Il settore postale in Italia: un’analisi complessiva a due anni dalla sentenza C-521/18 della CGUE sulla natura di Poste Italiane
Sommario: 1. Introduzione – 2. Il settore postale italiano – 2.1. I diversi servizi offerti dall’Azienda Poste e Telecomunicazioni – 2.2. La privatizzazione formale di Poste Italiane – 2.3. Verso una privatizzazione sostanziale? – 2.4. Poste italiane S.p.A. e aiuti di Stato – 3. La controversa natura giuridica di Poste Italiane: tra società e organismo di diritto pubblico – 4. Conclusioni
1. Introduzione
Con sentenza del 28 ottobre 2020, causa C521/18, la Corte di Giustizia dell’Unione europea, pronunciandosi sulla natura giuridica di Poste Italiane, ha stabilito che tale società non è un organismo di diritto pubblico, ma un’impresa pubblica, ai sensi dell’art. 4 della direttiva 2014/25/UE[1]. La sentenza, relativa ad una domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte dal Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, costituisce un evento importante nell’ambito del lungo dibattito inerente alla qualificazione giuridica di Poste Italiane. Infatti, da un lato, c’è chi ne ha sempre sostenuto la natura di organismo di diritto pubblico, dall’altro, chi ha invece optato per la qualificazione di impresa pubblica. La distinzione è molto rilevante, poiché mentre un’impresa pubblica è soggetta all’obbligo di esperire una procedura di evidenza pubblica solo per quegli appalti che rientrino nei settori speciali, l’organismo di diritto pubblico, in virtù della c.d. “teoria del contagio”, per gli appalti che non rientrano nei settori speciali è comunque assoggettato alla disciplina sui settori ordinari. Questa premessa offre l’occasione per procedere a una disamina incentrata sulle principali vicende che hanno riguardato il settore postale in Italia, al fine di comprendere meglio la portata della questione appena evidenziata.
2. Il settore postale italiano
In Italia la nascita del servizio postale risale alla legge n. 604 del 1862, che istituì un’apposita Amministrazione centrale, i cui compiti, col passare del tempo, aumentarono: essa aveva sia la funzione di rendere raggiungibili dalla posta tutti i luoghi, anche quelli più dislocati sul territorio nazionale, sia funzioni di raccolta e di gestione del risparmio.
Si può affermare, quindi, che i servizi che il settore postale forniva (e fornisce tutt’oggi) avevano matrice differente. Alcuni si essi potevano essere erogati anche dai privati, altri invece erano sottratti al regime di concorrenza, versando in uno stato di monopolio.
Nel 1924, poi, proprio per garantire la massima efficienza del settore, visto come strategicamente utile per la crescita del Paese[2], il ministero delle poste e dei telegrafi venne assorbito da quello delle comunicazioni, che oltre ad avere le competenze relative ai servizi postali e telegrafici, possedeva anche quelle riferibili alla marina mercantile ed alle ferrovie dello Stato.
Successivamente, alla fine del secondo conflitto mondiale, ci si iniziò a chiedere se l’Amministrazione postale svolgesse ancora i suoi compiti in modo efficiente oppure se fosse necessario istituire un apposito ente pubblico.
Fu in questo momento che lo Stato decise di farsi carico della erogazione del servizio postale, riorganizzandolo e garantendo l’espletamento delle forniture. Ciò comportò, però, un importante esborso di fondi pubblici, che non poteva essere sostenuto sul lungo termine.
Fino alla fine del secolo, l’Amministrazione centrale ha continuato ad occuparsi del settore postale, sebbene esso comportasse una gestione evidentemente antieconomica, tanto che, negli anni Novanta si registrò il dissesto finanziario dell’impresa cui si accompagnò un grave livello di inefficienza del servizio. Questo rese particolarmente necessario e urgente ricorrere ad un processo di privatizzazione.
2.1. I diversi servizi offerti dall’Azienda Poste e Telecomunicazioni
Prima di analizzare il processo che ha portato alla privatizzazione del settore postale, pare opportuno soffermare l’attenzione sui servizi offerti da Poste e Telecomunicazioni. Questo perché essi, come si è già avuto modo di sottolineare, non si limitano solo alla gestione del traffico postale, potendosi distinguere, in realtà, tre gruppi di servizi erogati[3]:
Servizi postali;
Servizi di bancoposta;
Servizi di telecomunicazioni, telegrafici e radioelettrici.
La distinzione viene in rilievo non solo per motivi di necessaria precisione, ma anche perché di tutti questi servizi, alcuni sono svolti in regime di monopolio, altri in libera concorrenza e altri ancora possono essere dati in concessione ai privati, per garantire una maggiore efficienza e standard qualitativi più elevati[4].
