Il vitalizio alimentare: un negozio alternativo alla donazione e alla rendita vitalizia
Assistere un anziano è sicuramente un impegno che implica costi – molto spesso – particolarmente onerosi. Tali circostanze hanno indotto i gruppi familiari a ricercare strumenti alternativi alla classica donazione, per sostenere o ricevere in cambio un equivalente di quanto sostenuto per aver prestato assistenza al familiare, che nella maggior parte dei casi si concretizza nella corresponsione di un bene immobile.
Molti pensano che la semplice donazione (diretta o indiretta) possa garantire una certa sicurezza nel poter ricevere dei compensi, anche futuri, in vista del sostenimento delle spese sostenute; tuttavia ciò non corrisponde al vero.
Si pensi ad un padre che avendo bisogno di cure e assistenza, questi le riceva da anni dal figlio Primus e che il secondo figlio, Secundus, non è più in contatto col padre da tempo, ad esempio a causa di una lite familiare.
Sicuramente Primus sarà preferito dal padre nel riconoscergli, tramite una donazione, l’unico immobile di sua proprietà.
La legge, in merito al caso sopra citato, non consente di poter escludere un erede (salvo i gravi casi di cui all’articolo 463 c.c.) per il solo fatto di non essersi occupato del genitore negli ultimi anni della sua vita, dovrà – quindi – essergli corrisposta la c.d. quota di legittima.
Proprio per tale motivo l’eventuale rinvio alla donazione non sortirebbe l’effetto desiderato dal genitore, infatti l’ordinamento considera la donazione – nel caso specifico di un immobile – come una sorta di anticipazione della successione che, una volta morto il padre, tale bene o beni, saranno comunque conteggiati ed inseriti a pieno all’interno dell’asse ereditario al fine di essere divisi tra gli eredi.
La donazione, quindi, non risulta essere il miglior mezzo col quale poter, se così si può dire, “premiare” il figlio che si è prodigato nell’assistenza sia morale che fisica del genitore. A tal fine risulta essere più idoneo il c.d. vitalizio alimentare (comunemente chiamato contratto di mantenimento o contratto di cessione con obblighi di assistenza e mantenimento o, ancora, cessione onerosa con obbligo di mantenimento e assistenza).
Per vitalizio alimentare si intende quel negozio tramite il quale un soggetto (vitaliziante) si obbliga, nei confronti di un altro soggetto (vitaliziato), ad adempiere prestazioni periodiche di carattere assistenziale (morali e fisiche) e alimentare vita natural durante, in cambio di beni mobili, immobili o capitali[1] .
Il nostro ordinamento non prevede tale figura contrattuale, onde per cui ricade all’interno di quella tipologie negoziali c.d. atipiche.
Nato dalla prassi, tale contratto – seppur atipico – è comunque assoggettato alla disciplina generale del contratto.
Per sua natura il contratto di vitalizio alimentare è da considerarsi oneroso, ciò in quanto – a differenza della donazione – manca totalmente il c.d. spirito di liberalità. In tale fattispecie contrattuale vi è comunque un corrispettivo, il quale viene identificato con l’obbligo di prestare assistenza e mantenimento, sia essa morale che materiale, per tutta la vita del beneficiario, che sarà e dovrà essere proporzionata al valore del bene che verrà successivamente trasferito. Tuttavia non si esclude che possa essere dotato di un carattere accentuatamente spirituale[2].
Da quanto sopra detto, risulta molto più chiaro quale sia la natura della prestazione, consistente in un dare o facere (assistenza morale, pagamento medicinali, ecc.) infungibile; prestazione, inoltre, che deve essere collegata all’eventuale stato di bisogno dell’assistito.
Andando più nello specifico, l’oggetto della prestazione, così come risulta dalla nozione fornita dalla scienza giuridica, si concretizza nella fornitura di alimenti quali: vivande, vestiario, cure mediche, ecc.; nonché nell’assistenza morale, cioè anche la semplice compagnia.
