nell’interesse della società, mentre con il termine “arte” è compresa ogni attività lavorativa a carattere manuale.
87 Visto che il nocumento può essere considerato sia come condizione di punibilità che come elemento costitutivo del reato di rivelazione del segreto, secondo P. MUTTI, voce Segreto professionale, cit., p. 129 << ne derivano, ovviamente, opinioni diverse in tema di momento consumativo del reato e di oggetto del dolo: accedendo alla prima tesi, il reato è perfetto solo quando si produce il pericolo di nocumento, e lo stesso deve necessariamente rientrare nell’oggetto del dolo come ogni altro elemento costitutivo; diversamente, il delitto si consuma all’atto della semplice rivelazione – mentre il nocumento rileva solo per la punibilità – e il dolo sussiste anche se l’agente non si è rappresentato né ha voluto un danno come conseguenza della propria condotta>>.
88 In questo senso S. LUPINACCI, Il segreto professionale: codice deontologico forense, sviluppi e prospettive, articolo online, cit.
89 A tal proposito S. LUPINACCI, Il segreto professionale: codice deontologico forense, sviluppi e prospettive, articolo online, cit.
90 L’espressione è di A. DIDDI, Testimonianza e segreti professionali, cit., p. 217.
91 In questo senso A. DIDDI, Testimonianza e segreti professionali, cit., p. 218.
92 A tal proposito A. DI AMATO, Diritto penale dell’impresa, Giuffrè, Milano, 2011, p. 306.
93 L’espressione è di A. CRESPI, La tutela penale del segreto, cit., pp. 101-102.
94 Secondo F. MANTOVANI, Diritto penale, Parte speciale, cit., p. 221,<< per rispondere del reato è sufficiente la capacità potenzialmente dannosa della divulgazione o dell’impiego della notizia riservata, non anche che il danno si sia effettivamente verificato>>.
95 L’espressione è di F. M. GRIFANTINI, Il segreto difensivo nel processo penale, cit., p. 16. Secondo A. DIDDI, Testimonianza e segreti professionali, cit., p. 6 << la “giusta causa” non comprende esclusivamente le scriminanti codificate e che ad essa debba darsi rilevanza in tutti i casi nei quali il sacrificio dell’interesse alla conservazione del segreto sia necessario per realizzare la tutela di un interesse configgente di importanza superiore. Ora, postulare che il meccanismo normativo presupponga una corrispondenza con quanto stabilisce sul piano sostanziale l’art. 622 c.p. significherebbe, da un lato, ritenere che il professionista abbia la facoltà di astensione soltanto nelle ipotesi in cui la rivelazione sarebbe penalmente sanzionata e, dall’altro, giustificare poteri di coercizione da parte del giudice quanto la deposizione risponda ad “interessi soverchianti”>>. Così, P. PISA, voce Segreto, cit., p. 5 ; F. CAPRIOLI, Colloqui riservati, cit., p. 228 ; F. CORDERO, Procedura penale, cit., p. 675.
96 In questo senso S. LUPINACCI, Il segreto professionale: codice deontologico forense, sviluppi e prospettive, articolo online, cit.
97 A tal proposito A. CRESPI, La tutela penale del segreto, cit., p. 132.
98 Sul punto A. PAGLIARO, La” giusta causa” nella rivelazione di segreti, in Legge penale e libertà di pensiero, Cedam, Padova, 1966, p. 141. 99 Tribunale di Napoli, 15 gennaio 2003, n. 1238, in https://www.diritto.it, ha ritenuto sufficiente per la sussistenza di questa scriminante <<la presenza di un interesse positivamente valutato sul piano etico-sociale>>.
100 A tal riguardo S. LUPINACCI, Il segreto professionale: codice deontologico forense, sviluppi e prospettive, articolo online, cit.
101Testualmente F. MANTOVANI, Diritto penale, Parte speciale, I, Delitti contro la persona, Cedam, Padova, 1995, p. 546.
