Il sindacato giurisdizionale sulla discrezionalità tecnica della P.A.
Il concetto di discrezionalità tecnica, sebbene evochi la nozione di discrezionalità amministrativa, manca di ciò che tradizionalmente connota quest’ultima.
Ed invero, la discrezionalità in senso proprio o “pura”, implica una valutazione comparativa degli interessi in giuoco, volta ad individuare la soluzione più idonea a tutelare l’interesse pubblico primario affidato all’ Amministrazione competente ad emanare il provvedimento.
Nell’ambito della discrezionalità tecnica invece l’Amministrazione non svolge una comparazione tra l’interesse pubblico primario e gli interessi secondari al fine di individuare la soluzione più opportuna per l’interesse da perseguire ma compie una valutazione di fatti alla stregua di canoni scientifici e tecnici, scegliendo tra le diverse soluzioni tecnicamente attendibili, quella ritenuta più attendibile .
Si pensi ai provvedimenti sanzionatori delle Autorità amministrative indipendenti: ogniqualvolta si accerti un’infrazione l’autorità amministrativa irroga la sanzione prevista.
La scelta in questo caso non riguarda l’irrogazione o meno della sanzione, la quale è un passaggio obbligato, bensì l’utilizzo della regola tecnico-specialistica che descrive la fattispecie sanzionata. Tale valutazione attiene alla fase della verifica della sussistenza dei presupposti di fatto ai fini dell’erogazione della sanzione.
Quando la norma attributiva del potere di irrogare la sanzione evoca ad esempio il concetto di “mercato rilevante” ciò che spetta alla p.a. è individuare, tra le diverse definizioni tecnicamente attendibili fornite dalle scienze economiche, la definizione se si ritenga più attendibile rispetto alle altre.
Rispetto al concetto giuridico indeterminato di “mercato rilevante”, sono immaginabili più soluzioni tecniche fornite dalle scienze economiche (che sono per definizione inesatte), nessuna delle quali è esatta o inesatta.
In questo campo il concetti di esattezza/inesattezza vengono sostituiti dai diversi concetti di attendibilità/inattendibilità.
Tra le diverse definizioni possibili la p.a. ne accoglierà una.
Non si tratterà di scegliere se punire o meno un determinato comportamento abusivo posto in essere da chi detiene una posizione dominante sul mercato rilevante, perché l’esito è predeterminato: se c’è il presupposto di fatto, cioè un abuso della posizione dominante nel mercato rilevante, bisogna irrogare la sanzione.
La valutazione che deve compiere la p.a. è quella di scegliere la definizione di mercato rilevante che, secondo la sua valutazione, appare la più attendibile tra quelle prospettabili.
Ciò posto, la discrezionalità tecnica pone il grande tema dei limiti del sindacato del giudice.
Ci si è chiesti se ed in che misura questa scelta – questa valutazione che l’amministrazione compie- possa essere sindacata da parte del giudice e attraverso quali strumenti.
La dottrina tradizionale ha per lungo tempo assimilato sul piano sostanziale la discrezionalità tecnica alla discrezionalità c.d. “pura”, assoggettandola agli stessi limiti e quindi ammettendo un sindacato del giudice amministrativo solo rispetto al profilo dell’eccesso di potere.
Oggi il problema è in gran parte superato, essendo pacifica la possibilità per l’organo giudicante di sindacare in termini di attendibilità la scelta della Pubblica Amministrazione.
Il problema che si pone oggi presenta profili diversi. Ci si chiede cioè se il giudice, nell’esercizio del sindacato, debba limitarsi ad una verifica di attendibilità estrinseca o intrinseca.
Si tratta cioè di stabilire se il giudice sia legittimato ad esercitare un tipo sindacato intrinseco, esercitato “con occhi dell’esperto”, o un sindacato estrinseco, esercitato “con gli occhi del profano”.
Inizialmente l’opinione prevalente era nel senso che il giudice amministrativo potesse censurare la scelta amministrativa solamente laddove la valutazione della p.a. fosse risultata, anche agli occhi di un profano, palesemente insostenibile, cioè caratterizzata da vizi talmente macroscopici da poter essere percepiti anche da un soggetto privo delle cognizioni tecnico specialistiche.
Lo spartiacque che segna il passaggio da un sindacato precedentemente definito estrinseco ad uno intrinseco, viene normalmente individuato in una famosa sentenza della IV Sez. del Consiglio di Stato, la numero 601/99, che per la prima volta – occupandosi peraltro di un altro tema– affermò sostanzialmente che il giudice amministrativo può sindacare la valutazione amministrativa con gli occhi dell’esperto e non del profano e che tale sindacato il giudice può effettuarlo facendo ricorso alla consulenza tecnica d’ufficio.