Più precisamente, i servizi di telecomunicazioni, telegrafici e radioelettrici rientrano tra quelli riservati in esclusiva, mentre i servizi di bancoposta sono svolti in regime di concorrenza (basti pensare al fatto che, in alternativa, il privato può rivolgersi ad una banca per ottenere la medesima prestazione); viceversa, possono essere oggetto sia di monopolio che di concessione ai privati i servizi postali.
Tra le imprese postali private italiane si può ricordare, ad esempio, SENDITALIA, che per conto del ministero gestiva la consegna di espressi e telegrammi, con un successo tale che, nel 1993, si valutò la possibilità di liberalizzare il settore e di porre fine al monopolio pubblico in tale ambito.
2.2. La privatizzazione formale di Poste Italiane
Il processo di privatizzazione dell’Ente pubblico “Poste Italiane” avvenne il 28 febbraio del 1998[5]. Prima della sua definitiva trasformazione, però, il Governo adottò due provvedimenti miranti a risolvere i dubbi che animavano gli interpreti sul tema.
Anzitutto si stabilì una misura di risanamento dell’EPI, per rendere più semplice la sua successiva conversione in Società per Azioni. Si richiedeva, così, il raggiungimento degli standard imposti dall’Unione europea, una maggiore efficienza nella gestione del servizio e la gestione separata del conto economico legato al traffico postale da quello correlato ai servizi di bancoposta, di modo da individuare più agevolmente quale dei due servizi generasse il maggiore deficit nelle casse pubbliche.
Fu avviata, poi, un’importante opera di riforma dei servizi postali: si propose un ricorso ad internet, un maggiore celerità nella consegna della posta e, grazie alla società controllata SDA, fu assicurato un più veloce e sicuro recapito dei pacchi spediti.
2.3. Verso una privatizzazione sostanziale?
La privatizzazione che ha interessato le poste fino al 1999 è stata un processo meramente formale[6], posto che fino a non molto tempo fa Poste Italiane S.p.A. era interamente finanziata dal ministero dell’economia e delle finanze.
Poi, però, gli eccessivi costi legati all’erogazione del servizio hanno costretto il Governo ad avviare una seconda fase di privatizzazione, tesa a cedere completamente le azioni detenute dalla P.A.
Quanto esposto è stato realizzato attraverso un’Offerta Pubblica di Vendita, che iniziò il 12 ottobre del 2015 per 10 giorni. Ogni azione aveva un prezzo che oscillava tra un minimo di 6 euro ed un massimo di 7,5 euro.
Oggetto della vendita era almeno il 40% del capitale dell’azienda, di cui il 70% era destinato ad investitori istituzionali ed il 30% ai piccoli risparmiatori e ai dipendenti postali, cui era riservata anche la possibilità di acquistare azioni tramite il loro TFR.
Al termine dell’offerta pubblica di vendita, lo Stato ha guadagnò più di tre miliardi di euro. Il lancio delle quotazioni in borsa fu stabilito per il mese di ottobre del 2015, con grande soddisfazione di tutti gli attori politici che avevano contribuito a tale risultato. In questo modo, infatti, si puntava ad ottenere una maggiore efficienza dei servizi postali e un ammodernamento del Paese.
2.4. Poste italiane S.p.A. e aiuti di Stato
L’Unione europea detta una disciplina molto severa in tema di aiuti di Stato[7]. L’art. 107 TFUE, infatti, sancisce che: “Salvo deroghe contemplate dai trattati, sono incompatibili con il mercato interno, nella misura in cui incidano sugli scambi tra Stati membri, gli aiuti concessi dagli Stati, ovvero mediante risorse statali, sotto qualsiasi forma che, favorendo talune imprese o talune produzioni, falsino o minaccino di falsare la concorrenza. 2. Sono compatibili con il mercato interno: a) gli aiuti a carattere sociale concessi ai singoli consumatori, a condizione che siano accordati senza discriminazioni determinate dall’origine dei prodotti; b) gli aiuti destinati a ovviare ai danni arrecati dalle calamità naturali oppure da altri eventi eccezionali; c) gli aiuti concessi all’economia di determinate regioni della Repubblica federale di Germania che risentono della divisione della Germania, nella misura in cui sono necessari a compensare gli svantaggi economici provocati da tale divisione. Cinque anni dopo l’entrata in vigore del trattato di Lisbona, il Consiglio, su proposta della Commissione, può adottare una decisione che abroga la presente lettera. 3. Possono considerarsi compatibili con il mercato interno: a) gli aiuti destinati a favorire lo sviluppo economico delle regioni ove il tenore di vita sia anormalmente basso, oppure si abbia una grave forma di sottoccupazione, nonché quello delle regioni di cui all’articolo 349, tenuto conto della loro situazione strutturale, economica e sociale; b) gli aiuti destinati a promuovere la realizzazione di un importante progetto di comune interesse europeo oppure a porre rimedio a un grave turbamento dell’economia di uno Stato membro; c) gli aiuti destinati ad agevolare lo sviluppo di talune attività o di talune regioni economiche, sempre che non alterino le condizioni degli scambi in misura contraria al comune interesse; d) gli aiuti destinati a promuovere la cultura e la conservazione del patrimonio, quando non alterino le condizioni degli scambi e della concorrenza nell’Unione in misura contraria all’interesse comune; e) le altre categorie di aiuti, determinate con decisione del Consiglio, su proposta della Commissione.”
