Il silenzio assenso può operare in materia di edilizia residenziale pubblica?

Il silenzio assenso può operare in materia di edilizia residenziale pubblica?

Sommario: 1. Premessa – 2. Il caso – 3. Il silenzio assenso quale istituto a valenza generalizzata – 3.1. La ratio dell’intervento legislativo: il silenzio assenso come strumento di semplificazione del procedimento amministrativo – 4. L’ambito di operatività del silenzio assenso: la compatibilità dell’art. 20 della l. n. 241/1990 e le istanze di successione/subentro nei contratti di locazione di immobili di edilizia residenziale pubblica. La tesi positiva – 4.1. La tesi negativa – 4.2. L’ordinanza n. 13865 del 6 luglio 2020 della Terza sezione civile della Corte di Cassazione – 5. Conclusioni

 

Abstract

Il presente contributo si propone di analizzare la delicata questione, di recente sottoposta alla attenzione delle Sezioni Unite, dell’operatività – o meno – dell’art. 20 della l. n. 241/1990 in materia di edilizia residenziale pubblica. In particolare, ci si chiede se il silenzio assenso, ai sensi del citato articolo, possa formarsi sulle istanze di successione/subentro nel diritto di godimento di un alloggio di edilizia economica e popolare.

1. Premessa

La Terza sezione civile della Corte di Cassazione, con ordinanza n. 13865 del 6 luglio 2020, ha rimesso gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite della questione di massima, di particolare importanza, in ordine all’interpretazione dell’art. 20 della l. n. 241/1990, al fine di verificare se possa formarsi silenzio assenso sulle istanze di successione/subentro nel diritto di godimento di un alloggio di edilizia residenziale pubblica e, in generale, se e in base a quali presupposti sia possibile escludere la formazione del silenzio assenso al di fuori delle ipotesi indicate dal comma 4 del citato art. 20.

2. Il caso

La questione sottoposta all’attenzione delle Sezioni Unite trae origine dall’opposizione proposta dal ricorrente al decreto di rilascio di un appartamento notificatogli da parte di Ater.

In particolare, questi affermava il proprio diritto al subentro nel contratto di locazione che Ater aveva concluso con l’originaria assegnataria dell’immobile, in quanto – al momento del decesso di quest’ultima – sarebbe subentrata nel contratto la di lei sorella nonché madre del ricorrente, alla quale, poi, egli sarebbe succeduto nel diritto di godimento dell’alloggio.

L’originaria assegnataria dell’immobile, infatti, avrebbe inoltrato all’Ater istanza di ampliamento del nucleo familiare al fine di comunicare il rientro nell’alloggio della sorella (già componente dell’originario nucleo familiare assegnatario), a seguito della separazione di quest’ultima dal coniuge, e del di lei figlio (affidato alla madre in sede di separazione personale dei coniugi).

Tuttavia, a ciò non avrebbe fatto seguito nessuna risposta da parte dell’ente.

Deceduta, poi, l’originaria assegnataria dell’alloggio, la sorella della de cuius avrebbe nuovamente richiesto all’ente competente di aggiornare la composizione del nucleo familiare ed il subentro nel contratto di locazione a suo favore.

Infine, a seguito del decesso della madre, il ricorrente stesso avrebbe chiesto all’Ater di essere riconosciuto come successore nel diritto di godimento dell’immobile ovvero il subentro nella locazione.

In assenza di risposta da parte dell’ente, pertanto, secondo quanto sostenuto da parte ricorrente, rispetto a ciascuna delle tre istanze (quella di ampliamento del nucleo familiare inoltrata da parte della zia e quelle successive di subentro nel contratto di locazione presentate prima dalla madre e poi dal ricorrente stesso) si sarebbe dovuto formare il silenzio assenso e, conseguentemente, il proprio diritto al godimento dell’immobile.

A fondamento della pretesa, inoltre, il ricorrente adduceva tanto la convivenza con la madre (subentrata a sua volta nel diritto della sorella) quanto l’assenza di morosità (la madre, prima, ed egli stesso, dopo, avendo sempre corrisposto regolarmente i canoni di locazione).

