Il whistleblowing: uno strumento endogeno per la lotta alla corruzione e all’illegalità
Sommario: 1. Il principio della trasparenza amministrativa: significati ed evoluzioni. Brevi cenni – 2. Il whistleblowing come strumento per la lotta alla corruzione e all’illegalità. Definizione e ratio – 3. La tutela del dipendente pubblico che segnala illeciti: l’art. 54bis del D. Lgs. 30 marzo 2001, n. 165 – 4. Chiarimenti sull’applicazione della tutela dell’art. 54bis – 5. La determinazione n.6 del 28 aprile 2015 dell’Autorità Nazionale Anticorruzione sul significato di “condotta illecita”
1. Il principio della trasparenza amministrativa: significati ed evoluzioni. Brevi cenni.
L’attività delle pubbliche amministrazioni è orientata – tra i vari principi fondamentali che la reggono – anche dal principio della trasparenza che si traduce immediatamente nel rendere note all’esterno, in maniera chiara e comprensibile, le informazioni riferite proprio al modo in cui l’attività amministrativa viene gestita e posta in essere relativamente ai suoi atti e alla sua organizzazione. Rendere trasparenti le attività della pubblica amministrazione vuol dire maggior coinvolgimento del cittadino attraverso la conoscibilità delle stesse e – soprattutto – consentire il suo controllo successivo realizzabile attraverso molteplici istituti esplicativi proprio del principio di trasparenza (si pensi al fondamentale diritto di accesso [1] ai documenti amministrativi).
Il criterio della trasparenza è stato aggiunto all’art. 1,comma 1, della legge del 7 agosto 1990, n. 241(Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi), in tempi successivi grazie alla legge dell’ 11 febbraio 2005, n.15, (Modifiche ed integrazioni alla legge 7 agosto 1990, n. 241, concernenti norme generali sull’azione amministrativa) ex art.1, lett a). Ad oggi l’articolo infatti recita: “L’attività amministrativa persegue i fini determinati dalla legge ed è retta da criteri di economicità, di efficacia, di imparzialità, di pubblicità e di trasparenza secondo le modalità previste dalla presente legge e dalle altre disposizioni che disciplinano singoli procedimenti, nonché dai principi dell’ordinamento comunitario”. Il principio della trasparenza trova il suo fondamento nell’art. 97 della Costituzione e in particolare al comma 2, art. 97 Cost. si legge: “i pubblici uffici sono organizzati secondo le disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione” laddove – in modo assolutamente stringato – si può definire imparzialità come equidistanza della P.A rispetto ai soggetti che interagiscono con essa, e buon andamento come la doverosità degli amministratori di eseguire la propria attività nel modo più corretto e opportuno possibile cosi da realizzare il raggiungimento dell’interesse collettivo cui l’azione amministrativa è per l’appunto preordinata. Da questa prima e breve analisi è possibile riconoscere già al principio della trasparenza un primo e fondamentale significato: se l’imparzialità e il buon andamento sono i fari guida per gli amministratori nell’esercizio dell’attività amministrativa posta in essere è vero anche che questi obiettivi si realizzano solo attraverso comportamenti limpidi, conoscibili e valutabili ex post all’esterno e quindi è possibile immaginare – prima facie – la trasparenza come un mezzo di attuazione dei principi di imparzialità e buon andamento ovvero come il quomodo dell’agire degli amministratori.
