Immobile ereditato da più eredi: che fare?

Immobile ereditato da più eredi: che fare?

Accade spesso che all’apertura della successione l’immobile dove ha abitato per gran parte della vita il de cuius cada in comunione tra più coeredi.  In questi casi, l’eredità viene acquistata da più persone e sui beni ereditari si forma una comunione c.d. “ereditaria”, al fine di distinguerla dall’istituto della comunione ordinaria ex artt. 1100 ss. C.c. La comunione ereditaria comprende tutti i beni appartenenti al de cuius in vita e facenti parte del relictum alla sua morte.

Prima della sua morte il defunto può fare testamento, al momento della morte, in tal caso, si aprirà la successione testamentaria, finalizzata ad attuare le sue ultime volontà.  La successione testamentaria si apre in forza di un negozio mortis causa e i soggetti chiamati a succedere sono detti successori testamentari. Al fine di dare maggior attuazione possibile alle ultime volontà del de cuius, quali espressione della libertà di disporre dei propri beni, la successione testamentaria prevale su quella legittima. Tuttavia, bisogna ricordare che la legge pone limiti ben definiti alla libertà del testatore per scongiurare la lesione degli interessi degli eredi c.d. legittimari.

La successione legittima è regolata dagli artt. 565 ss. C.c. e opera quando il defunto non abbia provveduto a redigere un testamento e disporre delle proprie sostanze per il periodo successivo alla morte (o lo abbia fatto ma non per tutti i beni dell’asse ereditario). La legge indica tra i successori legittimi il coniuge, i discendenti, gli ascendenti, i collaterali e gli altri parenti, da ultimo, lo Stato. Infine, vi è la successione necessaria di cui fanno parte i c.d. legittimari, cioè quel sottoinsieme di successori legittimi che godono, ai sensi degli artt. 536 ss. C.c. di una tutela particolare per i rapporti particolarmente stretti con il de cuius (coniuge, discendenti, in mancanza ascendenti) ai quali è riservata la c.d quota di riserva o di legittima.

Bisogna puntualizzare che dalla quota di legittima si distingue la quota disponibile, che integra la porzione del patrimonio di cui il defunto in vita poteva disporre con testamento o con donazioni senza ledere i diritti dei legittimari.

La comunione ereditaria spesso impone la soluzione del problema del suo scioglimento mediante la divisione, soprattutto nel caso, di frequente verificazione, che abbia ad oggetto beni immobili indivisibili. La divisione ereditaria si sostanzia in quell’insieme di operazioni giuridiche finalizzate all’attribuzione a ciascuno dei coeredi condividenti dei valori che corrispondono alla loro quota e che determinano il venir meno della comunione stessa. l’art. 720 c.c. disciplina il caso di scioglimento della comunione su beni immobili non divisibili. Ai sensi della disposizione “se nell’eredità vi sono immobili non comodamente divisibili, o il cui frazionamento recherebbe pregiudizio alle ragioni della pubblica economia o dell’igiene e la divisione dell’intera sostanza non può effettuarsi senza il loro frazionamento, essi devono preferibilmente essere compresi per intero, con addebito dell’eccedenza, nella porzione di uno dei coeredi aventi diritto alla quota maggiore, o anche nelle porzioni di più coeredi, se questi ne richiedono congiuntamente l’attribuzione. Se nessuno dei coeredi è a ciò disposto, si fa luogo alla vendita all’incanto.”

Generalmente, quando non abbia già provveduto il de cuius con il testamento (divisione testamentaria) alla ripartizione dei beni, alla formazione delle porzioni spettanti a ciascun coerede o alla definizione delle regole per farlo, si procede tramite divisione contrattuale o (in caso di mancato accordo) giudiziale. Ai sensi dell’art. 713 c.c. i coeredi posso sempre domandare la divisione, nei limiti di cui ai due commi successivi della norma.

Le vie che si prospettano all’erede condividente che voglia sciogliere la comunione sono quelle della vendita o donazione a un terzo dell’intero immobile, di comune accordo con gli altri coeredi, oppure della divisione. In termini esemplificativi, tra due fratelli succeduti al genitore superstite può accadere che, previa accettazione dell’eredità:

– uno venda all’altro la propria quota dell’immobile, divenendo proprietario dell’intero bene, in cambio del versamento all’altro di un corrispettivo in base all’accordo raggiunto (oppure senza pagamento del corrispettivo nel caso in cui un fratello regali all’altro la propria quota dell’immobile).

– i due fratelli riescono a trovare un terzo acquirente a cui vendere l’immobile e dividono successivamente il ricavato al 50% ciascuno.

– i due fratelli chiamano un tecnico che fraziona l’immobile in due distinte unità, delle quali mantengono ciascuno rispettivamente la proprietà esclusiva (il cui valore è proporzionale alla quota ereditaria).

Nel caso in cui, invece, non si addivenga all’accordo, si procederà alla divisione a opera del giudice.

