Il silenzio tra pubbliche amministrazioni

Il silenzio tra pubbliche amministrazioni

Scarica l’indice del presente lavoro – Avv. Michela Pignatelli

 

CAPITOLO I

LA SEMPLIFICAZIONE AMMINISTRATIVA

Sommario: 1. I principi dell’azione amministrativa; 2. Le ragioni della semplificazione amministrativa; 3. La quadripartizione delle tecniche di intervento; 4. La semplificazione del procedimento amministrativo.

1. I PRINCIPI DELL’AZIONE AMMINISTRATIVA

L’esercizio dell’azione amministrativa è presieduto da alcuni principi fondamentali, collocati nella Costituzione.

L’obiettivo che viene perseguito mediante tali principi è duplice: da un lato assicurare la garanzia dell’indipendenza dell’Amministrazione sotto il profilo attivo, cioè favorire il sollecito ed efficace raggiungimento degli obiettivi preposti, e dall’altro garantire l’imparzialità verso l’utenza.

Tra i primi, i più importanti sono il principio di legalità1, che prescrive il rispetto della legge e dei criteri da questa dettati da parte della Pubblica Amministrazione, ed il principio di buona amministrazione2, che impone ai funzionari amministrativi l’obbligo di svolgere la propria attività secondo le modalità più idonee ed opportune al fine di garantire l’efficacia, l’efficienza, la speditezza e l’economicità dell’azione amministrativa, con il minor sacrificio degli interessi coinvolti.

Tra i secondi, il più importante è il principio di imparzialità, in ragione del quale l’Amministrazione deve assumere comportamenti equivalenti di fronte a situzioni giuridiche soggettive analoghe, evitando qualsiasi tipo di favoritismo o parzialità.3

Una parte degli studiosi del diritto amministrativo sostiene che i principi sopra enunciati per lungo tempo non abbiano trovato applicazione concreta, rimanendo enunciati astratti.

A tal proposito, si è sostenuto, che uno dei fattori che condiziona più da vicino la competitività dell’azione pubblica è il cd “rischio amministrativo”, cioè l’insieme degli elementi negativi riconducibili alle regole ed ai comportamenti delle Pubbliche Amministrazioni, che comprendono diversi fattori.

Tra questi, vi sono le carenze e le disfunzioni organizzative, l’overload delle regole, i ritardi nella cultura della dirigenza, le difficoltà di affermare un sistema di responsabilità rigoroso e la lentezza endemica della giustizia amministrativa. 4

La semplificazione amministrativa, permettendo la concreta attuazione dei principi generali già enunciati, potrebbe costituire la soluzione ai problemi sopra esposti.

Essa è sottesa al principio di semplicità, che costituisce a sua volta un corollario dei principi di economicità, efficacia e buon andamento.

Le implicazioni che ne determinano la natura sono molteplici, ma possono essere ricondotte ad un comune denominatore: la necessità di perseguire l’interesse della collettività per il tramite di linee programmatiche e di azione quanto più qualitativamente e quantitativamente ottimali.

In tale solco, si inserisce, ad avviso della Commissione speciale del Consiglio di Stato del 23 giugno 2016, l’art. 17 bis della legge 241/1990, che esalta la concezione dell’attività amministrativa come “prestazione” diretta a soddisfare i diritti civili e politici di cui all’art. 117, comma 2 lett. m) della Costituzione che, da un lato ha elevato il procedimento amministrativo e la semplificazione amministrativa a valore in sè, a materia trasversale, rafforzando la concezione della semplificazione come bene in sè, e dall’altro ha apparentemente dequotato il valore di determinati interessi, non più necessitanti di un provvedimento espresso in ragione di esigenze di celerità e certezza della tempistica.

Nella nuova concezione, l’interesse prevalente, sembra non essere più l’interesse pubblico, ma quello finale del privato e del conseguente funzionamento del mercato, attraverso l’accelerazione delle procedure.5

D’altronde, la mutata veste dell’interesse prevalente, la si desume anche dalla nuova concezione di interesse legittimo, inteso non più quale interesse procedimentale od occasionalmente protetto, ma quale posizione soggettiva di vantaggio del privato all’ottenimento di un bene della vita per il tramite della pubblica amministrazione.

2. LE RAGIONI DELLA SEMPLIFICAZIONE AMMINISTRATIVA.

La tematica della semplificazione amministrativa è da tempo all’ordine del giorno in gran parte dei Paesi occidentali.

Infatti, l’evoluzione che il processo di semplificazione ha subito in questi anni può essere inscritta in un filone logico – consequenziale delineato con precisione: la ricerca di un sistema più efficace e, quindi, economico ed efficiente, di regolamentazione.

Ed infatti, tutti i progetti di riforma del settore pubblico proposti negli ultimi anni, volti a migliorare il funzionamento della Pubblica Amministrazione, sono stati tutti studiati con la finalità precipua di “semplificare l’organizzazione e l’azione delle Pubbliche amministrazioni, nonchè di digitalizzane il funzionamento”.6

Il “metodo” della semplificazione amministrativa, viene collegato, nei Paesi dell’Europa Occidentale, al fenomeno della crisi economica del 2007, che avrebbe fatto emergere l’esigenza di una maggiore efficienza della pubblica amministrazione, con la finalità di soddisfare più celermente i bisogni dei cittadini e delle imprese a contatto con la pubblica amministrazione, nella convinzione secondo cui un equilibrio può essere perseguito soltanto incrementando il tasso di efficienza della pubblica amministrazione.7

Tuttavia, come si avrà modo di approfondire nel prosieguo, ed anticipando, quindi, le conclusioni, dall’analisi delle vicende nazionali ed europee in tema di semplificazione, è possibile ricavare che il processo di semplificazione amministrativa non sia il frutto della crisi economica del 2007, ma sia stata avviata in anni precedenti, in un’ottica sanzionatoria per la pubblica amministrazione, volta a rimediare alle inefficienze legate all’inerzia della stessa.

Al più, la crisi economica ha accentuato il processo di semplificazione amministrativa, anche nell’ottica di un risparmio di spesa per la pubblica amministrazione.8

Infatti, come rilevato dalla dottrina, negli ultimi anni le politiche di semplificazione sono imposte e richieste.9

Le politiche in questione, risultano, infatti imposte da fattori che operano dall’esterno, tra cui, in primo luogo la crisi economica del 2007, che ha determinato la necessità di una ristrutturazione dei poteri pubblici, al fine di ridurre la spesa pubblica.

In secondo luogo, ad imporre l’adozione di procedure di semplificazione vi è la forte competizione tra gli ordinamenti e i sistemi economici.

Infine, le politiche in questione rappresentano soprattutto le risposte date a precise domande di cambiamento provenienti “dall’interno”, ossia da cittadini e imprese, che con sempre più forza rivendicano un’amministrazione semplice e ingrado di operare e dialogare attraverso le più aggiornate tecnologie.10

D’altronde, il bisogno di rispondere alle istanze dei cittadini e delle imprese emerge con tutta evidenza anche dalla nuova visione di pubblica amministrazione e di interesse pubblico inaugurati dalla Commissione speciale del Consiglio di Stato, il quale ritiene che “nella logica del primato dei diritti, i meccanismi di semplificazione…non vanno visti come una forma di sacrificio dell’interesse pubblico, ma al contrario come strumenti funzionali a una cura efficace, tempestiva e pronta dello stesso, con il minore onere possibile per la collettività e i singoli privati”.11

Analizzando le normative succedutesi, è possibile affermare che l’inizio del processo di semplificazione risalga a partire dall’inizio degli anni ’90.

In tali anni la Commissione di studio sull’attuazione della l. 241/1990 mise in evidenza un dato allarmante, ovvero che le attività amministrative erano afflitte dall’iperprocedimentalizzazione, aventi quale logico corollario quello delle ricadute negative sull’utenza, costretta ad attendere tempi eccessivamente lunghi per l’emanazione dei provvedimenti.12

Le cause della complicazione amministrativa hanno natura strutturale: esse vanno individuate nella progressiva articolazione e differenziazione della società, nella sempre più frequente emersione di nuovi interessi pubblici affidati alla tutela di una molteplicità di apparati pubblici, nella moltiplicazione dei livelli amministrativi, nello sviluppo delle burocrazie, inutile lungaggine delle procedure amministrative, dovute all’arretratezza del sistema amministrativo.

A partire dagli anni ’90, si sono moltiplicate riforme legislative aventi come finalità quella di affrontare un problema avente radici comuni, non ancora risolto in maniera definitiva e soddisfacente.

L’esigenza di por mano alle complicazioni amministrative è da tempo avvertita in tutti i Paesi occidentali, nei quali è, peraltro, viva la consapevolezza della difficoltà del percorso di semplificazione.

Negli anni ’90 in Italia si è registrato un rinnovato interesse per la riforma dell’amministrazione, materia trascurata nel secolo precedente, eccettuate lodevoli eccezioni provenienti dalla politica e dalla cultura internazionale. 13

E’ proprio nel contesto della valorizzazione dello snellimento delle procedure amministrative, che si collocano i temi della delegificazione e della qualità della normazione, soprattutto secondaria.

Con la legge 241/1990 inizia a farsi strada l’idea secondo cui la “semplificazione amministrativa” è elemento trainante di una riforma dell’amministrazione pubblica, poichè i ritardi e le inefficienze costituiscono le principali cause di arretratezza della macchina pubblica.14

Matura, in una prospettiva di ancor più ampio respiro, la convinzione dell’impatto negativo sulla competitività del sistema Paese del cd “rischio amministrativo”, intendendosi per tale l’insieme di elementi negativi che rendono l’amministrazione inefficiente, le sue regole non chiare e contraddittorie, i suoi procedimenti lenti e farraginosi: dalle disfunzioni organizzative, alle regole che disciplinano l’attività, talvolta apparentemente destinate ad ostacolare o impedire le attività economiche, ai ritardi nella cultura della dirigenza pubblica, alla difficoltà di affermare un rigoroso regime di responsabilità per i danni arrecati alle attività dei cittadini da atti o dall’inerzia o dai ritardi dell’amministrazione, alla non risolutività delle decisioni della giustizia amministrativa ed alla inefficacia del sistema rimediale.15

La consapevolezza del legame che intercorre tra la riforma della Pubblica Amministrazione e sua semplificazione, da un lato, e il rilancio della competitività, dall’altro, traspare peraltro in modo evidente se si considera che i primi strumenti di semplificazione sono stati adottati, sul piano formale, nell’ambito di una legge finanziaria (l. n. 537/1993)16; parimenti significativo è che con il D.L. n. 35/2005 sulla cd “competitività”, sono state riscritte, nel tentativo di dare impulso al processo di semplificazione, le disposizioni dettate dall’art. 19, l. n. 241/1990 relative alla d.i.a. (successivamente trasformata in S.c.i.a. – segnalazione certificata di inizio attività con l’art. 49 comma 4 bis del d.l. 31/05/2010 n. 78, nel testo integrato dalla relativa legge di conversione) e al silenzio – assenso.

L’ultimo provvedimento legislativo in ordine cronologico è la l. 124/2015, meglio conosciuta come “Riforma Madia”, che nel solco tracciato dalle legislazioni richiamate, apre il suo programma di modernizzazione delle Amministrazioni pubbliche con un capo dedicato alla semplificazione amministrativa, prevedendo anche una rinnovazione delle politiche di digitalizzazione.

In tali termini, è possibile considerare l’amministrazione come un “costo di impresa”, che, conseguentemente, in un contesto caratterizzato dall’attenzione prioritaria verso la concorrenza, nel ricercare la competitività in ogni ambito, deve essere ridimensionato.

Probabilmente la chiave per pervenire ad una politioca di semplificazione efficiente, in grado, cioè di soddisfare le esigenze del mercato, è rappresentata proprio dalla creazione di una amministrazione semplice, che sia in grado di operare e dialogare attraverso le tecnologie più aggiornate, in modo da favorire il rilancio dell’economia nazionale e lo svecchiamento della pubblica amministrazione, mediante, quindi, l’integrazione tra semplificazione e digitalizzazione senza dover rinunciare a quei presidi di tutela di interessi di primaria importanza che l’amministrazione assicura.17

Tuttavia, nonostante gli sviluppi recenti, “semplificazione” rimane un termine generico, che designa un metodo generale, più che un contenuto obiettivo o un risultato specifico. Le ragioni della semplificazione suscitano un consenso immediato; la semplificazione amministrativa rischia, però, di diventare una sorta di slogan che riassume modalità molto diverse e che non è in grado di rappresentare caratteri specifici”.18

3. LA QUADRIPARTIZIONE DELLE TECNICHE DI INTERVENTO.

L’inefficienza cui ha dato luogo l’iperprocedimentalizzazione della Pubblica Amministrazione, ha fatto sorgere, come sopra rilevato, la necessità di intervenire al fine di arginare o limitare l’arretratezza della Pubblica Amministrazione.

Come sopra rilevato, la semplificazione è stata attuata con modalità diverse, e non in maniera univoca.

In dottrina, a tal proposito, è stata segnalata una quadripartizione delle tecniche di intervento, volte ad accelerare la definizione dei procedimenti amministrativi.

Volendo schematizzare, è possibile riassumere i passaggi della semplificazione amministrativa come segue.

a) La delegificazione, per effetto della quale, in omaggio ad un’esigenza di flessibilità amministrativa, le norme amministrative indispensabili sono ricondotte in atti regolamentari, più agevolmente aggiornabili e modificabili, con la conseguente commutazione delle norme di legge in regolamenti, senza incidere sul numere e sull’incidenza delle regole.

Tale fase è caratterizzata anche dalla ricerca di una migliore qualità nella produzione normativa, mediante il miglioramento delle tecniche di stesura e mediante la riduzione del carico di norme presenti in ciascuna materia.

Tale ulteriore scopo portò l’allora Presidente del Consiglio dei Ministri Carlo Azeglio Ciampi all’emanazione della Direttiva del 27 febbraio 1994, con cui si introducevano nell’ordinamento le Carte di qualità dei servizi, che recepivano e concretizzavano in norme giuridiche il complesso dibattito sulla qualità dell’azione amministrativa.19

A questa iniziativa ne seguirono altre, interessate anch’esse all’innalzamento degli standards qualitativi che informano l’esecuzione dei procedimenti amministrativi e dunque in stretta correlazione con il concetto di semplificazione.

Si fa riferimento, a tal proposito, all’istituzione degli Uffici di relazione con il pubblico e all’emanazione dei cd “Codici di stile”, contenenti i principi basilari per l’elaborazione di testi normativi chiari e comprensibili, in grado di agevolare (dunque, semplificare) i rapporti tra l’utenza e le Amministrazioni.20

b) La deregolamentazione, che consente di eliminare le regole legislative o regolamentari non indispensabili a tutelare gli interessi pubblici inerenti le specifiche materie, lasciando in vigore solo le regole essenziali.

c) La semplificazione dei procedimenti amministrativi, nel solco della quale si inserisce la novità apportata dalla l. 124/2015, cd “legge Madia”, che ha introdotto nel corpo della l. 241/90, l’art. 17 bis concernente il silenzio – assenso tra pubbliche amministrazioni, e che può essere sia il risultato della deregolamentazione, sia il risultato di una parallela e correlata attuazione dei procedimenti alle sole fasi essenziali.

d) La deamministrazione, che consiste nel sottrarre intere attività private, svincolandone l’esercizio ad ogni forma di preventiva verifica o valutazione di tipo pubblicistico, indicando l’ambito di intervento cui è consentito ricorrere in modo marginale, non essendo infrequente che si possano sottrarre del tutto talune tipologie di attività a qualsivoglia tipologia di controllo amministrativo.21

Dall’analisi della quadripartizione sopra delineata, emerge che le principali politiche attive di riforma sono, pertanto, quelle finalizzate essenzialmente alla deregolamentazione ed alla semplificazione.22

Conseguentemente, restrizione e razionalizzazione del sistema normativo e snellimento delle procedure, cioè semplificazione della struttura procedimentale rappresentano le principali tecniche di intervento, cui deve affiancarsi l’introduzione di tecnologie e di più adeguate metodologie organizzative.23

4. LA SEMPLIFICAZIONE DEL PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO

Come sopra anticipato, una delle tecniche di semplificazione amministrativa è quella rappresentata dalla semplificazione procedimentale, iniziata attraverso l’emanazione della l. 241/1990.

Anteriormente all’emanazione di tale legge, infatti, mancava una disciplina generale del procedimento amministrativo, la cui assenza aveva quale ricaduta immediata una eccessiva discrezionalità della pubblica amministrazione nella gestione della fase procedimentale, anche per quel che riguarda i tempi di conclusione della stessa.

Con la legge n. 241/1990 e successive modificazioni, è stata introdotta una disciplina organica del procedimento amministrativo volta a garantire sia la dialettica con i soggetti interessati e controinteressati, sia l’accelerazione e la semplificazione dell’azione amministrativa, attraverso atti quali il silenzio – assenso, la d.i.a. Oggi s.c.i.a., le conferenze di servizi, la regolamentazione dei tempi del procedimento e da ultimo la disciplina del silenzio – assenso tra pubbliche amministrazioni anche in materia di interessi sensibili.

