Il trasferimento d’azienda nella composizione negoziata e l’esonero della responsabilità solidale ex art. 2560 c.c.
di Andrea Jonathan Pagano, ricercatore universitario; Simone Giugni, avvocato; Simonetta Sforzi, avvocato; Rita Emanuela Galvagno, avvocato; Vittorio Cerbini, dottore commercialista; Jessica Dal Canto, dottoressa commercialista.
Sommario: 1. Il trattamento dei debiti del cedente nelle procedure concorsuali ordinarie – 2. La disciplina nella composizione negoziata – 3. Obblighi ed esoneri prescritti al cessionario ex D.L 118/2021 – 4. Conclusioni
Abstract
Lo scritto si propone di analizzare la disciplina della novella normativa in ambito di composizione negoziata circa il trasferimento d’azienda. In particolare gli autori evidenziano analogie e differenze, if any, tra lo strumento concorsuale e quello negoziale, astrattamente altro da sé dall’ambito applicativo del R.D. 267/1942 nel trattamento dei debiti anteriori.
L’elaborato evidenzia il favor accordato al cessionario dell’azienda in crisi mediante lo strumento della composizione negoziata, verificando la effettiva legittimità degli esoneri degli obblighi e responsabilità solidali ex art. 2560 c.c. prescritti civilisticamente.
1. Il trattamento dei debiti del cedente nelle procedure concorsuali ordinarie
“La moderna evoluzione della prassi e della teoria del fallimento è caratterizzata dal crescente interesse per le soluzioni e per gli strumenti che consentano d’evitare la disintegrazione dell’azienda e la cessazione dell’impresa. […] Riconoscere all’ufficio fallimentare la legittimazione ad affittare ed a vendere in blocco l’azienda del debitore equivale ad offrirgli due validi strumenti per impedire che al fallimento consegua la disintegrazione dell’azienda e la cessazione dell’impresa” [1]
Così Rivolta, nel suo celebre scritto del 1973, enunciava, visionario e lungimirante, le motivazioni alla base delle scelte che, successivamente, il Legislatore accoglieva e trasponeva in ambito concorsuale per le fattispecie di affitto e cessione d’azienda a seguito di dichiarazione di fallimento.
L’istituto della cessione unitaria dell’azienda soggetta a procedura concorsuale trova oggi espressa legittimazione nel titolo II Capo VI del novellato Regio decreto 267/1942 ai sensi dell’articolo 105, applicabile in via analogica, per quanto possibile anche al Concordato Preventivo di cui agli artt. 160, 161 e 186 bis.
Per unitarietà di disciplina e sostanziale identità, ai fini della sola fattispecie esaminanda, nel prosieguo il termine concorsuale sarà indistintamente valido e correlato alle procedure fallimentari e di concordato preventivo.
Onde procedere compiutamente alla disamina sulla sorte dei crediti e, più in particolare, ai fini del presente, dei debiti in seguito a trasferimento d’azienda appare, prima facie, quanto mai opportuno ricordare nuovamente Rivolta per comprendere l’ambito di applicazione della disciplina: “non deve trattarsi di crediti e debiti sinallagmaticamente legati a costituire le prestazioni ineseguite d’uno stesso contratto; altrimenti si ricadrebbe, come sappiamo, nell’ambito di applicazione dell’art 2558 cod. civ. e delle altre norme che disciplinano la sorte dei contratti aziendali”
Per quanto concerne la disciplina dei debiti il Legislatore ha compiuto una deroga assoluta alla disciplina di diritto comune. [2]
La norma cui si allude è l’art 2560 c.c., al cui primo comma è sancita la responsabilità dell’alienante per i debiti inerenti l’esercizio dell’impresa sorti anteriormente al trasferimento, mentre al secondo comma è prevista la responsabilità sussidiaria del cessionario per i debiti inerenti l’esercizio dell’impresa, ancorché sorti anteriormente al trasferimento, risultanti dalle scritture contabili.
La disciplina fallimentare speciale è contenuta nel quarto comma dell’art 105: “Salvo diversa convenzione, è esclusa la responsabilità dell’acquirente per i debiti relativi all’esercizio delle aziende cedute, sorti prima del trasferimento”.