Il D. Lgs. del 27 ottobre 2009, n. 150 – attuativo della L. del 4 marzo 2009, n. 15, in materia di ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e di efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni – descriveva all’articolo 11 (oggi abrogato ex art. 53, co.1, lett. i, del D. Lgs. del 14 marzo 2013, n. 33 – Pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte della P.A) la trasparenza come “accessibilità totale, anche attraverso lo strumento della pubblicazione sui siti istituzionali delle amministrazioni pubbliche, delle informazioni concernenti ogni aspetto dell’organizzazione, degli indicatori relativi agli andamenti gestionali e all’utilizzo delle risorse per il perseguimento delle funzioni istituzionali, dei risultati dell’attività di misurazione e valutazione svolta dagli organi competenti, allo scopo di favorire forme diffuse di controllo del rispetto dei principi di buon andamento e imparzialità. Essa costituisce livello essenziale delle prestazioni erogate dalle amministrazioni pubbliche ai sensi dell’articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione”. Lo si era premesso: il modo di agire trasparente (come se fossimo in una “Casa di vetro” [2]) è invero uno strumento di tutela dell’amministrato. Gli amministrati hanno la possibilità di conoscere come viene gestita l’attività amministrativa e quindi il principio della trasparenza – id est – diventa terreno fertile per nuove connessioni indissolubilmente legate tra loro perché la trasparenza amministrativa può realizzarsi solo attraverso il principio di pubblicità – ergo la pubblicazione e la diffusione di quanto si realizza – e la possibilità di poter conoscere concretamente questi dati attraverso il diritto di accesso e altri istituti che vedano un’effettiva partecipazione dell’amministrato nei procedimenti amministrativi.
Un altro riflesso interessante di questo ciclo è che il principio della trasparenza – analizzato in termini di accessibilità e controllo – comporta una responsabilizzazione maggiore da parte delle PP.AA per “l’effetto di dover rispondere di qualcosa a qualcuno”. La responsabilizzazione della Pubblica amministrazione può essere analizzata almeno in altre due direttive: a) responsabilizzazione dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni in termini di condotta, di qualità dei servizi, rispetto dei doveri costituzionali di lealtà, diligenza, imparzialità e servizio esclusivo della nazione, ponendo in essere quindi un’attività amministrativa improntata ai criteri di efficacia, efficienza ed economicità volti all’assicurazione del buon andamento e dell’imparzialità dell’amministrazione. In quest’ottica il principio della trasparenza può essere individuato inoltre come specificazione dei principi di buon andamento e imparzialità e non solo come un mezzo di attuazione degli stessi. Una conferma in tal senso potrebbe essere data dalla lettura del comma 44, art.1. della L. 190/2012 modificativo dell’art. 54 del D. Lgs del 30 marzo 2001, n. 165 rubricato “Codice di comportamento”, nell’ambito dell’assetto delle disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione a cui poi è seguita l’adozione del D.P.R del 16 aprile 2013, n.62 ovvero il regolamento recante il codice di comportamento dei dipendenti pubblici; b) condotta trasparente come efficace strumento di prevenzione della corruzione all’interno della pubblica amministrazione e infatti: all’art. 1, comma 15 della legge del 6 novembre 2012, n.190 (Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella Pubblica amministrazione) il legislatore ribadisce che la trasparenza dell’attività amministrativa costituisce livello essenziale delle prestazioni concernenti i diritti sociali e civili ai sensi dell’art. 117, comma 2, lett m) della Costituzione e che la stessa debba essere soddisfatta mediante la pubblicazione delle informazioni relative ai singoli procedimenti amministrativi nei siti web istituzionali delle pp.aa. ove verranno pubblicati inoltre anche i relativi bilanci, conti consuntivi nonché i costi unitari di realizzazione delle opere pubbliche e di produzione dei servizi erogati ai cittadini. Nell’ottica della effettiva realizzazione della trasparenza dell’attività della pubblica amministrazione, il legislatore si preoccupa in tal senso inoltre di renderne semplice la consultazione e il controllo da parte dell’utente e proprio per questo infatti la pubblicazione delle informazioni deve informarsi ai criteri di facile accessibilità, immediatezza nella comprensione, organicità e completezza nel rispetto della disciplina relativa al segreto di Stato, al segreto di ufficio e alla protezione dei dati personali (in questo senso anche i commi 29 e 30, art. 1, L. 190/2012); Al comma 35, art.1, L. 190/2012, si da delega al governo di adottare un decreto legislativo avente come obiettivo il riordino della disciplina relativa alla trasparenza e all’estensione delle informazioni da parte delle pp.aa agli amministrati e, di guisa, agli obblighi di pubblicità. Al comma 36, art. 1, L. 190/2012, si riafferma che le disposizioni di cui al comma 35 della citata legge costituiscono il livello essenziale delle prestazioni erogate dalle pubbliche amministrazioni ai fini della trasparenza e della maladministration ex art. 117, comma 2, lett. m), della Costituzione.