I numerosi interventi di semplificazione amministrativa degli ultimi anni, sono stati sempre volti al contenimento della spesa pubblica e al rilancio dello sviluppo economico e alla competitività del Paese.24

A tal proposito giova richiamare il d.l. 6 luglio 2011 n. 98, convertito con legge 15 luglio 2011, n. 111, il quale ha sancito la necessità di introdurre ulteriori misure di risparmio, razionalizzazione e quantificazione della spesa delle amministrazioni centrali, anche attraverso la digitalizzazione e la semplificazione delle procedure.

A tal fine, il comma 4 dell’art. 16 dello stesso decreto, attribuisce a tutte le amministrazioni di cui all’art. 2 comma 2 del D.Lgs. 165/2001, la facoltà di adottare entro il 31 marzo di ogni anno piani triennali di razionalizzazione e riqualificazione della spesa, di riordino e ristrutturazione amministrativa, nonchè di semplificazione e digitalizzazione, indicando la spesa sostenibile a legislazione vigente per ciascuna delle voci di spesa interessate e i correlati obiettivi finanziari.

Merita una particolare menzione il d.l. 9 febbraio 2012 n. 5, convertito, con modificazioni dalla legge 4 aprile 2012 n. 35, recante: “Disposizioni urgenti in materia di semplificazione e di sviluppo” (cd. D.L. Semplifica Italia).

In particolare, l’art. 12 del decreto in oggetto, ha previsto la possibilità per le Regioni, le Camere di Commercio, Industria, Agricoltura e Artigianato, i Comuni e le loro associazioni, le agenzie per le imprese, ove costituite, le altre amministrazioni competenti e le organizzazioni di associazioni di categoria interessate, di stipulare convenzioni per attivare percorsi sperimentali di semplificazione amministrativa per gli impianti produttivi e le iniziative ed attività delle imprese sul territorio, in ambiti delimitati a partecipazione volontaria, anche mediante deroghe alle procedure ed ai termini per l’esercizio delle competenze facenti esclusivamente capo ai soggetti partecipanti, dandone preventiva ed adeguata informazione pubblica.

E’, altresì, previsto che il Governo adotti regolamenti ex art. 17, comma 2, l. n. 400/1988, al fine di semplificare i procedimenti amministrativi concernenti l’attività di impresa, compresa quella agricola, secondo i seguenti principi e criteri direttivi: a) semplificazione e razionalizzazione delle procedure amministrative, anche mediante la previsione della Conferenza di servizi telematica ed aperta a tutti gli interessati, e anche con modalità sincrona; b) previsione di forme di coordinamento, anche telematico, attivazione ed implementazione delle banche dati consultabili tramite i siti degli Sportelli Unici Comunali, mediante convenzioni con Anci, Unioncamere, regioni, Agenzie per le imprese e Portale nazionale impresa in un giorno, in modo che sia possibile conoscere contestualmente gli oneri, le prescrizioni ed i vantaggi per ogni intervento; c) iniziativa ed attività sul territorio, di individuazione delle norme da abrogare a decorrere dall’entrata in vigore dei regolamenti e de quelle tacitamente abrogate ai sensi della vigente normativa in materia di liberalizzazione delle attività economiche e di riduzione degli oneri amministrativi sulle imprese; d) definizione delle modalità operative per l’integrazione dei dati telematici tra le diverse amministrazioni.

Il detto decreto mira a semplificare, inoltre, tutte le procedure burocratiche e, più precisamente, le comunicazioni tra le amministrazioni che dovranno avvenire solo per via telematica, per lo svolgimento di alcune fasi procedimentali del procedimento amministrativo, in particolare quella istruttoria.

Giova, ancora segnalare il d.l. 6 luglio 2012 n. 95, convertito con modifiche dalla l. 7 agosto 2012 n. 135, che è finalizzato, non solo al contenimento della spesa pubblica, ma anche all’ottimizzazione delle procedure e delle articolazioni dello Stato, inclusa quella giudiziaria, nonchè all’accorpamento o alla dismissione degli enti non necessari e alla progressiva riduzione della spesa, privilegiando la distribuzione nazionale delle pubbliche amministrazioni.

L’art. 24 del d.l. n. 90/2014, nel testo modificato dalla legge di conversione n. 114/2014, ha previsto che, entro il 31 ottobre 2014, il Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, previa intesa con la Conferenza Stato, regioni, province autonome e autonomie locali, il cronoprogramma per la loro attivazione.

Detta agenda contempla, tra l’altro, la sottoscrizione di accordi e intese ai sensi dell’art. 9 del Dlgs 281/1997 e dell’art. 8 della legge 5 giugno 2003 n. 131, al fine di coordinare le iniziative e le attività delle amministrazioni interessate e di proseguire l’attività per l’attuazione condivisa delle misure contenute nel d.l. 9 febbraio 2012 n. 5.

A tal fine è istituito, presso la Conferenza unificata, di cui all’art. 8 del d.lgs n. 281 del 1997, un apposito comitato interistituzionale e sono individuate le forme di consultazione dei cittadini, delle imprese e delle loro associazioni.

L’art. 24 comma 2 del d.l. n. 90/2014 ha anche disposto che entro 180 giorni dall’entrata in vigore dello stesso decreto le amministrazioni statali, ove non abbiano già provveduto, devono adottare con decreto del Ministro competente, di concerto con il Ministro delegato per la semplificazione e la Pubblica Amministrazione, sentita la Conferenza Unificata, moduli unificati e strandardizzati su tutto il territorio nazionale per la presentazione di istanze, dichiarazioni e segnalazioni da parte dei cittadini e delle imprese, che possono essere utilizzati da cittadini e imprese decorsi 30 giorni dalla pubblicazione dei relativi decreti.

Il comma 3 dell’art. 24 ha poi previsto che entro 180 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione dello stesso d.l. n. 90 del 2014, le amministrazioni devono approvare un piano di informatizzazione delle procedure per la presentazione di istanze, dichiarazioni e segnalazioni che permetta la compilazione on line con procedure guidate accessibili tramite autenticazione con il sistema pubblico per la gestione dell’identità digitale di cittadini e imprese (cd. Spid).

Nel solco delle riforme tese a semplificare l’azione amministrativa, aventi la finalità di snellire le procedure onde evitare arresti procedimentali a causa dell’inerzia della pubblica amministrazione, si colloca, come già anticipato, e che sarà oggetto di trattazione dettagliata nel prosieguo, il nuovo art. 17 bis della legge 241/1990, introdotto dalla legge n. 124/2015, cd. ” Legge Madia”.

La norma in oggetto, innovando il precedente quadro normativo, instroduce l’ipotesi, prima sconosciuta, del regime del silenzio assenso tra pubbliche amministrazioni, ancorchè esse siano preposte alla tutela di interessi sensibili come l’ambiente, il paesaggio, i beni culturali o la salute.

La sensazione suscitata dalla norma in oggetto è quella di un rafforzamento degli strumenti di semplificazione procedimentale, con conseguente “normalizzazione” degli interessi fragili, quali quello ambientale o paesaggistico, per il perseguimento dell’interesse all’accelerazione dei procedimenti per il funzionamento dei mercati.

Il novum legislativo ha, infatti, immediatamente suscitato l’interesse degli studiosi, che ne hanno sollevato le criticità che introduce a livello ordinamentale, tanto da richiedere, all’indomani della sua introduzione, un parere chiarificatore del Consiglio di Stato.

L’art. 17 bis è considerato il completamento dell’evoluzione normativa sopra tratteggiata, con la quale è stata progressivamente fluidificata l’azione amministrativa, per scongiurare gli effetti negativi e paralizzanti derivanti dall’inerzia della pubblica amministrazione.

Il legislatore, ha intrapreso questa strada dapprima disciplinando i rapporti tra pubblica amministrazione e privati, mediante la previsione dell’art. 20 l. 241/1990.

L’esigenza di riempire legislativamente di contenuto l’inerzia amministrativa, non è dettata da una sorta di premialità nei confronti della omessa azione da parte della pubblica amministrazione, ma al contrario sottolinea plasticamente “la natura patologica e la valenza fortemente negativa che connota il silenzio amministrativo, sia che esso venga in rilievo nei rapporti verticali (tra cittadino e amministrazione), sia che maturi nell’ambito di un rapporto orizzontale con un’altra amministrazione co – decidente”.25

In realtà, infatti, il meccanismo del silenzio – assenso, svuotando di potere la Pubblica Amministrazione rimasta inerte, rappresenta “la più grave delle sanzioni” o “il più efficace dei rimedi”, che si traduce nella perdita del potere di provvedere su una questione di sua competenza, equiparando il silenzio – assenso ad un provvedimento espresso.

Infatti, se il procedimento è il luogo nel quale l’Amministrazione governa la complessità, il processo di semplificazione viene a determinarne per definizione una dequotazione, un arretramento, frutto di un intervento che non ha ad oggetto semplicemente le fasi procedurali, ma va ad incidere su quella stessa complessità degli interessi che dovrebbe essere amministrata attraverso il procedimento: e ciò avviene in favore di un assetto diverso ridotto e precostituito a monte dal legislatore e inteso come rimedio all’inefficienza della P.a.

Giova evidenziare che la semplificazione amministrativa in Italia pone problemi ulteriori rispetto a quelli posti dagli altri ordinamenti occidentali.

Le problematiche di cui sopra attengono a diversi fattori riconducibili alle modalità ed alle tecniche di semplificazione.

Ci si riferisce, in primis, al fatto che la tecnica della semplificazione procedimentale non risulta facile, poichè conducono, ad una commistione tra contesti diversi da quello in cui vengono inseriti.

Ci si riferisce, a titolo esemplificativo, al d.lgs 159/2011, recante il codice antimafia, il quale prevede un livello di attenzione diverso, nella prevenzione dei fenomeni mafiosi, a seconda che l’attività economica richieda un provvedimento amministrativo, oppure rientri nei modelli di liberalizzazione, come la s.c.i.a.

L’effetto provocato dalla distinzione del livello di attenzione è quello per cui in molti settori economici di rilievo per il rischio di infiltrazioni mafiose, in cui è possibile agire mediante una mera dichiarazione del privato, risulta privo di effetti il modello antimafia.

La seconda delle problematiche suscitate dalla semplificazione procedimentale in Italia, è rappresentata dalla confusione tra i diversi istituti, che conseguentemente creano ambiguità.26

Infine, la semplificazione procedimentale in Italia è connotata negativamente, anche a causa della difficoltà di incasellamento della nozione di procedimento all’interno del principio di legalità.

Come ricordato all’inizio del presente lavoro, infatti, uno dei principi cardine dell’intera azione amministrativa è rappresentato dalla sottoposizione a legge di ogni atto amministrativo.

Conseguentemente, la semplificazione procedimentale dovrebbe essere tipizzata e ricadere per intero sotto le previsioni legislative.

Tuttavia, accade che vi è la presenza di molte elencazioni semi – ufficiali di procedimenti, previsti in circolari amministrative o addirittura in prassi.

In tale ultimo caso, la semplificazione procedimentale diventa incompatibile con il principio di legalità, poichè, mancandone la tipizzazione legislativa, non è possibile assicurare la semplificazione, poichè non più gestibili e contrastanti con il principio di legalità.

CAPITOLO II

IL SILENZIO ASSENSO TRA PUBBLICHE AMMINISTRAZIONI AI SENSI DELL’ART. 17 BIS DELLA LEGGE 241/1990

Sommario: 1. Il silenzio – assenso ex art. 20 della l. 241/1990; 2. La disciplina dell’art. 17 bis della legge 241/1990; 3. L’ambito di applicazione dell’art. 17 bis della legge 241/1990.

1. IL SILENZIO – ASSENSO EX ART. 20 DELLA L. 241/1990

Come anticipato nel capitolo precedente, il legislatore è intervenuto con la legge 124/2015, inserendo nella legge sul procedimento amministrativo – la legge 241/1990, l’art. 17 bis, recante la disciplina sul silenzio – assenso tra pubbliche amministrazioni.

Prima di procedere all’esame del novum legislativo, giova riepilogare brevemente la disciplina di cui all’art. 20 della l. 241/1990 in materia di silenzio – assenso, al fine di poter cogliere le criticità che la norma in oggetto ha introdotto.

E’ noto che il silenzio è qualificabile come un contegno della pubblica amministrazione a fronte di un’attività dovuta e che lo stesso è diversamente configurabile come silenzio inadempimento (o rifiuto), laddove non ne sia stabilita una conseguenza tipizzata dall’ordinamento, ovvero come silenzio significativo, allorchè la legge espressamente colleghi un contenuto al comportamento dell’amministrazione. Quest’ultimo, a sua volta, sarà distinguibile in assenso o in diniego a seconda della natura della conseguenza stabilita dalla legge.

Dette due ultime ipotesi sono di regola qualificabili come silenzio provvedimentale in quanto l’ordinamento stabilisce un’equiparazione del comportamento inerte all’adozione di un provvedimento espresso.

Da questo va tenuto distinto il silenzio procedimentale il quale, invece, si forma all’interno di procedimenti coomplessi che vedono coinvolte più amministrazioni: allorchè si preveda l’intervento di tali soggetti, un loro comportamento inerte preclude – fermo quanto si vedrà in seguito – lo svolgimento del segmento procedimentale successivo determinando così un arresto dell’iter di formazione del provvedimento finale.

In linea generale la condotta omissiva realizzatasi all’interno dell’iter procedimentale determina una interruzione del procedimento.

Tale condizione può produrre due diverse tipologie di conseguenze: in linea generale la possibilità per il privato che si assuma leso dall’inerzia procedimentale di agire avverso il silenzio e, in alcuni casi espressamente disciplinati dall’ordinamento, la possibilità per l’amministrazione di prescindere dall’acquisizione dell’atto endoprocedimentale.

Il silenzio – assenso, diversamente dal silenzio rifiuto o inadempimento, costituisce un tipico rimedio previsto dal legislatore per prevenire il prodursi di conseguenze negative collegate all’inerzia amministrativa.27

Sulla natura giuridica del silenzio – assenso, si sono contrapposti due diversi orientamenti.

Secondo la prima e prevalente impostazione, tuttora predominante, si tratta di un comportamento legalmente tipizzato, equiparato quoad effectum, ad un provvedimento di accoglimento dell’istanza, rientrante nel più generale principio della semplificazione amministrativa, volto a ridurre le stasi procedimentali derivanti dall’inerzia della pubblica amministrazione.

L’adesione all’orientamento appena descritto, comporta l’assoggettamento all’ordinario regime di impugnazione previsto per i provvedimenti amministrativi, poichè vi è la possibilità per il soggetto che si assuma leso dal provvedimento formatosi per silentium, di censurarne l’illegittimità attraverso il ricorso nel termine di sessanta giorni dalla conoscenza del provvedimento tacito.

Distinta questione è quella che riguarda la possibilità di agire innanzi al giudice amministrativo per contestare preventivamente la possibilità che si formi il silenzio da parte del controinteressato.

Fino ad un recente passato, la giurisprudenza sul punto era unanime nel sancire l’inammissibilità di una pronuncia di accertamento sul silenzio, non essendo prevista tra le azioni proponibili innanzi al Giudice Amministrativo.

Tuttavia, l’orientamento della giurisprudenza più recente, supportato anche dall’introduzione del codice del Processo Amministrativo, sostiene l’ammissibilità di azioni atipiche per la tutela dell’interesse legittimo, inteso quale posizione soggettiva di vantaggio, tra le quali l’azione di accertamento atipico, non prevista neanche dal codice di procedura civile, ma da sempre ritenuta ammissibile.28

Si riconosce, pertanto, al terzo che si assuma leso dalla formazione del silenzio, la facoltà di non attendere l’operatività del provvedimento tacito ed agire tempestivamente per vedere accertata, mediante una pronuncia dichiarativa, l’impossibilità di formazione del silenzio assenso.

Per altra impostazione, ormai recessiva, il silenzio – assenso è un atto amministrativo tacito o un comportamento concludente, recante manifestazione di volontà implicita della Pubblica Amministrazione.29

Tale tesi è stata criticata ed abbandonata, in base al rilievo per cui, diversamente dagli atti impliciti e taciti, il silenzio – assenso non costituisce una manifestazione (tacita o implicita) di volontà della Pubblica Amministrazione, poichè la qualificazione dell’inerzia in termini di accoglimento dell’istanza deriva direttamente dalla legge.

Come è stato osservato, tramite il meccanismo del silenzio – assenso, si attribuisce ad una condotta inerte della pubblica amministrazione un contenuto di segno positivo.

Ai sensi dell’art. 20 della legge 241/1990, nella sua attuale formulazione, al di fuori delle ipotesi regolate dall’art. 19 della l. 241/1990 (in materia di S.C.I.A.), il silenzio dell’amministrazione competente, superato il termine di trenta giorni, equivale a provvedimento di accoglimento della domanda.

Ne deriva, pertanto, che il campo di applicazione della disciplina coincide con i procedimenti ad istanza di parte.

Nell’attuale impianto della legge 241/1990, il silenzio – assenso perde il carattere di istituto eccezionale, destinato ad operare nelle ipotesi tassativamente previste, per divenire istituto di carattere generale, pertanto, applicabile a tutte le ipotesi per le quali non vi sia una espressa esclusione legislativa.

La generalizzazione delle ipotesi di silenzio – assenso, in luogo della predisposizione di elenchi tassativi, ha provocato il manifestarsi di problemi di incertezze.