Come si può notare, la norma non definisce con precisione cosa sia un aiuto di Stato, limitandosi ad indicare solo i presupposti che, se presenti, ne indicano la sussistenza[8].
La ratio di fondo di tale vaghezza è da ricercare nella necessaria analisi del caso concreto per evitare che operazioni finanziarie o intese possano alterare la concorrenza nel mercato.
Il legislatore dell’Unione, poi, precisa che non è possibile, per un’impresa, ricevere finanziamenti o benefici da parte dello Stato in qualsiasi forma essi siano. Non solo, quindi, non è ammissibile un’iniezione di liquidità, ma non è nemmeno possibile che il Governo conceda agevolazioni fiscali o trasferimenti di denaro mediante il ricorso ad operazioni effettuate da un ente pubblico economico.
Tanto premesso, va precisato che non tutti gli aiuti di Stato sono vietati, ma solo quelli che rischiano di alterare la concorrenza, determinando un ingiusto vantaggio in capo ad un’unica impresa.
L’art. 106 TFUE, peraltro, costituisce una prima deroga all’art. 107. Esso, infatti, sancisce che è possibile derogare alla disciplina sugli aiuti di Stato per le imprese che forniscono servizi d’interesse economico generale.
Il problema si è posto anche rispetto a dei finanziamenti che lo Stato ha effettuato a vantaggio della Società Poste Italiane S.p.A. Quest’ultima, infatti, è periodicamente destinataria di compensazioni da parte del Governo centrale per sopperire ai deficit economici derivanti dalla gestione e dall’erogazione del traffico postale.
La questione è stata portata all’attenzione della Commissione, che, interrogata circa la validità di tali versamenti, si è espressa positivamente circa la liceità di tali sovvenzioni, purché, però, esse non finiscano con il determinare una sovra-compensazione.
3. La controversa natura giuridica di Poste Italiane: tra società e organismo di diritto pubblico
Nonostante la privatizzazione formale di Poste Italiane, la sua natura giuridica è stata da sempre oggetto di un acceso dibattito in dottrina. Se, in un primo momento, gli interpreti erano pressoché unanimi nel ritenere Poste Italiane un organismo di diritto pubblico[9], più di recente l’apertura del servizio postale alla concorrenza, le liberalizzazioni, e, non da ultimo, la sua quotazione in borsa, hanno posto delle perplessità circa la sua natura giuridica.
Qualificare Poste Italiane S.p.A. in un modo o in un altro non è esercizio meramente teorico e dogmatico, comportando, come si è già anticipato, numerose conseguenze sotto il profilo pratico. Per comprendere l’importanza delle ricadute derivanti dalla riconduzione nella categoria dell’ODP o delle imprese pubbliche è opportuno compiere una serie di precisazioni.
Anzitutto sembra doveroso specificare che ab origine non esisteva, né dal punto di vista positivo né sotto il profilo interpretativo, una definizione di organismo di diritto pubblico. Si tratta di un istituto elaborato dalla giurisprudenza dell’Unione europea per evitare l’elusione delle regole pro-concorrenziali e, in particolare, per evitare che la veste formale dell’impresa possa essere un modo per aggirare le regole dell’evidenza pubblica[10].
Perché un’impresa venga definita “organismo di diritto pubblico” sono necessari tre requisiti:
la personalità giuridica[11];
l’attività finanziata in modo maggioritario dallo Stato[12];
la sua istituzione per soddisfare interessi di carattere generale non aventi natura né industriale né commerciale[13].
Per quel che attiene, in particolare, al requisito del finanziamento pubblico maggioritario dell’attività espletata dal soggetto di cui è in discussione la possibilità di qualificazione in termini di organismo di diritto pubblico, sono stati esaminati, in giurisprudenza, distinti profili problematici, tra cui quelli relativi alla nozione stessa di “finanziamento” e ai criteri alla cui stregua valutarne la prevalenza.
In particolare, la Corte di Giustizia ha osservato che, perché un finanziamento sia rilevante, occorre che le erogazioni concesse da un’amministrazione aggiudicatrice siano senza alcun vincolo sinallagmatico rispetto ad una controprestazione posta a carico del soggetto ricevente.
Quanto alla questione relativa all’individuazione della misura percentuale che determina la prevalenza del finanziamento, i giudici del Lussemburgo hanno ritenuto che vada applicato un canone di tipo quantitativo, sostenendo che è “maggioritario” ciò che corrisponde a più della metà. Occorre, quindi, tenere conto della globalità delle entrate di cui il soggetto finanziato si avvale, comprese quelle eventualmente derivanti dall’espletamento dell’attività commerciale.