L’espressione “salvo diversa convenzione” va coordinata col quinto e nono comma del medesimo articolo.
Il Legislatore, se per un verso ha posto come regola generale quella dettata dal quarto comma, ha voluto altresì dall’altro dare rilievo all’autonomia privata [3]. Difatti il quinto comma concede la possibilità di cedere le passività aziendali, mediante accollo, esonerando dalla responsabilità il cedente, ovvero la curatela. Il nono comma prevede poi la facoltà dell’accollo dei debiti salvo il caso in cui venga alterata la graduazione dei crediti.
La seconda parte del quarto comma dell’art 105 va letta, a confronto con l’art 2560 c.c., alla luce della voluntas legis dell’intera sezione dedicata alla cessione d’azienda.
Il primo comma dell’art 2560 c.c. non può quindi essere applicato per la volontà del Legislatore di epurare il più possibile l’azienda fallita da eventuali fardelli che, se da un lato ne diminuiscono il valore, dall’altra ne inficiano l’appeal. Appare dunque inapplicabile non già la voce della responsabilità dell’alienante salvo che abbiano acconsentito i debitori, bensì la fattispecie in sé della cessione dei debiti.
Il secondo comma dell’art 2560 c.c. non è invocabile per una evidente lesione della par condicio creditorum. Infatti, qualora venisse applicata tale disposizione, il cessionario risponderebbe solo dei debiti risultanti dalle scritture contabili, creando un pregiudizio per coloro i cui debiti non risultano su dette scritture. La lesione del principio della par condicio creditorum sarebbe non solo in contrasto con altre previsioni specifiche della liquidazione dell’attivo, ma anche con le norme cardine dell’intera disciplina fallimentare (si pensi ad esempio alla ratio della revocatoria fallimentare).
Un ulteriore argomento addotto dalla dottrina [4] per concludere sulla mancata necessità di prevedere la responsabilità concorrente del cessionario parte dal fondamento che sta alla base del secondo comma dell’art 2560 c.c., ossia l’esigenza di proteggere i creditori dell’impresa contro il rischio del pregiudizio che potrebbe scaturire da una cessione ad un valore infimo e dal conseguente occultamento di una parte del prezzo effettivo. Ebbene, nelle procedure concorsuali tale rischio non sussiste, ove ogni singolo atto, viene compiuto sotto il controllo degli organi fallimentari [5].
2. La disciplina nella composizione negoziata
L’art. 10, comma 1, d.l. 24 agosto 2011, n. 118, convertito con modificazioni dalla l. 21 ottobre 2021, n. 147, prescrive che “su richiesta dell’imprenditore il tribunale, verificata la funzionalità degli atti rispetto alla continuità aziendale e alla migliore soddisfazione dei creditori, può: [… ] d) autorizzare l’imprenditore a trasferire in qualunque forma l’azienda o uno o più suoi rami senza gli effetti di cui all’articolo 2560, secondo comma, del codice civile, dettando le misure ritenute opportune, tenuto conto delle istanze delle parti interessate al fine di tutelare gli interessi coinvolti; resta fermo l’articolo 2112 del codice civile”.
Il fine cui la norma tende è piuttosto chiaro: alla luce della grave crisi contingente che il Paese sta attraversando, nonché delle continue norme palesemente ex parte debitoris succedutesi, in particolare, a far data dall’occorrer della pandemia da Covid-19 [6], si cerca di favorire la cessione antesignana – rectius ante conclusione in qualsivoglia guisa della composizione negoziata – finanche durante le trattative prescritte, allorquando si ravvisi la necessità od anche solo l’utilità di trasferire l’azienda ovvero uno o più dei suoi rami e di procedere in tal senso quale unica o maggiormente conveniente soluzione alla crisi.
Appare quindi evidente che il legislatore, anche nell’ambito di una procedura dal carattere squisitamente negoziale e non concorsuale, ha ritenuto primario l’interesse di mantenere l’impresa viable e quindi di favorirne la collocazione sul mercato.