Ciò è stato determinato dalla presenza di formule generali anche per l’individuazione delle deroghe a tali modelli, comportando margini concreti di incertezza sul regime applicabile.

L’utilizzo di formule generali nella definizione dell’ambito di efficacia degli istituti, si è tradotto nell’attribuzione all’amministrazione di margini indebiti di potere, pur in un contesto che era caratterizzato dalla volontà di ridimensionare lo spazio del potere amministrativo e di rivedere i processi decisionali.30

Nei Paesi europei si cerca di limitare il potere della pubblica amministrazione, mediante la predisposizione di elenchi tassativi, che prevedano le materie oggetto di silenzio assenso.

In realtà, anche tale operazione, si traduce in una mancata dequotazione del potere amministrativo, in quanto gli elenchi costituiscono pur sempre il risultato di operazioni di selezione effettuati dalla pubblica amminitrazione.

Nell’ambito italiano, il legislatore ha escluso espressamente dall’ambito di applicazione del silenzio – assenso due ipotesi.

In primo luogo, la formazione del silenzio – assenso è esclusa allorchè l’amministrazione avvii una procedura di conferenza di servizi entro trenta giorni dalla domanda.

Utilizzando l’art. 20, comma 2, l’espressione “può indire”, deve ritenersi che l’eccezione riguardi le ipotesi di conferenza di servizi facoltativa.31

E’ lo stesso avvio del procedimento di conferenza a costituire indice della necessità di una valutazione comparativa di interessi e, quindi, di una espressa determinazione in merito.

Non trova applicazione il silenzio – assenso in una serie di ulteriori ipotesi, individuabili per categorie di materie o di norme:

a) gli atti e i procedimenti riguardanti le materie sensibili del patrimonio culturale e paesaggistico, dell’ambiente, della difesa nazionale, della pubblica sicurezza e dell’immigrazione, della salute e della pubblica incolumità, che, in considerazione della rilevanza costituzionale degli interessi ad esse sottesi, devono essere oggetto di un’espressa determinazione amministrativa, non essendo possibile utilizzare meccanismi di equiparazione al provvedimento espresso di comportamenti inerti;32

b) i casi in cui la normativa comunitaria impone l’adozione di provvedimenti amministrativi formali.

In proposito, è stato osservato 33che la disposizione non riguarda le ipotesi in cui la normativa comunitaria impone espressamente un provvedimento amministrativo formale.

Il riferimento è, al contrario, alle ipotesi in cui è indispensabile una espressa valutazione amministrativa, come un accertamento tecnico o una verifica.

Alla luce di quanto sopra, pertanto, il silenzio – assenso, non può trovare applicazione in tutti i casi in cui sussiste la necessità di svolgere una specifica attività istruttoria, sia in considerazione degli interessi coinvolti, sia perchè la stessa normativa affida all’autorità procedente il potere di imporre prescrizioni e cautele a riprova che è richiesto un provvedimento ad hoc;

c) i casi in cui la legge qualifica il silenzio dell’amministrazione come provvedimento di rigetto dell’istanza;

d) i casi in cui una disposizione regolamentare, ovvero atti e procedimenti individuati con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro per la Funzione Pubblica, di concerto con i Ministri competenti, escludono l’applicazione del silenzio – assenso.

I decreti in questione, essendo diretti a determinare in via generale ed astratta la disciplina applicabile ad una serie di procedimenti, hanno natura regolamentare.

Non si tratta, tuttavia, di regolamenti di delegificazione, difettando dei requisiti formali e sostanziali di cui all’art. 17, comma 2, l. 23 agosto 1988, n. 400; gli stessi, peraltro, non delegificano un determinato settore, limitandosi a mantenere il regime legislativo preesistente.34

Eccettuate le ipotesi sopra menzionate, dunque, il silenzio – assenso ex art. 20 l. 241/1990 rappresenta la regola generale, con la conseguenza che la posizione della pubblica amministrazione rispetto all’adozione del provvedimento è qualificabile in termini di “onere”: essa è tenuta all’adozione dell’atto unicamente al fine di conservare la possibilità di adottare un provvedimento di segno negativo.

In caso di inerzia si viene a consolidare l’assetto di interessi richiesto dal privato come già astrattamente configurato dalla legge e l’amministrazione consuma il potere di adottare un provvedimento in forma espressa.

Come per ogni altro provvedimento amministrativo, l’amministrazione conserva, tuttavia, un generale potere di autotutela attraverso l’annullamento ex art. 21 nonies ovvero la revoca ex art. 21 quinquies del provvedimento formatosi con silenzio.

Laddove, nonostante la consumazione del potere, l’amministrazione adotti comunque il provvedimento di diniego dell’istanza questo dovrà essere considerato – secondo l’orientamento dominante – annullabile, tenuto conto che in virtù delle novità legislative, l’amministrazione ha perduto, sì, il potere di pronunciarsi successivamente, ma non quello di regolare comunque la vicenda.

Poste tali premesse generali in merito all’operatività del silenzio – assenso, è utile procedere ad un’analisi del nuovo art. 17 bis.

2. LA DISCIPLINA DELL’ARTICOLO 17 BIS DELLA LEGGE 241/1990

L’art. 3 della legge 124/2015, cd “Riforma Madia”, introduce nella legge generale sull’azione amministrativa l’art. 17 bis, recante “silenzio assenso tra amministrazioni pubbliche e tra amministrazioni pubbliche e gestori di beni o servizi pubblici”.35

Il nuovo articolo 17 bis introdotto dalla l. 124 del 2015 contiene una disciplina del silenzio assenso applicabile per la formazione e l’acquisizione di atti endoprocedimentali tra le amministrazioni pubbliche.

L’art. 17 bis è stato inserito nella l. 241/1990, senza passare attraverso il filtro della delegazione legislativa, nonostante il fatto che l’art. 2 della legge Madia, prevedesse espressamente il compito di coordinare la disciplina recata dall’art. 17 bis, con quella della conferenza di servizi.36

Il fondamento normativo del silenzio – assenso ex art. 17 bis è stato individuato in ottica eurounitaria, costituzionale e sistematica.

La derivazione eurounitaria dell’art. 17 bis, si coglie dal raffronto con la direttiva 2006/123/Ce, sui “Servizi nel mercato interno” (cd. Direttiva Bolkestein), che, al considerando 43, art. 13, par. 4, della direttiva, al fine di prevenire gli effetti negativi sul mercato derivanti dall’incertezza giuridica, anche sotto il profilo dell’incertezza temporale, delle procedure amministrative, opera nella duplice direzione di limitare il regime della previa autorizzazione amministrativa ai casi in cui essa è indispensabile e di introdurre il “principio della tacita autorizzazione” (ovvero la regola del silenzio – assenso) “da parte delle autorità competenti allo scadere di un termine determinato”.37

Sul piano costituzionale, il fondamento del meccanismo di semplificazione deve essere rintracciato nell’art. 97 Cost., relativamente al principio di buon andamento della Pubblica Amministrazione, nella sua chiave di lettura più moderna, e cioè inteso nel senso di soddisfare l’esigenza di assicurare il primato dei diritti della persona, dell’impresa e dell’operatore economico rispetto a qualsiasi forma di mero dirigismo burocratico.

Potrebbe obiettarsi a tale ricostruzione che nel caso discplinato dall’art. 17 bis, l’esigenza del soddisfacimento degli interessi dei soggetti che operano nel mercato non debba essere presa in considerazione, poichè si tratta di rapporti orizzontali tra pubbliche amministrazioni e non di rapporti tra pubblica amministrazione e privato.

E tuttavia, come più volte chiarito dalla giurisprudenza costituzionale, l’attività amministrativa è da qualificare come “prestazione” diretta al soddisfacimento dei diritti civili e sociali, il cui livello essenziale delle prestazioni può essere unitariamente predeterminato dallo Stato attraverso la previsione di adeguati meccanismi di semplificazione.38

Dall’art. 97 della Costituzione, per quel che riguarda il profilo sistematico del fondamento costitutivo dell’art. 17 bis, è ricavabile anche un altro principio informatore dell’attività amministrativa, ovvero quello della trasparenza.

Più precisamente, un’amministrazione è trasparente quando, ancor prima di rendere ostensibili ai cittadini dati e documenti, evita qualsiasi forma di opacità o di ambiguità, assumendo decisioni espresse.

L’antitesi della trasparenza è rappresentata proprio dal silenzio, poichè essendo un non comportamento, risulta non ostensibile ai privati.39

Ciò posto quanto alla ratio giustificatrice dell’art. 17 bis, occorre analizzare la disciplina introdotta attraverso la novella legislativa.

Prima di questo intervento normativo, come sopra richiamato, il perimetro applicativo del silenzio assenso concerneva esclusivamente i procedimenti preordinati al rilascio dei provvedimenti ad istanza di parte, con riferimento ai quali si attribuiva all’inerzia della pubblica amministrazione effetti equipollenti a quelli di un provvedimento di assenso.

Quanto a collocazione all’interno della legge generale, il silenzio – assenso tradizionale ed il nuovo silenzio cd. endoprocedimentale sono significativamente entrambi disciplinati all’interno del capo IV dedicato alla semplificazione dell’azione amministrativa, unitamente agli istituti della conferenza di servizi, degli accordi e della s.c.i.a.

Finalità della disciplina del silenzio significativo complessivamente considerata è, come già ricordato, di evitare la stasi amministrativa, obiettivo al quale efficacemente si perviene attribuendo alla medesima stasi un effetto di carattere provvedimentale, mediante l’equiparazione fra l’inerzia ed il provvedimento di segno positivo.

Il nuovo silenzio – assenso cd. “endoprocedimentale”, si inscrive anch’esso tra gli istituti preordinati a dare risposta all’esigenza, sempre più avvertita, di semplificazione amministrativa e di riconoscimento del valore tempo nell’ambito dell’agire amministrativo.

L’istituto nasce dotato di una rilevante portata applicativa: in primo luogo l’inerzia endoprocedimentale acquista natura di comportamento significativo anche nei rapporti tra pubbliche amministrazioni; sotto diverso profilo il silenzio non si limita più a sostituire il provvedimento finale nei procedimenti ad istanza di parte, ma è destinato a divenire la regola anche con riferimento a procedimenti avviati di ufficio.

Quanto al contenuto, l’art. 17 bis prevede che, in tutti i casi in cui è richiesta l’acquisizione di assensi, concerti o nulla osta comunque denominati per l’adozione di provvedimenti normativi e amministrativi, tali atti si intendono acquisiti ove le amministrazioni che debbono renderli non provvedano nel termine di trenta giorni dal ricevimento dello schema di provvedimento.

L’intenzione del legislatore, dalla lettura della norma sembra quella di inserire un meccanismo di sostituzione generalizzata rispetto a tutti quegli atti che indipendentemente dal nomen appaiono riconducibili alla categoria degli atti di assenso.

Fra questi possono annoverarsi, senz’altro, quegli atti di mero assenso il cui contenuto, cioè, può essere esclusivamente di segno positivo o di segno negativo, senza che sia necessario, da parte dell’amministrazione chiamata a renderli, lo svolgimento di attività di carattere valutativo o di accertamento.

Meno agevole è stabilire la riconducibilità o meno al silenzio endoprocedimentale di quegli atti che presuppongano, necessariamente, un apprezzamento di carattere specialistico da parte dell’amministrazione.

Rispetto a questi ultimi potrebbe, infatti, dubitarsi della qualificabilità come atti di assenso.

Nell’ipotesi sopra descritta, la necessità di un’attività di carattere valutativo potrebbe assumere rilievo prioritario rispetto alle esigenze di semplificazione ed accelerazione e varrebbe, così, ad escludere la sostituibilità dell’atto con il silenzio significativo.40

Coordinando, dunque, le disposizioni e fatti salvi eventuali interventi di chiarimento da parte del legislatore, può desumersi che dal perimetro di applicazione del nuovo silenzio – assenso endoprocedimentale di cui al nuovo 17 bis, debbano rimanere esclusi i pareri e le valutazioni di carattere tecnico.

Ben più complesso il rapporto tra il nuovo silenzio – assenso e la disciplina in materia di conferenza di servizi obbligatoria, di cui all’art. 14 della legge n. 241/1990.

invero, tale disposizione sancisce che: “la conferenza di servizi è sempre indetta quando l’amministrazione procedente deve acquisire intese, concerti, nulla osta comunque denominati di altre amministrazioni e non li ottenga, entro trenta giorni dalla ricezione della relativa richiesta”.

Orbene, il perimetro applicativo della conferenza di servizi obbligatoria appare del tutto coincidenza con quello del silenzio assenso endoprocedimentale, come delineato dal primo comma dell’art. 17 bis.

Dunque, non è chiaro, stante la sostanziale identità del perimetro applicativo delle due disposizioni, in base a quale criterio operi ciascuno dei due meccanismi e non l’altro, trattandosi, peraltro, di due modalità sostanzialmente opposte.

E’ verosimile che la questione si comporrà all’esito dell’adozione del decreto attuativo di cui all’art. 2 della l. 6 agosto 2015 n. 124, il quale espressamente detta, fra i criteri direttivi, la ridefinizione e riduzione dei casi di convocazione obbligatoria della conferenza di servizi, nonchè la riduzione dei termini di svolgimento della stessa in un’evidente ottica complessiva di ridimensionamento della portata dell’istituto.

3. L’AMBITO DI APPLICAZIONE DELL’ART. 17 BIS L. 241/1990

Il nuovo silenzio previsto dall’art. 17 bis è destinato a trovare applicazione nei rapporti tra le amministrazioni ed in particolare tra l’amministrazione chiamata ad adottare il provvedimento finale e le altre che debbono prendere parte al procedimento.

Per quel che riguarda la natura dei provvedimenti finali, l’art. 17 bis fa espresso riferimento ai provvedimenti di natura amministrativa e a quelli normativi.

Ne deriva l’estensione della disciplina anche nei confronti dei procedimenti preordinati all’adozione di atti di natura regolamentare, in un’ottica generale di semplificazione e velocizzazione dei processi, che involgono, a qualunque titolo, l’agire pubblicistico.

Secondo la norma di nuovo conio, la decorrenza del termine per la formazione del silenzio assenso endoprocedimentale presuppone l’invio da parte dell’amministrazione procedente di uno schema di provvedimento.

Si tratta di una locuzione diffusa nella prassi amministrativa la quale, tuttavia, non conosce una definizione normativa.

Lo schema di provvedimento è noto alle amministrazioni come un prospetto nel quale viene riportato in maniera sintetica il contenuto dell’atto finale, ove l’amministrazione richiesta condivida il contenuto dello schema si limita ad assentirvi.

Il concetto di schema di provvedimento appare strettamente funzionale alla delimitazione del concetto di atto di assenso e, dunque, del perimetro complessivo di applicazione del silenzio assenso endoprocedimentale.

Sul punto, è stato osservato, infatti, che può formarsi il silenzio solamente con riguardo agli atti di assenso, intendendosi per tali quello attraverso cui l’amministrazione richiesta può solo aderire od opporsi, senza margini ulteriori di apprezzamento, alla prospettazione dell’amministrazione procedente come elaborata nello schema di provvedimento. In senso speculare, può formarsi silenzio endoprocedimentale solo laddove la richiesta di assenso sia stata strutturata attraverso uno schema incorporante il provvedimento adottando.

Da ultimo, con riguardo allo schema di provvedimento e alla sua imprescindibilità ai fini della formazione del silenzio, può operarsi un raffronto con la disciplina del silenzio assenso di cui all’art. 20 l. 241/1990.

Quest’ultima, com’è noto, presuppone che la domanda di cui trattasi sia corredata di tutta la documentazione prevista dalla normativa di settore, dovendo l’istante dimostrare il possesso di tutte le condizioni di carattere oggettivo e dei requisiti soggettivi richiesti ai fini del conseguimento del provvedimento autorizzatorio.

Attraverso tale meccanismo, nel silenzio assenso ex art. 20 l. 241/1990, si assicura che la formazione tacita del provvedimento avvenga comunque in conformità con l’interesse pubblico alla cui cura è preposta l’amministrazione.

Ebbene, in senso analogo si potrebbe affermare che, nella struttura delineata dall’art. 17 bis, la predisposizione dello schema di provvedimento e la sua conoscenza da parte dell’amministrazione partecipante, valgano a tutelare la conformità del provvedimento finale rispetto agli interessi che ciascuna amministrazione è chiamata a tutelare.

Il secondo comma dell’art. 17 bis stabilisce che, in caso di mancato accordo tra le amministrazioni statali coinvolte, sia il Presidente del Consiglio dei Ministri, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, a decidere sulle modifiche da apportare allo schema di provvedimento.

In sostanza, laddove vi sia il dissenso espresso dell’amministrazione coinvolta, si individua il vertice del potere esecutivo come soggetto incaricato di dirimere il contrasto.

Anche questa previsione ha una evidente finalità semplificatoria e acceleratoria, sebbene possa, in chiave critica, rilevarsi una distanza di rilievo tra l’amministrazione procedente ed il soggetto apicale chiamato a subentrare.

Il meccanismo ricalaca quello previsto in materia di dissenso nella conferenza di servizi, nonostante la succitata problematica in materia di sovrapposizione degli ambiti applicativi delle due discipline.