A proposito degli strumenti di prevenzione della corruzione all’interno della pubblica amministrazione viene inoltre introdotto, proprio grazie alla L. n. 190/2012 ex art. 1, comma 51, anche l’istituto del whistleblowing strumento mutuato dall’esperienza statunitense volto alla costituzione di un meccanismo interno alla stessa amministrazione attraverso la collaborazione proprio dei dipendenti pubblici che vi lavorano al suo interno.
In attuazione dell’art. 1, comma 35 della L.190/2012 viene successivamente adottato il D. Lgs. 14 marzo 2013, n.33 (Riordino della disciplina riguardante il diritto di accesso civico e gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni) – il cd. Testo unico sulla trasparenza – che, pensato per la riorganizzazione della disciplina inerente proprio all’impianto normativo della trasparenza e della pubblicità, ha costituito in realtà un’occasione per il potenziamento dell’istituto del diritto di accesso che come si è scritto in precedenza costituisce lo strumento democratico principale per un controllo diffuso sull’attività amministrativa esercitata, e per l’introduzione dell’istituto dell’accesso civico (semplice e generalizzato ovvero FOIA, freedom of information act) la cui principale differenza rispetto al primo istituto richiamato – come è noto – è prevalentemente data dall’ampliamento della legittimazione soggettiva relativa alla richiesta di accesso ai dati e ai documenti detenuti dall’amministrazione.
2. Il whistleblowing come strumento per la lotta alla corruzione e all’illegalità: definizione e ratio
Come premesso il whistleblowing è un istituto recepito nell’ordinamento italiano dalla legge del 6 novembre 2012, n. 190, art.1,comma 51 [3], nell’ambito di un disegno molto più ampio volto alla prevenzione e alla repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione. L’idea del legislatore nell’introdurre questo istituto è stata quella di creare un meccanismo interno secondo cui i pubblici dipendenti potessero segnalare alle autorità ad hoc individuate le eventuali condotte illecite altrui verificatesi in occasione della prestazione di lavoro arrecando così un danno all’integrità della pubblica amministrazione. L’istituto in esame quindi ha come finalità quella di garantire il buon andamento della pubblica amministrazione assicurandone l’integrità e di fungere da efficace strumento interno preordinato allo scoraggiamento di possibili condotte illecite consumante al suo interno. Ovviamente nell’ideare un simile meccanismo si è dovuto tenere conto della possibile reticenza del whistleblower [4] nel denunciare eventuali comportamenti disonesti posti in essere da altri soggetti determinata, lapalissianamente, dal timore di possibili ritorsioni consequenziali alla sua segnalazione e quindi, a tal proposito, a colui che segnala condotte illeciti – ai soggetti debitamente preposti – è assicurata una rete di tutele volte a garantire prima di tutto l’anonimato del segnalante e in secondo luogo – ove fossero fuggite informazioni in tal senso – dal divieto assoluto di applicare misure aventi effetti negativi, diretti o indiretti, sulle sue condizioni di lavoro. Più nello specifico, per quanto concerne l’inquadramento normativo dell’istituto in esame, la disciplina di riferimento è indicata all’art. 54bis del D. lgs del 30 marzo 2001, n. 165, noto anche come Testo unico del pubblico impiego, introdotta per l’appunto dalla L. n.190/2012 e ss.mm.(l’ultima apportata dalla L. n. 179/2017). Per quanto concerne le fonti integrative, invece, di primaria importanza è la determinazione n.6 del 28 aprile 2015 dell’Autorità Nazionale Anticorruzione che introduce le linee guida in materia di tutela del dipendente pubblico che segnala illeciti.