A seguito del mancato accordo in sede di mediazione e di presentazione dell’atto introduttivo del procedimento di divisione, il giudice dirigerà le operazioni di divisione ovvero delegherà a tal fine un notaio, avvocato, commercialista. Alla conclusione il giudice o il notaio predisporrà un progetto di divisione, che sottoporrà agli eredi per il consenso, contenente la definizione bonaria del giudizio. Preferibilmente si tratterà di divisione in natura, ma qualora l’immobile non fosse comodamente divisibile il giudice procederà alla assegnazione dell’immobile o, in caso di impossibilità, alla vendita all’incanto.

La prima soluzione è preferibile, la vendita all’incanto configura un rimedio residuale, cui ricorrere quando nessuno dei condividenti possa o voglia giovarsi della facoltà di attribuzione dell’intero, con i conseguenti addebiti. Tale domanda di attribuzione, ove proposta anche da uno soltanto dei coeredi vale ad impedire che sia disposta la vendita e in tale ipotesi non deve essere svolta alcuna valutazione sull’entità della quota rispetto alle altre, non potendo aver luogo il giudizio comparativo ex art. 720 c.c., l’immobile verrà quindi assegnato a uno degli eredi, il quale dovrà liquidare agli altri coeredi le rispettive quote.

Nel caso in cui tutti gli eredi vogliano l’assegnazione dell’immobile il giudice procederà al sorteggio, salvo che uno degli eredi abbia un interesse maggiormente meritevole di tutela rispetto agli altri, come nel caso di chi abbia da tempo vissuto all’interno dell’immobile in questione (insieme al genitore defunto).

In definitiva, la norma sembra vietare al giudice il potere di scelta tra l’attribuzione dell’immobile e la vendita, essendo la prima certamente obbligatoria quando perseguibile. La vendita rappresenta, al contrario, l’extrema ratio, adottabile nella sola ipotesi di indisponibilità dei condividenti ad acquisire l’intero.

Il conguaglio. In caso di assegnazione ex art. 720 c.c. l’erede assegnatario avrà poi a carico l’obbligo di corrispondere il conguaglio a favore degli altri coeredi. La giurisprudenza in proposito ha stabilito che la determinazione del conguaglio non è suscettibile di esecuzione forzata ex art. 282 c.p.c. e, quindi di essere azionato come titolo esecutivo, prima del passaggio in giudicato della sentenza di assegnazione che ha natura costitutiva.  (Cass. Sez III, 30 gennaio 2019, n. 2537).

Il debito da conguaglio ha natura di debito di valore e nasce solo con l’assegnazione del bene, che individua il momento al quale deve essere rapportato il valore di ciascuna porzione a ogni singola quota, valore che verrà individuato d’ufficio dal giudice al momento della decisione sulla causa di divisione. Infatti, il conguaglio ha natura di debito di valore suscettibile di rivalutazione anche d’ufficio, se e nei limiti in cui la eventuale svalutazione si sia tradotta in una lievitazione del prezzo di mercato del bene tale da comportare una proporzione evidente delle quote dei condividenti, rivalutazione che la parte sarà comunque tenuta ad allegare e provare. Nel caso, peraltro, che sull’immobile siano state eseguite migliorie da uno dei condividenti, queste, per il principio dell’accessione, vengono a far parte del bene stesso e se ne dovrà tener conto nel giudizio di divisione ereditaria ai fini della stima del bene, nonché della determinazione delle quote e della liquidazione dei conguagli.

L’addebito dell’eccedenza a favore del coerede non assegnatario, dunque, prescinde dalle domande di parte e attiene esclusivamente alle modalità del progetto di attuazione divisionale di competenza dell’autorità giudiziaria.

Da ultimo, è utile analizzare il caso in cui uno dei coeredi abbia usato in modo esclusivo il bene caduto in comunione.

L’uso diretto del bene comune da parte di un comproprietario altro non è che l’attuazione del diritto dominicale, salvo l’obbligo di questi di non alterare la destinazione economica del bene e di non impedire agli altri condividenti l’eguale e diretto uso ovvero di trarre dal bene i frutti civili. Ne segue che il semplice godimento pur esclusivo del bene – anche nella sua interezza – non è idoneo, in via di principio, a produrre un qualche pregiudizio in danno degli altri comproprietari, di modo che il comproprietario che fa utilizzo in via esclusiva del bene comune è soltanto tenuto al pagamento della corrispondente quota di frutti civili traibili dal godimento indiretto dell’immobile, ma solo se il comproprietario abbia manifestato l’intenzione di utilizzare il bene in maniera diretta e ciò non gli sia stato consentito: l’intenzione di fruire dell’immobile perde rilievo se il bene, in sé indivisibile, costituisca la casa di abitazione del condividente, che non potrebbe consegnarne le chiavi all’altro senza perdere il godimento (per sua natura esclusivo) della propria abitazione.


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