Rigettata l’opposizione al decreto di rilascio dell’immobile da parte del Tribunale e respinto il gravame dalla Corte di Appello, il ricorrente proponeva ricorso per Cassazione, lamentando, con il primo motivo, la violazione dell’art. 20 della l. n. 241/1990 rispetto alla tre istanze di ampliamento del nucleo familiare e di subentro nel contratto di locazione.

In disparte le questioni relative alla verifica della sussistenza di una convivenza rilevante con l’assegnataria dell’immobile e dei presupposti necessari al fine dell’ampliamento del nucleo familiare, risulta – ad avviso della Corte – preliminare la questione circa la possibilità o meno che si sia formato un silenzio assenso sulle istanze di cui sopra.

Pertanto, la Terza sezione civile di Cassazione ha ritenuto di sottoporre all’attenzione delle Sezioni Unite la “questione in ordine all’interpretazione dell’art. 20 della legge n. 241 del 1990, volta a verificare se si posa formare silenzio assenso sulle istanze di successione/subentro nel diritto di godimento dell’alloggio e.r.p […] e, in generale chiarificazione ermeneutica, se e in base a quali presupposti un’interpretazione sistematica sia idonea ad inibire la formazione del silenzio assenso al di là dell’ambito del comma 4 del medesimo articolo”.

3. Il silenzio assenso quale istituto a valenza generalizzata

Ai sensi dell’originaria formulazione del citato articolo, il silenzio assenso trovava applicazione nei soli casi in cui un’altra norma, anche di fonte secondaria, ne prevedesse espressamente l’operatività[1].

L’attuale formulazione della norma, modificata incisivamente nel contenuto dall’articolo 3, comma 6 ter, del d.l. n. 35/2005, come convertito dalla legge n. 80/2005, prevede che “fatta salva l’applicazione dell’art. 19, nei procedimenti ad istanza di parte per il rilascio di provvedimenti amministrativi il silenzio dell’amministrazione competente equivale a provvedimento di accoglimento della domanda, senza necessità di ulteriori istanze o diffide, se la medesima amministrazione non comunica all’interessato, nel termine di cui all’art. 2, commi 2 o 3, il provvedimento di diniego, ovvero non procede ai sensi del comma 2 del presente articolo”.

La modifica legislativa ha, dunque, operato una vera e propria rivoluzione copernicana, il silenzio assenso diventando – nei procedimenti ad istanza di parte volti ad ottenere un titolo abilitativo ampliativo della sfera giuridica – istituto generale e automatico.

Al contrario del testo previgente, infatti, ad essere tipizzate sono – non più i casi di formazione del silenzio assenso, ma – le ipotesi (elencate al comma 4) in cui al comportamento omissivo della P.A. il legislatore non abbia inteso attribuire significato di accoglimento della domanda.

Sul punto, inoltre, pare opportuno sottolineare quanto affermato dall’Adunanza Plenaria nel risolvere un contrasto giurisprudenziale sorto in ordine alla compatibilità tra l’art. 20, comma 4, l. 241/1990 (che esclude l’operatività del silenzio assenso in materia ambientale) e l’art. 13 della l. 394/1991 (secondo cui “il rilascio di concessioni od autorizzazioni, relativo ad interventi, impianti ed opere all’interno dell’area naturale protetta, è sottoposto a preventivo nulla osta dall’ente di gestione” e, decorso inutilmente il termine di 60 giorni, il nulla osta si intende rilasciato”).

L’Adunanza Planaria, asserendo che il silenzio assenso previsto dall’art. 13, commi 1 e 4, della l. 394/1991 non è stato implicitamente abrogato a seguito dell’entrata in vigore della l. 80/2005, che, nell’innovare l’art. 20 della l. 241/1990, ha espressamente indicato la materia ambientale tra quelle in cui non possa trovare applicazione l’istituto del silenzio assenso, ha sancito il principio di diritto secondo cui “non è logico ritenere che una disposizione volta a generalizzare il regime procedimentale del silenzio-assenso faccia venir meno proprio quelle ipotesi di silenzio-assenso già previste dall’ordinamento nel più restrittivo sistema dell’art. 20 vigente prima della riforma del 2005”[2].

Pertanto, è da ritenersi che il comma 4 dell’art. 20 della l. 241/1990 indichi le materie, caratterizzate da interessi sensibili, rispetto alle quali il regime semplificatorio del silenzio assenso non possa operare – non in assoluto, ma – in maniera automatica.