3. La tutela del dipendente pubblico che segnala illeciti: l’art. 54bis del D. Lgs. 30 marzo 2001, n. 165
Il dipendente pubblico [5]che durante lo svolgimento della sua attività lavorativa apprenda di condotte illecite poste in essere da altri soggetti e che siano in grado di arrecare un danno all’integrità della pubblica amministrazione ha la facoltà di segnalarlo o al responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza o all’Autorità nazionale anticorruzione (ANAC) o, ancora, ha la possibilità di denunciare l’accaduto all’autorità giudiziaria ovvero quella contabile. Relativamente alle procedure di segnalazione, è affidata all’ANAC – sentito il Garante per la protezione dei dati personali – l’adozione delle linee guida aventi ad oggetto per l’appunto le modalità di presentazione e di gestione delle comunicazioni circa le attività illecite altrui apprese durante lo svolgimento della prestazione lavorativa.
Si era premesso sin da subito che l’istituto in esame presenta un interessante riflesso psicologico costituito dal fatto che un soggetto possa scegliere di non denunciare per il timore di ritorsioni successive poste in un rapporto di sequenzialità relative alla sua antecedente segnalazione. Proprio per questo il legislatore si preoccupa di proteggere il soggetto che si espone rendendo nota la propria identità al momento della segnalazione garantendone l’anonimato e infatti al comma 3 dell’art. 54 si scrive: “l’identità del segnalante non può essere rilevata”. Questa garanzia costituisce sicuramente la principale forma di protezione del whistleblower considerata ovviamente anche in relazione ai diversi contesti in cui la situazione si verifica, e precisamente: a) nell’ambito del procedimento penale, l’identità del soggetto viene garantita nei modi e nei limiti previsti dall’art. 329 del codice di procedura penale; b) nell’ambito dei procedimenti svolti dinanzi alla Corte dei conti l’identità non può essere rivelata fino alla fine della fase istruttoria; c) nell’ambito del procedimento disciplinare il codice prende in considerazione due ipotesi distinte il cui discrimen è dato dal fondamento della contestazione dell’addebito e cioè: se la contestazione addebitata al soggetto segnalato sia fondata su accertamenti distinti e ulteriori (anche successivi) rispetto alla segnalazione del whistleblower allora l’identità di quest’ultimo non potrà essere rivelata, a contrariis se la contestazione dell’addebito dovesse fondarsi in tutto o in parte sulla segnalazione e se la conoscenza dell’identità del whistleblower fosse indispensabile per la difesa del soggetto segnalato, a quel punto verrebbe data in capo al segnalante una scelta circa la rivelazione della sua identità e in caso di negazione del consenso la segnalazione non sarebbe utilizzabile ai fini del procedimento.
Inoltre, a corroborare il sistema di tutela previsto dal codice, la segnalazione del whistleblower – ovviamente – viene sottratta alla disciplina relativa al diritto di accesso prevista dagli artt. 22 e ss. della legge del 7 agosto 1990, n. 24 e ss.mm.
L’art. 54bis – la cui ratio è traducibile nello scambio tra l’aiuto dato dal dipendente pubblico nella lotta alla prevenzione e alla repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione dall’interno e la della protezione garantita circa la sua identità –contempla la possibilità che l’anonimato possa venire meno e che possano porsi in essere delle misure ritorsive nei confronti del whistleblower e, proprio per questo, al primo comma si scrive: “ il dipendente pubblico […] non può essere sanzionato, demansionato, licenziato, trasferito, o sottoposto ad altra misura organizzativa avente effetti negativi, diretti o indiretti, sulle condizioni di lavoro determinata dalla segnalazione”. A tal proposito il legislatore stabilisce che il dipendente pubblico che ritenga di aver subito delle misure ritorsive in seguito alla segnalazione deve comunicarlo direttamente all’Autorità nazionale anticorruzione oppure potrà essere comunicato, sempre a quest’ultima, tramite le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative nell’amministrazione nella quale le stesse sono state poste in essere. L’ANAC, in seguito alla comunicazione, dovrà informare il Dipartimento della funzione pubblica della Presidenza del Consiglio dei ministri o gli altri organismi di garanzia o di disciplina per le attività e gli eventuali provvedimenti di competenza.
