Il simultaneus processus nel sistema di giustizia amministrativa

Il simultaneus processus nel sistema di giustizia amministrativa

Il sistema di giustizia amministrativa, al pari di quella civile alla quale residualmente rinvia, è ispirato alla logica del c.d. simultaneus processus, che si sostanzia nella trattazione e decisione congiunta di più cause connesse, di fronte ad un medesimo giudice; ciò anche in eventuale deroga delle regole di competenza che disciplinano i rapporti oggetto di controversia.

Si tratta, nello specifico, di un principio che si propone di evitare il moltiplicarsi di iniziative giudiziali inutilmente defatiganti in capo al privato e, al contempo, di contrastare la delegazione a giudici diversi al solo scopo di aggravare la posizione delle relative controparti. In tal modo, dunque, lo stesso realizza l’esigenza di concentrazione delle tutele, particolarmente sentita all’interno di un sistema giudiziario quale quello italiano, in cui la macchina della giustizia risulta da anni più che mai ingolfata da un’incredibile numero di richieste di intervento dei privati.

Oltre ad assicurare una tutela al privato nei due sensi ora specificati, tuttavia, la costruzione del processo amministrativo come processo simultaneo, costituisce un’applicazione pratica del più ampio principio dell’effettività della tutela, di matrice comunitaria. Ne risulta, difatti, uno svolgimento della giurisdizione piegato, seppur con gli opportuni limiti, alla protezione delle situazioni giuridiche soggettive delle parti, caratterizzata da ampiezza e atipicità.

Che si tratti, poi, di un principio posto a tutela non solo di interessi privati, bensì anche di tipo pubblicistico, lo si deduce verificandone gli effetti in punto di economia processuale; difatti, è innegabile che la facoltà di proporre una pluralità di domande connesse o interdipendenti innanzi alla medesima autorità giudiziaria, sia funzionale al rispetto della ragionevole durata del processo. Si dà ormai per acquisita, difatti, l’idea per cui la lungaggine processuale rappresenti un’inevitabile violazione della sfera giuridica dei contendenti, in grado di recare danno anche alla parte che instaura il giudizio chiedendo tutela. Ciò in special modo nell’ambito della giustizia amministrativa, laddove la tutela del singolo è abbinata a quella dell’interesse pubblico, che non può essere sottoposto troppo a lungo alla spada di Damocle del giudizio, posta la sussistenza di evidenti ragioni di certezza ed efficacia nei rapporti giuridici di cui è parte una p.a.

A tali considerazioni si deve, poi, necessariamente aggiungere che l’applicazione del modello di processo simultaneo contribuisce a limitare il problema di eventuali contrasti tra giudicati, che possono nascere in caso di statuizioni tra loro incompatibili rispetto ad un medesimo rapporto giuridico.

Orbene, quale esecuzione pratica dei principi processualistici suesposti, il codice del processo amministrativo predispone una pluralità di meccanismi volti alla realizzazione del simultaneus processus. In primis, viene in rilievo la facoltà, per il ricorrente, di proporre, nell’ambito di un unico procedimento, più domande tra loro connesse, sia in via principale che incidentale, accordata dall’art. 32 c.p.a.; ciò risulta possibile, peraltro, anche qualora le domande siano assoggettate a riti tra loro diversi, posto che in tal caso saranno tutte sottoposte alla disciplina prevista per il rito ordinario. A tale regola, tuttavia, corrisponde un’eccezione: difatti, la stessa disposizione fa salvi, poi, i riti abbreviati speciali previsti dagli artt. 119 e 120 c.p.a., che dunque prevalgono sul rito ordinario. In tali casi, secondo quanto avvalorato dal Consiglio di Stato, qualora sia proposta una domanda di annullamento di provvedimenti sottoposti all’ambito applicativo dei summenzionati riti speciali, legata ad una consequenziale e non autonoma domanda di risarcimento del danno, questa dovrà necessariamente ricadere sotto la disciplina degli stessi, cagionando un’attrazione dell’intero giudizio nell’alveo delle regole speciali.

Contribuiscono, poi, ad una trattazione unitaria della pluralità di aspetti concernenti la medesima vicenda processuale, gli istituti del ricorso incidentale e dei motivi aggiunti. Innanzitutto, difatti, il codice consente alla parte resistente, nonché ai controinteressati, una difesa attiva nell’ambito di uno stesso procedimento già pendente, volto a paralizzare le pretese del ricorrente principale. Nello specifico giudizio di annullamento, poi, sarà caratterizzato dalla volontà del controinteressato di continuare a beneficiare degli effetti per lui positivi discendenti dal provvedimento impugnato. In ogni caso, comunque, si tratterà di un ricorso solo eventuale, sorretto da quello principale ed a questo accessorio, posto che l’interesse a ricorrere del controinteressato sorge solo posteriormente alla proposizione del ricorso principale. Sia il ricorrente principale che quello incidentale, inoltre, possono usufruire dell’istituto dei motivi aggiunti, tramite i quali è possibile non solo introdurre nuove ragioni a sostegno delle domande già proposte, bensì anche nuove domande, se connesse con le prime. Nel primo caso, l’introduzione di nuovi motivi è legata alla mancata conoscenza tempestiva di ulteriori e precedenti vizi dell’atto impugnato per causa non imputabile al ricorrente, nonché ad una loro eventuale sopravvenienza rispetto al momento dell’impugnazione; mentre, nel secondo, si consente la contestazione altresì di provvedimenti diversi da quello originariamente impugnato, purchè ad esso legati. In tal senso, benché riuniti sotto l’alveo di una trattazione giudiziale unitaria, i c.d. motivi aggiunti impropri o di nuovo tipo, mantengono una propria autonomia; di talchè le vicende di rito inerenti all’atto introduttivo del ricorso non colpiscono quello contenente tali motivi aggiunti.