Se ne ricava, dunque, che – rispetto a “specifici procedimenti per i quali la compatibilità del regime del silenzio assenso con quegli interessi era già stato in precedenza valutato positivamente dal legislatore”[3] – anche per le materie elencate al comma 4 dell’art. 20 possa attivarsi il sistema del silenzio significativo di accoglimento (sempre che, appunto, ciò sia previsto da leggi speciali di settore).

3.1 La ratio dell’intervento legislativo: il silenzio assenso come strumento di semplificazione del procedimento amministrativo

Ciò posto rispetto al contenuto dell’art. 20, come modificato dalla l. 80/2005, va detto che la ratio della riforma va individuata nell’intento del legislatore di porre rimedio all’eventuale inerzia amministrativa, equiparando il silenzio – quoad effectum – ad un tipico provvedimento di accoglimento.

Va chiarito, però, che tale rimedio tipizzato dall’art. 20 non deve essere inteso come un meccanismo sanzionatorio avverso il comportamento inerte della Pubblica Amministrazione (sebbene ciò sia sostenuto da una parte minoritaria della dottrina), quanto piuttosto come uno strumento di semplificazione della attività amministrativa.

A sostegno di tale orientamento milita quanto affermato dal Consiglio di Stato con sentenza n. 2019/2011: l’istituto del silenzio assenso – si asserisce in sentenza – non implica “alcuna deroga al potere-dovere dell’amministrazione pubblica di curare gli interessi pubblici nel rispetto dei principi fondamentali sanciti dall’art. 97 della Costituzione”.

L’art. 20, pertanto, non autorizza in alcun modo l’esonero della P.A. dal compimento della fase dell’istruttoria procedimentale, introducendo – al contrario – solo la facoltà, per la stessa, di sostituire la fase finale del procedimento (quella dell’emanazione di un provvedimento espresso) con un comportamento omissivo.

Sotto altro profilo, ciò comporta che “l’amministrazione sia posta nella condizione di verificare la sussistenza di tutti i presupposti legali per il rilascio dell’autorizzazione”[4].

Pertanto, come da ultimo riaffermato dal Consiglio di Stato, il silenzio assenso – posto che “costituisce uno strumento di semplificazione amministrativa e non di liberalizzazione” – non si perfeziona con il mero decorrere del tempo, ma presuppone anche “la contestuale presenza di tutte le condizioni, i requisiti e i presupposti richiesti dalla legge ossia degli elementi costitutivi della fattispecie di cui si deduce l’avvenuto perfezionamento, con la conseguenza che il silenzio assenso non si forma nel caso in cui la fattispecie rappresentata non sia conforme a quella normativamente prevista” [5].

Conformemente a quanto affermato dalla giurisprudenza, la dottrina più recente ha individuato i requisiti minimali che la domanda del privato deve possedere perché si possa formare il silenzio assenso.

In primis, come pare evidente, l’oggetto del provvedere non deve rientrare tra le materie di interesse sensibile espressamente escluse dall’ambito applicativo dell’art. 20 della l. 241/1990; osterebbe, pertanto, alla formazione di un tacito accoglimento, ad esempio, un’istanza presentata in materia ambientale (salvo quanto detto per una eventuale diversa previsione legislativa speciale).

Allo stesso modo, non potrà attribuirsi valore di accoglimento al silenzio che faccia seguito ad una domanda presentata dal privato ad un’amministrazione incompetente.

Le ultime due condizioni afferiscono alla posizione del richiedente, in capo al quale – affinché l’omissione della P.A. possa essere equiparata ad un provvedimento favorevole – deve sussistere la legittimazione attiva a presentare la domanda ed incombe l’onere di rappresentare adeguatamente gli elementi di fatto che devono essere conosciuti dall’ente per valutare la domanda.

4. L’ambito di operatività del silenzio assenso: la compatibilità dell’art. 20 della l.241/1990 e le istanze di successione/subentro nei contratti di locazione di immobili di edilizia residenziale pubblica. La tesi positiva.

Proprio ponendo l’accento sul carattere generalizzato ed automatico attribuito all’istituto del silenzio assenso a seguito della novella del 2005, un primo orientamento giurisprudenziale ha ritenuto – nel delineare il raggio di operatività del suddetto meccanismo – di poterlo estendere anche alla materia degli alloggi di edilizia economica e popolare.