102 Così, Cass., Sez. II, 15 dicembre 1961, n. 1723, in https://dirittopenalecontemporaneo.it, con nota di N. AMATO, Alcune brevi osservazioni in tema di rivelazione di segreto professionale, ivi, 1962, pp. 362 ss.
103 Così, Cass. Civ., Sez. II, 13 febbraio 1962, n. 1723, in https:// books.google.it.
104A tal riguardo F. MANTOVANI, Diritto penale, Parte speciale, I, Delitti contro la persona, cit., p. 544.
105 In questo senso S. LUPINACCI, Il segreto professionale: codice deontologico forense, sviluppi e prospettive,
articolo online, cit.
106A tal proposito P. MUTTI, voce Segreto professionale, pp. 128 e 134.
107 Sul punto P. MUTTI, voce Segreto professionale, cit., p. 134. Di avviso contrario è A. CRESPI, La tutela penale del segreto, cit., p. 119, il quale ritiene che << segreti debbono considerarsi tutti quei fatti, oltre quello specifico formante oggetto della consulenza col professionista, che l’assistito ha dovuto necessariamente rendere noti e che mai si sarebbero potuti conoscere da parte del professionista all’infuori del predetto necessitato rapporto con lui stretto dal cliente>>.
108In questo senso P. MUTTI , voce Segreto professionale, cit., p. 128.
109 Sul punto A. CRESPI, La tutela penale del segreto, cit., p. 121
110 L’espressione è di A. CRESPI, La tutela penale del segreto, cit., p. 123.
111 In questo senso A. DIDDI, Testimonianza e segreti professionali, cit., p. 127.
112 Testualmente A. DIDDI, Testimonianza e segreti professionali, cit., p. 127. Cfr. A. CRESPI, La tutela penale del segreto, cit., p. 33 ; F. MANTOVANI, Diritto penale. Parte speciale, cit., pp. 576 e 569; G. AZZALI, Prove penali e segreti, cit., p. 42.
113 A tal proposito A. DIDDI, Testimonianza e segreti professionali, cit., p. 128. In argomento si veda anche A. CRESPI, La tutela penale del segreto, cit., p. 152 ; V. PERCHINUNNO, Limiti soggettivi della testimonianza nel processo penale, Giuffrè, Milano, 1972, p. 182; F. M. GRIFANTINI, Il segreto difensivo nel processo penale, cit., p. 14; In chiave critica invece si veda L. CONCAS, Il segreto di ufficio e il segreto professionale, cit., pp. 90 e 93.
114 In questo senso A. DIDDI, Testimonianza e segreti professionali, cit., pp. 128-129.
115 L’espressione è di A. DIDDI, Testimonianza e segreti professionali, cit., p. 129. Secondo V. MANZINI, Trattato di diritto processuale penale, cit., p. 256 << il professionista deve osservare norme deontologiche, alle quali la volontà del cliente non può farlo derogare. Egli inoltre ha interessi suoi personali (buon nome, fama di serietà, di discrezione, ecc.), che possono legittimamente indurlo a non seguire la volontà del cliente>>.
116 Si veda A. DIDDI, Testimonianza e segreti professionali, cit., pp. 129-130.
117 L’espressione è di A. DIDDI, Testimonianza e segreti professionali, cit., p. 130.
118 Sul punto P. MUTTI, voce Segreto professionale, cit., p. 130.
119 In questo senso F. M. GRIFANTINI, Il segreto difensivo nel processo penale, cit., p. 45.
120 L’espressione è di F. M. GRIFANTINI, Il segreto difensivo nel processo penale, cit., p. 45.
121 Testualmente F. M. GRIFANTINI, Il segreto difensivo nel processo penale, cit., p. 45. Cfr. F. CORDERO, Il procedimento probatorio, cit., pp. 80-81 ; P. ALBERICI, Eccezioni al dovere della testimonianza, cit., pp. 60 ss.
122L’espressione è di F. M. GRIFANTINI, Il segreto difensivo nel processo penale, cit., p. 46.
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