Il sistema delle fonti: la controversa figura delle ‘leggi-provvedimento’

Il sistema delle fonti: la controversa figura delle ‘leggi-provvedimento’

Il nostro ordinamento giuridico è incentrato su un sistema di fonti del diritto caratterizzato da una struttura gerarchica, al cui vertice si colloca la Costituzione, espressione del potere costituente e atto fondante dell’intero ordinamento. Una delle principali conseguenze dell’avvento dello Stato liberal democratico fu l’introduzione di una carta costituzionale rigida, ossia modificabile solo attraverso un procedimento aggravato, disciplinato dall’art. 138 della Costituzione stessa.

Si segnala, in particolare, che all’interno della carta fondamentale sono individuabili i principi supremi dell’ordinamento costituzionale nonché i diritti inviolabili della persona umana, i quali assumono un rango super primario e costituiscono i c.d. “controlimiti”, azionabili da ciascuno Stato a fronte di un diritto europeo sempre più capace di imporsi nell’ordinamento degli Stati membri. Si parla, a riguardo, di “primazia del diritto euro-unitario” (art. 11 Cost.), ossia del prevalere del diritto dell’Unione Europea su ogni altra fonte dell’ordinamento interno, ancorché di rango costituzionale: tale primato riguarda, per l’esattezza, non solo il diritto europeo contenuto nei Trattati istitutivi, ma anche quello c.d. derivato, ossia prodotto dalle istituzioni dell’U.E., purché direttamente applicabile (regolamenti, decisioni e direttive self executing). Quanto detto, pertanto, comporta che ove il giudice nazionale ravvisi un contrasto tra una norma interna e una comunitaria direttamente applicabile, egli dovrà disapplicare la norma interna contrastante con quella sovranazionale, in virtù del primato di cui si è appena detto, fatta eccezione, però, per il nocciolo duro di principi e valori supremi sopra richiamati, i quali non possono mai essere messi in discussione.

Considerazioni analoghe a quelle appena esposte in relazione al diritto europeo possono, peraltro, essere effettuate, in forza dell’art. 10 Cost., anche con riguardo al diritto internazionale consuetudinario.

Al di fuori dei principi e diritti fondamentali aventi rango super primario, dunque, le ulteriori previsioni costituzionali nonché le leggi costituzionali, quelle di revisione costituzionale e gli Statuti delle regioni speciali, pur trovandosi comunque nelle posizioni di vertice della scala gerarchica, si collocano in posizione subordinata sia rispetto al diritto europeo immediatamente applicabile, sia rispetto al diritto internazionale consuetudinario.

Per ciò che riguarda invece il diritto internazionale pattizio (tra cui la Cedu), le relative norme occupano una posizione intermedia tra quelle di rango costituzionale e quelle di rango primario, venendo così a svolgere il ruolo di ‘norme interposte’: tale classificazione si deve alla riformulazione dell’art. 117, comma 1, Cost. avvenuto con la riforma costituzionale del 2001, a seguito della quale è stato precisato che la potestà legislativa va esercitata nel rispetto della Costituzione nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali. Ciò consente quindi al giudice a quo, alla presenza di un contrasto tra norma nazionale e norma internazionale pattizia che non risulti superabile in via interpretativa, di sollevare dinanzi alla Consulta questione di legittimità costituzionale della disposizione interna per violazione dell’art. 117, comma 1, Cost.

Quanto poi alle fonti di rango primario, collocate nel gradino della scala gerarchica immediatamente sottostante a quello delle fonti di rango costituzionale,  esse sono costituite innanzitutto dalla legge ordinaria nonché dai c.d. atti aventi forza di legge, ossia i decreti legge e i decreti legislativi, i quali sono espressione dell’esercizio del potere normativo da parte del Governo, per quanto corredato di speciali cautele e garanzie (artt. 76 e 77 Cost.).

Preme evidenziare che il sistema delle fonti primarie è un sistema chiuso, con ciò intendendosi che gli atti che ne fanno parte possono essere individuati solo dalla Costituzione, non potendo un atto legislativo attribuire ad un altro atto, di diverso tipo, la stessa forza che ad esso viene riconosciuta dalla Costituzione. Sempre quest’ultima, peraltro, stabilisce in relazione a determinate materie una riserva di legge (assoluta, relativa o rinforzata, a seconda dei casi), ossia prevede che la relativa disciplina possa essere dettata esclusivamente o quantomeno nelle linee essenziali da fonti di rango primario: tale previsione assolve ad una funzione di garanzia, in ragione della particolare rilevanza riconosciuta alle materie in questione, cosicché si affida la relativa regolamentazione alla sola legge (o comunque ad atti ad essa equiparati) in quanto solo essa è espressione della sovranità popolare e quindi del principio democratico, il che la rende il migliore strumento per assicurare la tutela dei diritti fondamentali nonché il rispetto del principio di uguaglianza.