Dall’angolo visuale di suddette esigenze, l’eventuale imposizione di vincoli che possano impedire o rallentare la cessione dell’azienda in esercizio è inquadrabile quale potenziale pregiudizio per la massa ovvero, comunque, per la stessa continuità aziendale. Ed è sulla scorta dei suddetti pregiudizi – finanche potenziali – che il Legislatore ha disposto la legittimazione a procedere al trasferimento di tutto o parte del comparto aziendale anche durante la fase delle mere trattative, pur prescrivendo specifiche cautele, sia procedimentali e formali che sostanziali [7].
Naturalmente la previsione di una tutela rafforzata per il cessionario al di fuori delle procedure concorsuali comporta l’insorgere di dubbi sull’applicazione pratica dello strumento.
Va a questo scopo ricordato che, rientrando il trasferimento di azienda, o ramo di essa, tra gli atti di straordinaria amministrazione, l’istante ben potrebbe procedere alla alienazione autonomamente così come prescritto ex art. 9 d.l. 118/2021, senza richiedere l’autorizzazione preventiva del tribunale, bensì con la mera informativa all’esperto nominato.
In questo caso, tuttavia, il cessionario risponderebbe in via solidale con il cedente dei debiti anteriori risultanti dai libri contabili obbligatori, così come delineato dalla norma di diritto comune ai sensi dell’art. 2560, comma 2, c.c. e, parimenti, non opererebbe nemmeno l’istituto conservazione degli effetti prevista dall’art. 12 d.l. 118/2021 di cui infra [8].
Ben si comprende quindi come la prescrizione normativa di cui sopra risulterebbe vuota di significato e di applicazione pratica. Chi potrebbe mai decidere di acquistare un’azienda decotta o, comunque, in crisi – nel corso di una fase meramente negoziale – senza l’esonero prescritto dalla generale normativa concorsuale in ordine ai debiti antecedenti?
Difatti, solo l’autorizzazione del tribunale concede e legittima l’applicazione dell’effetto purgativo ex art. 2560 c.c. nonché la conservazione degli effetti e, pertanto, appare chiaro come la unica strada percorribile, per il trasferimento dell’azienda nelle more della composizione negoziata, sarà quella preceduta dalla autorizzazione del Giudicante [9].
3. La stabilità degli effetti giuridici. Obblighi ed esoneri prescritti al cessionario ex D.L 118/2021
Quanto poi all’ambito di applicazione della deroga di cui all’articolo 2560, II comma, c.c., mentre è certo che essa si applica solo ai debiti veri e propri [10] e non alle posizioni non ancora definite, relativamente alle quali quindi il cessionario continuerà a essere responsabile, qualche dubbio potrebbe invece porsi relativamente al trattamento dei debiti tributari.
In particolare, ai sensi dell’art. 14 D. Lgs. 472/1997, in caso di cessione d’azienda il cessionario, fatto salvo il beneficio della preventiva escussione del cedente, è in linea generale responsabile in solido con lo stesso per il pagamento dell’imposta e delle sanzioni riferibili alle violazioni commesse nell’anno in cui è avvenuta la cessione e nei due precedenti, nonché per quelle già irrogate e contestate nel medesimo periodo anche se riferite a violazioni commesse in epoca anteriore.
Nel caso della neo-nata composizione negoziata della crisi (che non è una procedura concorsuale) nulla quaestio, ovviamente, qualora la stessa sfoci, ai sensi dell’art. 11 del D.L. 118/2021, in una di quelle procedure in cui tale beneficio è espressamente attribuito al cessionario (essendo esclusa la sua responsabilità solidale).
Invece, laddove si esca dalle ipotesi espressamente contemplate dall’art. 11, che non esauriscono certamente il ventaglio delle possibilità offerte all’imprenditore che accede alla composizione negoziata, l’applicazione dell’esenzione degli effetti di cui all’art. 2560, II comma, c.c. – che sembrerebbe rispondere a logica ed equità – potrebbe essere dubbia.