A norma del terzo comma dell’art. 17 bis, il nuovo istituto è destinato a trovare applicazione anche nei confronti di amministrazioni preposte alla tutela di ambiente, paesaggio, territorio e salute, previo decorso di un termine lungo pari a novanta giorni.41

Il terzo comma dell’art. 17 bis, come si approfondirà oltre, ha suscitato una serie di dubbi e criticità in merito alla compatibilità della normativa richiamata, sia con la legislazione comunitaria, sia con istituti appartenenti al diritto nazionale, quale il silenzio – assenso ordinario, nella parte in cui viene espressamente escluso che possa formarsi il silenzio – assenso in materie attinenti ad interessi sensibili.

Di dubbia portata, la sorte degli atti endoprocedimentali in materia di difesa nazionale, pubblica sicurezza, immigrazione, asilo, cittadinanza, pubblica incolumità, materie rispetto alle quali manca tanto un’espressa esclusione dall’ambito di applicazione del meccanismo (come, invece, avviene nell’art. 20), quanto un’espressa inclusione, al pari delle materie elencate nel terzo comma.

In assenza di una espressa disciplina e di coordinate giurisprudenziali, sembrerebbe preferibile l’opzione interpretativa escludente, anche sulla base del principio ubi lex voluit.

Ancora, il quarto comma dell’art. 17 bis esclude l’applicabilità del nuovo istituto nelle ipotesi in cui il diritto comunitario richieda l’adozione di un provvedimento formale.

Infine, giova considerare che la portata innovativa dell’istituto può apprezzarsi anche attraverso la lettura congiunta dell’art. 21 nonies, il quale, all’esito delle modifiche subite per effetto della legge 7 agosto 2015, n. 124, circoscrive l’annullamento in autotutela degli atti attributivi di vantaggi economici nella cornice temporale di diciotto mesi e contestualmente conferma, anche in tale rinnovato contesto, le responsabilità derivanti dall’adozione e dal mancato annullamento di provvedimenti illegittimi anche assunti in forma tacita.

Sebbene sia stato osservato che il nuovo silenzio – assenso sia destinato a trovare applicazione nei rapporti tra le amministrazioni, non può escludersene una rilevanza residuale nei confronti dei privati.

In questo senso, l’equiparazione dell’inerzia endoprocedimentale a un comportamento significativo, unitamente ad un termine per la rimozione degli effetti di provvedimenti illegittimi, producono un progressivo potenziamento delle responsabilità, conseguentemente si inscrivono nel solco degli interventi orientati ad offrire una maggior tutela delle posizioni e degli interessi pubblici e privati coinvolti dall’azione amministrativa.

CAPITOLO III

LE CRITICITA’ CONNESSE ALLA PREVISIONE DEL SILENZIO – ASSENSO TRA PUBBLICHE AMMINISTRAZIONI

Sommario: 1. Art. 17 bis e silenzio – assenso ordinario; 2. Rapporto tra art. 17 bis e il diritto europeo; 3. Art. 17 bis e conferenza di servizi ex art. 14 l. 241/1990, 4. Profili processuali e considerazioni conclusive.

La disciplina introdotta mediante l’inserimento dell’art. 17 bis all’interno della legge 241/1990, come già anticipato, ha suscitato critiche in relazione alla compatibilità della stessa normativi con taluni istituti di carattere nazionale (come il rapporto con la Conferenza di servizi, o con il silenzio – assenso ex art. 20 l. 241/1990) o unionale, relativo alla possibilità di emanare provvedimenti taciti in materie nelle quali vengano in gioco interessi sensibili.

Alcune delle questioni sollevate dall’introduzione dell’art. 17 bis, sono state recentemente esaminate dall’Adunanza della Commissione speciale del Consiglio di Stato del 23 giugno 2016.

Nonostante la finalità meritevole dell’art. 17 bis, cioè quella relativa alla velocizzazione e semplificazione dei procedimenti, è opportuno effettuare un’analisi delle problematiche connesse alla norma in oggetto, per esaminarne la tenuta costituzionale e comunitaria.

Nel prosieguo, pertanto, saranno esaminati distintamente i vari punti di frizione che la norma pone con i vari istituti sopra richiamati.

1. ART. 17 BIS E SILENZIO – ASSENSO ORDINARIO

Come già anticipato precedentemente, l’art. 17 bis, è destinato a trovare applicazione anche nei confronti di amministrazioni preposte alla tutela di ambiente, paesaggio territorio e salute, previo decorso di un termine lungo pari ai novanta giorni.

Tale specificazione suggerisce un confronto con il quarto comma del successivo art. 20 della l. 241/1990, il quale, per contro, espressamente esclude dall’ambito di applicazione del silenzio tradizionale, gli atti e procedimenti riguardanti il patrimonio culturale e paesaggistico, l’ambiente, la difesa nazionale, la pubblica sicurezza, l’immigrazione, l’asilo e la cittadinanza, la salute e la pubblica incolumità.

Sulla questione, già all’indomani dell’introduzione della norma in oggetto, si sono formati due distinti orientamenti.

Per un primo orientamento, fortemente critico nei confronti dell’estensione delle ipotesi di silenzio anche alle materie riguardanti interessi sensibili, risulta contraddittoria la differente disciplina tra le due ipotesi di silenzio, a seconda che sia riferito all’amministrazione procedente o all’amministrazione che interviene nel procedimento di altra amministrazione.

Per i fautori di questa impostazione, il punctum pruriens è rappresentato dal diverso trattamento degli interessi sensibili, poichè da una parte si vieta che un procedimento che abbia ad oggetto un interesse sensibile possa sfociare in un provvedimento per silentium, a causa dell’importanza e della delicatezza degli stessi.

Al contrario, si ammette, nelle ipotesi di silenzio endoprocedimentale, la dequotazione dell’importanza dell’interesse sensibile, ammettendone la acquisizione tramite silenzio.42

Altri commentatori, sostengono che la differente disciplina possa essere agevolmente spiegata alla luce del diverso livello di apprezzamento che è richiesto all’amministrazione laddove la sua azione consegue all’iniziativa privata e, per contro, alla portata pubblicistica dell’interesse che anima l’azione intrapresa dall’amministrazione procedente, trattandosi di rapporti orizzontali.

Sulla questione è intervenuto anche il Consiglio di Stato – Adunanza della Commissione speciale del 23 giugno 2016, esprimendo sul punto un parere di compatibilità nel differente trattamento legislativo.

Secondo l’Adunanza della Commissione speciale, infatti, da un lato vi sarebbe il dato letterale incontrovertibile (il comma 3 dell’art. 17 bis), che non lascerebbe alcuno spazio a dubbi interpretativi, essendo espressamente prevista la possibilità di definizione del procedimento mediante silenzio assenso.

In secondo luogo, il Consiglio di Stato utilizza, nell’ammettere la compatibilità tra due normative apparentemente in contrapposizione, le pronunce della Corte Costituzionale, nelle quali non è mai stato sancito un principio di insuperabile incompatibilità tra silenzio assenso e interessi pubblici sensibili, essendosi sempre limitata ad esaminare la questione dal punto di vista dei conflitti di attribuzione tra Stato e Regione.

Secondo il Consiglio di Stato, 43infatti, il Giudice delle Leggi nelle sentenze aventi ad oggetto gli interessi sensibili, si sarebbe limitato a precludere alla legislazione regionale la possibilità di introdurre ipotesi di silenzio – assenso in procedimenti aventi ad oggetto interessi sensibili.

Inoltre, il Consiglio di Stato, prova ad incasellare la possibilità di adottare un provvedimento per silentium, in materia di interessi sensibili, accreditando il silenzio nella moderna chiave di lettura dell’interesse primario, cioè quella dei diritti dell’impresa e del mercato, rispetto ai quali scolorano gli altri interessi della collettività, anche quelli più tipicamente differenziati, i quali subiscono, come bene è stato osservato, un processo di ” normalizzazione”.44

2. RAPPORTO TRA L’ART. 17 BIS E IL DIRITTO EUROPEO

La discussa disposizione di cui all’art. 17 bis, relativa alla possibilità per la pubblica amministrazione di definire il procedimento mediante silenzio – assenso anche nelle materie nelle quali siano in discussione interessi sensibili, ha sollevato critiche anche per quel che riguarda la possibilità di contrasto della citata norma con il diritto europeo.45

Più precisamente, coloro che ritengono che vi sia una contrapposizione con la disciplina unionale, sostengono che il contrasto nascerebbe da una violazione delle regole stabilite dalla Corte di Giustizia in materia di interessi sensibili, e più in particolare, in materia ambientale.

Occorre, pertanto, analizzare la posizione della Corte di Giustizia, nonchè la risposta che è stata data dal Consiglio di Stato al problema posto, e che potrebbe evitare soluzioni di incompatibilità tra il diritto nazionale e il diritto unionale.

La Corte di Giustizia ha sancito in diverse occasioni la necessità che le amministrazioni preposte alla tutela ambientale debbano concludere il procedimento con un provvedimento espresso, posto che l’interesse all’ambiente riveste una tale importanza, da richiedere sempre un’espressa valutazione da parte dell’autorità che dia conto dell’istruttoria svolta, non potendosi dequotare in tali materie il provvedimento espresso in una soluzione legislativamente prevista all’inerzia della pubblica amministrazione.

La medesima Corte di Giustizia ha più volte ribadito il principio sopra enunciato, secondo cui vi è l’esigenza di provvedimenti espressi in materia ambientale (a titolo esemplificativo e non esaustivo: autorizzazioni per il deposito di rifiuti, autorizzazioni per lo scarico di sostanze nei corpi idrici, autorizzazioni per emissioni in atmosfera, valutazioni di impatto ambientale), poichè l’autorizzazione tacita pone problemi di compatibilità con i caratteri e gli scopi delle direttive comunitarie.46

Nella medesima direzione si colloca anche una più recente sentenza della Corte di Giustizia del 10 aprile 2004 in C – 87/02, in relazione ad un’ipotesi di silenzio – assenso nelle procedure di verifica di assoggettabilità a VIA.

In questo caso la Corte afferma un altro concetto derivato dal Principio di Diritto Comunitario di Precauzione, in base al quale in materia ambientale occorre che l’istruttoria per valutare l’impatto di un intervento da autorizzare deve essere svolta effettivamente, altrimenti si verrebbe meno alla ratio della normativa ambientale che è quella della tutela preventiva dell’ambiente e della salute dei cittadini interessati.

In particolare, la Repubblica Italiana sosteneva che: “ sarebbe pertanto giustificato consentire alle autorità competenti di mantenere il silenzio laddove non sia necessaria una valutazione e imporre loro di provvedere formalmente solo laddove un progetto debba essere sottoposto a valutazione dell’impatto ambientale”.

Gli approdi interpretativi cui è pervenuta la Corte di Giustizia sono stati fatti propri in più occasioni, e anche di recente, dalla Corte Costituzionale.

In particolare, la Corte Costituzionale con una serie univoca di sentenze ha chiarito il principio secondo cui: ” nella materia ambientale vige un principio fondamentale, ricavabile da una serie di disposizioni, da interpretarsi unitariamente nel sistema, secondo cui il silenzio dell’amministrazione preposta al vincolo ambientale non può avere valore di assenso”.4748

La Corte Costituzionale, in una delle prime pronunce sul punto, ha ripreso i concetti espressi dalla Corte di Giustizia, sostenendo che in materia di smaltimento dei rifiuti si debba escludere il ricorso al silenzio – assenso, poichè si deve attendere alla cura di beni quali la salute e l’ambiente, che essendo beni costituzionalmente garantiti e protetti, non possono essere gestiti tacitamente.

Le affermazioni espresse in materia dalla Corte Costituzionale sono valorizzate anche dall’applicazione del principio del buon andamento della pubblica amministrazione ex art. 97 Cost, che non tollera provvedimenti assentiti in materie complesse caratterizzate da un alto grado di discrezionalità.

Giova richiamare in tale excursus giurisprudenziale, anche l’ultima delle sentenze emesse in materia dalla Corte Costituzionale.

Ci si riferisce alla sentenza n. 209/2014, relativa al silenzio assenso in materia di scarichi di fognatura.

Più precisamente, nel caso di specie, veniva posta all’attenzione del Giudice delle Leggi, la compatibilità costituzionale ddell’art. 1 comma 250 della legge della Regione Campania 15 marzo 2011 n. 4, nella parte in cui prevede che “l’autorità competente provvede entro sessanta giorni dalla ricezione della domanda. Se detta autorità risulta inadempiente nei termini sopra indicati, l’autorizzazione si intende temporaneamente concessa per i successivi sessanta giorni, salvo revoca”.

La Corte Costituzionale con la sentenza citata dichiarava l’illegittimità costituzionale della norma citata, ponendo alla base della propria decisione due distinte motivazioni.

In primis, rilevava la Corte Costituzionale che nell’ipotesi sottopostale vi era la violazione della competenza esclusiva statale in materia di ambiente, poichè tale legge determinava livelli di tutela ambientale inferiori rispetto a quelli previsti dalla legge statale.49

In secundis, e principalmente ai fini che qui interessano, la Corte Costituzionale dichiarava l’illegittimità dell’art. 1 comma 250 della legge della Regione Campania n. 4/2011, per violazione dell’art. 20 comma 4 della legge n. 241/1990, che esclude l’applicabilità del silenzio assenso in materia ambientale.

L’esigenza di espletare una istruttoria completa in materia ambientale, è evidenziata anche dal Consiglio di Stato nella sentenza n. 5188 del 28 ottobre 2013.

Nella pronuncia menzionata, il Consiglio di Stato ha statuito che: “è evidente che l’intervento dell’art. 20 della l. 241/1990, come successivamente modificato, determina che il regime del silenzio – assenso non trovi applicazione in materia di tutela ambientale”.

Alla luce della giurisprudenza sia nazionale che comunitaria richiamata e del possibile conflitto che può ingenerarsi tra la novella legislativa e il principio di “primazia” comunitaria, occorre interrogarsi sulla possibilità della compatibilità di tale previsione con i principi sopra richiamati.

Sulla questione, la chiave di volta per l’armonizzazione dell’ordinamento nazionale e comunitario potrebbe essere rappresentata dal comma 4 dell’art. 17 bis della l. 241/1990.

Più precisamente, il comma 4 in commento dispone che: “le disposizioni del presente articolo non si applicano nei casi in cui disposizioni del diritto dell’Unione Europea richiedano l’adozione di provvedimenti espressi”.

Per alcuni50, “la clausola di salvaguardia inserita all’ultimo comma per la quale il regime del silenzio assenso non varrebbe nell’ipotesi in cui il diritto europeo richieda provvedimenti espressi, appare come una foglia di fico, la cui introduzione appare senz’altro assai intelligente, ma contrasta con l’esigenza di chiarezza e certezza delle norme giuridiche”.

La questione della compatibilità della previsione di cui all’art. 17 bis relativamente alla possibilità di concludere il procedimento con il silenzio – assenso in caso di interessi sensibili, con il diritto unionale è stata vagliata anche dal Consiglio di Stato, in sede di Adunanza della Commissione speciale del 23 giugno 2016.

Il Consiglio di Stato nel cercare la soluzione alla predetta frizione tra diritto nazionale e comunitario, valorizza il rango delle norme unionali all’interno del nostro ordinamento.

Tralasciando in questa sede il dibattito tra la teoria monistica o dell’integrazione e la teoria della separatezza tra i due ordinamenti, in ogni caso, occorre tenere in considerazione il principio della cd “primazia” del diritto comunitario rispetto a quello nazionale.

Con l’espressione “primazia del diritto comunitario”, si intende quel principio per cui in caso di conflitto, di contraddizione o di incompatibilità tra norme di diritto comunitario e norme nazionali, le prime prevalgono sulle seconde.

Conseguentemente, alla luce di tale principio, il Consiglio di Stato sostiene che: “il principio di primazia del diritto dell’Unione europea in tali casi impone – a prescindere, peraltro, dalla natura ” sensibile” o “primaria” dell’interesse pubblico tutelato – l’applicazione del silenzio assenso che risulti incompatibile con puntuali disposizioni comunitarie che prevedono l’assenso espresso”.

Applicando le coordinate sopra enunciate, pertanto, il Consiglio di Stato giunge alla conclusione secondo cui il comma 4 dell’art. 17 bis risulti essere, da una parte superfluo e dall’altro incompleto.

Ad avviso del Consiglio di Stato, infatti, “Sia pur giustificata dall’esigenza di assicurare (con una previsione di chiusura) la compatibilità comunitaria del nuovo meccanismo di semplificaizone, la disposizione è scarsamente utile in quanto l’inapplicabilità della norma nazionale in presenza di disposizioni eurounitarie contrastanti, già si impone in ragione del principio di primazia del diritto dell’unione europea e non richiede previsioni espresse da parte del legislatore nazionale.

D’altro canto, va precisato che il limite all’applicabilità della norma derivante da un eventuale contrasto con il diritto dell’Unione Europea va inteso in senso ampio, risultando, ad esempio, ostativa all’applicazione della norma anche la sua contrarietà con le sentenze rese dalla Corte di Giustizia.