La possibilità di nominare un consulente tecnico non è stata sempre pacifica nel processo amministrativo. Prima del 2000 infatti nessuna menzione di tale strumento era fatta nell’elencazione dei mezzi istruttori a disposizione del giudice amministrativo.
La svolta epocale si ebbe con la legge n. 205/2000, la quale finalmente menzionò in maniera espressa la consulenza tecnica d’ufficio tra i mezzi istruttori del processo amministrativo.
Al giudice amministrativo oggi, grazie all’ausilio della consulenza tecnica di ufficio, è relegato il compito di accertare se la soluzione scelta dalla p.a. sia attendibile. Tuttavia ciò non implica anche che egli possa stabilire se, tra le soluzioni attendibili, quella scelta dalla p.a. risulti la più attendibile di tutte.
Ed invero, tale tipo di scelta sulla “maggiore attendibilità” non è contemplata tra i poteri dell’organo giudicante in quanto la legge ha inteso attribuire tale potere esclusivamente alla p.a., ritenendola probabilmente il soggetto tecnicamente più qualificato a compierla.
Questa soluzione è oggi fortemente consolidata nella giurisprudenza nazionale, sia amministrativa che di legittimità, tuttavia lo stesso non può dirsi rispetto alla giurisprudenza sovranazionale.
Il problema sorge con riferimento a quei provvedimenti che, sebbene formalmente amministratavi, presentino, per il loro contenuto afflittivo o per la loro natura, il connotato di pena in senso sostanziale secondo la giurisprudenza della CEDU, in particolare con riferimento alle sanzioni amministrative pecuniarie irrogate dall’AGCM.
La giurisprudenza della CEDU, ai sensi dell’art. 6 della Convenzione attribuisce a chi subisce una pena il diritto ad avere un sindacato pieno sulla fondatezza dell’accusa penale mossa nei suoi confronti, di fronte ad un Tribunale indipendente e imparziale (il c.d. diritto al giusto processo).
Questo diritto al sindacato intrinseco sulla fondatezza dell’accusa penale accolto dalla CEDU si riferisce non solo all’accusa penale in senso formale, prevista e disciplinata all’interno del codice, ma anche alla “pena in senso sostanziale”.
Tale ultimo concetto risale alla giurisprudenza CEDU, in particolare alla Sentenza Engel e altri c. Paesi Bassi del ’76, secondo cui possono essere qualificate con il concetto di pena anche misure che l’ordinamento nazionale non qualifica formalmente in questi termini, quando abbiano un contenuto fortemente afflittivo e, quindi, producano un’afflizione assimilabile alla pena, tenendo conto degli effetti oppure della natura della violazione.
Applicando i c.d. criteri Engel, cioè quelli della pena in senso sostanziale, i giudici di Strasburgo hanno ritenuto che: in base ai criteri stabiliti dalla sentenza Engel e altri c. Paesi Bassi per la qualificazione delle misure sanzionatorie, benché le violazioni in materia concorrenziale costituiscano illeciti amministrativi ai sensi del diritto italiano (primo criterio Engels), la loro qualificazione in termini penali discende dalla natura pubblicistica degli interessi tutelati (secondo criterio), nonché dalla finalità repressiva e general-preventiva della sanzione inflitta, e dalla severità della stessa (terzo criterio) (cfr. C. eur. dir. uomo, grande camera, sent. 23 novembre 1976, Engel e altri c. Paesi Bassi).
Secondo questa giurisprudenza le sanzioni suddette, sebbene formalmente amministrative, risultano equiparabili dal punto di vista sostanziale ad una pena e per questo motivo devono essere irrogate esclusivamente all’esito di un procedimento che dia all’interessato la possibilità di rivolgersi, anche solo in via successiva, ad un tribunale indipendente ed imparziale, quindi ad un giudice in grado di esercitare sulla sanzione un “sindacato pieno”.
La Corte CEDU evoca proprio il concetto di full jurisdiction, cioè un sindacato che implica un accesso pieno ai fatti e alle valutazioni, senza limiti.
Da più parti, allora, si ritiene che il concetto di full jurisdiction richieda il passaggio da un sindacato di mera attendibilità, come quello che viene tradizionalmente praticato dal giudice amministrativo in ambito di discrezionalità tecnica, ad un sindacato di maggiore attendibilità in cui il giudice sembra potere sindacare la maggiore o minore attendibilità della scelta amministrativa rispetto a quelle prospettabili.
Questo è un tema che oggi conosce un nuovo momento di attualità per effetto del recepimento della direttiva europea, mediante d.lgs 6/2017, sul c.d. private enforcement, cioè sul risarcimento del danno da illecito antitrust.
Salvis Juribus – Rivista di informazione giuridica
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