Il sistema delle tutele crescenti nel jobs act
Per i lavoratori assunti dopo l’entrata in vigore del decreto 23/2015 il nostro attuale assetto prevede un criterio definito dallo stesso legislatore delegato, “ a tutele crescenti”. Preliminarmente si rileva che tale innovazione normativa non ha modificato le regole sostanziali del recesso ( le condizioni per le quali è possibile recedere dal rapporto di lavoro, ossia licenziare un dipendente) ma solamente l’apparato delle tutele relative al regime sanzionatorio , ovvero l’insieme di conseguenze da cui deriva un licenziamento valutato illegittimo dal Giudice competente.
Come appena accennato, il sistema delle “tutele crescenti” si fonda non sulla previsione di differenti gradi di tutela a seconda della illegittimità del provvedimento espulsivo, ma bensì sull’ammontare dell’indennità risarcitoria in rapporto all’anzianità di servizio del dipendente. Con l’introduzione , dunque, di tale sistema, viene così ulteriormente depotenziato il contenuto dell’art. 18 L. 300/70 ; contenuto già di fatto esautorato in parte della tutela “reale” con le modifiche apportate dalla L. 92/2012 la quale, ricordiamo, ha destrutturato il vecchio art. 18. L. 300/70 in una serie di tutele ognuna delle quali relativa alla natura del provvedimento illegittimo.
Orbene, tale sistema prevede oramai in via residuale l’istituto della reintegra , ossia applicabile solo per i licenziamenti discriminatori ( inesistenti, non nella loro essenza, ma nella realtà processuale), per quelli intimati oralmente e per quelli fondati su un fatto materiale che venga dimostrato come mai accaduto, ovvero non determinatosi. Tale previsione ci porta , però , ad una considerazione di non poco conto; si esclude infatti che il Giudice possa valutare la proporzionalità di un fatto disciplinare addebitato, cosicché qualora non sia prevista alcuna misura conservativa , il Giudice ,accertata la sussistenza del fatto, deve dichiarare risolto il rapporto di lavoro.
Nel caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, soggettivo e per giusta causa, il giudice, accertata l’illegittimità del provvedimento espulsivo dovrà condannare al pagamento di un’indennità pari a due mesi di retribuzione per ogni anno di servizio prestato ( partendo da un minimo di 4 ad un massimo di 24 mensilità).
Se l’illegittimità del licenziamento è dovuta da vizio formale ( mancanza di motivazione, mancanza di contestazione del fatto disciplinarmente rilevante, ) il giudice dovrà condannare al versamento di un’indennità tra le 2 e le 12 mensilità, partendo dalla base di un mese per ogni anno di servizio.
Per i licenziamenti collettivi, è stato altresì previsto lo stesso regime di quelli per giustificato motivo ovvero per giusta causa; anche per essi, non si da luogo a reintegrazione ma solo ad un’indennità , secondo l’anzianità aziendale, che oscilla tra le 4 e le 24 mensilità.
Insieme a questo sistema di “tutele crescenti” ( che vede a tutti gli effetti solamente le indennità proporzionali all’anzianità di servizio e non anche l’effettività nella sua portata), il decreto 23/2015 ( JOBS ACT) ha previsto anche la possibilità di un’offerta di conciliazione da parte del datore di lavoro; infatti egli, a seguito di licenziamento irrogato al dipendente, può avanzare un’offerta di un’indennità di un mese per ogni anno di anzianità di servizio ( con un minimo di 2 ed un massimo di 18). In caso di accettazione da parte del lavoratore , oltre alla rinunzia all’impugnazione del licenziamento, tale indennità sarà da considerarsi esente da imposte e contributi.
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Andrea Pagnotta
Praticante e collaboratore presso studio legale in Roma