Per ciò che attiene, invece, al requisito teleologico, esso è senza dubbio l’aspetto che maggiormente sfugge ad una nozione di carattere esegetico.
Va precisato che, ai fini della qualificazione dell’ente aggiudicatore, il carattere non industriale e non commerciale dell’attività deve ritenersi essenziale per la verifica della sussistenza del requisito in esame. Non tutti i bisogni di interesse generale rivestono, in realtà, un carattere non industriale o non commerciale, avendo il legislatore eurounitario distinto tra bisogni di interesse generale aventi carattere non industriale o commerciale e quelli, pure a connotazione generale, privi del secondo requisito.
Si impone, pertanto, un duplice e distinto accertamento:
in prima battuta occorre valutare che l’attività al cui perseguimento l’ente è preposto sia volta al soddisfacimento di un interesse di carattere generale;
solo allorché la prima verifica dia esito positivo, sarà necessario verificarne la natura non industriale o commerciale.
Gli elementi menzionati devono essere compresenti, sicché, in assenza di una sola di tali condizioni, un organismo non può essere considerato di diritto pubblico, e dunque amministrazione aggiudicatrice (ai sensi delle direttive 2014/24/UE e 2014/25/UE sugli appalti, e già delle direttive 2004/18/CE e 2004/17/CE)[14].
Non è infrequente che enti muniti di personalità giuridica, e sottoposti all’influenza pubblica dominante, svolgano molteplici attività, di cui soltanto alcune miranti a soddisfare interessi pubblici generali di carattere non industriale o commerciale. Un organismo di diritto pubblico non deve necessariamente svolgere in via esclusiva o prevalente lo scopo di soddisfare bisogni di interessi generale non aventi carattere industriale o commerciale, ben potendo perseguire, oltre che tale obiettivo, anche quello di soddisfare interessi con carattere commerciale o industriale[15]. Per tale quota di attività ci si è chiesti se sono attratte nell’ambito dell’evidenza pubblica oppure se possano essere svolte in regime di libera concorrenza.
Le tesi di risposta a tale quesito sono due.
Secondo un primo orientamento, l’ente deve essere inquadrato come organismo di diritto pubblico, con conseguente applicazione delle regole sull’evidenza pubblica alle sole attività di carattere non industriale e commerciale, solo nell’esercizio dell’attività pubblica svolta e per il quale è istituito; nei casi in cui invece svolga un’attività come soggetto privato, la disciplina applicabile non potrebbe che essere quella propria di qualsiasi soggetto privato. Si parla, in proposito, di organismo di diritto pubblico in parte qua[16].
In opposizione a tale tesi, la Corte di Giustizia (causa C44/956, caso Mannesmann) ha affermato la cd. “teoria del contagio”, in base alla quale un ente qualificato come organismo di diritto pubblico, anche se svolge attività promiscue, deve in ogni caso sottostare al regime del diritto europeo degli appalti, anche per quelle attività propriamente di carattere industriale o commerciale.
In base a quanto esposto, quindi, prima delle liberalizzazioni e della quotazione in borsa di Poste Italiane S.p.A., non c’era dubbio che quest’ultima fosse un organismo di diritto pubblico atteso che i requisiti richiesti per esserlo tale impresa ce li aveva tutti.
Il dubbio sulla sua natura giuridica, quindi, si è posto solo successivamente, venendo in rilievo sia le scelte di liberalizzazione del settore postale sia la decisione di quotare tale azienda in borsa.
È sorto, allora un acceso contrasto tra gli interpreti. Da un lato, la giurisprudenza del Consiglio di Stato[17], ha affermato la natura pubblica di tale impresa, ritenendola soggetta alle norme sul diritto di accesso agli atti e, più in generale, alla giurisdizione del giudice amministrativo.
Viceversa, la Corte di Cassazione[18] ha escluso la qualificazione di Poste alla stregua di “organismo di diritto pubblico”, rilevando che essa è un’impresa che opera in condizioni di libera accessibilità ai mercati, per cui non vi sarebbe motivo di assoggettare l’attività svolta dalla medesima alle regole dell’evidenza pubblica. Sussisterebbe, inoltre, la giurisdizione ordinaria nelle controversie relative alle gare dalla stessa indette[19].
La questione è stata, da ultimo, sottoposta all’attenzione della Corte di Giustizia. Il Tar Lazio[20], infatti, analizzando entrambe le posizioni della giurisprudenza di legittimità, è giunto alla conclusione che “la qualificazione di Poste Italiane S.p.A. come organismo di diritto pubblico appare difficilmente confutabile”, posto che essa soddisfa tutti e tre i requisiti di cui all’art. 3, lettera d), del D. Lgs. n. 50/2016.
