Impugnazione delle clausole immediatamente escludenti
Il Codice dei contratti pubblici (d. lgs. n. 50/2016) stabilisce che, al di fuori dei casi di procedure ristrette o negoziate di cui agli artt. 59, co. V, e 63, tutte le procedure di scelta del contraente sono indette mediante bandi di gara (art. 71).
Il bando di gara è, dunque, l’atto con cui la stazione appaltante manifesta la volontà di stipulare un contratto e, allo stesso tempo, fissa le modalità della relativa procedura, sollecitando così la presentazione di domande, offerte o proposte da parte degli operatori economici interessati.
Ne deriva che, a differenza della determinazione a contrarre, il bando ha rilevanza esterna, ossia è già di per sé idoneo a produrre effetti nelle sfere giuridiche dei soggetti interessati.
Occorre precisare che il bando (di gara o di concorso) non è un atto normativo, bensì un atto amministrativo generale. Tale natura si evince dalla inidoneità del bando a innovare in alcun modo l’ordinamento giuridico, in quanto le regole in esso contenute si riferiscono esclusivamente al relativo procedimento.
Il Codice ne stabilisce le modalità di redazione e di pubblicazione (artt. 71, 72 e 73) mentre lascia ampia discrezionalità all’Amministrazione circa l’oggetto del contratto, le regole della procedura e i criteri di valutazione, purché tale discrezionalità operi secondo i canoni della ragionevolezza e della proporzionalità.
Premesso quanto sopra, occorre individuare quale sia lo strumento di tutela predisposto dall’ordinamento avverso le clausole c.d. escludenti o espulsive.
Trattasi di clausole che prevedono requisiti di partecipazione restrittivi e idonei a impedire ingiustamente a una o più categorie di soggetti la partecipazione alla procedura, in quanto “prescrivono in modo univoco requisiti soggettivi, di ammissione o partecipazione alla gara, arbitrari e discriminatori ovvero perché prevedono situazioni di fatto la cui carenza determina in via immediata e diretta l’esclusione dalla gara ovvero che danno luogo ad un’abnorme restrizione dell’accesso alla selezione, precludendo all’operatore di formulare adeguate offerte di gara in chiave competitiva” (Consiglio di Stato n. 2602/2018).
Affinché una clausola possa essere qualificata come tale, occorre che essa comporti una lesione certa, attuale e immediata, non essendo sufficiente una lesione soltanto potenziale, futura o ipotetica.
Ai fini della legittimazione ad agire in sede giurisdizionale, inoltre, la presentazione della domanda di partecipazione non costituisce acquiescenza e, dunque, non impedisce l’impugnazione delle clausole escludenti, in forza dei principi di cui agli artt. 24, co. I, e 113, co. I, Cost.
Di regola, infatti, la domanda di partecipazione è un requisito necessario ai fini della legittimazione processuale, in quanto comporta la sussistenza di una posizione qualificata e differenziata che legittima l’impugnazione, sempre che detta domanda presenti i requisiti necessari ai fini della sua validità. Invero, come recentemente ribadito dal Consiglio di Stato con la sentenza n. 8088/2019, la proposizione della domanda non è necessaria quando si contesta in radice l’indizione della gara ovvero quando si contesta che una gara sia mancata, avendo l’amministrazione disposto l’affidamento in via diretta del contratto, ovvero, infine, in caso di clausole immediatamente escludenti. In quest’ultimo caso, in particolare, la presentazione della domanda di partecipazione risulterebbe soltanto un mero adempimento formale.
Secondo l’orientamento tradizionale, la disapplicazione del bando (di gara o di concorso) è inammissibile e le suddette clausole escludenti, in quanto immediatamente lesive, devono essere impugnate autonomamente, ossia non congiuntamente all’atto finale della procedura, e nel termine, previsto a pena di decadenza, di trenta giorni dalla pubblicazione del bando.
L’immediata impugnazione trova fondamento nella forza lesiva della clausola escludente, la quale si concretizza nel momento stesso della pubblicazione del bando e non con il provvedimento finale. La ratio di tale orientamento, dunque, è garantire la massima partecipazione alle procedure ad evidenza pubblica.
Le clausole non immediatamente lesive, al contrario, devono essere impugnate congiuntamente all’atto che dà applicazione al bando e che conclude la procedura (c.d. postergazione della tutela). Tali clausole, infatti, non comportano l’esclusione ex ante dalla partecipazione alla procedura e, dunque, la lesione della situazione giuridica soggettiva diviene concreta e attuale soltanto al termine della procedura stessa. Prima di tale momento, peraltro, non è ancora possibile individuare in concreto il soggetto leso. Ne deriva che, in tali casi, la legittimazione processuale non può prescindere dalla presentazione della domanda di partecipazione alla procedura.
Deve ritenersi definitivamente superato l’orientamento giurisprudenziale che negava l’esistenza delle clausole immediatamente escludenti.
Si sosteneva, in particolare, che l’Amministrazione disponesse del potere di modificare il contenuto del bando anche in seguito alla pubblicazione dello stesso e che, dunque, l’eventuale lesione si potesse concretizzare solamente con l’atto conclusivo della procedura.
Tale orientamento non può essere accolto poiché, come sostenuto dal Consiglio di Stato, l’Amministrazione esaurisce la propria discrezionalità con la pubblicazione del bando, il quale, pertanto, non potrà essere successivamente modificato (Adunanza Plenaria n. 1/1998).
Del pari, non può essere seguito l’orientamento a favore della disapplicazione delle clausole del bando di gara che non siano state tempestivamente impugnate.
Siffatto orientamento si fonda sulla tesi della disapplicazione dei regolamenti, ossia la possibilità per il giudice amministrativo di disapplicare regolamenti illegittimi ancorché non ritualmente impugnati.
Tale tesi, tuttavia, trova fondamento nel principio di gerarchia delle fonti e, di conseguenza, presuppone erroneamente la natura normativa del bando. Quest’ultimo, al contrario, non è un atto normativo, bensì un atto amministrativo generale, per le ragioni precedentemente esposte.
Infine, occorre precisare che l’onere di immediata e autonoma impugnazione non può essere esteso anche ad altre clausole, in quanto ciò renderebbe l’eventuale giudizio un sindacato sulla mera legittimità del bando e non già sulla lesione che esso comporta per l’interesse di un particolare soggetto.
Il suesposto orientamento tradizionale è stato confermato dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, in particolare con le decisioni n. 1/2003 e n. 4/2018, ed è stato altresì normativizzato dall’art. 120, co. V, c.p.a., introdotto dall’art. 204 del Codice dei contratti pubblici.
In conclusione, le clausole escludenti, in quanto immediatamente lesive, devono essere impugnate autonomamente e nel termine decadenziale di trenta giorni dalla pubblicazione del bando, ancorché non sia stata presentata la domanda di partecipazione, mentre non è ammessa la disapplicazione del bando, in forza della natura amministrativa e non normativa dello stesso.
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Luca Barletta
Istruttore Direttivo Amministrativo.
Abilitato all'esercizio della professione forense.
Master di II livello in "Scienze amministrative e innovazione nella P.A." presso l'Università degli Studi di Macerata.
Laurea Magistrale a Ciclo Unico in Giurisprudenza presso la L.U.I.S.S. G. Carli con tesi in Diritto del Lavoro dal titolo "Il licenziamento disciplinare dopo il Jobs Act".
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