Il sistema di protezione internazionale dei diritti umani delle donne

Il sistema di protezione internazionale dei diritti umani delle donne

1. La Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina (1791)

La Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina è un testo giuridico francese pubblicato nel settembre del 1791 dalla scrittrice Olympe de Gouges sul modello della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789 proclamata il 26 agosto dello stesso anno, che esige la piena assimilazione legale, politica e sociale delle donne.

La Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina costituisce un’imitazione critica della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, che elenca i diritti validi solo per la figura maschile, poiché alla donna non si consentiva l’esercizio del diritto di voto, l’accesso alle istituzioni pubbliche, la libertà professionale, i diritti di possedimento.

Olympe de Gouges criticò la Rivoluzione francese di aver dimenticato le donne nel suo progetto di libertà e di eguaglianza: “Se la donna ha il diritto di salire al patibolo, deve ugualmente avere il diritto di salire sulla tribuna”.

Primo documento a invocare l’uguaglianza giuridica e legale delle donne in rapporto agli uomini, la Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina è stata pubblicata allo scopo di essere presentata all’Assembée nationale per esservi adottata. In realtà , le cose andarono diversamente: Olympe de Gouges venne ghigliottinata nel 1793 «per aver dimenticato le virtù che convengono al suo sesso» ed «essersi immischiata nelle cose della Repubblica».

2. L’accordo internazionale per reprimere la diffusione delle pubblicazioni oscene (1910)

Del 1910 è l’Accordo internazionale per reprimere la diffusione delle pubblicazioni oscene, firmato a Parigi il 4 maggio. Lo strumento normativo si limita a prevedere misure in grado di facilitare la cooperazione di polizia e giudiziaria nel settore in questione.

L’art. 1 pone in capo agli Stati firmatari l’obbligo di istituire un’autorità incaricata avente il fine di «raccogliere tutte le informazioni che possono agevolare la scoperta e la repressione degli atti costituenti una contravvenzione alla loro legislazione interna in materia di scritti, disegni, figure od oggetti osceni, e i cui elementi costitutivi hanno un carattere internazionale; di fornire tutte le informazioni volte ad impedire l’importazione delle pubblicazioni od oggetti, nonché di assicurarne o sollecitarne il sequestro: il tutto entro i limiti della legislazione interna;  di comunicare le leggi già emanate o che fossero in seguito emanate nei loro Stati, sulla materia che forma l’oggetto del presente Accordo» .

Ai sensi dell’art. 3, tale autorità «dovrà, se la legislazione interna del suo paese non vi si oppone, comunicare alle autorità di tutti gli altri Stati contraenti gli estratti delle condanne pronunciate nel detto paese per le contravvenzioni contemplate dall’articolo 1».

3. La Convenzione internazionale per la repressione della circolazione e del traffico delle pubblicazioni oscene (1923)

La Convenzione internazionale per la repressione della circolazione e del traffico delle pubblicazioni oscene conclusa a Ginevra il 12 settembre 1923, allo scopo di «dare la maggior efficacia possibile alla repressione della circolazione e del traffico delle pubblicazioni oscene», prevede espressamente obblighi di criminalizzazione, di perseguimento penale e di effettiva punizione di un nutrito gruppo di condotte alternative, elencate all’art. 116.

Il ricorso a tale tecnica di tipizzazione – che prevede appunto, come oggetto dell’obbligo, non una ma  più condotte– si mostra innovativo; così come inusuale per l’epoca è la precisione con cui tali condotte vengono enunciate, che fa della Convenzione in esame uno strumento particolarmente moderno.

Recita la norma che «Le Alte Parti contraenti convengono di prendere tutte le misure per scoprire, perseguire e punire chiunque si renda colpevole di uno degli atti indicati e di conseguenza risolvono che dev’essere punito il fatto: 1) di comporre o di tenere scritti, disegni, incisioni, pitture, stampati, immagini, affissi, emblemi, fotografie, pellicole cinematografiche osceni o altri oggetti osceni, allo scopo di farne commercio o distribuzione, o di esporli pubblicamente; 2) d’importare, di trasportare, di esportare o di far importare, trasportare o esportare, agli scopi di cui sopra, i suddetti scritti, disegni, incisioni, pitture, stampati, immagini, affissi, emblemi, fotografie, pellicole cinematografiche o altri oggetti osceni, odi metterli in qualsiasi modo in circolazione; 3) di farne commercio, anche non pubblico, di compiere qualunque operazione che in qualsiasi modo li concerna, di distribuirli, di esporli pubblicamente o di far mestiere di darli a prestito; 4) di annunziare o di far conoscere con un mezzo qualsiasi, allo scopo di favorire la circolazione o il traffico da reprimere, che una persona è dedita a uno qualsiasi degli atti punibili; di annunziare o di far conoscere come e da chi possano essere procurati, sia direttamente, sia indirettamente, i detti scritti, disegni, incisioni, pitture, stampati, immagini, affissi, emblemi, fotografie, pellicole cinematografiche o altri oggetti osceni».