Occorre, a tal proposito, ricordare che le sentenze pregiudiziali interpretative della Corte di Giustizia hanno la stessa efficacia vincolante delle disposizioni interpretate: la decisione della Corte resa in sede pregiudiziale, dunque, oltre a vincolare il giudice che ha sollevato la questione, spiega i propri effetti anche rispetto a qualsiasi altro caso che debba essere deciso in applicazione della medesima disposizione di diritto.

Ai fini che qui interessano, anche il contrasto con una sentenza della Corte di Giustizia determina l’obbligo di disapplicare la norma”.

Alla luce delle affermazioni espresse dal Consiglio di Stato, nonchè della primazia del diritto eurounitario, è possibile affermare che in tanto l’art. 17 bis, nella parte in cui prevede il silenzio – assenso anche in caso di interessi sensibili, è applicabile, in quanto non violi norme eurounitarie in tali materie o sentenze di rinvio pregiudiziale della Corte di Giustizia.

Laddove la pubblica amministrazione dovesse provvedere per silentium in materie nelle quali il diritto dell’Unione impone l’adozione di un provvedimento espresso, preceduto da una istruttoria completa, in caso di contenzioso, il provvedimento dovrebbe essere annullato previa disapplicazione della norma nazionale in contrasto con il diritto dell’Unione Europea.

La tenuta, quindi, dell’art. 17 bis in materia di interessi sensibili, è subordinata, e quindi, strettamente connessa alla mancata violazione della normativa o della giurisprudenza eurounitaria.

3. ART. 17 BIS E CONFERENZA DI SERVIZI EX ART. 14 L. 241/1990

L’art. 17 bis della l. 241/1990, come già anticipato, ha acceso un dibattito anche per quel che concerne la compatibilità della novella legislativa, con l’istituto della Conferenza di Servizi, di cui all’art. 14 della l. 241/1990.

Più precisamente, i commentatori della norma in oggetto, hanno criticato l’art. 17 bis, poichè risulta sovrapponibile all’ambito applicativo della Conferenza di Servizi.

Al fine di esaminare la compatibilità tra le due norme, giova brevemente richiamare la normativa di cui all’art. 14 della l. 241/1990, nella nuova versione di cui al D.Lgs n. 127/2916.

La Conferenza di Servizi è un istituto volto a semplificare l’azione della pubblica amministrazione, attraverso l’esame contestuale dei vari interessi pubblici coinvolti in un procedimento amministrativo.

Luogo istituzionale per l’attuazione concreta e razionale degli accordi tra le pubbliche amministrazioni, la conferenza di servizi è concepita dal legislatore del 199051 quale generale strumento di concentrazione, in un unico contesto logico e temporale, delle valutazioni e delle posizioni delle diverse amministrazioni portatrici degli interessi pubblici rilevanti in un dato procedimento amministrativo.

Agevole rilevare la doppia valenza dell’istituto in parola, il quale da un lato, si presenta come modulo procedimentale di semplificazione ed accelerazione dell’azione amministrativa, potenzialmente idoneo a superare lungaggini ed appesantimenti burocratici; dall’altro, e contemporaneamente, si pone quale luogo di coordinamento e mediazione degli interessi in gioco, al fine di individuare, mediante il contestuale confronto dei soggetti che li rappresentano, l’interesse pubblico primario o prevalente.

Viene indetta quando l’inerzia di una o più amministrazioni rischia di impedire l’adozione di un provvedimento ed è volta a scongiurare la paralisi dell’attività amministrativa e gli effetti negativi che verrebbero a subirne i privati.

Rispondendo al canone del buon andamento della pubblica amministrazione, ex art. 97 Cost., la conferenza di servizi dà attuazione ai criteri di semplicità, celerità, semplicità ed efficacia.

La disciplina è contenuta nella l. 241/1990, con le relative modifiche apportate dalla l. 15/2005, e dal D.Lgs 127/2016 che prevede una disciplina generale (art. 14 ss.), e una disciplina speciale per alcuni procedimenti di particolare complessità (art. 14 bis).

Generalmente, la conferenza di servizi viene convocata dall’amministrazione procedente, o da quella che cura l’interesse prevalente, ma può anche essere richiesta da qualunque amministrazione coinvolta, tramite il responsabile del procedimento.

Può essere, inoltre, indetta su richiesta del privato interessato, qualora la sua attività sia subordinata ad atti di consenso di più amministrazioni pubbliche. (art. 14, comma 4).

La pubblica amministrazione si avvale della conferenza di servizi, laddove ritenga opportuno esaminare contestualmente i vari interessi pubblici coinvolti in un procedimento amministrativo o in più procedimenti amministrativi connessi, riguardanti i medesimi risultati e attività, oppure qualora debba acquisire intese, concerti, nullaosta o assensi, comunque denominati, da parte di altre amministrazioni pubbliche e non li ottenga entro 30 giorni dalla ricezione da parte dell’amministrazione competente della relativa richiesta, o qualora il provvedimento finale sostituisca tutti gli atti di competenza delle amministrazioni partecipanti o comunque invitate a partecipare, ma assenti.

Una volta indetta la conferenza di servizi, la prima riunione deve essere tenuta entro 15 giorni (30 se l’istruttoria è complessa).

La normativa stabilisce il termine di 90 giorni per la durata massima dei lavori, salvo i casi eccezionali di sospensione per la richiesta di valutazione di impatto ambientale.

La legge n. 15/2005 ha, inoltre, introdotto il principio di posizione prevalente, in base al quale, alla conclusione dei lavori, o scaduti i termini di legge, l’amministrazione procedente adotta la decisione di conclusione del procedimento motivata, valutando le specifiche risultanze della conferenza e tenendo conto delle posizioni prevalenti.

I lavori della conferenza devono, inoltre, procedere attraverso decisioni deliberate a maggioranza dei presenti e le amministrazioni dissenzienti devono dare un’adeguata motivazione al loro voto negativo.

Più in particolare, il dissenso deve essere manifestato nella conferenza e non può riferirsi a questioni connesse, che non costituiscano oggetto della conferenza medesima, e deve recare le specifiche indicazioni delle modifiche progettuali ai fini dell’assenso.

Inoltre, su tutte le decisioni di sua competenza, l’amministrazione deve esprimere la propria volontà attraverso un unico rappresentante, legittimato ad esprimersi in modo vincolante, e qualora non la esprima si considera comunque acquisito l’assenso della medesima, configurandosi una vera e propria ipotesi di silenzio – assenso (art. 14 ter, commi 6 e 7).

Infine, la normativa attribuisce al provvedimento finale della conferenza un’efficacia sostitutiva, nel senso che sostituisce a tutti gli effetti ogni atto (autorizzazione, concessione, nullaosta, etc.), che ciascuna amministrazione partecipante (o invitata a partecipare), avrebbe potuto adottare separatamente dalle altre.

Il principio di maggioranza subisce una deroga nell’ipotesi in cui il motivato dissenso sia espresso da un’amministrazione preposta alla tutela di un interesse qualificato, quale la tutela dell’ambiente, del paesaggio e del territorio, del patrimonio storico – artistico o la tutela della salute e della pubblica incolumità.

In questi casi l’amministrazione procedente rimette la decisione all’organo politico preposto alla comparazione degli interessi qualificati: il Consiglio dei ministri, in caso di dissenso tra le amministrazioni dello Stato, la conferenza permanente per i rapporti tra Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano, in caso di dissenso tra un’amministrazione statale e una regionale o tra più amministrazioni regionali; la conferenza unificata, in caso di dissenso tra Regione ed Ente locale.

Delineata brevemente la disciplina della Conferenza di Servizi, occorre a questo punto, analizzare i punti di sovrapponibilità della disciplina del silenzio assenso tra pubbliche amministrazioni, con quella della Conferenza e verificare, alla luce di una interpretazione salvifica, se le due norme possano integrarsi reciprocamente.

Prima di esaminare i termini della querelle, giova porre a confronto le due normative in apparente sovrapposizione.

Stabilisce l’art. 14 della l. 241/1990 che: “La conferenza di servisi istruttoria può essere indetta dall’amministrazione procedente, anche su richiesta di altra amministrazione coinvolta nel procedimento o del privato interessato, quando lo ritenga opportuno per effettuare un esame contestuale degli interessi pubblici coinvolti in un procedimento amministrativo, ovvero in più procedimenti amministrativi connessi, riguardanti medesime attività o risultati. Tale conferenza si svolge con le modalità previste dall’art. 14 bis o con modalità diverse definite dall’amministrazione procedente. La conferenza di servizi decisoria è sempre indetta quando la conclusione positiva del procedimento è subordinata all’acquisizione di più pareri, intese, concerti, nulla osta o altri atti di assenso comunque denominati, resi da diverse amministrazioni, inclusi i gestori di beni o servizi pubblici.“.

Ai sensi dell’art. 17 bis comma 1: “Nei casi in cui è prevista l’acquisizione di assensi, concerti o nulla osta comunque denominati di amministrazioni pubbliche e di gestori di beni o servizi pubblici, per l’adozione di provvedimenti normativi e amministrativi di competenza di altre amministrazioni pubbliche, le amministrazioni o i gestori competenti comunicano il proprio assenso, concerto o nulla osta entro trenta giorni dal ricevimento dello schema di provvedimento, corredato della relativa documentazione, da parte dell’amministrazione procedente. Il termine è interrotto qualora l’amministrazione o il gestore che deve rendere il proprio assenso, concerto o nulla osta rappresenti esigenze istruttorie o richieste di modifica, motivate e formulate in modo puntuale nel termine stesso. In tal caso, l’assenso, il concerto o il nulla osta è reso nei successivi trenta giorni dalla ricezione degli elementi istruttori o dello schema di provvedimneto; non sono ammesse ulteriori interruzioni di termini”.

Dal raffronto tra le due norme emerge ictu oculi che il perimetro applicativo appare perfettamente coincidente.

Dunque, non è chiaro, almeno per ora, stante la sostanziale identità del perimetro applicativo delle due disposizioni, in base a quale criterio operi ciascuno dei due meccanismi e non l’altro, trattandosi peraltro di due modalità sostanzialmente opposte.

E’ verosimile che la questione si comporrà all’esito dell’adozione del decreto attuativo di cui all’art. 2 della l. 6 agosto 2015 n. 124, il quale espressamente detta, tra i criteri direttivi, la ridefinizione e riduzione dei casi di convocazione obbligatoria della conferenza di servizi, nonchè la riduzione dei termini di svolgimento della stessa in un’evidente ottica complessiva di ridimensionamento della portata dell’istituto.

Nell’ottica della riduzione del campo applicativo della conferenza di servizi, rendendola un istituto non più generale, ma residuale, si è orientato anche il Consiglio di Stato, con il citato parere reso all’esito dell’Adunanza della Commissione speciale del 23 giugno 2016.

Il Consiglio di Stato, per superare l’impasse generato dalla formulazione dell’art. 17 bis, ha ritenuto che lo stesso, possa essere superato, in primis, riducendo l’ambito di applicazione del silenzio assenso tra pubbliche amministrazioni, alle sole ipotesi in cui debba essere acquisito il parere, l’assenso, il nulla osta di una sola amministrazione, e non siano coinvolte più amministrazioni portatrici di interessi diversi, riespandendosi, in tale ultimo caso, la disciplina della Conferenza di servizi.52

La predetta interpretazione, appare supportata dall’art. 14, comma 2 della l. 241/1990, come riformulato dal D.Lgs n. 127/2016, che rende obbligatoria la conferenza di servizi quando, ai fini della conclusione del procedimento, siano necessari “più” atti di assenso, comunque denominati.

Più precisamente, a fronte della fattispecie apparentemente coincidente di cui all’art. 17 bis , ne dovrebbe derivare in via residuale, negativa, che il silenzio assenso tra amministrazioni viene a ridursi ai soli casi in cui, ai fini dell’adozione di provvedimenti amministrativi o normativi, sia richiesto un solo atto di consenso qualsivoglia denominato, mentre, invece quando gli atti di assenso siano più di uno si scivola necessariamente nell’alveo della conferenzaq di servizi.

Al fondo della scelta del legislatore vi sarebbe, quindi, una lettura sostanzialmente quantitativa della complessità tipica delle decisioni strutturate: più atti di consenso coinvolti, conferenza di servizi, un solo atto di consenso, silenzio assenso tra amministrazioni.53

La dottrina sul punto, evidenzia la formazione di una progressione tra l’art. 17 bis e l’art. 14 della legge sul procedimento.

Ed invero, se si guarda alla conferenza semplificata, ai sensi sia dell’art. 14 comma 2, primo periodo, che del secondo periodo, essa si svolge in “modalità asincrona”, non essendovi contestualità tra l’esame e la decisione, agendo ciascuna amministrazione autonomamente e assumendo le proprie determinazioni, comunicandole all’amministrazione procedente.

Nell’ipotesi di inerzia, si forma un silenzio assenso endoprocedimentale.

Sotto tale aspetto, risulta esservi analogia con il meccanismo introdotto dall’art. 17 bis.

La dottrina, sul punto sostiene che: “ così tratteggiata la relazione tra l’art. 17 bis e l’art. 14, come si è venuta evolvendo dall’entrata in vigore della prima disposizione nel 2015, non si può che convenire sul fatto di essere presenti ad una modulazione della procedura in relazione alle questioni da affrontare per gli affari più semplici, il silenzio assenso ex art. 17 bis; per quelli più complessi la conferenza semplificata; per quelli di una certa complessità, la conferenza simultanea”.54

A parere di chi scrive, tuttavia, questa interpretazione, benchè volta ad evitare la sovrapposizione tra le due norme, non appare rispondente al dato letterale dell’art. 17 bis, che si riferisce, espressamente all’acquisizione di assensi, concerti o nulla osta comunque denominati di amministrazioni pubbliche e di gestori di beni o servizi pubblici.

Dalla lettura del dato letterale sembrerebbe che il legislatore abbia voluto estendere la disciplina dell’art. 17 bis ai rapporti tra più amministrazioni.

In tale contesto, risulterebbe più rispondente all’ intentio legis, la seconda delle opzioni proposte dal Consiglio di Stato, che risponderebbe anche alla volontà di ridurre lo spettro applicativo della Conferenza di Servizi.

Sostiene il Consiglio di Stato, che in alternativa all’opzione precedentemente richiamata, per estendere l’ambito applicativo dell’art. 17 bis., in modo che appaia, comunque, compatibile con il suo tenore letterale, si potrebbe sostenere che il silenzio assenso di cui all’art. 17 bis opera sempre (anche nel caso in cui siano previsti assensi di più amministrazioni) e, se si forma, previene la necessità di convocare la conferenza di servizi. Quest’ultima andrebbe convocata, quindi, nei casi in cui il silenzio assenso non si è formato a causa del dissenso espresso dalle Amministrazioni interpellate, e avrebbe lo scopo di superare quel dissenso nell’ambito della conferenza appositamente convocata.55

Letto in questi termini, l’art. 17 bis potrebbe risultare armonizzabile con la normativa sulla conferenza di servizi, superandosi, così, la perfetta coincidenza tra i perimetri delle due normative richiamate.

Occorrerà attendere, a questo punto l’adozione del decreto attuativo di cui all’art. 2 della l. 124/2015, per verificare come il legislatore intenderà superare il contrasto venutosi a creare.

Diverso il rapporto con gli artt. 16 e 17 della l. 241/1990 che contengono ipotesi di silenzio procedimentale.

Segnatamente, l’art. 16, con specifico riguardo ai pareri obbligatori, attribuisce all’amministrazione procedente la facoltà di prescindere dal parere laddove l’amministrazione tenuta a renderlo non vi abbia provveduto entro il termine di venti giorni dal ricevimento della richiesta.

Diversamente, in relazione ai pareri facoltativi, si prevede che in caso di inerzia l’amministrazione proceda in ogni caso in assenza del parere.

La norma trova applicazione nei confronti dei pareri obbligatori come nei confronti di quelli facoltativi, con la sola differenza relativa al termine decorso il quale è possibile attribuire rilevanza al silenzio.

Si tende ad escludere che l’art. 16 trovi applicazione nei confronti dei pareri vincolanti, tenuto conto del fatto che l’attribuzione del parere vincolante ad un’amministrazione vale a riconoscere a quest’ultima un potere sostanziale di scelta e di presidio di un interesse pubblico, cui consegue l’esclusione della possibilità, per l’amministrazione procedente, di prescindere dall’acquisizione del parere.

Per quanto attiene alle valutazioni tecniche, l’art. 17 prevede un’ipotesi di cd. Silenzio devolutivo: in caso di inerzia dell’amministrazione tenuta a rendere la valutazione, l’amministrazione procedente dovrà procurarsela altrove, senza la possibilità di prescindere dalla sua acquisizione.

Coordinando, dunque, le disposizioni e fatti salvi eventuali interventi di chiarimento da parte del legislatore, può desumersi che dal perimetro di applicazione del nuovo silenzio – assenso endoprocedimentale di cui al nuovo art. 17 bis debbano rimanere esclusi i pareri e le valutazioni di carattere tecnico.

A tale esito perviene anche il Consiglio di Stato nel richiamato parere reso il 13 luglio 2016.

