Il sequestro preventivo finalizzato alla confisca: la rinnovata concezione del periculum in mora
Sommario: 1. Premessa: l’inaccettabile modello del periculum a “geometria variabile” – 2. L’inedita soluzione proposta dalle Sezioni Unite “Ellade” – 3. L’inesigibilità della funzione integratrice del Riesame cautelare
1. Premessa: l’inaccettabile modello del periculum a “geometria variabile”
L’art. 321 c.p.p., come è noto, prevede la possibilità per il Giudice di adottare, nelle more della definizione della fase del giudizio di cognizione, su richiesta formulata da parte dell’autorità inquirente, provvedimenti funzionali all’apposizione, ai fini cautelari, di un vincolo di indisponibilità patrimoniale gravante su determinati beni.
L’espediente del sequestro preventivo, stante il chiaro tenore letterale della cennata disposizione normativa, può essere servente a garantire un duplice finalismo giuridico.
Ed invero, l’art. 321 c.p.p., unitamente alla ipotesi del c.d. sequestro preventivo impeditivo, in cui l’applicazione del vincolo patrimoniale è proiettata a scongiurare il rischio che libera circolazione di una certa res possa aggravare o, comunque, agevolare la commissione di ulteriori fatti delittuosi, contempla un’ ulteriore categoria di presidio cautelare reale, alla cui stregua si rende possibile garantire, in presenza di taluni imprescindibili requisiti, l’effetto ablativo tipico della confisca con funzione anticipatoria rispetto alla eventuale e successiva pronuncia di condanna.
Tanto doverosamente premesso, va altresì evidenziato come i requisiti minimi d’essenza cui la legge subordina, sul piano prettamente contenutistico, la legittima apposizione del vincolo di natura reale sono costituiti:
– dal fumus commissi delicti: ovvero l’insieme di elementi, da valutarsi alla stregua della concreta “gravità indiziaria” generalmente richiesta in sede cautelare, che facciano apparire verosimile, e non meramente probabile, l’ipotesi di commissione, nella “realtà effettuale”, di un fatto riconducibile entro lo schema tipico previsto, in via generale ed astratta, da una specifica disposizione incriminatrice;
– dal periculum in mora: con cui si suole generalmente identificare, stante quanto chiaramente evincibile dalla norma, l’insieme delle ragioni che giustificano, sul piano ontologico, il fenomeno dell’esigenza anticipatoria dell’adprehensio patrimoniale.
Ed è proprio con riguardo all’ultimo dei presupposti richiamati che si è a lungo registrata, tanto in giurisprudenza quanto in dottrina, una vistosa querelle interpretativa in relazione all’effettiva portata dell’onere giustificativo imposto al giudice della cautela.
Ed invero, secondo l’impostazione ermeneutica tradizionale, la divaricazione concettuale esistente tra le diverse finalità delle due forme di sequestro normativamente contemplate dal Legislatore, consentirebbe al decidente di adottare un regime motivazionale di tipo “differenziale”, ossia diversamente modulato a seconda del modello di ablazione patrimoniale di volta in volta in rilievo.
Detta scansione metodologica, ha consentito per molto tempo al Giudice di identificare e, conseguentemente, circoscrivere le ragioni a sostegno del provvedimento anticipatorio della confisca con il requisito della mera “confiscabilità” del bene, senza la necessità di alcuna prognosi ulteriore; diversamente dalla tipologica del sequestro avente finalità impeditiva, nella cui ipotesi il decidente, oltre a fornire una puntuale giustificazione circa la plausibilità della piattaforma indiziaria, era chiamato – ed è tutt’ora chiamato – ad esprimere un giudizio prognostico di qualificata continuità delittuosa tra il destinatario del sequestro e la res oggetto di ablazione.
2. L’inedita soluzione proposta dalle Sezioni Unite “Ellade”
Tale parziale e riduttiva soluzione ermeneutica, rigidamente àncorata al dato letterale della norma in commento, ed altrettanto poco affine ad evitare ingiustificate compressioni del diritto – convenzionalmente e costituzionalmente tutelato – di proprietà, è stata finalmente superata, almeno così sembrerebbe, dalle Sezioni Unite della Suprema Corte regolatrice, con l’oramai nota pronuncia “Ellade”.
Segnatamente, in tale occasione, il massimo Collegio nomofilattico, ponendosi, di fatto, in netta contrapposizione con il più rigido e risalente indirizzo interpretativo summenzionato, ha fermamente statuito che “il provvedimento di sequestro preventivo di cui all’all’art. 321, comma 2 c.p.p., finalizzato alla confisca di cui all’art. 240 c.p., deve contenere la concisa motivazione anche del “periculum in mora”, da rapportare alle ragioni che rendono necessaria l’anticipazione dell’effettivo ablativo della confisca rispetto alla definizione del giudizio” (Cass. Pen. Sez. U. n. 36959/2021, Ellade, Rv. 281848).