Infatti, come osservato da Tar Lazio, nella sentenza n. 3542/2011 vertente su un caso di istanza di sanatoria per assegnazione di un alloggio e.r.p., nel 2005, “mutando diametralmente l’approccio con detto istituto, il legislatore non ne ha più ancorato l’operatività alla previa individuazione normativamente tipizzata delle ipotesi in cui l’inerzia dell’Amministrazione avrebbe realizzato la stessa conseguenza dell’adozione di un provvedimento espresso favorevole a colui che aveva presentato l’istanza, ma ha ritenuto che detto effetto sia riferibile a qualsivoglia domanda proposta all’Amministrazione alla quale è attribuito l’esercizio di un potere discrezionale”.

Pertanto, il Tar – nel caso di specie – ha ritenuto essersi formato il silenzio assenso nei confronti dell’istanza di sanatoria per l’assegnazione di un alloggio e.r.p. e che, conseguentemente,

qualora l’Amministrazione intendesse rilevare una illegittimità nella formazione silente del titolo abilitativo che autorizzava il ricorrente ad utilizzare l’immobile come legittimo assegnatario, non avrebbe potuto che procedere in via di autotutela ai sensi degli artt. 21 quinquies e 21 octies della legge n. 241 del 1990”.

In conclusione, il Tribunale Amministrativo – nella citata sentenza – ha affermato che “non può condividersi l’assunto che talune pronunce fanno proprio e secondo il quale, pur nella vigenza del novellato art. 20 della legge n. 241 del 1990, in materia estranea rispetto a quelle ricadenti nel novero delle eccezioni descritte nel comma 4 del predetto articolo, non potrebbe trovare applicazione l’istituto del silenzio assenso (generalizzato)”[6].

4.1 La tesi negativa

Al contrario, il prevalente orientamento della giurisprudenza amministrativa tende a negare che la fattispecie del silenzio assenso possa operare “nella materia dell’assegnazione degli alloggi e.r.p., governata da specifica normativa e caratterizzata da complesse graduatorie”[7].

Come statuito dal Consiglio di Stato in una sentenza concernente il mancato accoglimento della richiesta di assegnazione e regolarizzazione di alloggio popolare, la “materia della concessione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica non contempla il silenzio assenso come fattispecie provvedimentale”[8].

L’esclusione di tale materia dall’ambito di operatività dell’art. 20 della l. 241/1990 troverebbe giustificazione, invero, in valutazioni di carattere più generale concernenti la stessa interpretazione del citato articolo.

Secondo una parte della giurisprudenza, infatti, ai fini dell’applicabilità del meccanismo del silenzio assenso, occorrerebbe distinguere tra provvedimenti concessori e provvedimenti di autorizzazione.

A tale orientamento aderisce, ad esempio, il Consiglio di Stato nella recente sentenza del 12 marzo 2020, n. 1788, che asserisce che “il procedimento di cui all’art. 20 della Legge n. 241-1990, circa la formazione di un titolo abilitativo attraverso il meccanismo del silenzio assenso, non è configurabile allorché l’Amministrazione deve rilasciare una vera e propria concessione amministrativa”.

Ecco, dunque, che parte della giurisprudenza amministrativa, in linea con tale interpretazione restrittiva dell’art. 20 che fa leva, appunto, sulla differenza tra concessioni ed autorizzazioni e – ritenendo che i provvedimenti di assegnazione degli alloggi di edilizia popolare avrebbero natura di concessioni (e non di autorizzazioni) – esclude l’operatività del silenzio assenso in tale materia.

La natura concessoria, secondo detto orientamento, si ricaverebbe dal carattere discrezionale dell’attività della Pubblica Amministrazione nella valutazione della compatibilità dell’assegnazione dell’alloggio con gli interessi pubblici, nonché dalla necessaria formazione di graduatorie in forza di presupposti che devono essere verificati dalla stessa.

A tale indirizzo sembrerebbe aderire anche la Corte di appello di Roma con la sentenza n. 8321/2017 impugnata innanzi alla Corte di Cassazione, cui ha fatto seguito la remissione alle Sezioni Unite della questione in ordine all’interpretazione dell’art. 20 della l. n. 241/1990, al fine di verificare se possa formarsi silenzio assenso sulle istanze di successione/subentro nel diritto di godimento di un alloggio di edilizia residenziale pubblica.