Nonostante tale convinzione, però, e alla luce delle persistenti ambiguità relative alla qualificazione di Poste Italiane alla stregua di impresa pubblica od anche di organismo di diritto pubblico, il Tar si è visto costretto a rimettere, per ben due volte, la questione alla Corte di Giustizia, attesa la vincolatività delle decisioni della Cassazione in tema di giurisdizione. Partendo da questa premessa, quindi, in un primo ricorso proposto nel 2018, i giudici remittenti hanno chiesto alla Corte di Giustizia:
“1) se la società Poste Italiane S.p.A., in base alle caratteristiche in precedenza indicate, debba essere qualificata “organismo di diritto pubblico”, ai sensi dell’art 3, comma 1, lettera d) del d.lgs. n. 50 del 2016 e delle direttive comunitarie di riferimento (2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE);
2) se la predetta qualificazione si estenda alla società, partecipata al 100%, Poste Tutela S.p.A., peraltro in via di già deliberata fusione con la prima, tenuto conto del punto n. 46 delle premesse alla direttiva 2014/23/UE sulle persone giuridiche controllate;
3) se dette società siano tenute a svolgere procedure contrattuali ad evidenza pubblica solo per l’aggiudicazione degli appalti, che siano in relazione con l’attività svolta nei settori speciali, in base alla direttiva 2014/25/UE, quali enti aggiudicatori, per i quali la stessa natura di organismi di diritto pubblico dovrebbe ritenersi assorbita nelle regole della parte II° del Codice degli appalti, con piena autonomia negoziale – e regole esclusivamente privatistiche – per l’attività contrattuale non attinente a detti settori, tenuto conto dei principi dettati dalla direttiva 2014/23/UE, punto n. 21 delle premesse e art. 16;
4) se le medesime società, per i contratti da ritenere estranei alla materia, propria dei settori speciali, restino invece – ove in possesso dei requisiti di organismi di diritto pubblico – soggette alla direttiva generale 2014/24/UE (e quindi alle regole contrattuali ad evidenza pubblica), anche ove svolgenti – in via evolutiva rispetto all’originaria istituzione – attività prevalentemente di stampo imprenditoriale e in regime di concorrenza;
5) se comunque, in presenza di uffici in cui si svolgono, promiscuamente, attività inerenti al servizio universale e attività a quest’ultimo estranee, il concetto di strumentalità – rispetto al servizio di specifico interesse pubblico – possa ritenersi escluso per contratti inerenti la manutenzione sia ordinaria che straordinaria, la pulizia, gli arredi, nonché il servizio di portierato e di custodia degli uffici stessi;
6) se infine, ove la prospettazione di Poste Italiane S.p.A. fosse ritenuta condivisibile, debba ritenersi contrastante col consolidato principio di legittimo affidamento dei partecipanti alla gara la riconduzione a mero auto vincolo – non soggetto a tutte le garanzie di trasparenza e pari trattamento, disciplinate dal codice degli appalti – l’indizione di una procedura concorsuale, debitamente pubblicizzata senza ulteriori avvertenze al riguardo sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana e sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea” (v. pp. 15-16 ordinanza).
Dalla deliberazione su tale prima istanza di rimessione si evince che Poste Italiane riveste la qualità di impresa pubblica, trattandosi di una società che opera in condizioni normali di mercato, che mira a realizzare un profitto e sostiene le perdite risultanti dall’esercizio delle sue attività. Tuttavia, i giudici del Lussemburgo non sono scesi nel merito di questo specifico aspetto, concentrandosi piuttosto sulla questione relativa all’applicabilità della normativa contenuta nella direttiva 2014/25/UE ad attività consistenti nella prestazione di servizi di portierato, reception e presidio varchi delle sedi dei prestatori di servizi postali e propendendo per una soluzione in senso positivo “in quanto siffatte attività presentano un nesso con l’attività rientrante nel settore postale, nel senso che servono effettivamente all’esercizio di tale attività consentendone la realizzazione in maniera adeguata, tenuto conto delle sue normali condizioni di esercizio.”.
Su questo rinvio pregiudiziale i giudici del Lussemburgo si sono già espressi con la sentenza emessa il 28 ottobre 2020, e di cui si è già illustrato il contenuto.