Tra le fonti primarie sono inoltre annoverati i regolamenti parlamentari (art. 64, comma 1, Cost.), adottati da ciascuna Camera a maggioranza assoluta dei relativi componenti, i quali ne disciplinano il funzionamento e sono considerati espressione dell’autonomia costituzionalmente riconosciuta alle Camere.

Quanto invece alle fonti secondarie, esse sono costituite innanzitutto dai regolamenti governativi (art. 17, L. 400/1988) e, in posizione subordinata rispetto ad essi, dai regolamenti ministeriali ed interministeriali; rientrano altresì in questa categoria eterogenea gli atti normativi di competenza delle autorità indipendenti nonché quelli delle regioni (regolamenti regionali) e degli enti locali (Statuti e regolamenti).

Alla potestà regolamentare fanno riferimento l’art. 87, comma 5, Cost. (“ il Presidente della Repubblica emana i regolamenti”) nonché l’art. 117, comma 6, Cost., il quale enuncia il riparto della potestà regolamentare tra Stato, regioni ed enti locali.

Le fonti secondarie, a ben guardare, si connotano per il fatto che il loro contenuto ha natura normativa, contenendo disposizioni generali, astratte ed in grado di innovare l’ordinamento giuridico, anche se formalmente esse costituiscono atti amministrativi poiché promanano da una P.A.

A differenza di quanto visto in relazione alle fonti primarie, inoltre, il sistema delle fonti secondarie è un sistema aperto, potendo i soggetti titolari del potere normativo primario individuare atti fonte secondari, purché nel rispetto dei limiti costituzionali esistenti, in primis il principio di legalità, in forza del quale ogni atto-fonte secondario deve necessariamente trovare fondamento e quindi essere deliberato sulla base di una previa norma di legge.

All’ultimo gradino della gerarchia delle fonti, infine, troviamo le c.d. fonti fatto, ossia usi o consuetudini, le quali, per essere valide, devono operare secundum legem, quindi essere richiamate da una norma di legge, oppure praeter legem, ossia in un ambito non regolato da alcuna norma legislativa o regolamentare (e chiaramente con esclusione delle materie coperte da riserva di legge).

Una volta tracciato un quadro generale del sistema delle fonti, volgiamo ora l’attenzione in particolare alla figura, non poco controversa e discussa, delle leggi-provvedimento. Con questa espressione si suole fare riferimento ad una particolare tipologia di atto normativo che formalmente assume la veste di legge, seguendone il procedimento di formazione di cui agli artt. 70 e ss. della Costituzione, ma che contenutisticamente non presenta quei caratteri di generalità e di astrattezza che normalmente connotano le disposizioni legislative.

Le leggi provvedimento, difatti, si caratterizzano per il contenuto specifico e puntuale, tipico degli atti amministrativi, tanto che si è soliti affermare che esse non prevedono la disciplina di comportamenti futuri, provvedendo, piuttosto, alla cura immediata di un determinato interesse.

Come è facilmente intuibile ciò pone una serie di problematiche, inerenti innanzitutto al rispetto del principio di uguaglianza, di cui all’art. 3 Cost., potendo previsioni specifiche e dettagliate, riferite a singoli casi concreti, generare una disparità di trattamento tra i consociati. A ciò si aggiunge, inoltre, la considerazione relativa all’importanza che riveste, in ogni moderno Stato di diritto, il principio di separazione dei poteri e quindi la distinzione tra la funzione legislativa, esercitata collettivamente dalle due Camere, secondo la previsione dell’art. 70 Cost., e la funzione esecutivo-amministrativa, spettante alla P.A. ai sensi dell’art. 97 Cost.

Da ultimo, ma non certo per importanza, occorre ricordare che uno dei profili maggiormente problematici in relazione all’ammissibilità o meno delle leggi provvedimento ha riguardato la riscontrata difficoltà nell’individuazione di una tutela giurisdizionale per i singoli che dovessero vedersi lesi dall’atto in questione: avendo quest’ultimo una formale veste legislativa, infatti, è esclusa la sua impugnabilità diretta da parte del cittadino, con conseguente vulnus al diritto di difesa dello stesso (artt. 24 e 113 Cost.).