Tuttavia, l’elemento che differenzia e che caratterizza tale negozio è l’alea. Infatti, a differenza di contratti con i quali può trovare delle caratteristiche comuni, quali la rendita vitalizia (sulla cui differenza ci soffermeremo a breve), l’alea risulta essere molto più “rafforzata”. I fattori dominanti, sui quali dovrà essere valutato tale elemento, sono sostanzialmente due: incertezza della durata di vita del beneficiante e le prestazioni che dovrà adempiere il beneficiario, quest’ultima – infatti – è strettamente collegata all’incertezza delle condizioni di salute del beneficiante che potranno peggiorare o migliorare.
Sul punto la Suprema Corte[3] è particolarmente rigida: dato che l’elemento aleatorio è ciò che rende tale contratto meritevole di attenzione giuridica, i giudici sono sempre più categorici nell’andare a dichiarare la declaratoria di nullità in mancanza di tale elemento. Pensiamo ad un contratto concluso da un malato terminale, quindi prossimo alla morte; sicuramente non ricorrerebbe l’elemento del rischio e dell’incertezza, oltre che a rendere le prestazioni delle parti particolarmente sproporzionate.
Avendo delineato i caratteri fondamentali del contratto di vitalizio assistenziale e le sue differenze rispetto alla donazione, sembra opportuna precisare che il contratto pocanzi esposto non è da confondere con la c.d. rendita vitalizia, disciplinata dagli articoli 1872 e ss. del codice civile, seppure condividono alcuni tratti essenziali.
Le ragioni per le quali il vitalizio alimentare si differenzia dalla rendita vitalizia, attengono principalmente alla prestazione oggetto di negoziazione[4]:
il contratto di mantenimento ha ad oggetto prestazioni ad esecuzione continuata, le quali devono essere strettamente relazionate alle esigenze del beneficiario, dunque alle sue condizioni che – come sopra detto – possono migliorare o peggiorare nel corso del tempo. Viceversa, la rendita vitalizia si caratterizza da prestazioni che risultano essere a carattere periodico e, quindi, adempiute a scadenze prefissate, senza possibilità di variazioni;
ancora, il vitalizio alimentare presuppone una prestazione infungibile, di dare e facere, con la conseguenza che l’assistenza può essere sia di carattere materiale (cibo, alloggio, spese mediche, accompagnamento presso ospedali, ecc.) che morale (semplice compagnia). L’infungibilità della prestazione trae origine dalla qualità o status del beneficiario, ossia nel c.d. intuitus personae, quindi dalle esigenze dell’assistito. Ed ancora, l’infungibilità determina l’impossibilità che il credito dedotto all’interno del contratto non è trasmissibile agli eredi, a differenza della rendita vitalizia che presuppone prestazioni di carattere fungibile;
In ultimo, ciò che caratterizza il vitalizio alimentare è il carattere aleatorio della prestazione, che risulta essere molto più accentuato in relazione alla durata, alla qualità e alla quantità, variabili in maggior o minor misura al variare delle condizioni di salute dell’assistito. Anche la rendita vitalizia tiene insito tale aleatorietà, tuttavia la prestazione ben definita e la durata della stessa, riducono l’incisività di tale elemento.
In definitiva, le differenze tra vitalizio alimentare e rendita vitalizia risultano lampanti, tuttavia – come pocanzi evidenziato – sono comunque riconducibili ed applicabili le norme disciplinanti il contratto di rendita vitalizia, seppur con le opportune eccezioni[5].