In particolare, secondo il Consiglio di Stato, gli artt. 16 e 17 della l. 241/1990, farebbero riferimento ad atti di altre amministrazioni da acquisire nella fase istruttoria, mentre l’art. 17 bis troverebbe applicazione nella fase decisoria, a seguito della chiusura dell’istruttoria.56

Con maggiore impegno esplicativo, la Commissione fonda l’inquadramento della questione sulle diverse fasi del procedimento nelle quali operano le discipline in esame.

Tuttavia, giova evidenziare che la Commissione, una volta distinte le fasi del procedimento nelle quali trovano collocazione le due discipline – istruttoria per gli articoli 16 e 17 e decisoria per l’art. 17 bis, – la Commissione ne ricava che anche i pareri vincolanti, in quanto aventi sostanzialmente natura decisoria, rientrano nella categoria degli atti di consenso di cui all’art. 17 bis, e vengono formalmente estrapolati dall’art. 16.

Per quel che concerne la diversità di trattamento degli interessi sensibili negli articoli 16 e 17 e nell’art. 17 bis, la stessa, a parere della Commissione si spiega in ragione della distinta funzione esplicata dai relativi atti: la valutazione degli interessi è imprescindibile in fase istruttoria, e dunque devono intervenire necessariamente pareri e valutazioni tecniche da parte delle Amministrazioni a ciò deputate, mentre diversa è la situazione se ci si trova nella fase decisoria, nella quale si colloca l’art. 17 bis, la quale presuppone necessariamente che si sia chiusa l’istruttoria, come si ricava anche dal fatto che quest’ultima disposizione fa riferimento ad uno “schema di provvedimento” sul quale deve intervenire il consenso di tutte le Amministrazioni coinvolte.57

Alla luce di quanto sopra, pertanto, l’art. 17 bis, è destinato a trovare applicazione solo relativamente ai procedimenti caratterizzati da una fase decisoria pluristrutturata e, dunque, nei casi in cui l’atto da acquisire, al di là del nomen iuris, abbia valenza co – decisoria.

Secondo il Consiglio di Stato, dunque, in base alle considerazioni svolte, deve ritenersi che la disposizione sia applicabile anche ai pareri vincolanti, e non, invece, a quelli puramente consultivi (non vincolanti) che rimangono assoggettati alla diversa disciplina di cui agli artt. 16 e 17 della l. 241/1990.

Pertanto, gli interessi sensibili restano pienamente tutelati nella fase istruttoria, non potendo la decisione finale essere assunta senza che tali interessi siano stati ritualmente acquisiti al procedimento, tramite l’obbligatorio parere o l’obbligatoria valutazione tecnica di competenza dell’Amministrazione preposta alla loro cura: la legge n. 124, infatti, non è intervenuta sulla vigenza del comma 3 dell’art. 16″.58

E’, inoltre, interessante evidenziare, la lettura costituzionalmente orientata fornita dalla Commissione speciale a proposito degli interessi sensibili, nelle ipotesi in cui il termine procedimentale decorra, nonostante la mancanza delle valutazioni di cui agli artt. 16 e 17 della l. 241/1990.

Preliminarmente, giova sottolineare come il legislatore della l. 124/2015 non abbia posto mano agli artt. 16 comma 3 e 17 comma 3 della l. 241/1990, relativi alla necessaria istruttoria in presenza di interessi sensibili.

Ciò significa, pertanto, che nelle ipotesi in cui debbano essere valutati interessi sensibili, in attesa della definizione dell’istruttoria ai sensi degli artt. 16 e 17, non decorrono i termini per il procedimento.

Tuttavia, quest’ultima affermazione trova applicazione nei casi in cui il rilascio dell’atto di consenso non richieda un’istruttoria tipizzata dalla presenza di valutazioni da richiedere ad un determinato organo tecnico.

Nelle altre ipotesi, viceversa, torna ad operare il meccanismo di cui all’art. 17 bis, in materia di silenzio assenso.

Al fine di non frustrare la primarietà rivestita dagli interessi sensibili, e di non svilirne il loro contenuto, viene offerta una lettura costituzionalmente orientata della fattispecie.

Più precisamente, dalla lettura costituzionalmente orientata concernente i valori costituzionali primari, tra i quali vengono annoverati quelli relativi alla tutela del paesaggio, dell’ambiente e della salute, viene focalizzato il nucleo centrale, in virtù del quale la “primarietà comporta la necessità della presa in considerazione in forma espressa e completa dei valori in questione nel percorso di assunzione delle decisioni politiche e amministrative”59.

In tale ottica, è possibile applicare il silenzio assenso, recuperando la centralità degli interessi sensibili, anche qualora la rappresentazione e la valutazione degli interessi non sia avvenuta nella sede a ciò deputata, ma alla condizione che l’autorità competente a formulare la determinazione conclusiva, assuma la decisione motivando in forma espressa e compiuta anche in relazione al valore primario rispetto al quale si è manifestato il silenzio.60

4. PROFILI PROCESSUALI E CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE

Come per il silenzio ordinario, il silenzio assenso tra amministrazioni pone taluni interrogativi di carattere sistematico.

Il più rilevante attiene alla possibilità per l’amministrazione partecipante di negare il proprio assenso in un momento successivo alla scadenza del termine di formazione del silenzio.

In questo genere di eventualità, occorre stabilire se il decorso del termine abbia sul potere dell’amministrazione chiamata ad intervenire un effetto consumativo del potere, ovvero se questa possa validamente pronunciarsi anche in un momento successivo.

Muovendo dalla ricostruzione maggiormente seguita con riguardo al silenzio ordinario, dovrebbe concludersi che, una volta spirato il termine per la formazione del silenzio – assenso, la Pubblica Amministrazione perda il potere di provvedere in via espressa.

Ne deriva che il provvedimento emesso tardivamente ed espressivo del dissenso dovrebbe considerarsi illegittimo e l’amministrazione procedente non avrebbe l’obbligo di uniformarvisi.

Secondo l’orientamento maggioritario, tuttavia, permarrebbe in capo all’amministrazione il potere di agire sull’atto tacitamente formatosi attraverso l’esercizio del potere di autotutela, tanto nella forma dell’annullamento, quanto in quella della revoca.

Conseguentemente, l’amministrazione chiamata a rendere il parere potrebbe validamente procedere in autotutela rimuovendo il silenzio assenso precedentemente formatosi.

Nell’ipotesi appena delineata, l’amministrazione che abbia adottato il provvedimento finale si troverebbe a dover scegliere se procedere o meno anch’essa alla rimozione in autotutela dell’atto finale, secondo i noti principi in materia di autotutela.

Sul punto, il Consiglio di Stato effettua una distinzione tra la fase successiva all’adozione – anche formale – del provvedimento finale da quella compresa tra la formazione del silenzio – assenso e l’adozione formale del provvedimento finale.

Secondo il Consiglio di Stato, nel primo caso, non può che applicarsi il principio del contrarius actus, in base al quale l’eventuale esercizio del potere di riesame in autotutela deve seguire il medesimo procedimento di emanazione dell’atto che si intende rimuovere o modificare.

Conseguentemente, l’amministrazione che abbia assentito per silentium, non potrà successivamente, semplicemente manifestare il dissenso, ma dovrà sollecitare, l’esercizio dei poteri di cui agli artt. 21 quinquies e 21 nonies da parte dell’amministrazione procedente, affinchè inizi un procedimento di riesame della decisione adottata.

Tuttavia, l’esercizio del potere di autotutela riveste profili problematici, nell’ipotesi in cui l’atto non sia stato adottato formalmente, ma su di esso si sia formato il silenzio assenso.

Ed invero, attribuire all’amministrazione chiamata a concertare con la amministrazione procedente, un potere unilaterale e tardivo di autotutela, impedendo la formazione dell’atto, rischierebbe di determinare l’elusione della portata innovativa dell’art. 17 bis, svuotandone la ratio di velocizzazione della pubblica amministrazione.

Il silenzio assenso diventerebbe, un atto di natura meramente provvisoria, suscettibile di essere neutralizzato da un ripensamento unilaterale, fino all’adozione del provvedimento finale formale, vanificando anche il termine acceleratorio del 30 giorni.

A parere del Consiglio di Stato, pertanto, al fine di non svilire le ragioni della riforma, deve ritenersi che il termine di trenta giorni, o quello superiore previsto per gli interessi sensibili, abbiano natura perentoria e che la sua scadenza faccia venir meno il potere postumo di dissentire, impedendo l’adozione formale dell’atto.61

A diverse conclusioni, perviene il Consiglio di Stato nel citato parere, per quel che concerne l’assenso espresso sopravvenuto, nonostante l’adozione del provvedimento per silentium.

In quest’ultimo caso, infatti, non viene meno la ratio acceleratoria del nuovo istituto, realizzandosi, al contrario, seppure in maniera differita, l’obiettivo che l’intervento riformatore persegue: quello di evitare il silenzio e di favorire decisioni espresse. Non vi sono ostacoli, quindi, a che, successivamente alla formazione del silenzio – assenso, l’Amministrazione concertata adotti un atto esplicito di assenso.

Come rilevato, infatti, la disciplina sul silenzio rappresenta una sanzione per la pubblica amministrazione che resta inerte.

Merita un cenno, lo scenario aperto dal nuovo silenzio assenso, sotto il profilo impugnatorio.

Quanto alla possibilità di ricorrere avverso il silenzio – assenso tra amministrazioni dovrebbe trattarsi tale possibilità analogamente a quanto avviene per l’impugnazione degli atti endoprocedimentali e conseguentemente, dovrebbe scrutinarsi principalmente la sussistenza di un valido interesse a ricorrere, sotto forma di diretta efficacia lesiva dell’assenso tacitamente formatosi.

Come è noto, infatti, l’atto endoprocedimentale, non producendo effetti verso l’esterno, non è di per sè lesivo, lo è solo nelle ipotesi in cui lo stesso risulti direttamente lesivo della sfera giuridica del privato.

In ogni caso, per sciogliere definitivamente i dubbi posti dal nuovo art. 17 bis, occorrerà attendere, da una parte, i decreti attuativi della l. 124/2015, e dall’altra le prime applicazioni pretorie dell’istituto in oggetto.

In ogni caso, in disparte le evoluzioni legislative e giurisprudenziali, che si verificheranno a seguito delle prime applicazioni della novella legislativa, dall’analisi svolta, emerge chiaramente come ci si trovi al cospetto di una “Nuova Amministrazione”, costretta a rinnovarsi, ad innovarsi per far fronte alle nuove esigenze del mercato e permettere ai destinatari di trarre beneficio dai nuovi strumenti proposti.

Tuttavia, nel procedere nella nuova era della pubblica amministrazione, non bisogna dimenticare il proprium della funziona amministrativa, che resta comunque quello di presidiare interessi di primaria importanza dalla stessa assicurati, e da considerare essenziali.

Tutela di interessi essenziali che può essere perseguita solo non confondendo l’efficienza della pubblica amministrazione con l’efficienza di un’azienda.

La legge 124/2015, se interpretata in modo costituzionalmente orientato, appare volta a creare una pubblica amministrazione più semplice, focalizzata sul rendere accessibili i servizi da parte dei cittadini, tenendo in considerazione gli interessi essenziali cui l’amministrazione è preposta, innovandone le modalità.

La semplificazione, nel rinnovato contesto economico, rappresenta, pertanto, una concreta esigenza di adeguamento delle strutture ai nuovi bisogni della società e del mercato.

Per attuare le politiche di semplificazione, e ottenerne i benefici auspicati, è necessaria la presenza della capacità di sperimentare e di innovare in coloro che la dovranno realizzare.

Il sapere della gestione burocratica tradizionale, fondato sull’omologazione e sulla continuità, non è più adatto al contesto dei nuovi tempi, dove bisogna operare in circostanze imprevedibili. 62

Pertanto, come è stato efficacemente ricordato, “iniziativa, immaginazione, innovazione e azzardo sono le virtù di oggi”.63

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1Cfr. F. Caringella, Il diritto amministrativo, Napoli, 2004, pag. 560: “il principio di legalità afferma la corrispondenza dell’attività amministrativa alle prescrizioni di legge. Esso costituisce un principio generale dell’ordinamento italiano, che attiene particolarmente ai rapporti tra legge ed attività amministrativa”; Sullo specifico rapporto che lega il principio di legalità e la semplificazione amministrativa si veda Manganaro F., Principio di legalità e semplificazione dell’attività amministrativa, Napoli, 2000, pag. 9: “La constatazione della inadeguatezza dell’azione amministrativa rispetto alle mutate esigenze sociali ha indotto, negli ultimi anni, il legislatore ad emanare norme volte a favorire l’efficacia dell’azione amministrativa . (…) Vengono, infatti, considerate egualmente misure di semplificazione assai diverse, alcune finalizzate alla delegificazione, altre alla riduzione dei tempi e delle fasi procedimentali, altre ancora alla diminuzione degli oneri posti a carico dei cittadini nei rapporti con l’amministrazione. Esaminando questo vasto panorama normativo c’è da chiedersi come possano conciliarsi efficacia e legalità dell’azione amministrativa, se, cioè, queste due esigenze siano tra loro opposte, o se la semplificazione sia funzionale al principio di legalità”.

2Cfr. F. Caringella, Il diritto amministrativo, Napoli, 2004, pag. 563: “buona amministrazione può ritenersi quella che riesce, nei limiti del possibile, a soddisfare i seguenti criteri generali: economicità, rapidità, efficacia (raffronto tra risultati conseguiti e obiettivi programmati), efficienza (raffronto tra risorse impiegate e risultati conseguiti), miglior contemperamento degli interessi, minor danno per i destinatari dell’azione amministrativa. Nell’adempimento di tale dovere viene lasciata una sfera più o meno ampia di discrezionalità all’agente circa il modo in cui meglio e più efficaciemente perseguire l’interesse pubblico”.

3Cfr.: V. Galateria L., Stipo M., Manuale di diritto amministrativo, Torino, 1993, pag. 226: “Il principio di imparzialità esprime innanzitutto l’esigenza che la P.A., nell’esercizio delle sue funzioni, valuti ed attui gli interessi pubblici senza subire deviazioni per interessi personali del soggetto agente o per interessi particolari di gruppi di pressione pubblici o privati, di partiti politici, etc. Esso, però, non esprime solo una connotazione negativa ma anche una connotazione positiva e cioè che la P.A., sulla base della distinzione tra parte (parzialità) e tutto (imparzialità), è tenuta a valutare e a comparare i vari interessi che vengono in rilievo nell’attività amministrativa in modo che la scelta costituisca il risultato di un armonico contemperamento dei vari interessi”.

4Cfr. V. Amorosino S., La semplificazione amministrativa e le recenti modifiche normative alla disciplina generale del procedimento, in Foro Amministrativo – Tar, 2005, VII – VIII, pagg. 2635 ss., ove si ribadisce che: “la farraginosità, l’arretratezza, l’inutile complicazione delle regole si riversano nella lungaggine, spesso interminabilità, delle procedure amministrative che riguardano sia le attività imprenditoriali, che, in genere, quelle civili”.

5Cfr. Marzaro P., Silenzio assenso tra Amministrazioni: dimensioni e contenuti di una nuova figura di coordinamento “orizzontale” all’interno della nuova amministrazione disegnata dal Consiglio di Stato, secondo cui: “Ed infatti, il Consiglio di Stato si pone il problema della sorte dell’interesse pubblico, ma ritiene che ” nella logica del primato dei diritti, i meccanismi di semplificazione…non vanno visti come una forma di sacrificio dell’interesse pubblico, ma al contrario come strumenti funzionali a una cura efficace, tempestiva e pronta dello stesso, con il minore onere possibile per la collettività e i singoli privati”. Interesse pubblico da curare, nella logica del “primato dei diritti” – per il tramite di quello all’accelerazione del procedimento – pare dunque essere quello finale del privato e del conseguente funzionamento del mercato, o , perlomeno, questo sembra essere l’interesse pubblico che il parere – nella visione della “nuova Amministrazione” a cui sembra fare riferimento – ritiene che il legislatore abbia assunto a monte come primario, da garantire nel bilanciamento tra interessi su cui si fonda la scelta del silenzio assenso.”, in www.federalismi.it n. 19 5 ottobre 2016.

6Cfr. Piperata G., Semplificazione e digitalizzazione nelle recenti politiche di riforma della pubblica amministrazione italiana, in Mastragostino F., Piperata G., Tubertini C. “L’amministrazione che cambia, fonti, regole e percorsi di una nuova stagione di riforme”, BUP marzo 2016.

7Cfr. Travi A. , La semplificazione amministrativa come strumento per far fronte alla crisi economica, secondo cui. “In questa prospettiva lo sforzo per una maggiore efficienza dell’amministrazione rappresenta dunque una soluzione obbligata per cercare di mantenere i livelli di benessere: la prospettiva di una maggiore efficienza degli apparati pubblici finisce anzi col rappresentare una sorta di conseguenza virtuosa della crisi economica, tanto più interessante in quanto destinata a produrre conseguenza anche dopo l’auspicato superamento della crisi”, in Giustamm, n. 5 Anno XIII, ottobre 2016.