La logica del processo simultaneo e della concentrazione delle tutele, si riscontra, altresì, nel sistema delle impugnazioni, che prevede la necessaria riunione, all’interno di un unico giudizio, di tutte le doglianze proposte separatamente avverso una medesima sentenza. Anche tale regola processuale, espressa dall’art. 96 c.p.a., risponde all’evidente e già individuata esigenza di limitare il più possibile l’emissione di una pluralità pronunce tra loro incompatibili rispetto ad uno stesso rapporto processuale. La medesima disposizione accorda la possibilità di proporre impugnazioni incidentali, nella doppia forma elaborata da dottrina e giurisprudenza, di appello incidentale proprio e improprio; distinguendosi, gli stessi, a seconda che l’impugnazione sia rivolta contro i medesimi capi oggetto di appello principale, o avverso capi autonomi. In tale ultimo caso, peraltro, l’appellante incidentale è presupposto quale parzialmente soccombente, e attacca la sentenza sulla base di un interesse autonomo ed indipendente dall’impugnazione principale; di conseguenza l’interesse a impugnare sorge sin dal momento della pubblicazione della sentenza di primo grado, e non dalla notifica del ricorso principale, diversamente da quanto accade in caso di appello incidentale proprio. A ben vedere, tuttavia, l’autonomia dell’impugnazione incidentale impropria resta legata alla tempestività del ricorso stesso; difatti, la stessa è destinata a venir meno qualora sia presentata tardivamente, posto che in quel caso seguirà la stessa sorte dell’appello principale in punto di inammissibilità.

Alla volontà di costruire un impianto processualistico di simultaneità delle domande, risponde altresì, la configurazione data al rimedio dell’opposizione di terzo adottata dal legislatore agli artt. 108-109 c.p.a. Si tratta, in particolare, di un mezzo di impugnazione con il quale si accorda al terzo, che non sia stato parte del giudizio, la possibilità di contestare gli effetti della sentenza che abbiano leso la sua sfera giuridica, a prescindere dal suo passaggio in giudicato. Per quanto di nostro interesse, si prevede che la competenza a conoscere di tale rimedio, spetti, di regola, al giudice che ha emesso la sentenza impugnata; ai fini di una concentrazione delle tutele azionabili, tuttavia, si chiarisce che nell’ipotesi in cui una delle parti in giudizio abbia proposto appello avverso la medesima pronuncia, il terzo debba introdurre la domanda di opposizione nell’ambito del giudizio di secondo grado instauratosi. Come precisa l’art.109 c.p.a., tuttavia, qualora il terzo abbia depositato la dichiarazione di opposizione presso il giudice di primo grado prima della proposizione dell’appello della parte soccombente, il collegio dovrà dichiararne l’improcedibilità, e conseguentemente fissare un termine per l’intervento nell’ambito del giudizio di secondo grado. Tale meccanismo, tuttavia, se da un lato consente di evitare decisioni tra loro contrastanti, dall’altro sacrifica l’interesse del terzo, che si vede negare il doppio grado di giudizio.

Ennesima, ed ulteriore conferma dell’immanenza rispetto all’intero sistema di giustizia amministrativa del principio oggetto di trattazione, risulta essere la previsione di cui all’art. 117, comma 5, c.p.a. Difatti, tale disposizione, nel regolamentare il rito avverso il silenzio-inadempimento, quale contegno serbato dalla p.a. a fronte di una istanza del privato volta a far valere la sussistenza di un proprio interesse legittimo, ammette la possibilità per il privato di impugnare, all’interno del medesimo giudizio, l’eventuale provvedimento sopravvenuto; ciò anche con motivi aggiunti, e dando luogo ad un’ipotesi di conversione obbligatoria del rito, da speciale a ordinario.

Benché declinato nelle varie forme finora esaminate, tuttavia, il principio del processo simultaneo non va totalmente esente da limitazioni. Invero, in primo luogo, nel caso di pluralità di domande la cui competenza è attribuita a plessi giurisdizionali distinti,di regola, il principio di concentrazione delle tutele è ammesso solo qualora la controversia ricada nell’ambito della giurisdizione esclusiva.

Inoltre, a ben vedere, anche il divieto di conversione officiosa della domanda di parte, può essere letta quale limite alla necessità di concentrazione e dell’effettività delle tutele. A tal proposito, difatti, si intende riferirsi alla pronuncia con cui l’Adunanza Plenaria, ha ritenuto di far prevalere il rispetto del principio della domanda, che non consente al giudice di derogare alla stessa, in presenza di un accertato interesse sotteso, al fine di evitare la rilevazione di un vizio di extrapetizione.


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Giulia Paffetti

Avvocato
Nata ad Arezzo il 21.05.1991.Ha conseguito la laurea in giurisprudenza, cum laude, presso l'Università degli studi di Siena il 29.04.2016 con tesi in diritto penale.In data 09.07.2018 ha conseguito il diploma di specializzazione presso la Scuola di Specializzazione per le Professioni legali - Università degli studi di Firenze, con tesi in diritto penale processuale.Ha conseguito l'abilitazione per l'esercizio della professione forense in data 19.11.2018.

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