Rafforza, poi, il carattere vincolante dell’obbligo di penalizzazione sancito dall’art. 1 il successivo art. 4, a norma del quale «le Parti contraenti la cui legislazione non fosse, fin da ora, sufficiente per dare effetto alla presente Convenzione, s’impegnano a prendere o a proporre ai loro rispettivi legislatori i provvedimenti necessari a questo riguardo».

L’art. 2 della Convenzione stabilisce, invece, sul fronte del diritto processuale, che competenti a giudicare delle suddette infrazioni sono gli organi giurisdizionali del Paese nel quale il reato è stato (anche solo in parte) perpetrato, in alternativa a quelli dello Stato di cui il presunto autore del reato è cittadino, purché – in questo caso – questi abbia fatto ritorno in Patria.

Sul piano della cooperazione di polizia e giudiziaria si inquadrano, infine, gli artt. 5 e 6, i quali prevedono rispettivamente l’obbligo di effettuare perquisizioni «nei luoghi in cui vi sia ragione di credere che si compongano o si trovino, per uno qualsiasi degli scopi specificati all’articolo 1 o in contravvenzione a tale articolo, degli scritti, disegni, incisioni, pitture, stampati, immagini, affissi, emblemi, fotografie, pellicole cinematografiche o altri oggetti osceni» al fine di provvedere al loro sequestro e quindi alla confisca e alla distruzione dei medesimi; e l’obbligo di denunciare i fatti alla Parte contraente nel cui territorio sono stati fabbricati o dal cui territorio sono stati importatigli oggetti dell’infrazione, perché essa possa procedere all’adozione delle misure necessarie.

Agli obblighi di cooperazione di polizia e giudiziaria si affiancano, dunque, veri e propri obblighi di persecuzione penale, in maniera significativamente diversa da quanto accadeva sotto la vigenza del già esaminato Accordo per la repressione delle pubblicazioni oscene del 1923.

Non stupisce il fatto che nessun altro strumento internazionale sia inseguito intervenuto a regolamentare la materia: come è stato  rilevato in dottrina, l’interesse alla repressione di questo tipo di condotte è infatti venuto progressivamente meno con il mutamento dei costumi sociali e con il riconoscimento via via più ampio della libertà di espressione.

4. La Convenzione sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione contro le donne (1979)

Nel quadro del diritto internazionale dei diritti umani, la Convenzione sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione contro le donne costituisce tutt’oggi la norma fondamentale in materia di diritti delle donne in quanto unico strumento giuridico internazionale che sviluppa, rispetto alla condizione femminile, una prospettiva globale in relazione al fenomeno della prostituzione, che a seguito di questo trattato diviene oggetto di una specifica tutela.

La Convenzione ha fatto seguito ad una serie di strumenti adottati nell’ambito delle Nazioni Unite con riguardo alla condizione femminile. In particolare, la Dichiarazione sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione del 1967 ha posto le fondamenta per il lavoro della Commissione sulla condizione della donna che nel 1976 concludeva la discussione di vari progetti di convenzione.

Alla tutela di impostazione negativa, definita dalla proibizione di ogni forma di discriminazione intesa come distinzione, esclusione o restrizione, viene ad affiancarsi la possibilità per gli Stati di adottare azioni di segno positivo, che permettano di conseguire l’obiettivo della parità con l’uomo.

Tale Convenzione consiste di un Preambolo e di 30 articoli.