8Cfr. Travi A. op. cit.: “Questa prospettiva trova riscontro in una serie di indirizzi e di documenti che hanno avuto ampia diffusione nei Paesi dell’Europa Occidentale. Per esempio in Francia, già pochi anni prima della crisi, il rapporto Pèbereau aveva segnalato l’esigenza di una revisione generale delle politiche pubbliche, in una prospettiva di maggiore efficienza, con sviluppi importanti anche sul piano istituzionale (la RGPP). In Italia, tra il 2006 e il 2014, per effetto soprattutto del blocco del turn – over, si è riscontrata una riduzione del personale pubblico pari circa al 9%; una riduzione così severa esige necessariamente una revisione globale dei processi demandati all’amministrazione. Sono stati proposti confronti, per esempio, con il settore del credito, che negli stessi anni ha subito una revisione severa degli organici e delle risorse, ed è stato sostenuto che la pubblica amministrazione dovrebbe trarre spunto dalle cd. Razionalizzazioni o ristrutturazioni in corso nelle aziende di tale settore.

9Cfr. Piperata G., Op. cit

10Cfr. Piperata G., op. cit.

11Cfr. Consiglio di Stato – Commissione speciale 23 giugno 2016.

12Cfr. Piperata G., Semplificazione e digitalizzazione nelle recenti politiche di riforma della pubblica amministrazione italiana, in Mastragostino F., Piperata G., Tubertini C., L’amministrazione che cambia. Fonti, regole e percorsi di una nuova stagione di riforme, BUP marzo 2016:” Era stata la l. 7 agosto 1990, n. 241, ad intervenire per prima in maniera organica e generale, inizialmente prevedendo alcuni meccanismi di semplificazione (come, la conferenza di servizi, il silenzio assenso, la dichiarazione di inizio attività, l’autocertificazione) e, successivamente, obbligando le strutture pubbliche ad incentivare “l’uso della telematica, nei rapporti interni, tra le diverse amministrazioni e tra queste e i privati”.

13C. Cost. 27706/2012 n. 164 ha affermato che il principio di semplificazione, ormai radicato nell’ordinamento italiano, è di diretta derivazione comunitaria; esso, dunque, è stato catalogato nel novero dei principi fondamentali dell’azione amministrativa.

14Una definizione esaustiva del concetto di riforma amministrativa la offre Cassese S., L’età delle riforme amministrative, in Rivista trimestrale di diritto pubblico, 2001, I, pag. 79: “Riforma amministrativa indica una serie di interventi, promossi dal corpo politico o da quello amministrativo, per adattare le pubbliche amministrazioni al cambiamento economico e sociale.”; Vesperini G., Semplificazione amministrativa, in Cassese S. , Dizionario di diritto pubblico, Milano 2006, pag. 5479:” la semplificazione dell’azione amministrativa (e, in misura minore, dell’organizzazione) ha rappresentato costantemente, sin dai primi anni successivi all’unificazione, uno degli obiettivi fondamentali del riformismo in Italia. Ma solo a partire dagli anni Novanta del secolo scorso essa è diventata obiettivo caratterizzante della funzione di indirizzo politico e parte qualificante del programma complessivo di riforma della pubblica amministrazione”.

15Amorosino, Foro Amm. TAR, 2005, pag. 2635 ss. La semplificazione amministrativa e le recenti modifiche normative alla disciplina generale del procedimento.

16L’art. 2 della legge n. 537/1993, introduce nuovi criteri di semplificazione procedimentale, stabilendo che questi dovevano essere applicati per mezzo di regolamenti governativi delegati, il cui oggetto era costituito dalla disciplina dei procedimenti oggetto di apposito elenco allegato alla legge.

17Cfr. Piperata G., op. cit.

18Cfr. Travi A. La semplificazione amministrativa come strumento per far fronte alla crisi economica, Giustamm, n. 5, Anno XIII, ottobre 2016.

19Cfr. Righettini M:S., Elementi di scienza dell’amministrazione, Roma 2005, pagg. 195 ss. L’Autrice delinea dapprima la rilevanza che occupa il rapporto tra la qualità nella produzione ed erogazione dei servizi pubblici e la loro legittimità e sostenibilità nell’agenda di ciascun Governo nazionale. Essa sottolinea che: “le politiche pubbliche volte a migliorare il sistema delle relazioni tra amministrazioni e cittadini/utenti rivestono a tale proposito un particolare interesse. Esse, infatti, evidenziano la complessità e la contraddizione, spesso insanabile in una situazione di grave crisi finanziaria e di bilancio, tra la ricerca di una maggiore qualità dei servizi e i costi (monetari ed organizzativi) che tale miglioramento può comportare”.

20Cfr. Righettini M:S., Elementi di scienza dell’amministrazione, Roma 2005,pagg. 221 ss, che si sofferma su entrambi gli istituti, in particolare sul codice di stile, del quale offre un’interessante definizione: “La confezione delle norme è in genere un veicolo di ambiguità semantica, di difficoltà interpretative e quindi di specializzazione dei ruoli, sia sul versante della produzione, sia su quello dell’interpretazione. Con le proposte formulate dal governo Ciampi, il dipartimento della Funzione Pubblica si candida per la prima volta a svolgere un ruolo di monitoraggio, correzione e semplificazione della comunicazione amministrativa scritta. Il codice di stile delle comunicazioni scritte a uso delle pubbliche amministrazioni, predisposto nel 1993 dal dipartimento, nasce nell’ambito di una più ampia considerazione sull’attuazione della l. 241/1990 sul procedimento amministrativo, che fissa i principi sulla pubblicità, sull’accesso agli atti amministrativi e sulle modalità di comunicazione tra utenti e servizi.

21Travi A., La semplificazione amministrativa come strumento per far fronte alla crisi economica, “Questa attenzione riceve ulteriori spinte nel corso degli anni 90 dall’affermazione delle liberalizzazioni, intese come processi che avrebbero dovuto recuperare la dimensione privatistica di varie attività o di determinati interventi: gli strumenti per la liberalizzazione sono spesso associati a modelli di semplificazione procedimentale”, Giustamm. n. 5, Anno XIII, ottobre 2016.

22Cfr. Patroni Griffi, la semplificazione amministrativa, intervento al Convegno “Il sistema amministrativo e la riforma amministrativa”, Roma, 30 gennaio 2008.

23Cfr. C. Cost. n. 62/2013, in www.cortecostituzionale.it, la quale nel vagliare la legittimità costituzionale degli articoli 29, 50 e 60 della legge n. 35/2012, recante “Disposizioni urgenti in materia di semplificazione e di sviluppo” (cd. d.l. Semplifica Italia), ha chiarito che le norme di semplificazione amministrativa sono da ricondurre alla competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali. Come già affermato nelle sentenze nn. 207 e 203 del 2012, dal momento che anche l’attività amministrativa può assurgere alla qualifica di “prestazione”, della qualo lo Stato è competente a fissare un livello essenziale, a fronte di una specifica pretesa di individuare imprese, operatori economici e, in generale, di soggetti privati. La determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali non è una materia in senso stretto, quanto una competenza del legislatore statale idonea ad investire tutte le materie, rispetto alle quali il legislatore stesso deve poter porre le norme necessarie per assicurare a tutti, sull’intero territorio nazionale, il godimento di prestazioni garantite come contenuto essenziale di tali diritti, senza che la legislazione regionale possa limitarle o condizionarle.

24A tal proposito, va segnalato l’art. 43 del d.l. 78/2010, Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività, convertito , con modificazioni, dalla legge n. 122/2010, che aveva istituito le cd zone a burocrazia zero. Tale norma prevedeva taluni passaggi per le nuove iniziative produttive, in particolare l’adozione in via esclusiva da parte dell’Organo locale del Governo, dei provvedimenti conclusivi dei procedimenti amministrativi (cfr. Art. 34 l. 183/2011) avviati su istanza di parte, fatta eccezione per quelli di natura sensibile, di pubblica sicurezza e di incolumità pubblica, con l’indizione, ove necessario, di nuove Conferenze di servizi. I provvedimenti conclusivi di tali procedimenti si intendevano tacitamente adottati entro 30 giorni dall’avvio del procedimento, se un provvedimeno esplicito non era adottato entro tale termine. Per i procedimenti amministrativi avviati di ufficio, fatta eccezione per quelli di natura tributaria, di pubblica sicurezza e di incolumità pubblica, le amministrazioni competenti trasmettevano al Commissario di Governo i dati e i documenti occorrenti per l’adozione dei relativi provvedimneti. Tuttavia, la Corte Costituzionale, con sentenza n. 232/2011 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 43 del d.l. n. 78/2010. Posto che la previsione possiede un campo di applicazione generalizzato, cioè riferito a tutti i procedimenti amministrativi in tema di nuove iniziative produttive, e, quindi, idoneo ad esplicarsi entro ambiti di competenza regionale concorrente o residuale, la Corte Costituzionale ha evidenziato il contrasto della norma con gli articoli 117, commi 3 e 4 e 118 della Costituzione, in ragione dell’assenza nel contesto amministrativo di una qualsiasi esplicitazione, sia dell’esigenza di assicurare l’esercizio unitario del potere attraverso tali funzioni, sia della congruità, in termini di proporzionalità e ragionavolezza di detta avocazione rispetto al fine voluto ed ai mezzi predisposti per raggiungerli, sia dell’impossibilità che le funzioni amministrative ” de quibus” possano essere svolte agli ordinari livelli inferiori. Inoltre, l’art. 14, commi 1 – 6 della legge 12 novembre 2011 n. 183 (legge di stabilità 2012), aveva esteso in via sperimentale, fino al 31/12/2013, sull’intero territorio nazionale le cd zone a burocrazia zero. Anche tale norma è stata dichiarata illegittima da Corte Cost. n. 144/2014, richiamando quanto affermato nella precedente sentenza n. 232/2011, che aveva dichiarato l’incostituzionalità dell’art. 43 comma 8 del d.l. 78/2010. L’art. 43 del d.l. n. 78/2010 è stato poi abrogato dall’art. 37 bis del d.l. 18 ottobre 2012 n. 179 (nuove misure urgenti per la crescita del Paese), convertito, con modificazioni, dalla l. 17 dicembre 2012 n. 221, che ha nuovamente disciplinato le cd zone a burocrazia zero, da individuare in zone soggette a vincolo paesaggistico – territoriale o del patrimonio storico – artistico nell’ambito delle attività di sperimentazione di cui all’art. 12, comma 1, della l. n. 35/2012. In dette zone, i soggetti sperimentatori possono individuare e rendere pubblici i casi in cui il rilascio delle autorizzazioni di competenza necessarie alla data di entrata in vigore dello stesso d.l. 179/2012 sono sostituite da una comunicazione dell’interessato allo Sportello Unico per le attività Produttive (SUAP). Nei rimanenti casi per le nuove iniziative produttive, avviate successivamente alla data di entrata in vigore della legge di conversione del d.l. n. 179/2012, i procedimenti amministrativi sono conclusi previa richiesta di servizi telematica, aperta a tutti gli interessati anche con modalità asincrone. I provvedimenti conclusivi di tali procedimenti si intendono positivamente adottati se entro 30 giorni dall’avvio del procedimento non sia intervenuto un provvedimento espresso. Tali disposizioni non si applicano ai procedimenti amministrativi di natura tributaria, di pubblica sicurezza ed attinenti all’incolumità pubblica.

25Consiglio di Stato – Adunanza della Commissione speciale del 23 giugno 2016: “Sarebbe, infatti, fuorviante ritenere che la generalizzazione del silezio – assenso, ora estesa anche nei rapporti tra pubbliche amministrazioni, presupponga, da parte del legislatore, una sorta dell’accettazione dell’inerzia amminisgtrativa, quali che essa fosse un fenomeno fisiologico ed ineliminabile che viene “normalizzato”, degradando l’obbligo di provvedere in un mero onere di provvedere”.

26Travi A., La semplificazione amministrativa come strumento per far fronte alla crisi economica, secondo cui: “La distinzione tra i diversi istituti non è sempre chiara nel codice delle comunicazioni elettroniche (d.lgs 1 agosto 2003, n. 259), ove, a proposito dei titoli abilitativi, il modello dell’atto amministrativo viene proclamato anche quando l’atto del privato dovrebbe essere qualificato in realtà come una d.i.a. (cfr. Art. 25 e art. 87). Nella normativa sulla prevenzione degli incendi, in molti casi l’atto del privato è qualificabile come una d.i.a. e l’amministrazione non è tenuta a verificarla sistematicamente con indagini sul posto, ma se l’amministrazione esegue ugualmente i sopralluoghi di verifica e riscontra la regolarità della situazione è tenuta a rilasciare un provvedimento positivo, come se la comunicazione del privato fosse una richiesta di provvedimento”, Giustamm n. 5, Anno XIII, ottobre 2016

27Cfr. Travi, Silenzio assenso, denuncia di inizio attività e tutela dei terzi controinteressati, in Parisio, inerzia della pubblica amministrazionbe e tutela giurisdizionale, Milano 2002, pagg. 82 ss.; Paino, Gli artt. 19 e 20 della l. 241 prima e dopo la l. 24 dicembre 1993 n. 537. Intrapresa dell’attività privata e silenzio dell’amministrazione, in Dir. Proc. Amm., 1994, pagg. 40 ss.; per la disciplina successiva alla l. 80 del 2005, si veda, in particolare, Fonderico, Il nuovo tempo del procedimento, la d.i.a. e il silenzio assenso, in Giorn. Dir. Amm., 10, 2005, pag. 1027; Morbidelli, Il silenzio – assenso, in Cerulli Irelli, La disciplina generale dell’azione amministrativa, Napoli, 2006, 268; Vesperini, la denuncia di inizio attività e il silenzio – assenso, in Giorn. Dir. Amm., 2007, pag. 83.

28Cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 9 febbraio 2009, n. 717; Adunanza Plenaria 3 e 15 del 2011.

29In tal senso, Predieri, Commento all’art. 7, in Predieri – Chiti, Casa e urbanistica della legge 25 marzo 1982, n. 94, Milano, 1982, pag. 315; per una rassegna completa delle diverse posizioni si rinvia a Tonoletti, Silenzio della Pubblica Amministrazione, in Digesto, IV Pubbl., 1999, pag. 181.

30Travi A., La semplificazione amministrativa come strumento per far fronte alla crisi economica: “la reazione comune a questa “impasse” è stata rappresentata dalla codificazione di elenchi ufficiali di adempimenti o di procedimenti semplificati. In Spagna, con un decreto del 1 luglio 2011, è stato approvato un elenco dei casi in cui si sarebbe vderificata la trasformazione dal silenzio – rifiuto al silenzio – assenso. In Francia, una ricognizione del Governo sulle procedure semplificate ha condotto a riscontrare i casi di silenzio – assenso e a darne atto in apposite circolari. In Italia la legge n. 124/2015 ha conferito al Governo una delega per l’elencazione dei casi di s.c.i.a. e di silenzio – assenso: la previsione di un elenco ricoggnitivo, e perciò senza alcun carattere di esaustività, redatto però con un atto legislativo testimonia la difficoltà di recuperare un equilibrio naturale”., Giustamm. n. 5, Anno XIII, ottobre 2016.

31Cfr. Morbidelli, op. cit.

32Cfr. Cass. Civ., sez. II, 1 marzo 2007, n. 4869; Tar Lombardia, Milano, sez. III, 19 novembre 2004, n. 6048, secondo cui, in forza di tale principio, di ritiene non applicabile l’istituto del silenzio – assenso all’installazione lungo le strade di cartelloni pubblicitari, atteso che l’art. 23 del Codice della strada espressamente stabilisce, per ragioni attinenti alla sicurezza della circolazione, che i cartelli pubblicitari, in ogni caso, non possono essere apposti lungo le strade senza una espressa autorizzazione. Del pari, Cons. Stato, sez. IV, 31 dicembre 2007, n. 6814, ha escluso l’applicazione del silenzio – assenso, in sede di reclutamento del personale militare, posto che: a) il provvedimento yacito non interviene su una istanza che sia espressione dell’iniziativa economica privata cui si contrapponga attività amministrativa vincolata; b) tale peculiare meccanismo di formazione della volontà provvedimentale non è invocabile in materia di difesa nazionale,

33Cfr. Morbidelli, op. cit.

34Cfr. Morbidelli, op. cit., nella quale sono state espresse perplessità quanto alla legittimità costituzionale dell’art. 20, l. n. 241/1990, nella parte in cui rinvia al D.P.C.M. per l’individuazione dei procedimenti per i quali escludere l’operatività dell’istituto del silenzio – assenso, senza fissare alcun criterio direttivo: potrebbero risultarne compromessi il principio di riserva di legge che copre la disciplina dei procedimenti amministrativi, oltre che il principio generale che impone di stabilire parametri idonei a circoscrivere la discrezionalità del potere regolamentare. Si è, tuttavia, ritenuto che i dubbi possano essere fugati in considerazione della agevole identificabilità nell’ordinamento di criteri direttivi impliciti destinati a condizionare l’esercizio del potere di individuazione dei procedimenti esclusi dal campo di applicazione del silenzio – assenso.