4. Conclusioni
La vicenda, tuttavia, non è chiusa poiché un’altra istanza di rimessione, proposta dal Tar Lazio nel 2019[21]. In tale ultima occasione, sono stati posti ai giudici dell’Unione i seguenti quesiti:
“1) se la società Poste Italiane S.p.A., in base alle sue caratteristiche, debba essere qualificata “organismo di diritto pubblico”, ai sensi dell’art 3, comma 1, lettera d) del d.lgs. n. 50 del 2016 e delle direttive comunitarie di riferimento (2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE);
2) se detta società sia tenuta a svolgere procedure contrattuali ad evidenza pubblica solo per l’aggiudicazione degli appalti, che siano direttamente riferibili all’attività propria dei settori speciali, di cui alla direttiva 2014/25/UE, in applicazione della quale la stessa natura di organismo di diritto pubblico dovrebbe ritenersi assorbita nelle regole della parte II° del Codice degli appalti, con piena autonomia negoziale – e regole esclusivamente privatistiche – per l’attività contrattuale non attinente, in senso stretto, a tali settori, tenuto conto dei principi dettati dalla direttiva 2014/23/UE;
3) se la medesima società, per i contratti da ritenere estranei alla materia, propria dei settori speciali, resti invece – ove in possesso dei requisiti di organismo di diritto pubblico – soggetta alla direttiva generale 2014/24/UE (e quindi alle regole contrattuali ad evidenza pubblica), anche ove svolgente – in via evolutiva rispetto all’originaria istituzione – attività prevalentemente di stampo imprenditoriale e in regime di concorrenza, ostando ad una diversa lettura la direttiva 2014/24/UE, per contratti conclusi da Amministrazioni aggiudicatrici; il “considerando” n. 21 e l’art. 16 della citata direttiva 2014/23/UE, d’altra parte, pongono solo un parametro presuntivo, per escludere la natura di organismo di diritto pubblico per le imprese, che operino in condizioni normali di mercato, essendo comunque chiaro, in base al combinato disposte delle medesime disposizioni, il prioritario riferimento alla fase istitutiva dell’Ente, ove quest’ultimo sia destinato a soddisfare “esigenze di interesse generale”;
5) se comunque, in presenza di uffici in cui si svolgono, promiscuamente, attività inerenti al settore speciale e attività diverse, il concetto di “strumentalità” – rispetto al servizio di specifico interesse pubblico – debba essere inteso in modo non restrittivo, ostando, a quest’ultimo riguardo, i principi di cui al “considerando” n. 16, nonché gli articoli 6 e 13 della direttiva 2014/25/UE, che richiamano – per l’individuazione della disciplina applicabile – il concetto di “destinazione” ad una delle attività, disciplinate dal Codice dei contratti pubblici. Deve essere chiarito, pertanto, se possano essere “destinate” al settore speciale di riferimento – anche con le modalità vincolistiche attenuate, proprie dei settori esclusi – tutte le attività funzionali al settore stesso, secondo le intenzioni della stazione appaltante (ivi compresi, pertanto, i contratti inerenti la manutenzione sia ordinaria che straordinaria, la pulizia, gli arredi, nonché i servizi di portierato e di custodia degli uffici, o altre forme di utilizzo di questi ultimi, se intese come servizio per la clientela), restando effettivamente privatizzate solo le attività “estranee”, che il soggetto pubblico o privato può esercitare liberamente in ambiti del tutto diversi, con disciplina esclusivamente riconducibile al codice civile e giurisdizione propria del giudice ordinario (di quest’ultimo tipo ad esempio, per quanto qui interessa, è certamente il servizio bancario svolto da Poste Italiane, ma non altrettanto potrebbe dirsi con riferimento alla fornitura e all’utilizzo degli strumenti di comunicazione elettronica, se posti al servizio dell’intero ambito di attività del Gruppo, pur essendo particolarmente necessari appunto per l’attività bancaria). Non sembra peraltro inutile sottolineare lo “sbilanciamento”, indotto dall’interpretazione restrittiva attualmente prevalente, introducendosi nella gestione di settori assimilabili o contigui regole totalmente diverse, per l’affidamento di lavori o servizi: da una parte, le minuziose garanzie imposte dal Codice dei contratti per l’individuazione dell’altro contraente, dall’altra la piena autonomia negoziale dell’imprenditore, libero di operare contrattazioni in funzione esclusiva dei propri interessi economici, senza alcuna delle garanzie di trasparenza, richieste per i settori speciali e per quelli esclusi;
6) se infine l’indizione – con le forme di pubblicità previste a livello sia nazionale che comunitario – di una procedura di gara ad evidenza pubblica, a norma del codice degli appalti, possa rilevare ai fini dell’individuazione dell’area di destinazione dell’appalto, ovvero dell’attinenza di quest’ultimo al settore speciale di riferimento, in senso conforme all’ampliata nozione di “strumentalità”, di cui al precedente quesito n. 5), ovvero – in via subordinata – se l’eccezione di difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, sollevata dallo stesso soggetto che abbia indetto tale procedura di gara, o da soggetti che a detta procedura abbiano vittoriosamente partecipato, possa considerarsi abuso del diritto ai sensi dell’art. 54 della Carta di Nizza, quale comportamento che – pur non potendo incidere, di per sé, sul riparto di giurisdizione – rileva quanto meno ai fini risarcitori e delle spese di giudizio, poiché lesivo del legittimo affidamento dei partecipanti alla gara stessa, ove non vincitori e ricorrenti in sede giurisdizionale.