Il Preambolo, formato da 15 paragrafi inserisce l’obiettivo dell’eguaglianza nel quadro di una prospettiva globale che mette in luce lo stretto collegamento esistente tra le questioni riferibili alle donne e la tematica dello sviluppo e della pace. Il testo della Convenzione si struttura in sei parti. Le prime quattro attengono all’enunciazione dei diritti e delle misure che gli stati parte si impegnano ad attuare per rimuovere  le situazioni discriminatorie, mentre la quinta e la sesta disciplinano le procedure poste a monitoraggio dei diritti umani delle donne.

5. Protocollo opzionale alla Convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione nei confronti delle donne (1999)

Le lacune individuabili nella Convenzione sull’eliminazione si tutte le forme di discriminazione nei confronti delle donne lasciano sospesa la questione del rafforzamento dei meccanismi di giustiziabilità dei diritti umani delle donne.

Nel 1999, l’Assemblea Generale ha adottato un Protocollo opzionale alla Convezione che istituisce ulteriori meccanismi di garanzia.

L’adozione di questo protocollo è avvenuta dopo un lungo periodo di riflessione circa la possibilità di istituire delle procedure specifiche per la giustiziabilità dei diritti umani delle donne sulla base di quanto già previsto da altre convenzioni sui diritti umani.

Gli unici percorsi  possibili sul piano giurisdizionale nel quadro della normativa sui diritti umani erano rappresentati dal ricorso al Comitato dei diritti umani previsto dal Patto sui diritti civili e politici del 1966 e alla Commissione e Corte Europea dei diritti dell’uomo instituita in virtù della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali del 1950.

Con il Protocollo opzionale si è creata una procedura che permette ai singoli o a gruppi di presentare al Comitato comunicazioni scritte su violazioni di uno  qualsiasi dei diritti previsti dalla Convenzione.

Il Comitato ha la possibilità di svolgere delle inchieste circa la situazione dei diritti delle donne. Lo Stato entro sei mesi provvederà a presentare le proprie osservazioni che avranno carattere confidenziale anche per agevolare ogni mezzo di collaborazione tra il Comitato e lo Stato oggetto di denuncia.

6. Convenzione sulla soppressione del traffico di persone e lo sfruttamento della prostituzione altrui (1949)

Questa Convenzione rappresenta lo strumento  più importante in materia di diritti umani delle donne.

Essa è strutturata sulla base di un insieme completo di misure collegate all’eliminazione di tutte le forme di discriminazione.

La Convenzione fornisce anche una definizione di discriminazione sessuale. In modo particolare, l’art.6 obbliga gli Stati parte a adottare le misure per eliminare tutte le forme di sfruttamento della prostituzione.

La Convenzione non contiene riferimenti espliciti alla violenza nei confronti delle donne e non sancisce il diritto delle stesse a vivere libere dalla violenza e dalla sofferenza.  È a seguito dell’adozione di tale Convenzione che molti Stati, in linea con principi proposti nella Convenzione, hanno provveduto in tempi più o meno brevi alla chiusura delle case di tolleranza e alla criminalizzazione dello sfruttamento della prostituzione.


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Dott.ssa Luana Leo

La dottoressa Luana Leo è dottoranda di ricerca in "Teoria generale del processo" presso l'Università LUM Jean Monnet. È cultrice di Diritto pubblico generale e Diritto costituzionale nell'Università del Salento. Ha conseguito la Laurea Magistrale in Giurisprudenza presso il medesimo ateneo discutendo una tesi in Diritto Processuale Civile dal titolo ”Famiglie al collasso: nuovi approcci alla gestione della crisi coniugale”. È co-autrice dell'opera "Il Presidente di tutti". Ha compiuto un percorso di perfezionamento in Diritto costituzionale presso l´Università di Firenze. Ha preso parte al Congresso annuale DPCE con una relazione intitolata ”La scalata delle ordinanze sindacali ”. Ha presentato una relazione intitolata ”La crisi del costituzionalismo italiano. Verso il tramonto?” al Global Summit ”The International Forum on the Future of Constitutionalism”. È stata borsista del Corso di Alta Formazione in Diritto costituzionale 2020 (“Tutela dell’ambiente: diritti e politiche”) presso l´Università del Piemonte Orientale. È autore di molteplici pubblicazioni sulle più importanti riviste scientifiche in materia. Si occupa principalmente di tematiche legate alla sfera familiare, ai diritti fondamentali, alle dinamiche istituzionali, al meretricio, alla figura della donna e dello straniero.

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