Mediante l’enunciazione di tale inedito assunto esegetico, da ritenersi, inoltre, pienamente applicabile in relazione a qualsivoglia tipo di sequestro preventivo finalizzato alla confisca, anche di quello – non poco frequente nella prassi giudiziale – disposto ai sensi dell’art. 240-bis c.p.(cfr. sul punto Cass. Pen. Sez. V, n. 44221/2022[1]), le Sezioni Unite, oltre ad avere proposto un’interpretazione costituzionalmente e convenzionalmente orientata dell’art. 321 co. 2 c.p.p., hanno inteso ribadire la centralità del crisma di proporzionalità in materia cautelare reale, in ossequio alla esigenza epistemologica – costantemente richiamata anche dalla giurisprudenza della Corte EDU[2] – che impone al Giudice di evitare che il vincolo di indisponibilità patrimoniale, ancorché legittimamente applicato, ecceda il limite strettamente necessario rispetto al fine perseguito, e si tramuti, perciò, in uno strumento di eccessiva compressione di diritti aventi rilievo costituzionale.
Ed invero, essendo, infatti, la ratio normativa tipica di qualsivoglia presidio di cautela reale quella di anticipare gli effetti di una misura ablatoria i cui effetti potrebbero essere vanificati dal trascorrere del tempo, non può il Giudice esimersi dal rendere noto, mediante lo strumento della motivazione, le specifiche esigenze che giustificano la natura anticipatoria del provvedimento dispositivo del vincolo di indisponibilità patrimoniale.
Né, tanto più, detta irrinunciabile esigenza di ordine ontologico può essere surrogata dall’acritica ed astratta valorizzazione della natura “obbligatoria” della confisca, giacché, operando in tali termini, si finirebbe per annullare ogni divaricazione tra il piano cautelare e il piano del giudizio, facendo, di fatto, inammissibilmente coincidere le ragioni giustificative del sequestro con la mera confiscabilità del bene.
Ne discende, quale logico ed indefettibile corollario applicativo, che il giudice, salva l’ipotesi del sequestro relativo alle cose la cui fabbricazione, uso, porto, detenzione o alienazione costituisca reato (nel cui caso la motivazione può coincidere con il mero riferimento alla confiscabilità ex lege) dovrà sempre indicare le ragioni per le quali il bene potrebbe, nelle more del giudizio, essere modificato, disperso, deteriorato, utilizzato od alienato, anche in caso di sequestro preventivo di cosa soggetta a confisca obbligatoria”, giacché “solo una soluzione ermeneutica che vincoli il sequestro preventivo funzionale ad una motivazione anche sul periculum in mora sarebbe coerente con i criteri di proporzionalità, adeguatezza e gradualità della misura cautelare” (cfr. Cass. Pen. Sez. III, n. 51304/2023).
Particolare attenzione va, altresì, prestata al contenuto del periculum rispetto all’ipotesi – statisticamente più frequente – del sequestro preventivo finalizzato alla confisca avente ad oggetto somme di denaro.
Va radicalmente disattesa, infatti, l’opinione – spesso acriticamente avallata dalla giurisprudenza di merito – secondo cui in tali casi l’imprescindibile requisito strutturale del periculum in mora possa dirsi implicitamente motivato in funzione della qualità “fungibile” generalmente connaturata al bene denaro.
A questo proposito, in particolare, rileva il condivisibile assunto ermeneutico di legittimità secondo cui, in conformità alle Sezioni Unite “Ellade”, “il “periculum in mora” non può essere giustificato sulla sola considerazione che la cosa sequestrata si identifichi in un’ingente somma di denaro, per sua natura suscettibile di pericolo di dispersione, dovendo diversamente il giudice esplicare le ragioni della sua sussistenza e, cioè, gli specifici motivi per cui è stato ritenuto che il confiscando bene – peraltro fungibile e non intrinsecamente illecito, trattandosi di una somma di denaro – possa, nelle more della celebrazione del giudizio, essere modificato, disperso, deteriorato, utilizzato od alienato. (cfr. sul punto, Cass. Pen. Sez. III, n. 41602 del 2023, 14/09/2023, Testa).
Ed ancora, in termini sostanzialmente analoghi, si è condivisibilmente affermato come risulti “meramente apodittica” e, dunque, soltanto apparente, la motivazione che si limiti a richiamare la natura fungibile del denaro, “senza dare atto dell’esistenza di elementi concreti da cui desumere un reale pericolo di dispersione, tale da legittimare una apprensione anticipata del bene, rispetto al giudizio e alla affermazione di responsabilità” (cfr. Cass. Pen. Sez. IV, n. 41861 del 16.10.2023).
