Il sovraindebitamento nel nuovo Codice della crisi e dell’insolvenza
Questo contributo intende esplorare sia pur per sommi capi le novità previste in tema di sovraindebitamento dal Codice della crisi e dell’insolvenza (c.c.i.) che entrerà in vigore il 14 agosto 2020.
Va premesso che salve alcune novità il legislatore ha sostanzialmente tenuto ferma la disciplina vigente prevista dalla L.n.3/2012. I cambiamenti adottati riguardano la denominazione delle procedure: l’“accordo di composizione della crisi” (artt. da 10 a 12 L.n.3/2012) diventa “concordato minore” (artt. da 74 a 83 c.c.i.); il “piano del consumatore” (artt. da 12-bis a 14-bis L.n.3/2012) diventa “ristrutturazione dei debiti del consumatore” (artt. da 67 a 73 c.c.i.); la “liquidazione del patrimonio” (artt. da 14-ter a 14-terdecies L.n.3/2012) diventa “liquidazione controllata” (artt. da 268 a 277 c.c.i.).
L’idea di fondo del legislatore rimane in ogni caso quella di consentire al debitore di riacquistare un ruolo attivo nel mercato attraverso la definizione e composizione controllata della sua posizione debitoria divenuta ormai inesigibile. Emblematico sul punto è che l’art. 1 c.c.i. preveda una nozione unitaria di “debitore” qualificato come consumatore o professionista, ovvero imprenditore che eserciti, anche non a fini di lucro, un’attività commerciale, artigiana o agricola, operando quale persona fisica, persona giuridica o altro ente collettivo, gruppo d’imprese o società pubblica, con esclusione dello Stato e degli enti pubblici.
Il primo passaggio della procedura di crisi passa quindi dalla qualifica del soggetto indebitato come debitore, mentre gli sbocchi successivi mutano in considerazione della specifica qualifica e condizione soggettiva rivestita dal debitore. La ragione che ha spinto il legislatore a muoversi in questa direzione risiede nella necessità di far ricadere nell’alveo della concorsualità non solo le insolvenze generatesi dall’esercizio di attività commerciali e industriali di rilevanti dimensioni, ma anche quelle derivanti da piccole attività e da persone fisiche.
Ne consegue che l’utilizzo di uno strumento di trattazione del dissesto piuttosto che un altro varia solo a seconda della dimensione del debitore e si sostanzia solo nella semplificazione del procedimento applicabile ai soggetti di dimensioni patrimoniali ridotte, rimanendo invece immutate per tutti le condizioni di accesso esplicitate nell’art. 1 c.c.i. Tra le novità che meritano di essere sottolineate vanno menzionate: – la scomparsa della valutazione del Tribunale sulla diligenza del debitore nell’assunzione con colpa dell’indebitamento; – l’introduzione, sulla spinta di dottrina e giurisprudenza, del sovraindebitamento “familiare”; – una maggior responsabilizzazione dei soggetti finanziatori; – la disciplina del regime di responsabilità dei soci illimitatamente responsabili in relazione all’accesso al sovraindebitamento delle società di persone non fallibili.
Sotto altro profilo, però, restano irrisolti altri nodi, tra gli altri quello della possibile falcidiabilità dell’IVA e delle ritenute operate e non versate. Altrettanto vero è, però, che il legislatore non ha previsto, come nella L.n.3/2012, l’infalcidiabilità dell’imposta e che quindi sembra ragionevole optare per la falcidiabilità anche sulla scorta di quanto stabilito dalla giurisprudenza di merito (v. Trib. Torino ord. 7 agosto 2017; Trib. Udine, ord. 14 maggio 2018) formatasi sulla scorta di quanto stabilito dalla sentenza della Corte di Giustizia UE C-546/14 del 7 aprile 2016.
Venendo al merito, con riferimento al giudizio di convenienza economica va sottolineato che rimane solo quello effettuato dal giudice in caso di contestazioni, mentre scompare quello dell’OCC nella relazione, con la specificazione che se il soggetto finanziatore non ha tenuto conto (o ha errato nella valutazione) del merito creditizio del ricorrente, non potrà formulare un’opposizione. Da sottolineare è il ruolo da protagonista che sarà giocato sicuramente dalla liquidazione controllata del sovraindebitato nel nuovo scenario del codice della crisi.
Venendo alla procedura, per sommi capi, il ricorrente deve chiedere agli organismi di gestione della crisi la nomina di un gestore. La difesa tecnica del debitore sembra esclusa, ma è pur vero che la possibilità di uno sbocco “giudiziale” della procedura rende indispensabile il patrocinio di un avvocato. L’istanza può inoltre essere presentata da un creditore o dal pubblico ministero nel caso in cui il debitore sia un’impresa e anche se sono pendente procedure esecutive. La locuzione “anche” va intesa nel senso di estendere il novero dei soggetti legittimati a beneficiare dell’esecuzione collettiva in modo tale da legittimare i creditori che sono frenati nella tutela dei propri diritti dagli elevati costi delle procedure. A differenza della relazione particolareggiata della liquidazione del patrimonio nella L.n.3/2012, non sarà richiesto all’OCC di pronunciarsi, per il debitore persona fisica, sulle cause dell’indebitamento e della diligenza impiegata nell’assumere volontariamente le obbligazioni, sulle ragioni delle incapacità di adempierle, né verrà richiesto il resoconto sulla solvibilità del medesimo degli ultimi cinque anni. Allo stesso tempo non verrà richiesto di indicare l’eventuale esistenza di atti del debitore impugnati dal creditore nell’ultimo quinquennio.
Tali novità si giustificano con la scomparsa di quell’aspetto premiale di cui si è accennato e che di fatto connotava la procedura di liquidazione del patrimonio. Il legislatore ha quindi diversamente delineato il perimetro degli interessi coinvolti nella liquidazione del patrimonio consentendo l’accesso semplificato alla procedura non solo al debitore, ma anche ai terzi creditori che ritengano di voler profittare del concorso non essendo disposti ad anticipare le spese dell’esecuzione.
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