La dottrina in commento ha, in proposito, individuato tre criteri direttivi, in forza dei quali è possibile ritenere la disposizione in esame non in contrasto con il principio di legalità:

a) il primo criterio è rinvenibile nello stesso comma 4 dell’art. 20: i decreti devono individuare, anche per ragioni di chiarezza e di certezza, gli specifici provvedimenti rientranti nelle materie escluse (ambiente, difesa nazionale, ecc.), nonchè le fattispecie in cui il provvedimento formale è richiesto dal diritto comunitario;

b) il secondo criterio risponde ad una regola di ragionevolezza e di buon andamento, sicchè laddove si tratti di procedimenti che involgono valutazioni complesse o che richiedono comunque accertamenti tecnici, non trova applicazione il silenzio – assenso, attesa la insostituibilità delle valutazioni tecniche;

c) il terzo criterio, pure ricavabile dai principi, concerne i provvedimenti che implicano valutazioni discrezionali: se il provvedimento ad istanza di parte richiede una comparazione di interessi pubblici e privati, questa non è surrogabile attraverso il silenzio.

Si consideri che l’individuazione dei procedimenti esclusi dalla regola del silenzio – assenso deve riguardare unicamente le materie di competenza esclusiva statale, non potendo investire materie regionali. I criteri impliciti appena riportati hanno una base costituzionale, sicchè si impongono anche alle Regioni e agli enti locali, con riguardo a procedimenti di loro competenza. Ciò è di tutta evidenza con riguardo alle materie sensibili, nella parte in cui riguardano le competenze regionali (ad esempio in materia di salute) o degli enti locali 8che hanno, ad esempio, competenza in materia di ambiente e di pubblica incolumità).

35Articolo 17 bis: “1. Nei casi in cui è prevista l’acquisizione di assensi, concerti o nulla osta comunque denominati di amministrazioni pubbliche e di gestori di beni o servizi pubblici,, per l’adozione di provvedimenti normativi e amministrativi di competenza di altre amministrazioni pubbliche, le amministrazioni o i gestori competenti comunicano il proprio assenso, concerto o nulla osta entro trenta giorni dal ricevimento dello schema di provvedimento, corredato della relativa documentazione, da parte dell’amministrazione procedente. Il termine è interrotto qualora l’amministrazione o il gestore che deve rendere il proprio assenso, concerto o nulla osta rappresenti esigenze istruttorie o richieste di modifica motivate e formulate in modo puntuale nel termine stesso. In tal caso, l’assenso, il concerto o il nulla osta è reso nei successivi trenta giorni dalla ricezione degli elementi istruttori o dello schema di provvedimento; non sono ammesse ulteriori interruzioni di termini. 2. decorsi i termini di cui al comma 1 senza che sia stato comunicato l’assenso, il concerto o il nulla osta, lo stesso si intende acquisito. In caso di mancato accordo tra le amministrazioni statali coinvolte nei procedimenti di cui al comma 1, il Presidente del Consiglio dei ministri, previa deliberaione del Consiglio dei Ministri, decide sulle modifiche da apportare allo schema di provvedimento. 3. Le disposizioni dei commi 1 e 2 si applicano anche ai casi in cui è prevista l’acquisizione di assensi, concerti o nulla osta comunque denominati di amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistico – territoriale, dei beni culturali e della salute dei cittadini, per l’adozione di provvedimenti normativi e amministrativi di competenza di amministrazioni pubbliche. In tali casi, ove disposizioni di legge o i provvedimenti di cui all’articolo 2 non prevedano un termine diverso, il termine entro il quale le amministrazioni competenti comunicano il proprio assenso, concerto o nulla osta è di novanta giorni dal ricevimento della richiesta da parte dell’amministrazione procedente. Decorsi i suddetti termini senza che sia stato comunicato l’assenso, il concerto o il nulla osta, lo stesso si intende acquisito. 4. Le disposizioni del presente articolo non si applicano nei casi in cui disposizioni del diritto dell’Unione europea richiedano l’adozione di provvedimenti espressi.

36Cfr. Marzaro P., op cit., “Si trattava di previsione sicuramente opportuna perchè i due istituti – entrambi volti a disciplinare forme di coordinamento tra amministrazioni – sin dall’entrata in vigore della legge Madia, si presentavano come contigui, se non addirittura passibili di sovrapposizione, e questo fatto, che influiva direttamente sull’individuazione delle fattispecie di applicazione del nuovo istituto, ha sicuramente contribuito a creare quelle incertezze intorno alle quali ad un certo punto il Governo ha ritenuto di dover chiedere lumi al Consiglio di Stato.

37Giova considerare, che la direttiva Bolkestein 2006/123, è inserita nel micro sistema volto a tutelare determinati settori della concorrenza. In ogni caso, pur essendo riferita ad uno specifico settore, la disciplina richiamata rappresenta un importante indice rivelatore della necessità per l’Unione Europea di introdurre rimedi di semplificazione per neutralizzare l’inerzia della pubblica amministrazione.

38Consiglio di Stato – Adunanza della Commissione speciale del 23 giugno 2016: “Nella logica del “primato dei diritti”, i meccanismi di semplificazione dell’azione amministrativa non vanno visti come una forma di sacrificio dell’interesse pubblico, ma al contrario come strumenti funzionali ad assicurare una cura efficace, tempestiva e pronta dello stesso, con il minore onere possibile per la collettività e per i singoli privati. Essi trovano, quindi, un fondamento nel principio del buon andamento dell’azione amministrativa, che postula anche l’efficienza e la tempestività di quest’ultima.

39L’introduzione di rimedi di semplificazione dissuasivi e stigmatizzanti il silenzio contribuisce, quindi, anche a dare piena attuazione al principio di trasparenza dell’azione amministrativa: l’arresto del procedimento non può più avvenire on un comportamento per definizione “opaco”, qual è l’inerzia, al contrario, le perplessità di un’amministrazione sull’iter procedimentale devono diventare espresse. Sul punto si richiama il parere reso dal Consiglio di Stato sul cd. Decreto trasparenza (24 febbraio 2016 n. 515), nella parte in cui, in relazione all’accesso civico, effettua un attento parallelismo tra il silenzio – rigetto nell’accesso (stigmatizzato) e il silenzio accoglimento (considerato, invece, come utile strumento di semplificazione), pur tenendo conto della differenza dei rapporti tra PA e privato e quelli orizzontali tra amministrazioni.

40Sul punto può essere utile porre a confronto il nuovo art. 17 bis con gli artt. 16 e 17 della l. 24171990, i quali disciplinano, rispettivamnete, l’acquisizione da parte delle amministrazioni procedenti di pareri e l’ottenimento di valutazioni tecniche da parte di altre amministrazioni.

Come è stato osservato, gli artt. 16 e 17 della l. 241/1990 contengono ipotesi di silenzio procedimentale. Segnatamente l’art. 16, con specifico riguardo ai pareri obbligatori, attribuisce all’amministrazione procedente la facoltà di prescindere dal parere, laddove l’amministrazione tenuta a renderlo non via abbia provveduto entro il termine di venti giorni dal ricevimento della richiesta. Diversamente, in relazione ai pareri facoltativi, si prevede che in caso di inerzia l’amministrazione proceda in ogni caso in assenza del parere. La norma trova applicazione nei confronti dei pareri obbligatori come nei confronti di quelli facoltativi, con la sola differenza relativa al termine decorso il quale è possibile attribuire rilevanza al silenzio. Si tende, invece, ad escludere che l’art. 16 trovi applicazione nei confronti dei pareri vincolanti, tenuto conto che l’attribuzione del parere vincolante ad un’amministrazione, vale a riconoscere a quest’ultima un potere sostanziale di scelta e di presidio di un interesse pubblico, cui consegue l’esclusione della possibilità, per l’amministrazione procedente, di prescindere dall’acquisizione del parere.

Per quanto attiene alle valutazioni tecniche, l’art. 17 prevede un’ipotesi di cd. “silenzio devolutivo”: in caso di inerzia dell’amministrazione tenuta a rendere la valutazione, l’amministrazione procedente dovrà procurarsela altrove, senza la possibilità di prescindere dalla sua acquisizione, caratteri di specialità sia in ordine all’oggetto che in merito alla disciplina dell’art. 17 bis.

41Cfr. Francesco de Leonardis, Il silenzio assenso in materia ambientale: considerazioni critiche sull’art. 17 bis introdotto dalla cd. Riforma Madia, in www.federalismi.it n. 20 del 21 ottobre 2015, secondo cui. “appare chiaro che la norma costituisce una vera e propria fuga in avanti in quella che si potrebbe definire ‘ la guerra di logoramento’ degli interessi sensibili che vengono sempre più parificati a quelli ordinari.

42Cfr. Francesco de Leonardis, il silenzio assenso in materia ambientale: considerazioni critiche sull’art. 17 bis introdotto dalla cd. Riforma Madia, www.federalismi.it, n. 20/2015.

43Cfr. Consiglio di Stato Adunanza della Commissione speciale del 23 giugno 2016, “non deporrebbe in senso contrario la giurisprudenza costituzionale in materia di silenzio – assenso (segnatamente le sentenze n. 151 del 1986 e n. 196 del 2004), con particolare riferimento agliinteressi “sensibili”. Infatti, da un lato, il silenzio – assenso opera in questo caso non a favore di un privato, ma a favore di una pubblica amministrazione, che dovrà poi comunque farsi carico del bilanciamento degli interessi rilevanti; dall’altro, dei relativi interessi il legislatore si è fatto carico stabilendo un termine più lungo per la formazione del silenzio – assenso, e facendo salvi i diversi termini previsti dalle norme speciali. A quest’ultimo riguardo si precisa che sono fatti salvi non solo i termini più lunghi di novanta giorni, ma anche quelli più brevi (come quelli previsti per il rilascio dell’autorizzazione paesaggistica, in base all’art. 146, comma 8, del codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo n. 42 del 2004, e al decreto del Presidente della Repubblica n. 139 del 2010)”.

44Marzaro P., Silenzio assenso tra Amministrazioni: dimensione e contenuti di una nuova figura di coordinamento orizzontale all’interno della nuova amministrazione disegnata dal Consiglio di Stato, “Con ciò, naturalmente, non si intende certamente affermare che l’interesse allo sviluppo economico non costituisca un interesse della collettività cui si debba la massima considerazione, a maggior ragione in un momento di forte crisi economica quale quella attuale o che, per contro, gli interessi sensibili debbano prevalere in modo aprioristico nel bilanciamneto di interessi operato dal legislatore, o che ancora, non debba essere assicurata certezza al soggetto che entra in relazione con l’Amministrazione. Sicuramente, però, in questo parere, ancor più che in quelli che l’hanno preceduto, colpisce lo sforzo del Consiglio di Stato di accreditare l’istitutoin “un’ottica moderna”, nella quale la “nuova Amministrazione” è dominata dal primato dei diritti dell’impresa e del mercato, per loro stessi – o per i loro effetti – assurti al rango di interesse pubblico e rispetto ai quali scolorano gli altri interessi della collettività, anche quelli più tipicamente differenziati, i quali subiscono un processo di normalizzazione”, www.federalismi.it, n. 19 del 5 ottobre 2016.

45Corte di Giustizia, 28 febbraio 1991, C – 360/87 Commissione c/ Repubblica italiana in Riv. it. Dir. Pubb.com, 1992, 241. In tale sentenza la Corte di Giustizia ha ritenuto illegittima la l. 319/76, cd legge Merli), poichè prevedeva il silenzio – assenso per l’autorizzazione provvisoria agli scarichi. Ad avviso della Corte, infatti, data la delicatezza degli interessi protetti in caso di amministrazioni preposte all’ambiente, in tali ipotesi è sempre necessario un provvedimento espresso che dia conto dell’istruttoria svolta e del bilanciamento effettuato, ” il rifiuto, la concessione o la revoca delle autorizzazioni devono risultare da un provvedimento esplicito e seguire regole procedimentali precise, nelle quali venga rispettato un determinato numero di condizioni necessarie, dalle quali sorgono diritti ed obblighi in capo ai singoli. Ne consegue che un’autorizzazione tacita non può ritenersi compatibile con le prescrizioni della direttiva, tanto più che una siffatta autorizzazione non consente la realizzazione di indagini preliminari, nè di indagini successive e di controlli”.

46Corte di Giustizia 19 settembre 2000, in C – 287/98, Linster; Corte Giust. 19 giugno 2001, in C – 231/00 Commissione c. Regno del Belgio; Corte di Giustizia, 28 febbraio 1991, in C – 131/88, Commissione/ Germania.

47Corte Cost: 302/1998, 26/1996, 404/1997, 209/2014.

48Corte Cost., 27 aprile 1993, n. 194: ” la norma impugnata prevede, per lo stoccaggio provvisorio di rifiuti tossici e nocivi, la possibilità dell’autorizzazione tacita in luogo di quella espressa. Introduce, cioè, l’istituto del silenzio – assenso in una fattispecie nella quale, attesa la natura degli interessi protetti e le finalità da raggiungere, cioè la tutela della salute e dell’ambiente, che sono beni costituzionalmente protetti e stante l’obbligo dell’osservanza di direttive comunitarie, sono indispensabili per il rilascio dell’autorizzazione accurate indagini ed accertamenti tecnici, nonchè controlli specifici per la determinazione delle misure e degli accorgimenti da osservarsi per evitare danni facilmente possibili per la natura tossica e nociva dei rifiuti accumulati”.

49Ci si riferisce all’art. 124 comma 7 del Dlgs. 152/2006 , che fissa il termine perentorio di novanta giorni per la concessione dell’autorizzazione.

50Cfr. Francesco de Leonardis, www.federalismi.it n. 20/2015 in Il silenzio assenso in materia ambientale: considerazioni critiche sull’art. 17 bis introdotto dalla cd riforma Madia.

51Prima della riforma del 1990, l’istituto è previsto solo in alcune normative di settore; ad esempio, la l. 29 ottobre 1987, n. 441, in materia di smaltimento dei rifiuti ed il d.l. 1 aprile 1989, n. 121, convertito dalla l. 29 maggio 1989, n. 205, sui mondiali di calcio.

52Per il Consiglio di Stato, questa prima interpretazione fornita, rappresenterebbe l’ipotesi interpretativa più semplice e meno impattante sulla normativa esistente.

53Cfr.. Marzaro P., Silenzio assenso tra Amministrazioni: dimensioni e contenuti di una nuova figura di coordinamento orizzontale all’interno della nuova amministrazione disegnata dal Consiglio di Stato, www.federalismi.it, n. 19 del 5 ottobre 2016.

54Cfr. De Lucia, La conferenza di servizi nel decreto legislativo 30 giugno 2016, n. 127, Riv. Giur. Urb., 2016, 28.

55Cfr. Consiglio di Stato – Adunanza della Commissione speciale del 23 giugno 2016, secondo cui: “La tesi sostenuta nella richiesta di parere, volta ad evidenziare la tendenziale identità tra il meccanismo di cui all’art. 17 bis e la conferenza semplificata asincrona, come sarebbe disciplinata dallo schema di decreto legislativo da emanare in attuazione della delega di cui all’art. 2 della legge n. 124 del 2015, pur essendo in linea di principio condivisibile, trova, tuttavia, un ostacolo nella diversa disciplina dei meccanismi per il superamento di “contrasti”, rispettivamente disciplinata dal comma 2 dell’art. 17 bis e dall’art. 14 – quinquies dello schema di decreto legislativo. Pur essendo in entrambi i casi la decisione finale affidata al Presidente del Consiglio, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, la disciplina della conferenza di servizi si caratterizza per una maggiore complessità, offrendo maggiori garanzie procedimentali, anche al fine di attuare il principio di leale collaborazione tra le diverse amministrazioni coinvolte”.

56Il comma 1 dell’art. 17 bis, prevede, infatti, che all’amministrazione che deve esprimere l’assenso venga inviato uno schema di provvedimento corredato dalla relativa documentazione. Il riferimento allo schema di provvedimento implica che si sia già chiusa la fase istruttoria, dovendosi ritenere che siano proprio le risultanze dell’istruttoria a consentire all’Amministrazione procedente l’elaborazione dello schema di decisione sul quale l’amministrazione interpellata esprimerà il proprio assenso.

57Cfr. Marzaro P., op. cit

58Cfr. Consiglio di Stato – Adunanza della Commissione speciale del 23 giugno 2016.

59Cfr. Sciullo G., Interessi differenziati e procedimento amministrativo, riv. Giur. Urb., 2016, 58 ss.

60Cfr. Sciullo G., op. cit.

61Il Consiglio di Stato nell’Adunanza della Commissione speciale del 23 giugno 2016, ha ritenuto che, “Una volta formato il silenzio assenso (ma prima dell’adozione formale dell’atto), l’amministrazione concertante, in presenza dei presupposti dell’autotutela potrà evidenziare le ragioni di illegittimità o le ragioni che giustificherebbero la revoca dell’atto, nell’ottica del principio di leale collaborazione tra Amministrazioni, segnalando all’amministrazione procedente ragioni di opportunità o illegittimità che a suo avviso, precludono l’adozione del provvedimento finale. L’ultima decisione sul provvedimento finale spetterà, tuttavia, all’amministrazione procedente, la quale, nonostante la segnalazione ricevuta, potrà, comunque decidere, assumendosene la responsabilità, di avvalersi del silenzio assenso e di adottare il provvedimento finale.

62Cfr. Piperata G., Semplificazione e digitalizzazione nelle recenti politiche di riforma, in Mastragostino F., Piperata G., Tubertini C., L’Amministrazione che cambia. Fonti, regole e percorsi di una nuova stagione di riforme, BUP marzo 2016.

63Bauman Z., Bordoni C., Stato di crisi, Torino, 2014, p.63.


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