La Corte di appello di Roma, infatti, ha ritenuto che “nella specifica materia in oggetto, in cui l’eccezionale ampliamento del nucleo originario dell’assegnatario può determinarsi solo a seguito dell’accertamento di specifici presupposti richiesti dalla legge, si rende indispensabile un’effettiva verifica al riguardo, e ciò in ragione sia della necessaria corretta gestione del patrimonio dell’ente, sia della coesistenza dei concorrenti interessi di coloro che, già regolarmente iscritti nelle liste di assegnazione secondo le norme di legge, sono attualmente in attesa di un’assegnazione di un immobile per la risoluzione dei problemi esistenziali propri e della propria famiglia”.

Ne consegue, secondo la Corte, la necessaria adozione di un provvedimento formale e, dunque, che – in siffatte ipotesi – non possa formarsi il silenzio assenso.

4.2. L’ordinanza n. 13865 del 6 luglio 2020 della Terza sezione civile della Corte di Cassazione

Alla luce del citato contrasto giurisprudenziale, la Terza sezione civile della corte di Cassazione ha ritenuto di rimettere alle Sezioni Unite la questione in ordine all’operatività dell’istituto del silenzio assenso in materia di edilizia economica e popolare.

Nel caso di specie, come si è detto, la questione trae origine dalla presunta formazione – secondo quanto affermato dal ricorrente – del silenzio assenso su tre diverse istanze presentate all’Ater: quella di ampliamento del nucleo familiare inoltrata da parte della zia e quelle successive di subentro nel contratto di locazione presentate prima dalla madre e poi dal ricorrente stesso.

In via preliminare, la Corte evidenzia che l’articolo 20 della l. 241/1990, come modificato a seguito della riforma del 2005, potrebbe incidere ratione temporis solo sulle due domande di subentro nel contratto di locazione e non su quella di ampliamento del nucleo familiare, in quanto proposta nel 2003.

Rispetto al thema decidendum, poi, secondo la Cassazione, si deve dare atto che, se si intende che la sentenza impugnata “abbia fatto perno su una qualificazione concessoria dei provvedimenti de quibus, la sua opzione non appare risolutiva”.

Ad avviso della Corte, infatti, “la distinzione tra atti di concessione e atti di autorizzazione costituisce una vicenda di costruzione giuridica, che mira a ricavare da una norma espressa – il silenzio assenso come generalizzato potenziale esito del procedimento amministrativo – una norma inespressa, attraverso una tesi dogmatica, che non appare dotata di supporto quantomeno nella figura del silenzio assenso come novellata”.

La Terza sezione di Cassazione – che, dunque, sembrerebbe propendere per una soluzione positiva circa la possibilità che si formi il silenzio assenso rispetto alle istanze cui si fa riferimento – ritiene, inoltre, che si debba operare una distinzione tra l’ipotesi di prima assegnazione dell’alloggio e dell’individuazione dell’avente diritto e quella diversa (come è nel caso di specie) “di subentro nel diritto già «concesso» dalla Pubblica Amministrazione all’assegnatario dell’alloggio e.r.p.”.

Pertanto, pur volendo accedere alla tradizionale differenza tra concessioni (atti con cui si consente ai privati il godimento di utilità su beni pubblici) e autorizzazioni (che comportano la rimozione di limiti all’esercizio di un diritto), nel caso concreto, dovendo il privato subentrare in un diritto già costituito a favore di altro soggetto, per via della convivenza e del rapporto relazionale con l’assegnatario, la valutazione da compiere non implicherebbe “una ricognizione degli interessi pubblici della fase di assegnazione”.

Sul punto, infatti, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con ordinanza del 9 ottobre 2013, n. 22957, a proposito della legislazione regionale piemontese sull’edilizia residenziale pubblica, vista la predeterminazione delle condizioni che consentono il subentro nell’assegnazione dell’alloggio di edilizia sociale, ravvisa l’assenza di alcun margine di discrezionalità valutativa in capo alla P.A., “attribuendole bensì un ruolo meramente ricognitivo del diritto soggettivo al rientro”.