Non appare infatti scontato, soprattutto essendo controinteressata l’Agenzia delle Entrate, che l’acquirente dell’azienda nell’ambito del percorso di composizione negoziata della crisi possa avvalersi di tale beneficio invocando un’interpretazione estensiva (tecnicamente non consentita, trattandosi di norma derogatoria a principio generale) del disposto di cui all’art. 14, comma 5-bis, del D. Lgs. 472/1997.
L’aspetto nodale della questione, esaurito il profilo delle modalità con cui addivenire ad una cessione “autorizzata”, inerisce dunque alla c.d. stabilità e conservazione degli effetti dell’atto traslativo.
In questo soccorre la previsione di cui all’art. 12 d.l. 118/2021, secondo cui “gli atti autorizzati dal tribunale ai sensi dell’articolo 10 conservano i propri effetti se successivamente intervengono un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato, un concordato preventivo omologato, il fallimento, la liquidazione coatta amministrativa, l’amministrazione straordinaria o il concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio di cui all’articolo 18”.
Non può quindi dubitarsi dell’intenzione del legislatore di salvaguardare, qualunque sia l’esito della procedura negoziale, sia l’effetto traslativo che quello purgativo rispetto ai debiti anteriori. Tale conservazione degli effetti sostanzia, dunque la condizione essenziale al fine di ottenere un qualche reale ed effettivo interesse di terzi a rilevare l’azienda in crisi.
E invero, laddove si dubitasse della stabilità degli effetti, con ogni probabilità gli eventuali interessati alla prosecuzione della continuità aziendale finirebbero per propendere per la conclusione di un contratto di affitto di azienda.
Lo stesso però, come dimostra l’inapplicabilità ex lege all’affitto dell’art. 2560 c.c., deve ritenersi escluso dal perimetro di applicazione dell’art. 10 e, soprattutto, del regime autorizzatorio. Laddove si finisse però per legittimare soltanto l’affitto di azienda, che è l’istituto cui maggiormente si fa ricorso per tutelare la continuità indiretta nella crisi di impresa, la portata innovativa del D.L. 118 ne uscirebbe notevolmente sminuita.
Confermata dunque, la piena ed effettiva stabilità degli effetti, permangono in ogni caso tre cautele espresse disposte a tutela dei creditori anteriori.
Il primo limite si configura nella prescrizione di cui all’art. 10 comma 1 lett. d talché “resta fermo l’articolo 2112 del codice civile. Da tale angolo visuale dunque il Legislatore sembra aver voluto conseguire l’obiettivo primario della conservazione inalterata delle tutele legali dei diritti dei lavoratori, ivi compreso il mantenimento dei livelli occupazionali, a scapito dei diversi creditori anteriori [11].
La seconda cautela è disposta dall’art. 13 comma 4. secondo il quale “resta ferma la responsabilità dell’imprenditore per gli atti compiuti”.
Tale prescrizione sottende alla ipotesi in cui si dimostri che l’imprenditore abbia richiesto e, poi, ricevuto l’autorizzazione sulla base di informazioni mendaci ovvero incomplete. In tale fattispecie, i creditori anteriori eventualmente lesi dall’effetto in deroga del dettame di diritto comune possono eccepire [12] (in quale sede? Quella fallimentare o civilistica?) la responsabilità dell’imprenditore.
La terza ed ultima tutela, pur non espressamente prescritta nel d.l. ma comunque ricavabile deduttivamente e teleologicamente inerisce alla fattispecie per cui l’autorizzazione del tribunale consente di derogare esclusivamente alla sola prescrizione di cui al secondo comma dell’art. 2560 e non già ad ulteriori norme che individuano e concorrono a delineare il comparto debitorio complessivo. Difatti, risulta oramai consolidato l’orientamento giurisprudenziale di legittimità (Cass. civile sez. I, 22/07/2004, n. 13651, Cass. civile sez. II, 11/06/2018, n. 15065 Cass. Civile Sez. III, 10 dicembre 2019, n. 32134), secondo cui, in ambito di cessione di azienda, le prescrizioni di cui all’art. 2560, comma 2, c.c., con riferimento ai debiti relativi all’azienda ceduta, si applicano ai debiti in sé soli considerati, e non anche quando, viceversa, questi si ricolleghino a posizioni contrattuali non ancora definite, in cui il cessionario sia subentrato a norma del precedente art. 2558 c.c. [13]
In quest’ultimo caso, la responsabilità dell’acquirente si innesta nell’alveo del più generale esito del contratto a prestazioni sinallagmatiche non già del tutto esaurito. Alla luce di suddetto orientamento alla fattispecie in esame possiamo dedurre che, anche allorquando occorra l’autorizzazione del tribunale, il cessionario risponderà in solido dei debiti che si ricolleghino a posizioni contrattuali non ancora definite [14], in cui sia subentrato a mente del precedente art. 2558 c.c.