Quanto ai provvedimenti adottati dall’Autorità nazionale anticorruzione devono essere distinte diverse ipotesi: a) la prima previsione è quella che ha ad oggetto l’effettiva adozione di misure discriminatorie in capo al segnalante da parte di una delle pubbliche amministrazioni o di uno degli enti di cui al comma 2 e verificate dall’ANAC in seguito all’istruttoria. In questo caso la disposizione prevede che, fermi restando gli altri profili di responsabilità, l’ANAC potrà applicare inoltre al responsabile una sanzione amministrativa pecuniaria il cui ammontare potrà essere determinato da 5000 a 30.000 euro; b) in secondo luogo il codice prende in considerazione l’eventualità che venga accertata l’assenza proprio delle procedure relative all’inoltro e alla gestione delle segnalazioni ovvero che le procedure – seppur esistenti – non siano conformi rispetto a quelle descritte al comma 5 della stessa disposizione. In questo caso l’ANAC applicherà al responsabile una sanzione amministrativa pecuniaria il cui ammontare potrà essere determinato da 10.000 a 50.000 euro; c) in ultimo un’altra ipotesi è costituita dal mancato svolgimento delle attività di verifica e analisi delle segnalazioni ricevute da parte del responsabile. In questo caso l’ANAC applicherà a quest’ultimo una sanzione amministrativa pecuniaria il cui ammontare potrà essere determinato da 10.000 a 50.000 euro; in tutte le ipotesi prese in considerazione l’entità della sanzione determinata dall’ANAC sarà individuata tenuto conto delle dimensioni dell’amministrazione o dell’ente cui si riferisce la segnalazione. Inoltre l’onere della prova penderà in capo all’amministrazione pubblica o all’ente di cui al comma 2 e si dovrà dimostrare che le misure ritenute discriminatorie o ritorsive poste in essere nei confronti del whistleblowing siano state in realtà adottate per ragioni diverse ed estranee rispetto alla segnalazione stessa. Se verificati, gli atti discriminatori o ritorsivi sono nulli. Allo stesso modo il whistleblower, se licenziato in seguito alla segnalazione, verrà reintegrato nel posto di lavoro secondo quanto disposto dall’art. 2 del D. Lgs. 4 marzo 2015, n. 23.
Vi sono infine delle ipotesi che chiaramente non potrebbero rientrare nell’alveo delle tutele offerte dall’art. 54bis e che riferiscono ad esempio alle previsioni di reato di calunnia o diffamazione. Infatti, nei casi in cui fosse accertata – anche con sentenza di primo grado – la responsabilità penale del soggetto segnalante per i reati di calunnia o diffamazione o comunque per i reati commessi con la denuncia di cui al comma 1 ovvero la sua responsabilità civile, per lo stesso titolo, nei casi di dolo o colpa grave, le tutele trattate sarebbero del tutto escluse.
4. Chiarimenti sull’applicazione della tutela dell’art. 54bis
La disciplina descritta all’art. 54bis del D. Lgs n. 165/2001 è un tipo di tutela accordata solamente al dipendente pubblico che in occasione della prestazione lavorativa riferisca alle autorità le eventuali condotte illecite altrui ricevendo conseguentemente la riservatezza della sua identità onde evitare ogni tipo di ritorsione nei suoi confronti. Tanto preme sottolinearlo per evitare confusioni in relazione ad alcune situazioni che per certi versi potrebbero risultare simili. E’ un dato fondamentale – ai fini dell’applicazione della tutela ex 54bis – che l’identità del whistleblower sia nota alle autorità che raccolgono la segnalazione.
L’Autorità potrà poi decidere se prendere in considerazione anche le segnalazioni anonime che risultino particolarmente circostanziate, ma l’invio di queste e il conseguente trattamento non rientreranno nell’alveo della tutela dell’art. 54bis e quindi proseguiranno per altri canali.