In conclusione, la Terza sezione civile, nel rimettere la questione all’attenzione delle Sezioni Unite, ritiene che “il nucleo del problema nomofilattico […] nel caso in esame appare risiedere nella latitudine ontologica del silenzio assenso quale species provvedimentale” e, conseguentemente, che il quesito che da ciò discende attiene, non solo alla verifica della operatività dell’istituto rispetto alle istanze di subentro/successione nel diritto di godimento di un alloggio di edilizia residenziale pubblica, ma anche e, in generale, alla individuazione dei presupposti in forza dei quali sia possibile – eventualmente – escludere la formazione del silenzio assenso al di fuori delle ipotesi indicate dal comma 4 del citato articolo 20.

5. Conclusioni

Alla luce di quanto fin qui esposto, sembrerebbe potersi accogliere, in conformità con la ratio della riforma del 2005 volta ad attribuire portata generale ed automatica all’istituto del silenzio assenso, una soluzione positiva e, dunque, ritenere estendibile l’ambito di operatività dell’art. 20 della l. 241/1990 anche alla materia dell’edilizia residenziale pubblica.

Questa, infatti, non rientrerebbe tra quelle espressamente escluse dal comma 4 del medesimo articolo.

A ciò si aggiunga che, secondo quanto affermato dalla citata Adunanza Plenaria, finanche in dette categorie caratterizzate da interessi sensibili l’istituto del provvedimento per silentium potrebbe operare, allorquando ciò sia previsto da leggi speciali di settore: non sembrerebbe logico, pertanto, non ritenerlo operante in una materia che non vi è proprio indicata.

Per quanto attiene, poi, all’argomento della tradizionale dicotomia tra concessioni ed autorizzazioni – qualunque sia la natura che si intenda attribuire al provvedimento di accoglimento dell’istanza di subentro nel diritto di godimento di un alloggio di edilizia residenziale pubblica – la questione sembrerebbe potersi superare in forza del tenore letterale dell’art. 20.

La norma, infatti, fa riferimento – in generale – ai “procedimenti ad istanza di parte per il rilascio di provvedimenti amministrativi”, non operando alcuna distinzione tra i tipi di provvedimenti adottabili dalla P.A.

Sotto altro profilo, pur volendo porre l’accento sui necessari accertamenti, da parte della P.A., degli specifici presupposti richiesti dalla legge in materia di edilizia popolare, al fine di un corretto bilanciamento con gli interessi pubblici, non sembrerebbe potersi far discendere da ciò la necessità di un provvedimento formale.

Se è indubbio, infatti, che sia “indispensabile un’effettiva verifica al riguardo”[9], è anche vero che – come ha chiarito la giurisprudenza – il meccanismo ex art. 20 della l. 241/1990 non comporta in alcun modo per la P.A. l’esonero della fase istruttoria, ma solo la possibilità di sostituire il provvedimento finale espresso con il silenzio.

A ciò si aggiunga che, in ogni caso, come espressamente previsto dal comma 3 del medesimo articolo, all’amministrazione è comunque riconosciuta la possibilità di assumere determinazioni in via di autotutela, ai sensi degli articoli 21 quinquies e 21 nonies.

Volendo accedere a tali conclusioni, dunque, si potrebbe ritenere che, nel caso di specie affrontato dalla Terza sezione civile della Corte di Cassazione con ordinanza n. 13865 del 6 luglio 2020, rispetto alle due istanze di subentro nel diritto di godimento di un alloggio di edilizia residenziale pubblica, a fronte dell’inerzia dell’Ater, si sarebbe formato il silenzio assenso.

Pertanto, posto che il silenzio assenso ha natura di vero e proprio provvedimento di accoglimento della domanda, il successivo decreto di rilascio dell’immobile notificato al ricorrente dall’ente, sarebbe viziato in quanto adottato in violazione di legge – e, precisamente, del principio del ne bis in idem, la P.A. avendo già deciso (sebbene in modo silente) sul medesimo oggetto.

Se ciò è vero, d’altro lato, va osservato che l’istituto del silenzio fa sorgere diversi problemi in ordine ai provvedimenti discrezionali.

Rispetto a questi, infatti, come è noto, ciò che può essere sottoposto al controllo giurisdizionale è solo la motivazione ivi indicata, il giudice non potendo sindacare il merito delle scelte della P.A.