4. Conclusioni
Il regime autorizzatorio introdotto dall’art. 10 del D.L. 118/2021 rappresenta il chiaro riconoscimento, da parte del legislatore, del ruolo primario che la prosecuzione dell’attività di impresa, anche se in forma indiretta, riveste per la tutela del debitore, del mercato e anche dei creditori.
Si è quindi cercato di anticipare alla fase negoziale l’adozione di alcune tutele sinora previste solo nell’ambito delle procedure concorsuali, nell’evidente tentativo di favorire la cessione dell’azienda in esercizio in un momento nel quale la ricollocazione della stessa sul mercato sia più agevole.
L’intento del legislatore è quindi sicuramente da apprezzare. Sarà però necessario garantire, anche sul piano giudiziale, che gli effetti della cessione, e in particolar modo la purgazione dai debiti anteriori, siano conservati anche nell’eventualità in cui la composizione negoziata della crisi non abbia successo e si apra una procedura concorsuale.
Se così non fosse, è evidente, ogni sforzo compiuto risulterebbe irrimediabilmente vanificato.
Bibliografia
[1] G. Rivolta, L’affitto e la vendita dell’azienda nel fallimento, 1973
[2] R. Amatore, Il Programma Di Liquidazione nel Fallimento, 2012
[3] C. Cecchella, Il Diritto Fallimentare. 2015.
[4] A. Gallone, M. Ravinale, L’affitto e la cessione d’azienda nella riforma fallimentare: Profili civilistici, fiscali e lavoristici, 2008
[5] C. Cecchella, Il Diritto Della Crisi Dell’impresa e dell’Insolvenza. 2020.
[6] L. Panzani, “Ce lo chiede l’Europa: dal recupero dell’impresa in difficoltà agli scenari post-pandemia: 15 anni di riforme,” 2021
[7] G. D’Attorre, “Il trasferimento dell’azienda nella composizione negoziata” 2021
[8] F. Vianello, “L’ acquisto d’azienda al tempo della composizione negoziata della crisi ex D.L. 118/2021”, 2021.
[9] A. Pezzano, M. Ratti, “La conservazione degli effetti in caso di insuccesso della composizione negoziata”, 2021
[10] P. Gobio Casali, “Cessione d’azienda – Responsabilità del cessionario d’azienda per i debiti ed esibizione dei libri contabili”, 2017
[11] G. Benvenuto, “Derogabilità dell’art. 2112 c.c. nella cessione d’azienda in crisi,” 2021
[12] V. Sangiovanni, “Responsabilità degli amministratori di s.r.l. e prescrizione”, 2008.
[13] M. Spiotta, “(Imprenditore) Inadimplenti (ma ancora viable) est adimplendum?”, 2021.
[14] G. Buffelli, “La cessione dei beni, dell’azienda o di rami di essa, nella composizione negoziata della crisi: aspetti fiscali ai fini delle imposte dirette” 2021.
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Andrea Jonathan Pagano
Corporate Lawyer at Sime s.r.l.
M.D. Law at University of Pisa 2010-2015;Ph.D. Law at Turiba University 2017-2018;Lecturer Private International Law at Turiba University 2017;Ph.D. Management Engineering (Insurance Law) at Riga Technical University 2018 - in progress;Lecturer Smart Insurance Contract at Riga Technical University 2018;Visiting Fellow Insurance risk management at University of Pisa 2020 - 2022;Adjunct Professor “Insurance risk: evaluation and management” Master in Risk Management at University of Pisa 2022 - in progress
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