Bisognerà aspettare la decisione della Corte di Giustizia anche su quest’ultima istanza di rimessione per appurare se verrà affrontato, finalmente, il merito della questione relativa alla qualificazione di Poste Italiane, stabilendo se vi siano o meno i requisiti per una qualificazione alla stregua di organismo di diritto pubblico.
[1] Le direttive 2014/24/UE e 2014/25/UE riformano il settore appalti, rispettivamente nei c.d. “settori ordinari” e nei cd. “settori speciali” (acqua, energia, trasporti, servizi postali). Esse abrogano rispettivamente le direttive 2004/18/CE e 2004/17/CE, e sono state recepite in Italia con le norme del Codice degli Contratti Pubblici (d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50).
[2] Stella Bonomi M., La trasformazione del servizio universale postale per rispondere ai nuovi bisogni, Roma, 2015.
[3] Giarda P., Produttività, costi e domanda dei servizi postali in Italia, Bologna, 1993.
[4] Cassese S., Trattato di diritto amministrativo, Milano, 2003.
[5] In realtà, la privatizzazione era partita già nella prima metà del decennio, a seguito delle linee direttrici della Comunità europea. In particolare, il d.l. 1.12.1993 n. 487, convertito nella l. 29.1.1994 n. 71, recante «Trasformazione dell’amministrazione delle poste e telecomunicazioni in ente pubblico economico e riorganizzazione del Ministero» aveva creato l’Ente Poste Italiane, da trasformare, successivamente, in S.p.A. Così Giannini M. S., Diritto pubblico dell’economia, Bologna, Il Mulino, 1995.
[6] Per un approfondimento sul fenomeno della privatizzazione “formale” degli enti pubblici economici si veda Trimarchi Banfi F., Lezioni di diritto pubblico dell’economia, Torino, 2016.
[7] A partire dagli anni Ottanta del secolo scorso, l’affermarsi di teorie antistataliste (neoliberismo, mercatismo) costituì la premessa per l’avvio, anche in Europa, di una riduzione del campo di azione dei pubblici poteri. Tale processo venne favorito da numerose direttive dell’Unione europea volte a promuovere l’apertura dei mercati alla concorrenza transfrontaliera all’interno del mercato unico. In questa cornice, la Commissione europea iniziò ad applicare in maniera più rigorosa i divieti comunitari in materia di aiuti di Stato, cioè di forme dirette o indirette (finanziamenti diretti, contributi in conto capitale o interessi, garanzie ecc.) di sussidi alle imprese pubbliche e private tali da alterare la concorrenza. In tema si veda Clarich M., Manuale di diritto amministrativo, Il Mulino, Bologna, 2020.
[8] Santa Maria A., Concorrenza e Aiuti di Stato: un osservatorio sulla prassi comunitaria, Torino, 2006.
[9] Tale istituto è stato introdotto dalle direttive dell’Unione europea che hanno disciplinato la materia degli appalti pubblici, quale soluzione concepita per individuare le cd. amministrazioni aggiudicatrici, ovvero i soggetti tenuti al rispetto delle procedure di evidenza pubblica imposte dalle regole comunitarie. L’Unione europea ha rinunciato ad una rigorosa elencazione di ciò che è ODP, abbracciando un criterio sostanzialistico ed elastico, confermato, peraltro, dalle direttive nn. 17 e 18 del 2004, recepite poi nel Codice dei Contratti pubblici (d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163), che, all’art. 3, definisce l’organismo di diritto pubblico come “qualsiasi organismo, anche in forma societaria, istituito per soddisfare specificatamente esigenze di interesse generale, aventi carattere non industriale o commerciale, dotato di personalità giuridica e la cui attività sia finanziata in modo maggioritario dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico, oppure la cui gestione sia soggetta al controllo di questi ultimi, oppure il cui organo di amministrazione, di direzione o di vigilanza sia costituito da membri dei quali più della metà è designata dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico”. In generale, su tali argomenti vedi Garofoli R., Organismo di diritto pubblico, criteri di identificazione e problemi di giurisdizione, in Urb. e app., 1997, p. 960; Garofoli R., L’organismo di diritto pubblico: orientamenti interpretativi del Giudice comunitario e dei Giudici italiani a confronto, in Foro it., 1998, IV, p. 133; Tarullo S., Giustizia amministrativa ed appalti pubblici: influssi comunitari e linee di tendenza, in Cons. Stato, 2000, II, pp. 1107 ss.; Delfino B., Soggetti privati, amministrazioni aggiudicatrici e pubbliche amministrazioni, in Cons. Stato, 2003, II, p. 1083; Pallottino D., Appalti sotto soglia, imprese pubbliche e organismo di diritto pubblico nella disciplina comunitaria e nazionale (nota a TAR Campania, Napoli, I Sez., 20 maggio 2003, n. 5868), in Foro amm., TAR, 2003, pp. 2337 ss.; Mameli B., Un possibile ridimensionamento della nozione di organismo di diritto pubblico, in Urb. e app., 2002, pp. 66 ss.