Seppur atipico, il contratto di mantenimento quale contratto, è comunque idoneo a subire una declaratoria di nullità. Sul punto la Suprema Corte di Cassazione si è pronunciata – con ordinanza del 9 maggio 2017, n. 11290[6] – sui casi in cui è possibile richiedere una declaratoria di nullità del contratto di vitalizio alimentare che, oltre ai casi previsti per il contratto in generale, possono annoverarsi:
la mancata specifica indicazione degli obblighi di assistenza e mantenimento, per cui non basta semplicemente indicare genericamente l’obbligo di assistenza, infatti risulterebbe opportuno stilare un elenco ben specifico degli obblighi dedotti (es. prestare cibo, bevande, vitto, medicine, accompagnamento presso luoghi ospedalieri, medici curanti, ecc.). Così facendo si avrebbe un contenuto dell’obbligazione più specifico e concreto;
se il beneficiario dispone di mezzi propri idonei. In questo caso risulterebbe nullo il contratto in cui l’assistito è titolare di una situazione patrimoniale che gli permette di poter provvedere con mezzi propri – oltre la semplice pensione – alla propria assistenza;
la ridotta prospettiva di vita del beneficiario. Per cui il contratto di vitalizio alimentare concluso da un soggetto le cui condizioni di vita risultano particolarmente precarie (ad. es. un malato terminale), risulterebbe nullo in quanto tale circostanza snaturerebbe il carattere aleatorio del negozio, che abbiamo detto essere il requisito primario di tale fattispecie negoziale.
Per concludere, nel caso in cui sopravvenga una declaratoria di nullità, il contratto si “trasformerebbe” in una donazione, ciò comporta che il bene immobile – che avrebbe dovuto essere corrisposto a favore del soggetto che prestava assistenza – ritornerebbe a pieno titolo nell’asse ereditario, dando la possibilità ad altri concorrenti all’eredità di vedersi riconosciuta la loro quota di legittima.
Nel caso di specie, esaminato dalla Suprema Corte, rileva in ultimo che il contratto di vitalizio alimentare era stato concluso dalle parti tramite una scrittura privata autenticata, che essendo stato dichiarato nullo – per i motivi di cui i punti 1,2 e 3 – e “trasformato” in donazione, quest’ultima necessita di un atto pubblico notarile registrato, per cui la declaratoria di nullità avrebbe comunque inficiato la donazione per vizio di forma.
[1] Cass. Civ., Sez. II, sentenza 22 aprile 2016, n. 8209.
[2] Cfr. G. CENTARO, La Cassazione sul c.d. “vitalizio alimentare” e sulla sua differenza dalla rendita vitalizia, nota a Cass., Sez. II Civ., sent. 9 maggio 2017, n. 11290, in giuricivile, 2017, V.
[3] Cass., Sez. II, Civ., sentenza 29 luglio 2016, n. 15904.
[4] Cfr. G. DOSI, Il diritto contrattuale della famiglia: le funzioni di consulenza e negoziazione dell’avvocato, Giappichelli Editore, 2016, 299 ss.
[5] Il contratto di vitalizio alimentare ha ad oggetto una prestazione infungibile, per cui in caso di inadempimento della prestazione non sarà applicabile il disposto di cui all’articolo 1878 c.c., bensì dovrà effettuarsi un rinvio alle norme sulla disciplina generale del contratto e nello specifico all’articolo 1453 c.c.
[6] Cass. Civ., Sez. II, ordinanza 9 maggio 2017, n. 11290, in: www.italgiure.giustizia.it.
Salvis Juribus – Rivista di informazione giuridica
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Riccardo Megna
Nato a Palermo il 27 dicembre 1992.
Abilitato all'esercizio della professione di avvocato il 25 settembre 2020 ed iscritto all'Albo degli Avvocati del Foro di Palermo dal 28/01/2021.
Diplomato presso il liceo scientifico Galileo Galilei di Palermo.
Laureato il 15 marzo 2018 presso la Facoltà di Giurisprudenza di Palermo, discutendo una tesi in diritto civile e penale dal titolo: "La disciplina dei contratti bancari: problematiche circa anatocismo
e usura - aspetti civilistici e penalistici".
Rappresentate legale dell'associazione Info Iuris ed ex membro dell'organo decisionale studenti-docenti presso la facoltà di Giurisprudenza dell'Università degli Studi di Palermo.
Membro, nell'anno 2015, del corso giuridico presso la Facultad de derecho de la Universidad de Malaga: “Derecho Mercantil Aplicado a la Empresa”.
Conoscenze linguistiche: inglese e spagnolo.
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