3. L’inesigibilità della funzione integratrice del Riesame cautelare
Appare a questo punto lecito domandarsi se, alla luce del rinnovato obbligo motivazionale imposto dalle Sezioni Unite della Suprema Corte, residui in capo al Giudice funzionalmente competente a pronunciarsi in ordine al Riesame cautelare eventualmente proposto, ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 322 e 324 c.p.p., la possibilità di porre rimedio al provvedimento del sequestro preventivo affetto, sul piano contenutistico, da una motivazione sul periculum in mora radicalmente inesistente o, comunque, nei termini anzidetti, meramente apparente.
Ebbene, in ossequio al necessario postulato di tenuta logica del sistema dei rimedi impugnatori, non può che replicarsi in senso negativo al quesito proposto.
Quantunque risulti senz’altro vero, infatti, che il Giudice del riesame, nell’ambito dei poteri di rettifica ed integrazione normativamente attribuitogli dall’art. 309 c.p.p. (richiamato dall’art. 324 c.p.p.) ben può porre rimedio alla parziale inosservanza dei canoni contenutistici a cui deve conformarsi il genetico provvedimento cautelare, altrettanto indubbio è il rilievo che impone di circoscrivere l’operatività di siffatto potere integrativo ai soli casi in cui la motivazione del Giudice per le Indagini Preliminari in ordine al periculum in mora, ancorché insufficiente, non sia del tutto mancante o graficamente assente. (in tal senso, ex plurimis, Cass. Pen. Sez. V, n. 643 del 06.12.2017, dep. 2018, Pohl, Rv. 271925 – 01).
A questo proposito, va ulteriormente rilevato come la giurisprudenza di legittimità risulti oramai pacifica nel ritenere impraticabile l’opzione dell’esercizio potere integrativo da parte del Tribunale del riesame rispetto a provvedimenti affetti – ab origine – da radicali vizi motivazionali.
Emblematico, in tal senso, risulta quanto efficacemente lumeggiato dalla Sezioni Unite “Capasso” (Sez. U, n. 18954 del 31.03.2016, Rv. 266789).
In tale occasione, infatti, il Massimo Organo nomofilattico, nel dirimere il precedente contrasto interpretativo esistente, ha ritenuto le disposizioni normative, introdotte dalla L. n. 47/2015 al comma nono dell’art. 309 c.p.p. in relazione ai procedimenti de libertate, pienamente applicabili anche in relazioni al procedimento di riesame avverso i provvedimenti di sequestro, stante l’assoluta compatibilità delle stesse con il finalismo che presiede alla emanazione di misure cautelare di tipo reale.
Sulla scorta del cennato insegnamento ermeneutico, si è andato via via sedimentando, presso la giurisprudenza della medesima Corte regolatrice, l’altrettanto indiscusso principio di diritto alla cui stregua “in sede di riesame avverso misure cautelari reali, il tribunale non può integrare motivazioni assenti, essendo necessario che il provvedimento genetico di applicazione della misura o di convalida della stessa presenti una motivazione che, anche eventualmente attraverso la tecnica della redazione per relationem, dia conto degli elementi posti a fondamento del vincolo e di quelli a discarico rappresentati dalla difesa, al fine di consentire l’esercizio della funzione di controllo a cui il tribunale del riesame è deputato, nel rispetto dei parametri identificati dal combinato disposto degli artt. 324, comma 7, e 309, comma 9, cod. proc. pen. (cfr. Cass. Pen. Sez. II, n. 7258 del 27/11/2019, dep. 2020, Esposito, Rv. 278509-01; Cass. Pen. Sez. V, n. 51900 del 20/10/2017, Lanza, Rv. 271413-01).
Ne consegue, dunque, in definitiva, che in presenza di un così radicale vizio di motivazione, non può in alcun modo il Tribunale del Riesame eventualmente adìto avvalersi del menzionato potere integrativo, bensì soltanto provvedere all’annullamento del provvedimento gravato, stante l’impossibilità di concepire un potere sostitutivo legittimamente predicabile in presenza di provvedimenti coercitivi, ab origine, affetti da insanabili carenze contenutistiche.
[1] Con la quale, in particolare, si è statuito che “I provvedimenti di sequestro preventivo finalizzati alla confisca “allargata” di cui all’art. 240-bis cod. pen. e alla confisca obbligatoria di cui all’art. 416-bis, comma settimo, cod. pen. devono contenere una concisa motivazione in ordine alla sussistenza del “periculum in mora”, illustrando, nel rispetto dei criteri di adeguatezza e di proporzionalità della misura reale, le ragioni che rendono necessaria l’anticipazione dell’effetto ablativo rispetto alla definizione del giudizio”.
[2]Il riferimento è in particolare a: Corte EDU, Grande Camera, 5/1/2000, caso Beyeler c. Italia; Corte EDU, Grande Camera, 16/7/2014, caso Alisic c. Bosnia e Erzegovina.
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Gabriele Ferro
Laureato in giurisprudenza presso l'Università degli Studi di Siena, attualmente praticante avvocato, con predilezione per il settore del diritto penale sostanziale e processuale.
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