[10] In questo senso GAROFOLI R., Manuale di diritto amministrativo, Molfetta, 2020, pp. 206 ss.
[11] Tale requisito va inteso nel senso di soggettività giuridica, ovvero della presenza di un soggetto come centro di imputazione di situazioni giuridiche. Non possono esserlo, quindi, solo le persone giuridiche ma anche gli enti di fatto, essendo anch’essi soggetti di diritto. La nozione eurounitaria di personalità giuridica è, poi, riferibile sia alla personalità giuridica di diritto pubblico che a quella di diritto privato. Il carattere privatistico di un ente e, più in generale, la sua forma di costituzione, non sono sufficienti ad escluderne la natura di organismo di diritto pubblico.
[12] Si tratta di un requisito che può essere integrato in presenza di almeno uno dei tre fattori alternativi: finanziamento pubblico maggioritario; controllo pubblico sulla gestione; attribuzione alla mano pubblica della nomina di più della metà dei componenti degli organi di direzione. Il riferimento al carattere maggioritario implica che l’organismo possa essere parzialmente finanziato anche in altri modi, senza che per ciò solo venga meno la sua natura di ODP.
[13] È, questo, l’elemento che ha presentato maggiori difficoltà interpretative. Con riferimento all’avverbio “specificatamente”, contenuto nell’art. 3 del d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163, la giurisprudenza lo ha interpretato nel senso che è sufficiente che l’ente sia stato istituito in modo specifico pur se non solo, e neanche in via prevalente, al fine di soddisfare detto bisogno generale. Non è, quindi, necessario che l’ente eserciti in modo esclusivo e assorbente l’attività finalistica, potendo al contrario espletare ulteriori funzioni e riservare anche una parte relativamente poco rilevante delle proprie attività al soddisfacimento di bisogni generali. La formula “bisogni di interesse generale a carattere non industriale o commerciale”, invece, è una nozione autonoma che deve essere interpretata tenendo conto del contesto di riferimento e delle finalità perseguite dalle direttive in tema di appalti. La Corte di Giustizia ha, infatti, specificato che tali bisogni sono una species dei bisogni generali, per cui l’interprete sarà chiamato ad accertare, anzitutto, che l’attività dell’ente sia rivolta a soddisfare bisogni generali, e poi a verificare che questi ultimi presentino carattere non industriale o commerciale.
[14] Corte di giustizia, 15 gennaio 1998, C. 44/96, Mannesmann Anlagenbau Austria; Corte di Giustizia, 10 novembre 1998, C. 360/1996, BFI Holding; Corte di giustizia, V, 10 maggio 2001, C. 223/1999 e C. 260/1999, punto 26, che ha escluso la natura di organismo di diritto pubblico in capo all’Ente Fiera di Milano; Corte di giustizia, 15 maggio 2003, C.214/2000; Corte di Giustizia, V, 22 maggio 2003, C.18/2001, Taitotalo Oy.
[15] In questo senso cfr. Corte giust. UE, 15 gennaio 1998, C-44/1996, che ha escluso la configurabilità di un organismo di diritto pubblico in parte qua; e Corte giust. UE, 10 aprile 2008, C-393/2006. La giurisprudenza nazionale, tuttavia, sembra aver superato la c.d. teoria del contagio nell’ipotesi in cui l’ente operi in un settore speciale e l’oggetto dell’appalto sia “estraneo” al settore di riferimento. Sul tema si rinvia a Cons. Stato, Ad. plen., 1° agosto 2011, n. 16.
[16] In tal senso si possono richiamare alcune pronunce del giudice amministrativo, tra cui la sentenza del Consiglio di Stato n. 4882/2014, che in relazione alla Cassa Nazionale di Previdenza ed Assistenza, ha affermato, in seguito alla privatizzazione operata dal legislatore, la configurabilità della sua natura pubblicistica solo in relazione all’attività di interesse generale svolta. Tratto da Amministrativo in http://www.salvisjuribus.it, 2017.
[17] Cons. Stato, Ad,. Plen., giugno 2016, n. 16.
[18] Corte di Cassazione, Sezioni Unite, Ordinanza 1° marzo 2018, n. 4899.
[19] Sul punto si veda Cass. Civ., Sez. Un., ord. 29 maggio 2012, n. 8511.
[20] TAR Lazio, Roma, Sez. III, Ordinanza di rimessione alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, 12 luglio 2018, n. 7778 consultabile in ildirittoamministrativo.it
[21] Tar Lazio, sentenza n. 5327 del 26 aprile 2019.
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