Ancora: distinta dalla normativa in esame è quella relativa ai pubblici ufficiali (art. 357 c.p) e agli incaricati di pubblico servizio (358 c.p) la cui disciplina è ricavabile dal combinato disposto degli artt. 331 del c.p.p e 361 e 362 del c.p. In questo caso i pubblici ufficiali e gli incaricati di pubblico servizio che per la propria funzione o per il servizio svolto abbiano avuto conoscenza del reato – sia durante l’orario lavorativo che al di fuori dello stesso – hanno l’obbligo di presentare denuncia. Il discrimen tra le due fattispecie, e quindi l’inapplicabilità della tutela ex art. 54bis in questo caso, è costituito proprio dall’elemento soggettivo distintivo ovvero dal ruolo ricoperto dal pubblico ufficiale e incaricato i pubblico servizio.
5. La determinazione n.6 del 28 aprile 2015 dell’Autorità Nazionale Anticorruzione sul significato di “condotta illecita”
L’autorità Nazionale anticorruzione ha chiarito nella determinazione n. 6 del 2015 quali situazioni sia possibile ricomprendere nella definizione di “condotta illecita” e cosa poter escludere. Sono qualificabili come condotta illecita: tutti i delitti contro la pubblica amministrazioni di cui al Titolo II, Capo I del codice penale ovvero dei delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione; quelle situazioni in cui – nel corso di un’attività amministrativa – possa essere ravvisabile un abuso da parte del soggetto a cui è stato affidato il potere per ottenere in cambio vantaggi privati; ipotesi in cui sia compromesso il buon andamento della pubblica amministrazione per il perseguimento di fini esclusivamente privati da parte dei soggetti preposti alle funzioni loro attribuite come ad esempio mancato rispetto dei tempi procedimentali, sprechi delle risorse,nepotismo, assunzioni non trasparenti etc.
Il whistleblower deve basare le proprie segnalazioni su fatti di cui sia venuto direttamente a conoscenza in ragione del rapporto di lavoro e non su segnalazioni altrui o indirette. Questo significa che per poter procedere con una segnalazione il fatto dichiarato, se non certo, deve essere almeno altamente probabile onde evitare delle indagini interne inutili e dispendiose e quindi il fatto indicato deve contenere degli elementi di base atti a circostanziare quanto segnalato. E’ inoltre possibile che il dipendente possa aver appreso di condotte illecite anche presso altre amministrazioni diversa da quella di appartenenza e questo chiaramente sarebbe possibile andando a considerare le ipotesi di distacco, comando, trasferimento etc.
L’ANAC chiarisce che anche in questo caso sarà possibile per il whistleblower inviare la segnalazione: l’amministrazione ricevente dovrà inoltrare la segnalazione all’amministrazione in cui si ritiene che si siano verificati i fatti descritti nella stessa oppure all’Autorità Nazionale Anticorruzione.
[1] Altre forme di interazione del cittadino con la P.A sono descritti nella L. del 7 agosto 1990, n. 241 rubricato “ Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi”. In questo senso nel rapporto tra amministratori e amministrati forme di dialogo sono date: dalla motivazione del provvedimento (art. 3), dall’introduzione della figura del Responsabile del procedimento (artt. 4, 5 e 6), dalla comunicazione di avvio del procedimento amministrativo (art. 7), dalla possibilità di intervento nel procedimento (art. 9), dal preavviso di rigetto ovvero dalla comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza (art. 10bis).
[2] TURATI F., in ATTO PARLAMENTARE, CAMERA DEI DEPUTATI – Legis. XXII – 1° sessione – discussioni – 2° tornata del mercoledi 17 giugno 1908, DXXIX – impiegati civili (Discussione del disegno di legge), pagg. 22949 – 22963.