Sul punto la Corte costituzionale è ormai giunta a ritenere in generale ammissibile la figura delle leggi provvedimento, essendo stata esclusa la sussistenza nel nostro ordinamento di una riserva di amministrazione a favore del governo; allo stesso tempo, però, la Consulta si è anche preoccupata di precisare che la legittimità della singola legge provvedimento debba essere valutata di volta in volta, in relazione allo specifico caso concreto, con un sindacato che deve essere particolarmente rigoroso soprattutto per quanto riguarda il rispetto dei principi di ragionevolezza e non arbitrarietà della scelta compiuta dal legislatore (sent. 137/2009).

Deve invece ritenersi sicuramente escluso il ricorso a leggi provvedimento in tutti i casi in cui sia la stessa Costituzione a richiedere l’intervento mediante leggi generali, come accade negli artt. 16, 21 e 33 della Costituzione, riguardanti rispettivamente la libertà di circolazione e soggiorno, la libertà di stampa e l’istruzione.

Allo stesso modo dovrebbe ritenersi esclusa l’ammissibilità di leggi provvedimento ogniqualvolta vi siano in gioco diritti fondamentali, ma non sono mancati anche qui casi concreti di segno opposto, come la legge provvedimento 17/1982 (c.d. legge Anselmi), recante attuazione dell’art. 18 della Costituzione in materia di associazioni segrete e scioglimento della Loggia P2.

Quanto invece alla problematica relativa al vuoto di tutela giurisdizionale, è stato osservato che il diritto di tutela del cittadino non viene annullato, bensì trasferito dall’ambito della giustizia amministrativa a quello della giustizia costituzionale: questo significa, pertanto, che il soggetto leso dalla legge provvedimento, non potendo adire direttamente la Consulta, dovrà rivolgersi al giudice amministrativo, il quale assumerà le vesti di giudice a quo e provvederà a sollevare la questione di legittimità costituzionale dinanzi alla Corte costituzionale.

Deve peraltro osservarsi che è stato escluso che il legislatore possa intervenire con una legge provvedimento in contrasto con un giudicato già formatosi, in quanto ciò andrebbe ad intaccare il principio della certezza del diritto, mentre non è ancora stata raggiunta una conclusione univoca quanto all’ammissibilità di una legge provvedimento che intervenga in recepimento di un atto amministrativo, oggetto di un giudizio pendente. In quest’ultimo caso, infatti, la Corte costituzionale tende a configurare una preclusione analoga a quella che opera in caso di formazione del giudicato, mentre il Consiglio di Stato ritiene possibile il configurarsi di una siffatta situazione, con la conseguenza che il singolo, leso dall’atto amministrativo successivamente recepito dalla fonte primaria, dovrà sollecitare il giudice amministrativo, dinanzi al quale abbia già impugnato il provvedimento per lui pregiudizievole, a sollevare la questione di legittimità costituzionale nei confronti della legge provvedimento intervenuta in recepimento di quello: a tal fine, però, il ricorrente dovrà impugnare anche gli atti amministrativi a loro volta attuativi della legge provvedimento, così da consentire al giudice rimettente di compiere la valutazione sulla rilevanza e non manifesta infondatezza della questione (sent. Cons. Stato 1349/2012).

Preme evidenziare, in conclusione, come un’ulteriore forma di tutela nei confronti delle leggi provvedimento sia oggi prevista dall’ordinamento dell’U.E.: la Corte di Giustizia, in una sentenza del 2011, ha infatti affermato che ogniqualvolta una legge provvedimento ostacoli l’accesso alla giustizia in materia ambientale, essa si pone di fatto in diretta violazione delle direttive comunitarie e pertanto sarà disapplicabile da parte del giudice interno.


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Serena Fiorentini

Laureata presso La Sapienza, Università di Roma, voto 110/110 e lode, con tesi in Procedura penale, dal titolo "La prova decisiva" (Relatore Prof. Alfredo Gaito). Successivamente ha svolto con esito positivo il tirocinio presso gli uffici giudiziari (marzo 2016- settembre 2017) presso il Tribunale di Civitavecchia, sezione penale. Ha frequentato i corsi di alta formazione giuridica "Lexfor" (2016-2017) e "Jusforyou" (2017-2018).

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