Pertanto, appare evidente che, se operasse il silenzio assenso in siffatte ipotesi, in assenza di un provvedimento espresso, si escluderebbe in toto il controllo ed il sindacato giurisdizionale sugli stessi – negando, di fatto, ai controinteressati la possibilità di impugnare il provvedimento.

Tuttavia, il provvedimento di accoglimento dell’istanza di subentro nel diritto di godimento di un alloggio di e.r.p. non sembrerebbe essere un provvedimento discrezionale, posto che l’attività valutativa dell’amministrazione, in tali ipotesi, si sostanzia in una verifica della sussistenza delle predeterminate condizioni richieste.

Pertanto, come osservato dalla Terza sezione civile (e come pare condivisibile), sembrerebbe doversi operare una distinzione tra le ipotesi – come è nel caso di specie sottoposto all’attenzione della Corte – di subentro in un diritto già costituito in capo all’originario assegnatario e quelle di prima assegnazione dell’immobile.

Mentre, dunque, nel primo caso pare doversi concludere per la operabilità del meccanismo del silenzio assenso, a diversa conclusione si dovrebbe giungere quando deve individuarsi il soggetto avente diritto all’assegnazione.

Tuttavia, l’inapplicabilità dell’art. 20 della l. 241/1990 a tali provvedimenti, non deriverebbe dalla materia (quella dell’edilizia pubblica) cui appartengono, quanto piuttosto dalla natura discrezionale che li caratterizza – che osterebbe alla formazione del silenzio assenso, in quanto comporterebbe delle difficoltà sotto il profilo della sindacabilità giurisdizionale.

In conclusione, e in generale, sembrerebbe potersi affermare che – nel rispetto della ratio della riforma del 2005, volta a generalizzare l’istituto del silenzio assenso – non si possa escludere l’operatività dello stesso in materie ulteriori rispetto a quelle espressamente previste dal comma 4 dell’art. 20 della l. 241/1990, ma piuttosto che il discrimine vada individuato nel carattere discrezionale o meno dell’attività di volta in volta svolta dalla Pubblica Amministrazione.

 

 

 


[1] La norma originaria così recitava: “Con regolamento adottato ai sensi del comma 2 dell’art. 17 della legge 23 agosto 1988, n. 400, da emanarsi entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge e previo parere delle competenti Commissioni parlamentari, sono determinati i casi in cui la domanda di rilascio di una autorizzazione, licenza, abilitazione, nulla osta, permesso od altro atto di consenso comunque denominato, cui sia subordinato lo svolgimento di un’attività privata, si considera accolta qualora non venga comunicato all’interessato il provvedimento di diniego entro il termine fissato per categorie di atti, in relazione alla complessità del rispettivo procedimento, dal medesimo predetto regolamento. In tali casi, sussistendone le ragioni di pubblico interesse, l’amministrazione competente può annullare l’atto di assenso illegittimamente formato, salvo che, ove ciò sia possibile, l’interessato provveda a sanare i vizi entro il termine prefissatogli dall’amministrazione stessa.
Ai fini dell’adozione del regolamento di cui al comma 1, il parere delle Commissioni parlamentari e del Consiglio di Stato deve essere reso entro sessanta giorni dalla richiesta. Decorso tale termine, il Governo procede comunque all’adozione dell’atto.
Restano ferme le disposizioni attualmente vigenti che stabiliscono regole analoghe o equipollenti a quelle previste dal presente articolo”.
[2] Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, sentenza del 27 luglio 2016, n. 17.
[3] Ibidem
[4] Consiglio si Stati, Sezione V, sentenza del 1aprile 2011, n. 2019.
[5] Consiglio di Stato, sezione VI, sentenza del 21 gennaio 2020, n. 56.
[6] Va sottolineato, però, che la sentenza è stato riformata dal Consiglio di Stato, Sezione V, sentenza del 26 marzo 2012 n. 1723, sebbene in forza del combinato disposto degli articoli 20 e 2, comma 2 della l. 241/1990.
[7] Consiglio di Stato, Sezione V, sentenza del 10 ottobre 2017, n. 4688.
[8] Consiglio di Stato, Sezione V, sentenza del 19 febbraio 2018, n. 1013.
[9] Corte di appello di Roma, sentenza n. 8321/2017, citata.

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