[3] Art, 1, comma 51, L.n. 190/2012: Dopo l’articolo 54 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e’ inserito il seguente: «Art. 54-bis. – (Tutela del dipendente pubblico che segnala illeciti). – 1. Fuori dei casi di responsabilita’ a titolo di calunnia o diffamazione, ovvero per lo stesso titolo ai sensi dell’articolo 2043 del codice civile, il pubblico dipendente che denuncia all’autorita’ giudiziaria o alla Corte dei conti, ovvero riferisce al proprio superiore gerarchico condotte illecite di cui sia venuto a conoscenza in ragione del rapporto di lavoro, non puo’ essere sanzionato, licenziato o sottoposto ad una misura discriminatoria, diretta o indiretta, avente effetti sulle condizioni di lavoro per motivi collegati direttamente o indirettamente alla denuncia. 2. Nell’ambito del procedimento disciplinare, l’identita’ del segnalante non puo’ essere rivelata, senza il suo consenso, sempre che la contestazione dell’addebito disciplinare sia fondata su accertamenti distinti e ulteriori rispetto alla segnalazione. Qualora la contestazione sia fondata, in tutto o in parte, sulla segnalazione, l’identita’ puo’ essere rivelata ove la sua conoscenza sia assolutamente indispensabile per la difesa dell’incolpato. 3. L’adozione di misure discriminatorie e’ segnalata al Dipartimento della funzione pubblica, per i provvedimenti di competenza, dall’interessato o dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative nell’amministrazione nella quale le stesse sono state poste in essere. 4. La denuncia e’ sottratta all’accesso previsto dagli articoli 22 e seguenti della legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni».
[4] Il whistleblower è identificabile come colui che – in occasione dello svolgimento di un’attività lavorativa all’interno del complesso pubblico in cui è inserito – segnali un’attività altrui illecita ovvero fraudolenta di cui sia venuto a conoscenza.
[5] La disposizione in esame chiarisce al comma 2 l’ambito soggettivo cui la stessa si riferisce ovvero per dipendente pubblico si intende il dipendente delle pubbliche amministrazioni di cui all’art 1 comma 2, ivi compreso il dipendente di cui all’art. 3 e quindi “per amministrazioni pubbliche si intendono tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunita’ montane, e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale l’Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN) e le Agenzie di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300” e “in deroga all’articolo 2, commi 2 e 3, rimangono disciplinati dai rispettivi ordinamenti: i magistrati ordinari, amministrativi e contabili, gli avvocati e procuratori dello Stato, il personale militare e delle Forze di polizia di Stato, il personale della carriera diplomatica e della carriera prefettizia nonche’ i dipendenti degli enti che svolgono la loro attivita’ nelle materie contemplate dall’articolo 1 del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 17 luglio 1947, n.691, e dalle leggi 4 giugno 1985, n.281, e successive modificazioni ed integrazioni, e 10 ottobre 1990, n.287. 1-bis. In deroga all’articolo 2, commi 2 e 3, il rapporto di impiego del personale, anche di livello dirigenziale, del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, esclusi il personale volontario previsto dal regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 2 novembre 2000, n. 362, e il personale volontario di leva, e’ disciplinato in regime di diritto pubblico secondo autonome disposizioni ordinamentali. 1-ter. In deroga all’articolo 2, commi 2 e 3, il personale della carriera dirigenziale penitenziaria e’ disciplinato dal rispettivo ordinamento. 2. Il rapporto di impiego dei professori e dei ricercatori universitari ((, a tempo indeterminato o determinato,)) resta disciplinato dalle disposizioni rispettivamente vigenti, in attesa della specifica disciplina che la regoli in modo organico ed in conformita’ ai principi della autonomia universitaria di cui all’articolo 33 della Costituzione ed agli articoli 6 e seguenti della legge 9 maggio 1989, n.168, e successive modificazioni ed integrazioni, tenuto conto dei principi di cui all’articolo 2, comma 1, della legge 23 ottobre 1992. n. 421”.
La norma di cui all’art. 54bis include inoltre il dipendente di un ente pubblico ovvero il dipendente di un ente di diritto provato sottoposto a controllo pubblico ex art, 2359 c.c e i lavoratori e collaboratori delle imprese fornitrici di beni o servizi e che realizzano opere in favore dell’amministrazione pubblica.
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Dorina de Simone
Dorina de Simone ha conseguito la laurea magistrale in Giurisprudenza presso l'Università degli studi di Napoli Federico II con tesi di laurea in Diritto Internazionale. Successivamente ha conseguito con profitto il diploma di Master Post Laurea di II livello in Diritto Amministrativo (nel 2019) e in Tutela del rapporto di lavoro (nel 2020).